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Incidenza di nuove fratture vertebrali dopo procedura di vertebroplastica

in pazienti con osteoporosi indotta da glucocorticoidi: studio di coorte,

prospettico, controllato.

4.1 Introduzione

La vertebroplastica (VP) è una procedura atta a ridurre il dolore causato da una FV tramite l’iniezione di un cemento nel corpo vertebrale al fine di stabilizzarlo. Come ampiamente illustrato nel capitolo 3 di questa tesi, esistono ancora incertezze circa la sicurezza della VP nel lungo termine in paragone al trattamento conservativo (ovvero l’adozione di mezzi non chirurgici di trattamento, quali riposo, terapia antalgica e ortesi). In particolare, è controverso il possibile incremento di nuove FV, specialmente nelle vertebre vicine a quella trattata. Questo può ragionevolmente essere dovuto ad un effetto di convergenza di stress meccanico operata dal metilmetacrilato (PMMA), che ha una struttura più compatta e rigida del normale osso spugnoso che costituisce l’interno di un corpo vertebrale. Tale problema riveste particolare importanza in pazienti osteoporotici in terapia cronica con glucocorticoidi (GC), farmaci che rappresentano un forte fattore di rischio per l’insorgenza di fratture da fragilità, specialmente a livello vertebrale. Pertanto, è legittimo chiedersi se l’esecuzione di una VP in pazienti con OP da GC – e conseguenti FV da fragilità – non determini un eccessivo rischio di nuove FV rispetto ai vantaggi che tale procedura può offrire nel breve termine. Scopo del presente studio è quindi di valutare comparativamente l’incidenza di nuove FV in due gruppi di pazienti, tutti trattati con VP: un gruppo in terapia cronica con GC e l’altro no.

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4.2 Pazienti e metodi

Si tratta di uno studio di coorte prospettico della durata di due anni, eseguito presso l’U.O. di Reumatologia dell’ospedale Santa Chiara di Pisa. Il parametro primario valutato è rappresentato dall’incidenza di nuove FV (sia cliniche che radiologiche) osservate al termine di due anni di follow-up in due diversi gruppi di pazienti: un gruppo di pazienti trattati con VP ed in terapia cronica con GC (n=70) ed un secondo gruppo di pazienti sempre sottoposti a VP, ma mai trattati con GC (n=71).

Selezione e valutazione dei pazienti

I pazienti avviati alla procedura di VP sono rappresentati da soggetti con FV da fragilità e dolore resistente alla terapia convenzionale. Per fratture da fragilità, o da OP, è stata intesa una frattura avvenuta per trauma lieve o comunque non superiore a quello rappresentato dalla caduta a terra dalla posizione eretta, in associazione al riscontro di una densità minerale ossea (Bone Mineral Density - BMD), valutata tramite densitometria a raggi X a doppia energia, corrispondente ad un T-score < -1, ovvero indicante una condizione di almeno osteopenia a livello vertebrale o femorale. Per dolore resistente alla terapia convenzionale abbiamo inteso la persistenza di un dolore a riposo > 50 mm su una scala di 100 mm visuoanalogica (VAS), a dispetto di una terapia medica massimale o in caso di effetti avversi della terapia medica stessa. La gestione della sintomatologia dolorosa è consistita in un piano individualizzato di 4 settimane di durata, di intensità crescente, dal paracetamolo (3g al giorno), al paracetamolo + codeina (325mg + 20mg rispettivamente, 3 volte al giorno), ognuno dei due precedenti + un antinfiammatorio

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non steroideo o, infine, oppioidi maggiori alla dose più alta tollerata. Questa procedura risulta in accordo con le linee guida più recentemente pubblicate55, 91, 92. In tutti i pazienti è stata eseguita un’accurata valutazione anamnestica e clinica, ed ogni forma secondaria di OP è stata esclusa, ad eccezione dell’OP da GC. Inoltre, un’indagine biochimica basale ha permesso di escludere anormalità nel metabolismo del calcio. Questa valutazione ha compreso: calcio, fosforo, fosfatasi alcalina totale, escrezione urinaria di calcio nelle 24 ore, PTH e livelli plasmatici della 25-idrossi- vitamina D. I pazienti con livelli di 25-idrossi-vitamina D < 20 ng/ml sono stati inclusi nello studio solo in quei casi in cui non sono state riscontrate altre anomalie biochimiche o anamnestiche suggestive di osteomalacia. Inoltre, prima dell’esecuzione della procedura di VP, questi pazienti hanno ricevuto una supplementazione di vitamina D, caratterizzata da una dose iniziale di 300.000 UI, seguita dalla somministrazione di 800 UI al giorno per tutta la durata dello studio, mentre l’introito complessivo del calcio è stato regolarmente controllato e corretto, in modo da mantenere un valore di 1,2g al giorno. L’esecuzione di una precedente procedura di VP o CP è stata considerata come un criterio di esclusione.

