• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 3: RISULTATI DEGLI STUDI CONTROLLATI A LUNGO

3.3 FATTORI DI RISCHIO PER NUOVE FRATTURE VERTEBRALI DOPO

Numerosi lavori si sono concentrati sulla valutazione dei fattori di rischio correlati all’aumento dell’incidenza di nuove FV dopo l’esecuzione di una procedura di VP o CP. Tuttavia, le conclusioni di questi studi hanno fornito dati contrastanti e non sempre generalizzabili. I principali fattori che contribuiscono ad un aumento dell’incidenza di nuove FV sono la BMD, la presenza di spandimento di cemento a livello dei dischi intervertebrali adiacenti alle vertebre trattate, un basso indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI), i bassi valori plasmatici di 25-idrossi- vitamina D [25(OH)D] e il trattamento cronico con GC.

Il valore di BMD, misurato con un esame densitometrico come T-score a livello della colonna lombare e del femore, è il parametro che correla direttamente con la gravità della patologia osteoporotica. Nel 2011 Kim et al.83 hanno pubblicato uno studio retrospettivo che aveva come obiettivo la valutazione dei fattori correlati all’insorgenza di nuove FV adiacenti a vertebre trattate con VP in un campione di 104 pazienti. Dopo un anno di follow-up, 54 pazienti (51,9%) hanno presentato almeno una nuova FV, di cui il 57% si è presentato nei primi sei mesi dopo l’esecuzione della VP. Il dato più significativo raccolto da questo studio è la

83

differenza nel valore medio della BMD misurata a livello della colonna lombare: il valore medio di T-score misurato nel gruppo che aveva sviluppato nuove FV era di - 3,52, mentre nel gruppo senza nuove fratture era di -2,9, indicando che il rischio di nuove FV è inversamente correlato alla BMD (p=0,038). A conferma di ciò, gli Autori hanno specificato che, tra i pazienti che avevano presentato una nuova FV, vi era un sottogruppo che aveva valori medi di T-score vertebrale ancora più bassi (- 3,84; p=0,027) e aveva anche presentato più di 3 eventi fratturativi nel corso del follow-up. Buona parte di questi risultati sono stati confermati da un altro studio retrospettivo pubblicato nello stesso anno da Rho et al.84. Gli Autori hanno esaminato un campione di 147 pazienti trattati con VP o CP seguiti per un periodo medio di 35,5 mesi. Durante il periodo di osservazione, 27 pazienti (18,4%) hanno presentato delle nuove FV cliniche, di cui il 66,7% dei casi presentava una frattura a livello di un corpo vertebrale adiacente a quello trattato precedentemente. Confrontando le caratteristiche del gruppo di pazienti con nuove FV con quello di pazienti non fratturati, sono state individuate delle differenze significative nell’età, tipo di procedura utilizzata, BMD e presenza di stravaso di PMMA a livello dei dischi intervertebrali. Tuttavia, l’analisi statistica multivariata ha messo in evidenza che il più importante fattore di rischio per l’insorgenza di nuove FV era la differenza del valore di T-score misurato a livello lombare; in particolare, mentre il gruppo di pazienti rifratturati aveva un valore medio di -4,01 ± 0,79, il gruppo di controllo presentava un valore di -3,54 ± 0,97 (p=0,01).

Un altro fattore di rischio è la presenza di spandimento del cemento a livello di un disco intervertebrale adiacente al corpo vertebrale trattato, che è una delle complicanze più frequenti della VP, con un’incidenza che può raggiungere fino a più

84

del 70% di queste procedure. Come è stato accennato precedentemente, quando il cemento passa all’interno di un disco intervertebrale determina un’alterazione della distribuzione del carico tra i segmenti vertebrali inducendo la formazione di fratture nelle vertebre adiacenti. Uno dei primi lavori che ha messo in evidenza la relazione tra lo stravaso di cemento entro i dischi e l’insorgenza di nuove FV è stato il già citato studio retrospettivo di Lin et al.74. Gli Autori, valutando un campione di 38 pazienti trattati con VP, hanno riscontrato una maggiore incidenza di FV tra i pazienti che avevano presentato uno stravaso di cemento intra-discale, rispetto ai pazienti che non avevano sviluppato questa complicanza (55% vs 20%; p=0,018). Nel lavoro di Kim et al.83, tra i pazienti con nuove FV, lo spandimento del cemento a livello dei dischi era presente nel 33,3% dei casi, mentre nel gruppo di pazienti non fratturati la percentuale era del 16%, significativamente minore (p=0,047). Infine, un’ulteriore conferma di questa relazione è stata fornita da uno studio di Komemushi et al.85, i quali, con l’obiettivo di valutare i fattori implicati nell’aumento dell’incidenza di nuove FV, hanno esaminato un campione di 83 pazienti trattati con VP, sottoposti a un follow-up della durata media di 9,4 mesi. In questo periodo, si sono verificate 59 nuove FV, di cui 39 in presenza di uno spandimento discale di cemento. La maggior parte delle fratture riscontrate in questo gruppo erano localizzate a livello di segmenti vertebrali adiacenti a quelli trattati con VP (32 vs 7; p<0,05), mentre nel gruppo delle restanti 20 FV (sviluppate in pazienti senza spandimento di cemento) la distribuzione tra fratture adiacenti e non adiacenti era paragonabile (9 vs. 11; p=NS). Inoltre, dei diversi fattori presi in considerazione, l’analisi di regressione lineare ha messo in evidenza che solo la presenza di cemento a livello dei dischi intervertebrali determinava un cambiamento significativo del

