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CAPITOLO 3: RISULTATI DEGLI STUDI CONTROLLATI A LUNGO

3.2 INCIDENZA DI NUOVE FRATTURE VERTEBRALI

Come è stato riportato nel precedente paragrafo, negli ultimi anni VP e CP sono state oggetto di numerosi studi che avevano l’obiettivo di valutare l’efficacia nel ridurre la sintomatologia dolorosa e migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da FV e refrattari alla terapia medica. Nonostante che la pubblicazione di alcuni lavori abbia messo in discussione l’utilità di queste procedure, complessivamente la maggior

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parte degli studi propende per una loro significativa efficacia. Al contrario, una questione che rimane controversa nella letteratura è data dall’incidenza di nuove FV secondarie all’esecuzione di una VP o CP, poiché è stata avanzata l’ipotesi che l’iniezione di cemento all’interno di un corpo vertebrale fratturato – determinando una disomogenea distribuzione delle forze – porti ad un aumento del rischio di rifrattura sugli altri segmenti della colonna. Uno dei primi lavori che ha valutato gli effetti sui corpi vertebrali adiacenti a quelli trattati con VP è lo studio di Berlemann et al.73, che ha preso in considerazione i parametri biomeccanici dei corpi vertebrali di 10 cadaveri affetti da OP. Gli Autori hanno isolato delle “unità funzionali vertebrali”, costituite da due corpi vertebrali e da un disco intervertebrale interposto; per ciascun cadavere sono state utilizzate due unità funzionali, delle quali una è stata sottoposta ad un intervento di VP a livello del corpo vertebrale inferiore, mentre l’altra è stata utilizzata come controllo. Le 20 unità funzionali sono state sottoposte a dei cicli di compressioni dinamiche, in maniera tale da studiare la durezza e la resistenza al carico delle varie vertebre e valutare un’eventuale differenza tra i parametri biomeccanici delle unità sottoposte a VP rispetto al gruppo di controllo. Questo studio ha mostrato che, rispetto ai controlli, le unità funzionali trattate con VP presentano un punto di rottura più basso; in particolare, il rapporto medio tra il punto di rottura delle unità trattate e quelle non trattate è stato di 0,81 (IC 95%: 0,70 – 0,81; p<0,01). Inoltre, gli Autori hanno riscontrato una correlazione negativa tra il volume di cemento iniettato all’interno del soma vertebrale e il valore del punto di rottura, anche se questi dati non sono risultati statisticamente significativi (p=0,13). Nella realtà, una diretta relazione causale tra la VP e l’insorgenza di nuove FV rimane non sufficientemente provata; tuttavia, l’unica eccezione è il caso in cui la nuova frattura

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si verifichi in seguito allo stravaso di cemento nel contesto del disco intervertebrale. Ciò è stato confermato dallo studio retrospettivo di Lin et al.74 che aveva come obiettivo la valutazione del rischio di sviluppare nuove fratture adiacenti ad una vertebra trattata con VP, in presenza di spandimento di cemento a livello del disco intervertebrale. Gli Autori hanno preso in considerazione un campione di 38 pazienti trattati con VP, di cui 18 avevano presentato uno stravaso intra-discale di cemento; dopo un periodo di 12 mesi, 14 dei 38 pazienti hanno sviluppato una nuova FV, con un’incidenza maggiore nel gruppo di pazienti che presentavano PMMA a livello dei dischi intervertebrali rispetto a quelli che non avevano presentato spandimento (55% vs 20%; p=0,018). A parte i casi di fratture determinate dalla presenza di spandimento intra-discale, ad oggi non è stata dimostrata alcuna correlazione causale tra l’esecuzione di un intervento di VP/CP e l’insorgenza di nuove FV. Un ulteriore elemento che va preso in considerazione è il fatto che, nei pazienti con OP, la presenza di una FV rappresenta di per sé un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di nuove fratture della colonna; questa relazione è stata messa in evidenza dal già citato studio di Lindsay et al.7 che – in maniera retrospettiva – ha valutato il follow-up di un campione di 381 pazienti con OP che avevano sviluppato delle FV da fragilità. Dopo un periodo di un anno, gli Autori hanno riscontrato un’incidenza di nuove fratture del 19,2% (IC 95%: 13,6 – 24,8), con un RR che, rispetto ad un gruppo di pazienti con OP ma senza precedenti fratture a livello della colonna, era di 9,3 (IC 95%: 1,2 – 76,6; p=0,03). In definitiva, anche ammettendo che la VP sia responsabile di un aumento dell’incidenza di nuove FV, bisogna tener presente che buona parte del rischio di rifrattura è correlato alla patologia osteoporotica.