In aggiunta ai dati appena menzionati, sono state raccolte le seguenti informazioni: età, indice di massa corporea, abitudine al fumo, precedente diagnosi di OP, presenza di altre fratture da fragilità, precedente trattamento per OP, data della FV, durata della sintomatologia dolorosa correlata alla frattura, numero e sede delle altre FV, dose quotidiana e cumulativa di GC. I pazienti sottoposti alla procedura di VP sono stati ricoverati presso la nostra U.O. di Reumatologia e, nel caso di assenza di eventi avversi, dimessi il giorno dopo l’intervento. I pazienti sono stati informati sul rapporto rischio/beneficio della procedura di VP, della possibile aumento del rischio

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di rifrattura, e della necessità di intraprendere uno stretto programma di follow-up. Ogni paziente ha firmato il consenso informato all’esecuzione della procedura di VP, precedentemente approvato dal comitato etico locale.

Il gruppo di pazienti con OP da GC (n=70) era rappresentato da: 19 pazienti con artrite reumatoide, 18 con polimialgia reumatica, 13 con lupus eritematoso sistemico o altre connettiviti, 10 con arterite di Horton o altre vasculiti, 7 con broncopneumopatia cronica ostruttiva, 3 con miastenia gravis. Questi pazienti, tutti in terapia cronica con 6-metilprednisolone al momento della VP, e che hanno proseguito per i due anni di follow-up tale terapia, risultavano aver assunto una dose cumulativa media di 6,4 ± 9g con una dose attuale media giornaliera basale di 7,3 ± 3,1mg ed una dose finale di 5,5 ± 1,4mg.

Fratture prevalenti

Un punto fondamentale nella selezione dei pazienti da indirizzare alla VP è stata la correlazione tra i dati clinici con le evidenze registrate con le tecniche di imaging. Prima di eseguire la procedura, i pazienti sono stati sottoposti a un esame radiologico della colonna dorso-lombare ottenuto in proiezione antero-posteriore e laterale, con lo scopo di identificare il numero e la sede delle FV prevalenti. Una FV prevalente è stata definita come una riduzione di almeno il 20% nell’altezza del corpo vertebrale, in accordo con il metodo di Genant18. L’anamnesi del paziente o precedenti esami radiologici sono stati utilizzati per discriminare le fratture croniche da quelle acute e per stabilire la data della frattura. Inoltre, tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un esame di risonanza magnetica (RM) della colonna dorso-lombare, con lo scopo di mettere in evidenza la presenza di edema del midollo osseo, il quale si presenta con

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un aumento dell’intensità del segnale nelle acquisizioni pesate in T2 e STIR e una riduzione dell’intensità del segnale nelle immagini acquisite in sequenze pesate in T1; l’evidenza di edema della spongiosa ossea è suggestiva della presenza di una FV acuta, subacuta o non ancora guarita. Quando non è stato possibile eseguire una RM, a causa di rifiuto o controindicazioni, abbiamo eseguito una scintigrafia con lo scopo di riscontrare un aumento dell’up-take del tracciante a livello della frattura, cosa che è riportata predire una positiva risposta clinica a seguito di una VP93. Quindi, per essere candidabili alla VP, i pazienti dovevano presentare: dolore spontaneo a livello della FV (precedentemente identificata con un esame radiologico), corrispondente dolorabilità alla digitopressione dello stesso livello della colonna, e anche presenza di edema della spongiosa nelle immagini di RM o aumentato up-take del tracciante alla scintigrafia. Infine, prima di effettuare una procedura di VP, è stata eseguita una tomografia computerizzata limitata al segmento della colonna da trattare, con lo scopo di valutare l’integrità della parete del corpo vertebrale.

