CAPITOLO 3: RISULTATI DEGLI STUDI CONTROLLATI A LUNGO
3.1 EFFICACIA SUL DOLORE E SULLA FUNZIONE
La VP e la CP rappresentano un importante strumento nel trattamento delle FV refrattarie al trattamento medico. Nonostante ciò, la reale efficacia di queste procedure è stata messa in discussione su due questioni principali: il controllo della sintomatologia dolorosa a lungo termine e, questione ancora più controversa, il possibile incremento del rischio di nuove FV, come conseguenza di un’alterata biomeccanica che questi interventi determinano a livello dei corpi vertebrali. In questo capitolo verrà fatta una rassegna dei principali lavori che hanno affrontato queste due problematiche. Per molto tempo, l’impiego della VP e della CP è stato sostenuto da dati di efficacia sul dolore a breve e medio termine derivanti da numerosi studi non controllati, con disegno non randomizzato e che presentano diversi limiti metodologici, come l’uso di campioni limitati, la mancanza di dati sui criteri di esclusione, oltre alla carenza di informazioni sulla durata e il tipo di terapia somministrata ai pazienti prima di eseguire un intervento di VP o CP. Nel 2009 McGirt et al.60 hanno pubblicato un lavoro in cui veniva fatta una revisione sistematica dei principali studi pubblicati tra il 1980 e il 2008 e che avevano valutato l’efficacia delle due procedure. Gli autori hanno potuto esaminare i risultati di un solo studio randomizzato controllato che comparava la VP con la terapia medica e tre studi prospettici, mentre la maggior parte di questi lavori era costituita da 70 studi di serie di casi. I risultati di questa review hanno messo in evidenza che, rispetto al trattamento conservativo, la VP possiede un maggior effetto positivo sulla gestione
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del dolore e sulla funzionalità del paziente. L’unico studio randomizzato controllato preso in considerazione da McGirt et al.60 era quello pubblicato nel 2007 da Voormolen et al.61 in cui è stato preso in considerazione un campione di 34 pazienti con dolore da FV refrattario alla terapia medica (il dolore doveva essere presente da non più di 6 mesi). Il campione è stato diviso in due gruppi: 18 pazienti sono stati trattati con VP, mentre 16 sono stati trattati in maniera conservativa. Dopo due settimane, ai pazienti trattati con terapia medica e con dolore persistente, veniva fornita la possibilità di essere trattati con VP. I parametri presi in considerazione prima dell’inizio del trattamento erano il dolore, misurato attraverso la scala analogica VAS, e il grado di disabilità del paziente, valutato attraverso due questionari, il QUALEFFO e l’RMDQ; questi parametri sono stati misurati il giorno successivo all’inizio dello studio e dopo due settimane. Il primo giorno i pazienti che erano stati sottoposti a VP presentavano una riduzione del dolore significativamente maggiore rispetto al gruppo di controllo (VAS: -2,3 vs -0,5; p<0,05), mentre, dopo due settimane, si sono registrate delle minime variazioni del punteggio VAS, statisticamente non significative. Per quanto riguarda il grado di disabilità, sia lo score registrato con il questionario QUALEFFO che con l’RMDQ registravano un miglioramento della funzione, soprattutto per quel che riguarda il grado di mobilità e la statura. L’intenzione originale degli autori era quella di seguire i pazienti dei due gruppi per un periodo di un anno, nel quale avrebbero eseguito controlli di RM e somministrato dei questionari sulla qualità della vita. Tuttavia, dopo due settimane 14 dei 16 pazienti trattati con terapia medica hanno richiesto di essere sottoposti alla VP, e ciò ha determinato il cambiamento degli obiettivi dello studio. Comunque, in base ai risultati raccolti, si può dedurre che l’effetto positivo della VP si ottiene
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TABELLA V - Studi randomizzati e controllati sull’efficacia della VP/CP. VP
vertebroplastica, TC trattamento conservativo, FO falsa operazione, CP cifoplastica, NM non menzionato. Autore, anno di pubblicazione Campione Caratteristiche dei pazienti Periodo di follow-up Riduzione significativa del dolore rispetto al gruppo di controllo Miglioramento significativo della qualità della vita rispetto al gruppo di controllo Voormolen, 2007 34 18 VP vs 16 TC 2 settimane Si Si Rousing, 2009-2010 49 38 VP vs 24 TC 3/12 mesi No No Buchbinder, 2009 78 38 VP vs 40 FO 6 mesi No No Kallmess, 2009 131 68 VP vs 63 FO 3 mesi No No Klazen, 2010 202 101 VP vs 101 TC 12 mesi Si Si Farrokhi, 2011 82 40 VP vs 42 TC 36 mesi Si Si Blasco, 2012 125 64 VP vs 61 TC 12 mesi No No Kroon, 2014 57 29 VP vs 28 FO 24 mesi No No Wardlaw, 2009 300 149 CP vs 151 TC 12 mesi Si Si Liu, 2009 100 50 VP vs 50 CP 6 mesi No NM