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Per capire se effettivamente l’esecuzione di queste procedure rappresentino dei fattori indipendenti di rischio, sarebbe necessario confrontare l’incidenza di nuove FV nei pazienti sottoposti a VP con quelli trattati con la sola terapia medica, osservando un risultato significativamente maggiore nel primo gruppo. Purtroppo, in letteratura non esistono degli studi randomizzati e controllati disegnati appositamente per rispondere a questo quesito, mentre numerosi sono gli studi prospettici che hanno valutato l’incidenza di nuove FV tra i pazienti sottoposti a VP; i risultati – nella maggior parte dei casi – sono difficilmente generalizzabili, a causa della presenza di limiti procedurali, come il numero ristretto dei campioni, la disomogeneità tra le popolazioni prese in considerazione, la durata del follow-up e la mancanza di informazioni circa i parametri metabolici e di BMD dei pazienti sottoposti alla procedura mini-invasiva. Verranno ora passati in rassegna i principali studi osservazionali condotti su pazienti con FV trattati con VP e successivamente verranno descritti i dati riportati dagli studi randomizzati controllati che, confrontando l’efficacia di queste tecnica con il trattamento conservativo, hanno riportato i dati di incidenza delle nuove FV. Questi ultimi rappresentano un importante contributo nella risoluzione di tale problema, poiché, rispetto agli studi osservazionali, presentano un più alto grado di evidenza.

Il primo lavoro che ha valutato l’incidenza di nuove fratture in un’ampia coorte di pazienti trattati con VP è stato pubblicato nel 2003 da Uppin et al.75. Gli Autori hanno eseguito un’analisi retrospettiva su un campione di 177 pazienti con FV da OP primaria o secondaria alla somministrazione cronica da GC e trattati con VP. Durante un periodo di 24 mesi, i pazienti hanno sviluppato 36 nuove FV, il 67% delle quali erano localizzate a livello di un segmento vertebrale adiacente a quello trattato con la

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VP; la maggior parte di queste fratture (24/36) si sono verificate entro 30 giorni dall’esecuzione della procedura mini-invasiva, mentre l’insorgenza delle altre si è verificata in un periodo che va dai 31 giorni ai 10 mesi dopo il trattamento. Poiché l’incidenza di nuove fratture è stata del 12,4% – che è un valore inferiore a quello registrato da Lindsay et al.7 – gli Autori hanno concluso che le FV insorte successivamente alla VP fossero causate dalla sola malattia osteoporotica. Nel 2005 Do et al.76 hanno pubblicato un lavoro che aveva l’obiettivo di valutare in maniera prospettica gli effetti della VP sul dolore, il grado di mobilità, la qualità della vita e l’incidenza di nuove fratture su un campione di 167 pazienti con FV, non responsive al trattamento conservativo. Nel corso del follow-up, durato dai 6 ai 36 mesi, l’incidenza di nuove FV è stata del 17%, con il 62% di fratture adiacenti ai corpi vertebrali trattati. Nello stesso anno, un lavoro prospettico di Kobayashi et al.77, che ha preso in considerazione un campione di 205 pazienti con FV trattate con VP, ha presentato un’incidenza di nuove fratture del 15,6%, dopo un periodo medio di osservazione di 15,3 mesi. Un importante limite a questi studi consiste nella modalità con cui era condotto il follow-up, poiché venivano considerate solo quelle fratture associate ad un’evidente sintomatologia dolorosa. In questo senso, il lavoro pubblicato da Tanigawa et al.78 presenta un valore aggiunto, poiché gli Autori, prendendo in considerazione un campione di 76 pazienti trattati con VP, hanno impostato uno studio caratterizzato non solo dalla valutazione clinica dei pazienti, ma anche dall’esecuzione di regolari indagini radiologiche (eseguite a 1, 4, 10 e 22 mesi dopo la VP). Alla fine di un follow-up durato mediamente 11,5 mesi, è stata apprezzata un’incidenza di nuove FV del 36,8%, di cui il 67,8% era localizzato a livello delle vertebre adiacenti a quelle trattate con VP. Se si fa un confronto con