Tecnica della vertebroplastica

Tutte le procedure di VP sono state eseguite dallo stesso operatore, presso l’U.O. di Neuroradiologia dell’ospedale di Cisanello di Pisa. Gli interventi sono stati condotti in anestesia locale e sotto controllo fluoroscopico. Alcuni pazienti hanno ricevuto una premedicazione con morfina (1mg), mentre in nessun caso è stato necessario ricorrere all’uso di sedativi. Tutti i pazienti sono stati monitorati in maniera completa. Prima di iniziare l’intervento, è stata valutata la reazione dolorosa alla compressione dei processi spinosi, sotto guida fluoroscopica, in modo da verificare la corrispondenza tra i dati radiologici e quelli clinici. Abbiamo preferito l’uso di aghi

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del diametro di 13G o 15G, poiché l’uso di aghi sottili è meno traumatico, richiede una dose inferiore di anestetico, non necessita di incisione cutanea e permette un più facile accesso ad un peduncolo sottile e ad una vertebra plana. Attraverso un accesso monolaterale (trans-peduncolare per le vertebre lombari e para-peduncolare per quelle toraciche), l’ago è stato portato al centro della vertebra in modo da permettere il riempimento del corpo vertebrale dalla sua superficie superiore a quella inferiore, iniettando un volume medio di cemento di 1,5-2cm3 nelle vertebre toraciche e 2- 3cm3 in quelle lombari.

Follow-up

Come è di prassi nei soggetti sottoposti a VP, ai pazienti dei due gruppi è stato chiesto di tornare a visite di controllo dopo 1, 3, 6 mesi dall’esecuzione della procedura e, successivamente, ogni 6 mesi fino a compimento del periodo di osservazione. Per valutare l’insorgenza di FV incidenti, sono stati eseguiti degli esami radiologici della colonna dorso-lombare ogni 12 mesi, o quando i pazienti avessero lamentato un dolore al rachide suggestivo di una nuova FV. Per questo scopo, abbiamo invitato i pazienti a rendere noto, per via telefonica, qualsiasi sintomo doloroso riferito al rachide. Una FV incidente è definita come la nuova frattura di una vertebra sana o come un aumento del grado di deformità (secondo classificazione di Genant) di una vertebra precedentemente fratturata. Sono state prese in considerazione solo le fratture da fragilità. I pazienti sono stati istruiti a tenere un diario su cui registrare ogni eventuale caduta. Al momento della dimissione dall’ospedale, ai pazienti sono stati prescritti dei bisfosfonati orali da assumere settimanalmente (70mg di alendronato o 35mg di risedronato). La scelta di questi due

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farmaci è dovuta alla comparabile efficacia nel ridurre l’insorgenza di fratture in pazienti osteoporotici e alla necessità di somministrare una terapia omogenea nella coorte di pazienti, per evitare una variabilità correlata al tipo di trattamento, soprattutto per quanto riguarda il principale outcome. Durante ciascuna visita, sono state valutate sia l’aderenza che la compliance alla terapia antifratturativa. I pazienti e – quando necessario – i loro parenti sono stati istruiti a mantenere un diario dove prendere nota delle dosi di bisfosfonato non assunte. Dopo l’esecuzione della VP, ai pazienti è stata data la possibilità di assumere un analgesico, se necessario, iniziando con paracetamolo e, in caso di una risposta insufficiente, calibrando la terapia antalgica sulle esigenze individuali. Ad ogni visita è stato registrato il dolore, attraverso la scala VAS. Il follow-up di un singolo paziente è stato interrotto nei seguenti casi: insorgenza di una nuova FV, sospensione dell’alendronato o del risedronato (il passaggio da uno di questi farmaci all’altro era consentito), o la mancata presenza a visita per due volte consecutive.

Analisi Statistica

I dati sono stati espressi come medie ± la deviazione standard. L’end-point primario è stato l’incidenza cumulativa di nuove FV da fragilità. Nel comparare le variabili tra i due gruppi abbiamo usato il t-test per comparare le medie calcolate, mentre le proporzioni sono state comparate tramite il test χ2

. È stata infine eseguita un’analisi della regressione logistica per identificare i fattori associati a rischio di nuove FV.

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4.3 Risultati

I due gruppi sottoposti a VP (gruppo A, OP da GC, n=70; gruppo B, OP primitiva, n=71) sono risultati comparabili per tutti i parametri studiati sia generali che antropometrici che clinici, come indicato nella Tabella I. In particolare sono risultati comparabili per età (gruppo A, 70 ± 9; gruppo B, 72 ±8), valori di T-score femorale, numero di precedenti FV, numero di vertebre trattate con VP (gruppo A, 2,4 ± 1,5; gruppo B, 2,2 ± 1,5) e dolore alla valutazione basale. Unica differenza significativa tra questi due gruppi è risultata essere la proporzione di pazienti che avevano in atto o che avevano in passato assunto terapia per l’OP: gruppo A, 41%; gruppo B, 24%, p=0,03. Questo dato è spiegabile dal fatto che un maggior numero di soggetti in terapia con GC erano stati sottoposti ad una prevenzione farmacologica, come suggerito dalle linee guida oggi disponibili.