immediatamente dopo l’intervento, con una riduzione della sintomatologia dolorosa che poi si mantiene almeno per le prime due settimane. Gli stessi Autori, pur
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sottolineando che il loro fosse il primo studio randomizzato controllato che comparasse VP con la terapia conservativa, hanno messo in evidenza i limiti del loro lavoro, come il campione di pazienti poco numeroso o il ridotto periodo di follow-up, indicando l’esigenza di condurre nuovi studi randomizzati che avessero campioni più ampi e che valutassero l’effetto della VP per un più lungo periodo. Nel 2009, e poi nel 2010, sono stati pubblicati due lavori di Rousing et al.62, 63 che presentavano i risultati di un follow-up a 3 e 12 mesi di uno studio randomizzato e controllato che aveva come obiettivo la valutazione dell’efficacia della VP, rispetto al trattamento conservativo, in un campione di 49 pazienti con FV e dolore insorto da un periodo massimo di 8 settimane. Gli outcome presi in considerazione erano la variazione della sintomatologia dolorosa, misurata con la scala VAS, e il miglioramento della qualità della vita, valutata tramite diversi questionari, come l’SF-36, l’EQ-5D e il Dallas Pain Questionnaire (DPQ) – un questionario basato su 16 item che valutano l’impatto del dolore su diversi ambiti della vita del paziente, dalla capacità di svolgere le normali attività quotidiane, in casa o al lavoro, alla presenza di ansia o depressione. Per quanto riguarda l’efficacia sul dolore, gli Autori hanno riscontrato una riduzione significativa dei punteggi VAS – a 3 e 12 mesi – sia nei pazienti sottoposti a VP che in quelli trattati con la sola terapia medica; in particolare, a 3 mesi, si è passati da un punteggio medio VAS di 7,5 a 1,8 (p<0,00) nei pazienti indirizzati verso la VP, mentre nel gruppo di controllo, da un punteggio di 8,8 si è passati a 2,6 (p<0,00), mentre a 12 mesi, i punteggi medi della VAS sono stati – rispettivamente – di 2,0 e 2,9. Il confronto dei dati registrati tra i due gruppi non ha mostrato delle differenze statisticamente significative (p=0,32 a 3 mesi; p=0,29 a 12 mesi). Nonostante che entrambi gli approcci terapeutici abbiano presentato
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un’efficacia sovrapponibile, bisogna considerare che nel gruppo trattato con VP è stata riscontrata una repentina riduzione del dolore già nelle 24 ore successive all’intervento, passando da un punteggio VAS di 7,5 a 2,0 (p<0,00). Anche per quanto riguarda l’efficacia sulla qualità della vita, i risultati dei vari questionari somministrati a 3 e 12 mesi non hanno riportato differenze significative. Questi risultati, a parere degli Autori, indicano che lo scopo della VP non è tanto quello di ottenere un miglioramento della condizione clinica del paziente sul lungo periodo, ma quello di determinare una rapida riduzione della sintomatologia dolorosa, in maniera da avere un precoce miglioramento della qualità della vita.
Il 2009 può essere considerato come un anno cruciale per quanto riguarda lo studio sull’efficacia di VP e CP, a causa della contemporanea pubblicazione sul New England Journal of Medicine di due studi randomizzati e controllati che mettevano a confronto l’efficacia sul dolore della VP rispetto a quella di una falsa operazione, durante la quale all’analgesia spinale non faceva seguito l’introduzione di cemento nel corpo vertebrale. Sorprendentemente questi due studi hanno mostrato che, per quanto riguarda la riduzione della sintomatologia dolorosa, non vi erano differenze significative tra il gruppo trattato con VP e quello sottoposto alla falsa operazione. Questi studi hanno messo in seria discussione una tecnica che negli anni precedenti aveva conquistato un grande consenso, poiché sia la pratica clinica che gli studi condotti fino ad allora – al netto dei loro limiti – dimostravano una buona efficacia di questo trattamento. Ciò ha determinato un importante aumento della produzione di studi sull’efficacia di questa procedura.