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l’incidenza riscontrata da Lindsay et al.7, i dati di questo lavoro sembrano supportare l’ipotesi secondo la quale il trattamento mini-invasivo determini un aumento del rischio di rifrattura. Risultati di segno opposto sono stati riscontrati da Diamond et al.79, i quali hanno eseguito uno studio prospettico non randomizzato che aveva come obiettivo quello di confrontare diversi outcome clinici in un gruppo di pazienti sottoposti a VP rispetto ad un altro gruppo trattato conservativamente. Dopo un periodo di follow-up della durata di 24 mesi, entrambi i gruppi di pazienti ha presentato un’incidenza di nuove FV del 24%; in particolare, 29 fratture sono state riscontrate in 21 degli 88 pazienti trattati con VP, mentre tra i 38 pazienti trattati con terapia medica, 9 hanno sviluppato un totale di 11 FV. È importante precisare che anche in questo caso la portata dei dati forniti soffre la limitazione metodologica di aver valutato solo le nuove fratture con evidente sintomatologia dolorosa. Tuttavia, lo stesso dato di incidenza è stato riportato da un lavoro prospettico di Voormolen et al.80, ma il cui follow-up era caratterizzato dall’esecuzione di regolari indagini di RM. Il campione preso in considerazione era di 66 pazienti affetti da FV refrattarie alla terapia conservativa. I pazienti sono stati valutati clinicamente e attraverso indagini di RM in condizioni basali e, successivamente, a 3, 6 e 12 mesi dal trattamento mini-invasivo. Ad un anno dalla VP l’incidenza di nuove FV è stato del 24%, di cui più della metà si sono verificate nei primi 3 mesi. Nel 2011 è stato pubblicato uno studio prospettico di Mazzantini et al.81 con l’obiettivo di valutare non solo l’incidenza di nuove FV in una popolazione di pazienti trattati con VP, ma anche di mettere in evidenza i fattori legati alla comparsa di nuove fratture – argomento che sarà trattato successivamente. Il campione preso in considerazione consisteva in un gruppo di 115 pazienti con FV da OP primaria o secondaria a

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trattamento cronico con GC e refrattari alla terapia conservativa, la cui diagnosi era confermata, alla RM, dalla presenza di edema della spongiosa. Dopo l’esecuzione della VP, i pazienti sono stati sottoposti a un follow-up caratterizzato da visite di controllo clinico dopo 1, 3, 6 mesi dopo l’intervento e, successivamente, ogni 6 mesi fino alla fine del periodo di osservazione, mentre, per valutare l’insorgenza di nuove FV, è stato effettuato un esame radiologico del rachide ogni 12 mesi e ogni qual volta l’insorgenza di una sintomatologia dolorosa fosse suggestiva di una nuova frattura. Dopo un periodo della durata media di 36 mesi, 32 pazienti hanno sviluppato un totale di 75 nuove FV, di cui il 68% era localizzato a livello di segmenti vertebrali adiacenti a quelli trattati precedentemente, mentre l’incidenza cumulativa è stata del 27,8%. Mediamente, l’intervallo di tempo intercorso tra l’esecuzione della VP e l’insorgenza di una nuova FV è stato di 12 ± 9 mesi (con un range tra 1 e 42 mesi) e, altro dato interessante, l’insorgenza di tutti i nuovi eventi fratturativi è stata accompagnata da una sintomatologia dolorosa che ha portato i pazienti a rivolgersi immediatamente ad un medico. Questo dato non sorprende, se si considera che la maggior parte delle fratture “asintomatiche” in realtà non sono altro che FV sintomatiche, la natura del cui dolore non è stata riconosciuta al tempo dell’insorgenza; nella maggior parte dei casi, un’attenta diagnosi differenziale permette di individuare quelle situazioni caratterizzate dall’insorgenza di nuovi eventi fratturativi.

Gli studi osservazionali appena descritti hanno confermato che, dopo l’esecuzione di una VP, i pazienti possono sviluppare delle nuove FV, la cui incidenza varia in base alle caratteristiche metodologiche dei diversi lavori. Tuttavia, poiché queste evidenze non sono in grado di confermare una relazione causale tra la VP e l’insorgenza di

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TABELLA VII - Studi osservazionali sull’incidenza di nuove FV dopo l’esecuzione

di VP/CP.