85

rischio di sviluppare nuove FV, con un aumento del rischio superiore a quattro volte [OR 4,63 (IC 95%: 1,74 – 12,32); p=0,0021].

Per quanto riguarda la relazione che esiste tra il BMI e l’insorgenza di nuove FV, questa può essere spiegata dall’effetto che ha il tessuto adiposo sulla BMD. Il tessuto adiposo presenta l’enzima aromatasi, responsabile della trasformazione degli androgeni circolanti in estrogeni. Poiché nel periodo post-menopausale vi è una importante riduzione della concentrazione plasmatica degli estrogeni prodotti a livello ovarico, la funzione dell’aromatasi assume una maggiore importanza, mantenendo un minimo effetto protettivo sul riassorbimento osseo. Sulla base di ciò, un basso valore di BMI si traduce spesso in una riduzione del tessuto adiposo e quindi in un effetto negativo sulla BMD che, come è stato messo in evidenza precedentemente, modifica sensibilmente il rischio di rifrattura. Un lavoro che ha messo in evidenza una correlazione negativa tra i bassi valori di BMI e l’insorgenza di nuove FV è lo studio retrospettivo di Lin et al.86 , che ha preso in considerazione il follow-up clinico e radiologico di un campione di 70 pazienti trattati con VP di cui, dopo un periodo medio di 20 mesi, il 27% ha sviluppato almeno una nuova FV. La presenza di valori di BMI < 22 kg/m2 è stata considerata fortemente associata al rischio di nuove FV, perché, mentre nel gruppo di pazienti che avevano presentato nuove fratture, il 74% aveva bassi valori di BMI, nel gruppo senza nuovi eventi fratturativi solo il 10% aveva una bassa massa corporea (p<0,01).

Un altro fattore che è stato correlato all’aumento del rischio di sviluppare nuove FV è il deficit di vitamina D. Uno degli studi che ha messo in evidenza questa relazione è il lavoro pubblicato nel 2010 da Mazzantini et al.81, con l’obiettivo di valutare l’incidenza di nuove FV in una popolazione di pazienti trattati con VP e individuare i

86

fattori di rischio per fratture successive. Il campione preso in considerazione consisteva in un gruppo di 115 pazienti con FV da OP primaria o secondaria a trattamento cronico con GC e refrattari alla terapia conservativa. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad una terapia anti-osteoporotica, attraverso la somministrazione di un bisfosfonato, oltre all’integrazione di vitamina D e, quando necessario, di calcio. Dopo l’esecuzione della VP, il paziente è stato sottoposto a un follow-up della durata media di 36 mesi, nel corso dei quali sono state eseguite delle valutazioni cliniche, radiologiche e di laboratorio; in particolare, dopo 12 mesi, oltre a un Rx del rachide, è stato effettuato un dosaggio dei livelli plasmatici della 25(OH)D. Alla fine del periodo di follow-up, il 27,8% dei pazienti ha sviluppato almeno una nuova FV. Gli autori, con lo scopo di individuare i fattori che correlano con una maggiore incidenza di FV, hanno analizzato le differenze tra il gruppo di pazienti con nuove FV e quello di pazienti senza ulteriori eventi fratturativi. Particolare attenzione è stato posto sui differenti valori dei livelli plasmatici della 25(OH)D che – a 12 mesi dall’esecuzione della VP – erano di 22 ± 12 ng/ml nel gruppo con nuove FV, contro un valore di 41 ± 22 ng/ml (p<0,01). Un dato interessante è che tutti i pazienti erano sottoposti ad una terapia integrativa con vitamina D, costituita da una dose di carico di 300.000 UI, somministrate prima dell’esecuzione della VP, seguita da una dose giornaliera di 800 UI, assunta per tutta la durata del follow-up. Gli altri fattori di rischio individuati erano i bassi valori di BMI e i bassi valori di BMD misurati a livello femorale e della colonna lombare. Una conferma a queste evidenze è stata fornita dal lavoro pubblicato nel 2013 da Martinez-Ferrer et al.87. Gli Autori hanno ripreso i dati raccolti dal precedente studio randomizzato e controllato di Blasco et al.68 che aveva lo scopo di confrontare l’efficacia della VP rispetto alla terapia conservativa. Il

