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CAPITOLO 2: TRATTAMENTO DELLE FRATTURE VERTEBRALI

2.2 VERTEBROPLASTICA E CIFOPLASTICA

La VP e la CP sono delle procedure chirurgiche mini-invasive che si attuano per via percutanea con l’obiettivo di stabilizzare una FV e ridurne la sintomatologia

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dolorosa. La VP consiste nell’iniezione di un tipo di cemento all’interno di uno o più corpi vertebrali fratturati e dolenti, mentre la CP, che rappresenta un’evoluzione della tecnica di VP, è caratterizzata dall’introduzione preliminare nel corpo vertebrale di un palloncino, che opportunamente riempito, crea una cavità; il palloncino è quindi svuotato e rimosso, e la cavità così creata è riempita di cemento. La VP è stata eseguita per la prima volta nel 1984 da Galibert et al.53 nel trattamento di una angioma vertebrale. L’uso di questa tecnica è stato esteso al trattamento delle metastasi vertebrali sintomatiche e, successivamente, alle FV traumatiche dolorose. Intorno al 1990, tra le indicazioni di questa tecnica è stato inserito anche il trattamento delle FV da OP, e da allora, il numero di interventi di stabilizzazione percutanea è andato incontro a un forte incremento. Infatti, tra il 2001 e il 2005, il numero di VP eseguite negli Stati Uniti è più che raddoppiato, passando dai 14.000 interventi agli oltre 30.00054.

Come verrà estesamente trattato più avanti, l’efficacia di questi interventi è oggetto di un importante dibattito, e proprio per questo motivo, è importante definire in maniera precisa le indicazioni al trattamento. Le più recenti linee guida55 individuano 3 importanti indicazioni:

• Pazienti che presentano dolore da FV da OP primaria o secondaria refrattario al trattamento conservativo, oppure che riescono a ottenere un adeguato controllo della sintomatologia dolorosa, ma con dosi di analgesici maggiori che causano effetti collaterali non tollerabili (ad esempio, sedazione eccessiva, confusione o costipazione);

• Pazienti che presentano dolore da FV dovute a osteolisi causata dall’infiltrazione vertebrale da parte di tumori benigni o maligni;

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• Pazienti con dolore da FV associate a osteonecrosi (condizione definita malattia di Kummel).

Nel caso delle FV da OP, un problema centrale è individuare il tempo oltre il quale è possibile definire fallimentare un trattamento di tipo conservativo e sarebbe quindi opportuno passare ad altre opzioni terapeutiche. Ciò è importante perché l’esecuzione precoce di una VP, per esempio dopo meno di 2 settimane dallo sviluppo della FV, può portare a trattare con una tecnica chirurgica – sebbene mini- invasiva – una vertebra che avrebbe cessato di dolere con la sola terapia medica, mentre un intervento tardivo, dopo 2 o 3 mesi, può diminuire l’efficacia della procedura percutanea. Recentemente è stata pubblicata una meta-analisi di Papanastassiou et al.56 che ha revisionato 27 tra i più importanti studi prospettici comparativi e trials randomizzati controllati che hanno valutato l’efficacia della VP e CP sulla gestione del dolore rispetto al trattamento conservativo; da questo lavoro è emerso che, tra gli studi che hanno riportato un effetto positivo sul dolore da parte della VP, il periodo medio che intercorreva tra lo sviluppo della FV e la VP era di 7 settimane, mentre tra i 4 studi che non hanno dimostrato un vantaggio significativo della VP rispetto al trattamento conservativo, “l’età della FV” era mediamente superiore alle 7 settimane. In base a questi dati, gli autori hanno suggerito un algoritmo terapeutico secondo il quale, in seguito allo sviluppo di una FV da OP sintomatica è sempre opportuno iniziare un trattamento medico conservativo (secondo la definizione che ne abbiamo offerto); se entro 7 settimane non si registra una riduzione della sintomatologia dolorosa, o la terapia non è tollerata dal paziente, si può passare all’esecuzione della VP o della CP.

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Tabella III - Proposta per la gestione clinica del trattamento delle FV sintomatiche.