Autore, anno Pazienti con nuove FV/Totale Incidenza Durata follow-up (mesi)

Uppin, 2003 22/177 12% 24 Do, 2005 29/167 17% 6-36 Kobayashi, 2005 31/175 16% 15 Tanigawa, 2006 28/76 37% 12 Diamond, 2006 30/127 24% 24 Vormolen, 2006 16/66 24% 12 Mazzantini, 2010 32/115 28% 39

nuove FV, un contributo più incisivo è dato dagli studi randomizzati controllati che, contestualmente alla valutazione dell’efficacia delle procedure mini-invasive rispetto al trattamento conservativo, hanno riportato l’incidenza di nuove FV nei pazienti trattati con approcci terapeutici diversi; in questo caso, sono stati riportati dei risultati contrastanti. Il primo studio randomizzato controllato che si è concentrato sull’efficacia della VP è stato quello pubblicato nel 2007 da Voormolen et al.61, il quale ha preso in considerazione un campione di 34 pazienti con FV da OP, di cui 18 sono stati indirizzati alla VP, mentre 16 hanno ricevuto il solo trattamento conservativo. Questo lavoro ha presentato dei dati relativi ad un periodo di osservazione breve, dal momento che – dopo solo due settimane – il gruppo di controllo è stato privato di 14 pazienti che hanno chiesto di essere trattati con la VP, poiché presentavano ancora un’importante sintomatologia dolorosa. Alla fine di questo periodo di follow-up, 2 pazienti hanno mostrato l’insorgenza di 2 FV

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adiacenti ai segmenti trattati con la VP, mentre tra i pazienti trattati conservativamente non è stata riscontrata nessuna nuova frattura; tuttavia, a causa dell’esiguo campione preso in esame, questi risultati non sono stati considerati statisticamente significativi. Dati ricavati da un periodo di osservazione più lungo sono stati presentati da uno studio pubblicato nel 2009 da Rousing et al.62, i quali hanno preso in considerazione un campione di 49 pazienti, di cui 25 sottoposti alla VP e 24 trattati conservativamente; dopo un periodo di follow-up di 3 mesi, sono state riscontrate 3 nuove FV nel gruppo della VP e 1 nel gruppo di controllo, con dei valori di incidenza, rispettivamente, del 13% e del 4%, differenza statisticamente non significativa. Nel 2010, gli stessi Autori, prendendo in considerazione il campione dello studio precedente, hanno pubblicato un lavoro che presentava i dati relativi ad un follow-up di 12 mesi63, in cui l’incidenza di nuove FV era del 12% tra i pazienti trattati con la VP e del 16,7% nel gruppo di controllo, ma, anche in questo caso, non è stata riscontrata una differenza significativa tra i due bracci dello studio. Nel 2009 è stato pubblicato anche il controverso studio di Buchbinder et al.65 che, prendendo in considerazione un campione di 78 pazienti con FV da OP, aveva confrontato l’efficacia della VP rispetto ad una falsa operazione. Dopo 6 mesi di follow-up, oltre a non riscontrare alcuna differenza significativa nell’efficacia della VP – rispetto al trattamento con placebo – gli Autori hanno registrato anche una sovrapponibilità tra i dati di incidenza di nuove FV; in particolare, nel periodo di osservazione sono state riscontrate 7 fratture, 3 nel gruppo dei 38 pazienti sottoposti a VP e 4 tra i 40 pazienti del gruppo di controllo (p>0,05). Recentemente, è stato pubblicato un lavoro di Kroon et al.69 che, prendendo in considerazione il campione dello studio di Buchbinder et al.65, ha presentato i dati relativi ad un follow-up di 24 mesi. Alla fine

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del periodo di osservazione, gli Autori hanno riscontrato 14 nuove FV nel gruppo trattato con la VP, mentre nel gruppo sottoposto alla falsa operazione si sono verificate 13 fratture, anche in questo caso senza riscontrare nessuna differenza significativa tra i due bracci dello studio.

Come è stato riportato precedentemente, il lavoro di Buchbinder et al.65, insieme a quello di Kallmes et al.64 (che però non ha riportato i dati sull’incidenza di nuove FV), ha causato un grande dibattito circa la reale efficacia della VP; d’altra parte, i risultati di questi lavori hanno avuto l’effetto di stimolare la pubblicazione di nuovi studi randomizzati e controllati, grazie ai quali è stato possibile raccogliere maggiori evidenze, anche per quel che riguarda l’incidenza di nuove fratture. Tra questi studi, uno dei primi è stato quello di Klazen et al.66, che ha preso in considerazione un campione totale di 202 pazienti con FV da fragilità di cui 101 sono stati indirizzati alla VP, mentre gli altri pazienti sono stati sottoposti alla sola terapia conservativa. Sebbene gli Autori abbiano mostrato che la VP è una procedura efficace nel trattamento delle FV dolorose refrattarie al trattamento conservativo, i risultati relativi all’incidenza di nuove FV non sono stati risolutivi; in particolare, dopo un periodo di follow-up di 11,4 mesi, i pazienti sottoposti a VP hanno mostrato un’incidenza di nuove fratture minore rispetto ai pazienti trattati conservativamente (16,5% vs 24,7%), ma questa differenza non è stata statisticamente significativa (p=0,44). Successivamente, Farrokhi et al.67 hanno pubblicato un altro studio randomizzato e controllato che aveva come obiettivo principale la valutazione dell’efficacia della VP nella riduzione del dolore e del grado di disabilità rispetto alla sola terapia medica. Su un campione di 82 pazienti, 40 sono stati indirizzati alla VP, mentre 42 sono stati trattati in maniera conservativa. Gli outcome primari, valutati