87

campione preso in considerazione era costituito da 125 pazienti, di cui 64 erano stati indirizzati ad un intervento di VP, mentre 61 pazienti sono stati trattati conservativamente. Come è stato riportato precedentemente, è importante sottolineare il fatto che, contrariamente agli altri studi randomizzati controllati, lo studio di Blasco et al.68 aveva mostrato che l’esecuzione di una VP determina un significativo aumento del rischio di sviluppare nuove FV (OR 2,78; IC 95%: 1,02- 7,62; p=0,0462). Lo studio di Martinez-Ferrer et al.87 aveva l’obiettivo di individuare i fattori responsabili di questa maggiore incidenza di fratture, valutando una serie di parametri clinici, radiologici e di laboratorio, e facendo un confronto tra i dati raccolti nel gruppo di pazienti rifratturati rispetto a quelli che non avevano sviluppato nuove FV. L’analisi multivariata ha messo in evidenza che il principale fattore correlato all’aumento dell’incidenza di nuove FV dopo VP era dato dalla presenza di valori plasmatici di 25(OH)D <20ng/ml con un RR di 15,47 (IC 95%: 2,99 – 79,86; p<0,0001). Un dato interessante è che, nel gruppo che ha sviluppato nuove FV, i pazienti trattati con la VP hanno presentato valori di 25(OH)D significativamente minori rispetto ai pazienti trattati conservativamente (18,62 ± 21,01 ng/ml vs 28,18 ± 11,91 ng/ml; p=0,01), mentre i pazienti non fratturati hanno presentato livelli di 25(OH)D comparabili, indipendentemente dall’approccio terapeutico utilizzato (28,62 ± 21,00 ng/ml nei pazienti trattati con la VP e 27,12 ± 11,91 ng/ml in quelli trattati con terapia medica). Nonostante sia noto che bassi livelli plasmatici di 25(OH)D sono correlati a una maggiore gravità della patologia osteoporotica, gli Autori non sono riusciti a dare una spiegazione sulla maggiore incidenza di questo deficit vitaminico dopo l’esecuzione della VP; tuttavia, la condizione di deficit di vitamina D è certamente associata a un maggior turnover del

88

tessuto osseo, come testimonia il fatto che i pazienti con livelli di 25(OH)D< 20 ng/ml hanno anche più elevati livelli sierici di propeptide N-terminale del procollagene 1 (P1NP) sierico, un marker di neoformazione ossea. Questi dati suggeriscono che, tra i pazienti che sviluppano una FV da fragilità, è possibile individuare un sottogruppo con una patologia osteoporotica di maggiore gravità e con una peggiore qualità del proprio tessuto osseo; ciò condiziona non solo la risposta alla terapia medica, ma esporrebbe il paziente ad un maggior rischio di fratture dopo l’esecuzione di una VP. Dal punto di vista della gestione clinica del paziente, queste evidenze si traducono nella necessità di ottimizzare la terapia anti- osteoporotica del paziente, soprattutto in previsione di una VP.

Infine, un ulteriore fattore di rischio che va considerato è il trattamento cronico con GC poiché, come è stato trattato precedentemente, questi farmaci determinano un’alterazione qualitativa e quantitativa del tessuto osseo, portando ad un rischio di frattura che è maggiore rispetto a quello riscontrato tra i pazienti con OP post- menopausale. Per quanto riguarda la correlazione con lo sviluppo di nuove FV dopo VP, la letteratura è scarsa. Nel 2004, Harrop et al.88 hanno pubblicato un lavoro retrospettivo che aveva come obiettivo la valutazione dell’incidenza delle FV in una coorte di pazienti con FV da OP primaria o secondaria al trattamento cronico con GC e sottoposti ad una procedura di CP; su un campione di 115 pazienti, 80 erano affetti da OP primaria, mentre 35 erano stati esposti alla terapia con GC. Gli Autori hanno esaminato i reperti radiografici eseguiti dai pazienti durante un periodo medio di follow-up della durata di 11 mesi (range 3-33 mesi), riscontrando la presenza di nuove FV in 26 pazienti, 16 delle quali insorte nel gruppo di pazienti con OP secondaria. L’incidenza complessiva di nuove fratture è stata del 22,6%, tuttavia, se