Per quel che riguarda le controindicazioni all’intervento, è importante porre l’accento sul fatto che i pazienti con FV asintomatiche o scarsamente sintomatiche, così come i pazienti il cui dolore si riduce significativamente sotto terapia medica conservativa, in assenza di eventi avversi, non devono essere in alcun modo candidati alla VP o alla CP. Tra le altre controindicazioni assolute, bisogna considerare i disordini della coagulazione, la presenza di infezioni locali o sistemiche e l’allergia al cemento. La retropulsione di un frammento osseo nel canale vertebrale o l’invasione del canale stesso da parte di una massa tumorale rappresentano delle controindicazioni relative, e quindi è necessaria un’accurata valutazione preoperatoria prima di porre l’indicazione all’intervento55.

La fase pre-operativa è caratterizzata dalla valutazione della storia clinica del paziente, con particolare attenzione allo studio della sintomatologia dolorosa e della capacità di svolgere le normali attività quotidiane. È fondamentale correlare i dati clinici alla documentazione radiologica, e in particolar modo alla RM, esame

Giorno 1 – 28

1. Confermare la FV via Rx AP/LL del rachide dorsale e lombare;

2. Terapia antalgica: analgesici ± FANS ± oppioidi minori ± oppioidi maggiori; 3. Riposo a letto e busto di scarico: valutare caso per caso;

4. Integrazione alimentare/farmacologica di Calcio e supplementazione con vitamina D;

5. Eseguire una valutazione completa per OP (DEXA non necessaria) e rischio di frattura, compresi esami di laboratorio di I livello;

6. Iniziare un trattamento anti-riassorbitivo o anabolico; 7. Rivalutare il decorso clinico;

Giorno 21 – 42

1. In caso di persistenza di dolore significativo (VAS>4), eseguire RM; 2. Valutare la possibilità di VP/CP;

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TABELLA IV - Controindicazioni assolute e relative alla VP/CP. Controindicazioni Assolute

Dolore da FV responsivo alla trattamento conservativo Setticemia

Osteomielite a livello della vertebra da trattare Disordini della coagulazione

Ipersensibilità verso il cemento o il Solfato di Bario

Controindicazioni Relative

Retropulsione di un frammento osseo nel canale vertebrale Invasione del canale vertebrale da parte di masse neoplastiche Dolore determinato da sindromi compressive non correlate alla FV Profilassi in pazienti con OP

strumentale indispensabile nella selezione dei pazienti da avviare alla VP o CP, perché è l’unica metodica che permette di mostrare alterazioni di segnale dell’osso spugnoso del corpo vertebrale compatibili con frattura recente o ancora instabile. Il paziente è sottoposto ad una visita anestesiologica che ha l’obiettivo di valutare la presenza di controindicazioni generali all’intervento chirurgico, come alterazioni della coagulazione, allergie a farmaci e altre comorbidità. Una particolare attenzione va posta alla funzionalità respiratoria, che può essere compromessa dalla posizione prona, che è obbligatoria per il trattamento di VP e CP. Una volta ottenuta la firma del consenso informato si passa alla fase operativa vera e propria in cui il paziente viene posizionato in decubito prono e monitorizzato costantemente per i parametri vitali (pressione arteriosa, ECG, saturazione di O2). L’intervento viene eseguito in anestesia locale, anche se è possibile indurre una blanda sedazione con fentanyl e midazolam. In base alle condizioni cliniche del paziente, può essere opportuna la somministrazione di ossigeno. L’intervento viene eseguito sotto guida fluoroscopica, che permette di acquisire delle immagini della colonna in proiezione antero-