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prima della randomizzazione e poi durante il follow-up di 36 mesi, erano la variazione del dolore localizzato al rachide e della qualità della vita. Gli Autori hanno valutato anche la presenza di nuove fratture dopo due anni dalla randomizzazione: sorprendentemente è stata osservata un’incidenza di nuove FV significativamente minore nel gruppo trattato con VP rispetto a quello trattato conservativamente e, in particolare, l’incidenza è stata del 2,6% tra i pazienti trattati con VP e del 15,4% tra quelli del gruppo di controllo (p<0,01). Questo dato è stato giustificato dal fatto che la VP è stata eseguita esclusivamente con un’iniezione uni- peduncolare, utilizzando volumi di cemento minori rispetto a quelli utilizzati nelle procedure di altri studi (volume medio per il trattamento di una singola vertebra: 3,5ml). Risultati opposti rispetto a quelli finora descritti sono stati forniti nel 2012 dal lavoro di Blasco et al.68, i quali hanno preso in considerazione un campione di 125 pazienti con FV da OP e assegnati in maniera randomizzata alla VP (64 pazienti) o al solo trattamento conservativo (61 pazienti). Dopo un periodo di osservazione della durata di 12 mesi, gli Autori hanno riscontrato un’incidenza di nuove FV che è stata del 27,9% tra i pazienti sottoposti alla VP, e del 13,1% nel gruppo di controllo, con un rischio di rifrattura che – contrariamente agli altri studi – è risultato significativamente maggiore nel gruppo indirizzato alla manovra mini-invasiva (OR 2,78; IC 95%: 1,02 – 7,62; p=0,0462). Il fatto che l’82% delle fratture si siano sviluppate a livello di corpi vertebrali adiacenti a quelli trattati con la VP – contro un valore del 27% del gruppo di controllo (p=0,01) – sarebbe suggestivo di un ruolo di questa procedura nell’aumento del rischio di sviluppare nuove FV. A parte il fattore biomeccanico, un ulteriore spiegazione alla maggiore incidenza di nuove fratture tra i pazienti trattati con la VP, può essere data dal precoce miglioramento del grado di

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mobilità mostrato dai pazienti sottoposti all’intervento: poiché non sentono più dolore, questi pazienti hanno una maggiore tendenza ad esercitare dei carichi a livello della colonna, andando incontro ad un rischio di rifrattura superiore rispetto ai pazienti sottoposti alla sola terapia medica. I dati messi in evidenza dal lavoro di Blasco et al.68 rappresentano il solo caso in cui uno studio randomizzato e controllato abbia mostrato un’incidenza di nuovi eventi fratturativi significativamente maggiore rispetto all’approccio conservativo. Tuttavia, gli stessi Autori hanno messo in evidenza che una possibile spiegazione a questi risultati possa essere dovuta al fatto che, rispetto agli altri studi, il campione di pazienti sottoposti a VP presentasse un numero di vertebre fratturate maggiore; in particolare, mentre i numero medio di vertebre trattate in questo studio è stato di 2,46 per paziente, col 61% sottoposto al trattamento di più di 2 vertebre, nei lavori precedenti65, 66 il numero medio di FV trattate con VP è stato di 1,3, con più dell’82% dei pazienti sottoposto alla VP di una sola vertebra; ciò è importante se si considera che, come è stato trattato precedentemente, esiste una relazione diretta tra il numero di FV e il RR di sviluppare dei nuovi eventi fratturativi della colonna8.

Per quanto riguarda la valutazione dell’incidenza di nuove FV dopo l’esecuzione di una procedura di CP, gli studi randomizzati e controllati sono scarsi. Nel 2009 il lavoro di Wardlaw et al.70 ha preso in considerazione un campione di 300 pazienti

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