89

si considerano i dati registrati nei due gruppi, l’incidenza di rifrattura tra i pazienti con OP secondaria è stata significativamente maggiore rispetto a quella dei pazienti con OP primaria (48,6% vs 11,25%; p<0,0001). Queste evidenze sono state confermate da Syed et al.89 , che nel 2006 hanno pubblicato un lavoro retrospettivo basato su un campione di 387 pazienti trattati con VP, di cui 350 erano affetti da OP primaria mentre 37 presentavano un’OP da GC. Dopo un periodo di follow-up della durata di 1 anno, il 20,6% dei pazienti con OP primaria aveva sviluppato una FV sintomatica, mentre l’incidenza nei pazienti in trattamento con GC è stata del 37,8%, con un rischio di rifrattura che, rispetto ai pazienti del primo gruppo, era quasi raddoppiato (RR 1,84; IC 95% 1,16 – 2,92; p=0,0163). Per quanto riguarda l’intervallo medio tra l’esecuzione della VP e l’insorgenza delle nuove FV, questo è stato minore nel gruppo di pazienti sottoposti a terapia con steroidi, sebbene gli autori non abbiano riportato i valori di significatività (7,9 vs 11,3 settimane). Poiché, come è stato riportato precedentemente, ci sono degli studi25 che hanno dimostrato una relazione positiva tra la dose e la durata del trattamento cronico con GC e il rischio di sviluppare un primo episodio di FV, gli Autori hanno inoltre ipotizzato che il rischio di sviluppare nuove FV dopo VP potesse essere correlata con la dose di GC somministrata. In effetti, il dosaggio medio tra i pazienti che avevano sviluppato una FV era di 496,39 mg/mese, mentre quello dei pazienti senza frattura era di 441,41mg/mese; tuttavia, nonostante al gruppo con nuove fratture fosse stata somministrata una dose maggiore di GC, la differenza tra le due dosi non è risultata statisticamente significativa (p=0,3593). Nel 2007 è stato pubblicato da Hiwatashi et al.90 uno studio retrospettivo che ha esaminato l’incidenza di rifratture in un campione di 55 pazienti con FV trattati con VP, di cui 16 erano sottoposti ad un

90

trattamento cronico con GC. Durante un periodo di follow-up della durata media di 535 giorni, 20 pazienti hanno sviluppato nuove FV; mentre l’incidenza di rifrattura tra i pazienti con OP primaria è stata del 23%, il gruppo sottoposto a terapia con steroidi ha mostrato un’incidenza del 69% (p<0,01). Complessivamente, in seguito all’intervento di VP, i pazienti hanno sviluppato 28 nuove FV, di cui 16 erano localizzate a livello di vertebre adiacenti ai corpi vertebrali trattati, mentre le restanti 12 hanno interessato segmenti vertebrali non adiacenti. Un dato interessante è che mentre nel gruppo di pazienti con OP primitiva l’incidenza di FV adiacenti è stata dell’83%, nel gruppo di pazienti con OP iatrogena solo il 38% delle nuove FV ha interessato una vertebra adiacente a quelle sottoposte a VP (p<0,05); poiché una maggiore incidenza di FV adiacenti ai segmenti vertebrali trattati solitamente viene considerato come un reperto a favore della relazione tra le nuove FV e l’esecuzione della VP, questi dati mettono in evidenza che il trattamento cronico con GC può essere considerato come un fattore di rischio indipendente per l’insorgenza di nuove FV.

TABELLA IX - Fattori di rischio, con riferimenti bibliografici, per lo sviluppo di

nuove FV dopo l’esecuzione di VP/CP.

Fattori di Rischio Riferimenti bibliografici

Ridotta BMD Kim83, Rho84;

Spandimento intradiscale di cemento Lin74

, Kim83

, Komemushi85

;

Ridotto BMI Lin86;

Deficit di Vitamina D Mazzantini81

, Martinez-Ferrer87

;

Terapia cronica con GC Harrop88

, Syed89

, Hiwatashi90

91

In conclusione, sebbene non sia stato definitivamente dimostrato un nesso causale tra l’esecuzione della VP o CP e lo sviluppo di nuove FV, i pazienti che vengono indirizzati a queste procedure devono essere considerati comunque a rischio di nuovi episodi fratturativi. Se si esclude lo stravaso di cemento a livello dei dischi intervertebrali, che rappresenta una complicanza dell’intervento, i fattori che aumentano significativamente il rischio di sviluppare nuove FV sono la BMD, il BMI, il deficit di vitamina D e il trattamento cronico con GC; i risultati messi in evidenza dagli studi che sono stati descritti indicano la necessità di valutare con attenzione l’opportunità di eseguire queste procedure in soggetti in trattamento cronico con GC o con BMD marcatamente ridotta e di portare al più presto i livelli plasmatici di 25(OH)D sopra la soglia oggi considerata ottimale, cioè >30ng/ml.

92

Documenti correlati