Per quello che riguarda il parametro primario valutato in questo studio, ovvero l’incidenza cumulativa di nuove FV dopo 24 mesi di follow-up, abbiamo evidenziato una significativa differenza tra i due gruppi. Infatti, mentre il gruppo B mostrava un’incidenza cumulativa di nuove FV del 22,5%, il gruppo A mostrava un valore pari al 44,3%, con un RR di 1,96 (IC 95%: 1,19 – 3,26; p=0,0087). Questi dati finali hanno confermato il trend osservabile a 12 mesi di follow-up, in cui il gruppo B mostrava una incidenza di nuove fratture del 17,2%, e il gruppo A una incidenza del 32,3% (p=0,002). Questi risultati sono indicati nella Figura 1. Tutte le FV rilevate sono state clinicamente evidenti. In entrambi i gruppi, circa i tre quarti delle fratture si sono verificate nel corso del primo anno di follow-up; inoltre, non è stata rilevata alcuna significativa differenza all’analisi della distribuzione temporale delle fratture.

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In entrambi i gruppi, e senza differenze significative tra i due, circa il 60% delle nuove fratture si verificava in contiguità ad una vertebra trattata.

Per quanto riguarda la risposta clinica in termini di riduzione della sintomatologia dolorosa, in entrambi i gruppi, e senza differenze significative tra i due, si è assistita ad una riduzione della sintomatologia dolorosa vertebrale (dati non mostrati).

Il gruppo A è stato il gruppo che ha mostrato un maggiore numero di cadute (43 cadute per 100 pazienti/anno contro 32 per 100 pazienti/anno, p<0,05), ma non è stata rilevata alcuna differenza tra i due gruppi nel numero di cadute che hanno causato una FV. Infatti, soltanto 4 cadute nel gruppo A e 6 cadute nel gruppo B hanno avuto come esito una nuova FV (p=NS).

Il modello di regressione logistica ha mostrato che il rischio di nuove FV era associato a uso di GC (OR 4,53; IC 95%: 1,5 – 13,69; p=0,0073) e bassi valori di T- score misurati al collo femorale (OR 3,57; IC 95%: 1,82 – 7,02; p=0,002).

Per quanto riguarda gli eventi avversi, 5 pazienti hanno avuto stravaso di PMMA nel plesso venoso paravertebrale, 6 pazienti stravaso nel disco intervertebrale e 2 pazienti hanno presentato, il giorno successivo, ematoma paravertebrale nella zona di ingresso dell’ago.

4.4 Discussione

I risultati di questo studio indicano che la terapia cronica con GC determina un incremento, pari a circa 2 volte, del numero di FV in pazienti trattati con VP. Di conseguenza, la terapia con GC deve essere tenuta in considerazione come fattore di rischio aggiuntivo di nuove FV, oltre ai fattori di rischio già noti, quali la marcata riduzione della BMD e la deficienza di vitamina D81, 83, 84, 87. Prima di una decisione

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finale riguardo la procedura di VP in pazienti in terapia con GC, sarà quindi opportuno considerare questo dato nella valutazione del rapporto costo/beneficio. Come già illustrato nel dettaglio nel capitolo 1 della presente tesi, numerosi studi in letteratura hanno messo in evidenza un aumentata incidenza di FV da fragilità nei pazienti in terapia cronica con GC rispetto ai pazienti non sottoposti a questo trattamento farmacologico; uno studio retrospettivo25 condotto su una larga coorte di pazienti sottoposti a terapia con GC ha riportato che, rispetto ad una popolazione con OP post-menopausale, i GC determinano un RR di sviluppare una frattura in qualsiasi distretto scheletrico di 1,33, che si porta a 2,60 se si considerano le sole FV. Esiste una relazione diretta tra la dose di GC assunta quotidianamente e il rischio di sviluppare una frattura, anche se bisogna precisare che la somministrazione cronica di GC determina un significativo aumento del rischio fratturativo anche per dosi considerate generalmente – ed in maniera erronea – sicure per lo scheletro. Questa differenza è dovuta al fatto che i GC determinano un’alterazione del tessuto osseo che non è solo quantitativa, ma anche qualitativa, compromettendo precocemente le proprietà biomeccaniche dei vari segmenti scheletrici. Quindi, l’insorgenza di nuove FV in pazienti con OP da GC e trattati con VP rimane una questione che merita un approfondimento, poiché questi pazienti presentano un rischio aumentato di sviluppare delle FV incidenti, già prima dell’esecuzione dell’intervento. Per quanto riguarda questo problema, la letteratura è scarsa e rappresentata da studi retrospettivi, ma concorde nel suggerire un aumento del numero di FV dopo VP rispetto ad un gruppo di controllo. Un lavoro di Syed et al.89 ha preso in considerazione un campione di 387 pazienti con FV da OP, di cui 37 erano affetti da OP da GC, e valutato l’insorgenza di FV incidenti un anno dopo l’esecuzione della