Verranno ora descritti i due lavori del New England Journal of Medicine, mettendo in evidenza i loro punti di forza rispetto a quelli pubblicati precedentemente, ma
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soprattutto i loro limiti metodologici; successivamente verranno presi in esame i principali studi con disegno randomizzato e controllato che hanno confrontato l’efficacia di queste procedure rispetto al trattamento conservativo. Lo studio di Kallmes et al.64 ha preso in considerazione un campione di 131 pazienti che presentavano da una a tre FV refrattarie alla terapia medica. Le FV dovevano essersi verificate al massimo entro un anno dall’inizio dello studio e, in caso di difficoltà nella datazione della FV, i pazienti dovevano sottoporsi a un’indagine di RM per la valutazione della presenza di edema nel contesto dell’osso spugnoso, segno indiretto dell’insorgenza recente della lesione o della ancora presente instabilità. I pazienti sono stati stratificati per fattori come il sesso o l’età e sono stati assegnati in maniera casuale a due gruppi: i pazienti del primo gruppo sono stati trattati con una VP (68 pazienti), mentre quelli del secondo gruppo sono stati indirizzati a una falsa operazione (63 pazienti). Né degli operatori, né i pazienti erano a conoscenza del tipo di assegnazione e il medico responsabile dell’intervento ne veniva a conoscenza poco prima di eseguire la procedura. Nel caso della falsa operazione, il paziente era posto in posizione prona e sottoposto all’esecuzione dell’anestesia superficiale e profonda proprio come nella procedura reale. Dopo di che, veniva inserito un ago smusso da 13 Gauge e, applicando una lieve pressione sulla vertebra da trattare, si simulava l’intervento. Il medico preparava il cemento da iniettare di fronte al paziente in modo da far sentire l’odore del PMMA e rendere più verosimile la procedura. I due principali outcome studiati dagli Autori sono stati il grado di disabilità, misurato con il questionario RMDQ, e l’entità del dolore localizzato a livello del rachide, valutato su una scala che va da 0 a 10, in cui il più alto punteggio corrisponde al dolore più forte mai provato prima. Prima dell’intervento, per quanto riguarda l’RMDQ, lo
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score medio era di 16,6 ± 3,8 per il gruppo assegnato alla VP e 17,5 ± 4,1 per quello di controllo; dopo un mese, in entrambi i gruppi è stata riscontrata una riduzione del grado di disabilità con dei punteggi rispettivamente di 12,0 ± 6,3 e 13,0 ± 6,4, con una differenza media nell’RMDQ score di 0,7 (IC 95%: -1,3 – 2,8; p= 0,49). Per quel che riguarda l’intensità del dolore, in condizioni basali il gruppo della VP aveva un punteggio medio di 6,9 ± 2,0, mentre il gruppo avviato alla falsa operazione aveva un punteggio di 7,2 ± 1,8; Dopo un mese, i pazienti avevano descritto un dolore di 3,9 ± 2,9 e di 4,6 ± 3,0, rispettivamente (IC 95%: -0,3 – 1,7; p= 0,19). È interessante notare che, se si considera l’entità del miglioramento del dolore nei due gruppi, effettivamente il gruppo assegnato alla VP ha presentato una riduzione maggiore rispetto al gruppo di controllo (64% vs. 48%), che però l’analisi statistica ha valutato come non significativa (p= 0,06). Quindi, questo studio ha indicato una sovrapponibilità dei risultati ottenuti dopo VP o dopo una falsa operazione.