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posteriore e laterale. Per il trattamento delle FV delle vertebre cervicali e dorsali alte, che rappresentano una minoranza, è indicato in maniera cautelativa l’utilizzo combinato della guida TC e fluoroscopica; questo perché la guida TC permette di riconoscere meglio i peduncoli vertebrali ed è più facile stabilire l’inclinazione dell’ago sul piano assiale. Una volta individuata la vertebra da avviare all’intervento, viene fatta una prima anestesia cutanea superficiale con bupivacaina, seguita da un’iniezione più profonda che coinvolge anche il periostio. Viene eseguita una piccola incisione della cute e inserito un ago mandrinato del diametro compreso tra gli 11 e i 13 Gauge, fino ad arrivare al centro del corpo vertebrale; il percorso dell’ago è trans-peduncolare per le vertebre lobari e dorsali inferiori, mentre per le dorsali superiori si preferisce un accesso para-peduncolare; l’iniezione può essere monolaterale o bilaterale. A questo punto viene iniettato un volume di 2 – 6ml di cemento (in media 2 – 3 ml), che è addizionato di una necessaria quantità di un mezzo radiopaco, il solfato di bario, per consentire una perfetta visualizzazione alla guida radiografica; il tipo di cemento che viene impiegato solitamente è il polimetilmetacrilato (PMMA), anche se è possibile utilizzare altri tipi di materiali, come il calcio-fosfato e il calcio-solfato. Dopo circa 10 minuti, il PMMA polimerizza e passa allo stato solido stabilizzando la frattura. Prima di iniettare il PMMA a volte viene eseguita una biopsia con ago tranciante del diametro di 15-18 Gauge introdotto coassialmente attraverso l’ago da VP e questo perché, nonostante le approfondite indagini preoperatorie, non sempre è possibile fare con certezza una diagnosi di natura della FV. L’intervento ha una durata che va dai 30-40 minuti fino a due ore, a seconda del numero di vertebre da trattare. Al termine della procedura

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Figura 5 – Fratture multiple localizzate nella regione dorso-lombare (da D11 a L5),

immagine di tomografia computerizza (a). Tutte le FV sono state trattate nella stessa sessione con un approccio monolaterale sotto guida fluoroscopica (b), e ogni corpo vertebrale è stato opportunamente riempito con PMMA (c).

viene effettuato un controllo TC, per valutare la diffusione del cemento e la presenza di eventuali complicanze, e una radiografia del torace per evidenziare eventuali tracce di cemento embolizzato. Al paziente – secondo l’esperienza mostrata presso l’U.O. di Reumatologia – viene richiesto di mantenere il decubito supino per circa 12 ore e le dimissioni avvengono generalmente il giorno successivo, in via precauzionale. In tutti i pazienti, immediatamente dopo la procedura, viene attuata una profilassi antibiotica (solitamente 2g di ceftriaxone e.v. in unica somministrazione).

La CP, come già accennato, rappresenta un’evoluzione della VP57. Questa procedura è stata introdotta nei primi anni del 2000 e ha raggiunto subito un discreto successo, in particolare negli Stati Uniti, dove nel solo 2002 sono stati eseguiti 18.000 CP,

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raddoppiando il numero di interventi rispetto all’anno precedente. Rispetto alla VP, vengono utilizzati degli aghi di diametro maggiore. Una volta arrivati all’interno del corpo vertebrale, viene inserito un palloncino che verrà riempito di materiale liquido; la distensione del palloncino determinerà la formazione di una cavità nel contesto dell’osso spugnoso vertebrale la quale, una volta rimosso il palloncino, verrà riempita di PMMA. Nella maggior parte dei casi questo intervento viene condotto in sedazione profonda o in anestesia totale, con la conseguente necessità di almeno un pernottamento in ospedale. Queste caratteristiche, operative e strumentali, sono responsabili del maggiore costo della CP, che rispetto alla VP è superiore di circa 20 volte.

Pur essendo delle procedure minimamente invasive e con un alto profilo di sicurezza, sia la VP che la CP non sono esenti dallo sviluppo di complicanze, che possono essere precoci o tardive. Quest’ultime sono date dallo sviluppo di nuove fratture a livello di altri segmenti vertebrali, argomento che verrà ripreso nel prossimo capitolo. Le complicanze precoci sono correlate ad eventi avversi che si possono verificare durante l’esecuzione della procedura. La complicanza in assoluto più frequente è data dallo spandimento del cemento che viene iniettato all’interno dei corpi vertebrali e che può diffondere a livello delle strutture anatomiche in stretto rapporto con le vertebre, oppure a distanza. Lo stravaso può essere imputato a diverse cause come un’inadeguata polimerizzazione del PMMA, un errato posizionamento dell’ago all’interno del corpo vertebrale o l’uso di un eccessivo volume di cemento o l’applicazione di una eccessiva pressione di perfusione. La CP presenta un minor rischio di spandimento perché il cemento viene iniettato ad una pressione minore rispetto alla VP; ciò è dovuto al fatto che la dilatazione del palloncino con la