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VP. L’incidenza di nuove FV è stata significativamente superiore nel gruppo di pazienti sottoposto alla terapia con GC e, in particolare, il dato è stato del 37,8%, contro un’incidenza del 20,6% nel gruppo di pazienti con OP post-menopausale, con un RR di 1,84 (p=0,0163). Hiwatashi et al.90, presentando i dati di un campione di 55 pazienti con FV da OP trattate con VP, di cui 16 in trattamento cronico con GC, hanno riscontrato un’incidenza di rifrattura del 69% nel gruppo con OP secondaria, significativamente maggiore a quella riportata dal gruppo di pazienti con OP post- menopausale (23%; p<0,01). I dati di incidenza appena descritti sono il risultato di studi eseguiti con disegno retrospettivo; al contrario, i risultati riportati dal presente lavoro si riferiscono a uno studio prospettico della durata di due anni e controllato. Questo lavoro ha messo in evidenza che in un gruppo di pazienti con FV da OP da GC trattati con VP, l’incidenza di rifrattura è stata del 44,3% contro un valore di incidenza del 22,5% registrato nel gruppo di pazienti con OP post-menopausale, dati che confermano le evidenze raccolte nei precedenti studi. Inoltre, l’analisi statistica ha mostrato che, tra i pazienti sottoposti a una procedura con VP, i due fattori che determinano un significativo aumento del rischio di sviluppare dei nuovi eventi fratturativi sono il trattamento con GC e la bassa BMD. Questi dati portano a delle importanti implicazioni di carattere pratico. Nella gestione dei pazienti con FV refrattarie al trattamento conservativo, la VP rappresenta una procedura con un provato profilo di efficacia nel ridurre la sintomatologia dolorosa, tuttavia non è esente da effetti collaterali, che nel lungo periodo sono rappresentati soprattutto dall’insorgenza di FV incidenti. I pazienti affetti da FV da fragilità hanno un rischio di rifrattura che è indipendente dall’esecuzione della VP e che è legato alla patologia osteoporotica. Tuttavia, bisogna considerare che il trattamento cronico con farmaci

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GC determina un ulteriore incremento del rischio di sviluppare nuove FV. Poiché il compito del medico è quello di migliorare la qualità della vita del paziente, riducendo il dolore, ma allo stesso tempo di minimizzare l’incidenza di nuove FV, il messaggio clinico più importante che questo lavoro vuole riportare è l’attenzione nella selezione dei pazienti da indirizzare verso la procedura di VP. In particolare, questa selezione deve tenere conto della reale necessità dei pazienti in terapia con GC nell’eseguire questa procedura rispetto a un’ottimizzazione del trattamento conservativo, in attesa dell’eventuale stabilizzazione della frattura.

Per ridurre la variabilità dei risultati, tutti i pazienti sono stati sottoposti al trattamento anti-osteoporotico di tipo antiriassorbitivo, costituito da bisfosfonati. L’incidenza cumulativa a due anni sarebbe probabilmente risultata inferiore in caso di impiego di farmaci con maggiore efficacia antifratturativa vertebrale, quali denosumab, quale antiriassorbitivo o teriparatide, quale anabolico. A tal fine, sono necessari nuovi studi.

Infine, bisogna puntualizzare che tutti i pazienti reclutati nel nostro studio hanno eseguito un intervento di VP e nessuno di CP, scelta legata al mantenere più omogeneo possibile il campione di pazienti preso in considerazione (fermo restando che nella pratica clinica l’applicabilità della CP rispetto alla VP è decisamente più bassa). Il solo lavoro che ha valutato l’incidenza di nuove FV dopo CP è quello del 2004 di Harrop et al., che ha riportato i risultati di uno studio di 11 mesi di follow-up medio indicanti che, su un campione di 115 pazienti con FV da fragilità, l’incidenza di rifrattura è stata significativamente maggiore nel gruppo di pazienti sottoposti al trattamento con GC (48,6% vs 11,25%; p<0,0001). Non sembra, pertanto, che la CP

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