Conclusioni analoghe sono state tratte dallo studio di Buchbinder et al.65, che ha preso in considerazione un campione di 78 pazienti i cui criteri di inclusione consistevano nella presenza di dolore al rachide da un periodo non superiore ai 12 mesi, il coinvolgimento di non più di due FV e il reperto di edema midollare osservabile con la RM. Anche in questo caso i pazienti sono stati stratificati per età, sesso e per la durata della sintomatologia (minore o maggiore di 6 settimane) e sono stati divisi in due gruppi, uno di 38 pazienti, sottoposti a VP, e un altro di 40, avviati alla falsa operazione. Dei 78 partecipanti allo studio, il 91% ha completato un follow-up di 6 mesi durante il quale è stata valutata la variazione – rispetto alle condizioni basali – del grado di dolore (valutato sempre su una scala da 0 a 10) e la qualità di vita del paziente, tramite la somministrazione di diversi questionari:
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QUALEFFO, EQ-5D e RMDQ. Dopo 3 mesi – end-point primario dello studio – in entrambi i gruppi è stata registrata una significativa riduzione del dolore: in particolare, per il gruppo della VP la riduzione è di 2,6 ± 2,9, e per il gruppo del falso intervento di 1,9 ± 3,3, con una differenza non significativa tra i due gruppi. Inoltre, non è stata registrata nessuna differenza tra i due gruppi per quel che riguarda i punteggi ottenuti nei questionari che valutavano il grado di disabilità del paziente, con la sola eccezione del QUALEFFO score misurato ad una settimana dall’intervento, che favoriva il gruppo di controllo (miglioramento di 3,6 ± 9,2 vs un peggioramento di 0,5 ± 7,4 nel gruppo della VP). Quindi, anche in questo caso, i risultati ottenuti avevano messo in dubbio la capacità della VP di dare un effetto positivo maggiore rispetto ad una procedura di anestesia locale. Bisogna tuttavia precisare che questi due studi soffrono di alcune lacune metodologiche. La prima consiste nel criterio di selezione dei pazienti: entrambi i lavori hanno selezionato dei pazienti con FV che lamentavano una sintomatologia dolorosa da un periodo di tempo che poteva arrivare fino ai 12 mesi. In questo modo, all’interno dei campioni sono stati presi in considerazione pazienti con una più probabile disomogenea risposta alla VP, se si considera che la probabilità di far recedere il dolore con questa procedura è migliore se si interviene entro le 6-8 settimane dall’insorgenza della sintomatologia clinica56. La seconda lacuna di metodo consiste nel fatto che, specialmente nello studio di Kallmes et al.64, non sempre è stato rispettato il criterio della presenza di edema midollare alla RM e, quindi, non è possibile escludere l’ipotesi che, in alcuni casi, il dolore al rachide fosse dovuto a condizioni diverse dalla presenza di una FV (ad esempio, dolore discale o da artrosi interapofisarie). Infine, è opportuno considerare che la falsa operazione non può, a tutti gli effetti,
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essere paragonata alla terapia medica tradizionale del dolore, e questo significa che manca nei due studi un terzo gruppo di pazienti con fratture vertebrali, non sottoposti a VP, ma trattati in modo tradizionale. Per queste ragioni i risultati di tali studi devono essere valutati con molta cautela.
Lo studio VERTOS II pubblicato nel 2010 da Klazen et al.66 ha messo in evidenza dei risultati di segno opposto. In questo caso gli Autori hanno definito in maniera molto precisa i criteri di inclusione dello studio: il campione di 202 pazienti era costituito da persone di età superiore ai 50 anni, con almeno una FV insorta recentemente (da non più di 6 settimane), punteggio del dolore, valutato con la scala VAS, >5, e condizione clinica chiaramente correlata a una documentazione radiologica costituita da un esame radiologico della colonna e – criterio fondamentale – un esame di RM con evidenza di edema spongioso nel corpo vertebrale fratturato. I pazienti sono stati assegnati in maniera computerizzata e casuale a due gruppi di 101 pazienti: quelli del primo gruppo sono stati indirizzati all’esecuzione della VP, dopo un periodo medio di 5,6 settimane dall’insorgenza dei sintomi, mentre i pazienti del secondo gruppo sono stati trattati con la sola terapia medica, il cui schema era calibrato sulle esigenze del paziente. Entrambi i gruppi sono stati trattati con terapia anti-osteoporotica, costituita da bisfosfonati e supplementi di calcio e vitamina D, oltre alla terapia analgesica che, in base alle esigenze, andava dal paracetamolo fino all’uso di oppioidi maggiori. L’obiettivo principale dello studio era quello di valutare, a 1 mese e a 1 anno dall’inizio dei due trattamenti, l’efficacia della VP rispetto alla terapia conservativa nella riduzione del dolore e della disabilità correlata. Il dolore è stato valutato attraverso la scala a 10 punti della VAS, mentre il grado di disabilità è stato misurato attraverso la