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formazione preventiva della cavità intravertebrale riduce la resistenza dell’osso spugnoso, che invece è ancora presente nella VP. Le strutture che possono accogliere lo spandimento di cemento sono lo spazio epidurale, i dischi e, più raramente, i forami intervertebrali, ma possono essere coinvolti anche i tessuti molli paravertebrali, in particolare quelli connettivo-muscolari e – soprattutto – i vasi del plesso venoso prevertebrale. Il coinvolgimento dello spazio epidurale all’interno del canale midollare è più frequente in quelle fratture caratterizzate da un’importante distruzione della parete posteriore del corpo vertebrale. Nel momento in cui lo stravaso di cemento determina una compressione sul midollo spinale, si manifestano dei disturbi neurologici sia motori che sensitivi, come ipostenia e parestesie, fino ad arrivare alla paralisi motoria. Un discorso analogo va fatto per il coinvolgimento dei forami intervertebrali, che può determinare la compressione dei nervi spinali, mentre lo spandimento all’interno dei dischi intervertebrali spesso è asintomatico, ma alla lunga può favorire la frattura delle vertebre adiacenti. Per fortuna, queste gravissime complicanze sono molto rare. Per quanto riguarda lo stravaso nei plessi venosi, sebbene questa sia un’evenienza frequente, è totalmente asintomatico, anche se, una volta entrato nel circolo venoso, il cemento si può portare alla circolazione cavale e conseguentemente ai polmoni, determinando degli episodi di embolia, che solo raramente determinano una sintomatologia clinica. La frequenza di embolizzazione asintomatica è molto più frequente. Nel 2010 Venmans et al.58 hanno valutato la frequenza di embolia polmonare in un gruppo di 54 pazienti che avevano subito nei 22 mesi precedenti un intervento di VP. I pazienti del campione sono stati sottoposti ad una TC del torace per valutare la presenza di emboli a livello del circolo venoso. Gli autori hanno riscontrato la presenza di un quadro compatibile con embolia

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polmonare nel 26% dei pazienti (IC 95%: 16 – 39%), anche se tutti i pazienti erano completamente asintomatici.

Altre complicanze precoci che si possono verificare contestualmente all’esecuzione della procedura di VP o CP sono le fratture dei processi trasversi o dei peduncoli vertebrali durante l’inserimento dell’ago mandrinato e la formazione di ematomi muscolari. Altre complicanze meno frequenti sono date dallo sviluppo di una sindrome da distress respiratorio scatenata dalla somministrazione dell’anestetico e, infine, l’insorgenza di infezioni.

Per concludere, un’indicazione sulla frequenza con la quale si presentano i principali effetti collaterali precoci da VP è fornito dal lavoro di Alsemetti et al.59 che hanno eseguito uno studio prospettico multicentrico su un ampio campione di pazienti trattati tutti con VP. Dei 4.547 pazienti presi in considerazione, il 73% aveva sviluppato delle fratture fa OP, mentre le altre erano sostanzialmente delle FV secondarie a infiltrazione neoplastica o trauma maggiore. Complessivamente, le complicanze hanno coinvolto quasi il 33% dei pazienti: in particolare, quella più frequente è stata lo spandimento di cemento nel plesso venoso prevertebrale, che si è verificata nel 20,5% dei pazienti, seguita dallo stravaso intra-discale (10,8%). Nell’1% dei casi si sono verificati degli episodi di embolia polmonare sintomatica, mentre sia gli ematomi che le infezioni hanno fatto registrare una frequenza dello 0,04%.

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CAPITOLO 3: RISULTATI DEGLI STUDI CONTROLLATI A LUNGO

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