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somministrazione di tre questionari (QUALEFFO, RMDQ e EQ-5D). Questo lavoro ha messo in evidenza un effetto statisticamente superiore della VP rispetto al trattamento conservativo, sia a medio che a lungo termine. Infatti, la differenza nello score medio registrato alla VAS dopo un mese è stata di -5,2 (IC 95%: -5,88 – -4,72) dopo VP e -2,7 (IC 95%: -3,22 – -1,98) dopo trattamento conservativo e, dopo un anno, di -5,7 (IC 95%: 6,22 – -4,98) e -3,7 (IC 95%: -4,35 – -3,05) rispettivamente; le differenze tra i due gruppi sono state significative (p<0,0001) ad entrambi i tempi di osservazione. Per quel che riguarda il grado di disabilità tutti e tre i questionari di valutazione hanno dimostrato dei risultati significativamente peggiori nel gruppo trattato con la sola terapia medica rispetto a quello trattato con VP, se si esclude il dato registrato dall’EQ-5D al primo mese, che ha mostrato una situazione opposta (considerata dagli autori un risultato casuale). I risultati di questo studio suggeriscono che in un gruppo di pazienti con FV recente e dolore persistente la VP è efficace, con un effetto sul dolore immediato e persistente – almeno nel primo anno – e comunque superiore a quanto ottenuto con la terapia conservativa. Risultati simili sono stati registrati da un lavoro pubblicato nel 2011 da Farrokhi et al.67, che ha preso in considerazione un campione di 82 pazienti con dolore da FV insorta da un periodo non superiore a un anno, confrontando – in maniera randomizzata e controllata – l’efficacia della VP rispetto al trattamento conservativo. I parametri presi in considerazione dallo studio erano la riduzione del dolore, valutato con la VAS, e il miglioramento della qualità della vita, misurato con l’Oswestry Disability Index (ODI) – un questionario che definisce il grado di disabilità secondario a una sintomatologia dolorosa della colonna su una scala da 0 a 100, dove 100 corrisponde al maggior grado di disabilità. Dopo una settimana dalla randomizzazione, i pazienti
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trattati con VP hanno presentato una significativa riduzione del dolore, passando da un VAS score di 8,4 ± 1,6 a quello di 3,3 ± 1,5 (p<0,011), mentre i pazienti trattati con la sola terapia medica erano passati da un punteggio di 7,2 ± 1,7 a 6,4 ± 2,1 (p<0,15), con una differenza significativa tra i due gruppi (p<0,001); una situazione analoga è stata osservata anche dopo 2 e 6 mesi, mentre dopo un anno dall’inizio del follow-up, la differenza tra i due punteggi VAS è stata di -1,9 (IC 95%: -2,9 – 0,9), statisticamente non significativo (p=0,11). Questo significa che l’efficacia della VP si riscontra nei primi mesi di trattamento, mentre successivamente i due approcci terapeutici sono comparabili. Per quel che riguarda l’efficacia sul miglioramento della qualità della vita, l’ODI score correlato al gruppo di pazienti trattati con VP è stato significativamente migliore – rispetto ai pazienti trattati conservativamente – per tutta la durata del follow-up; un ulteriore dato interessate è quello della mobilizzazione dei pazienti, poiché, mentre tutti i pazienti del gruppo sottoposto a VP hanno ripreso a camminare 24 ore dopo l’intervento, solo un paziente del gruppo di controllo (2%) aveva presentato una simile mobilizzazione precoce (p<0,011). Infine, gli Autori hanno riportato che, dopo un anno di follow-up, un gruppo di 10 pazienti trattati con la sola terapia medica e che non aveva presentato un miglioramento significativo (i pazienti presentavano ancora valori della VAS>6 e ODI score>45), ha richiesto di essere sottoposto alla VP; dopo una settimana dall’intervento, questi pazienti hanno presentato una riduzione del dolore significativa rispetto ai pazienti che erano rimasti nel gruppo del trattamento conservativo [differenza media -2,3 (IC 95%: 1,22 – 3,88; p<0,05)]. Questi risultati sono stati in buona parte confermati da un altro studio randomizzato e controllato pubblicato nel 2012 da Blasco et al.68 su un campione di 125 pazienti con FV e
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dolore da non più di 12 mesi e con l’evidenza di edema midollare alla RM. Anche in questo caso il campione è stato diviso in due gruppi di pazienti, uno dei quali è stato indirizzato verso l’esecuzione di una VP, mentre l’altro è stato sottoposto al solo trattamento conservativo. Rispetto agli altri studi, la terapia medica non era prescritta a discrezione dei medici dei diversi dipartimenti a cui i pazienti afferivano, ma presentava una codificazione standard che valeva per entrambi i gruppi: calcitonina nasale e analgesici per il primo mese, successivo eventuale passaggio a oppioidi minori e maggiori, e, infine, impianto di catetere epidurale per la somministrazione continua di fentanyl e bupivacaina nei casi non responsivi o intolleranti alla terapia sistemica. Anche in questo lavoro i parametri oggetto di studio sono stati la riduzione del dolore, tramite VAS, e il miglioramento della qualità di vita, misurata con questionario QUALEFFO. Questi outcome sono stati valutati a 2 mesi e a 1 anno dall’inizio dei due tipi di trattamento. Entrambi i gruppi hanno presentato una riduzione del dolore, anche se la diminuzione è stata significativamente maggiore tra i pazienti trattati con VP; in particolare, dopo due mesi, la differenza tra i due punteggi VAS è stata di 3,07 ± 0,45 per il gruppo trattato con VP e di 1,59 ± 0,42 per