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Efficacia e sicurezza del protocollo proposto per la gestione del MTBI nei pazienti in OAT

VKA DOAC TC1 negativa 83,8 96,

Fratture 71.7% assenza di fratture 28.3% presenza di fratture

5.5.3 Efficacia e sicurezza del protocollo proposto per la gestione del MTBI nei pazienti in OAT

Il protocollo proposto in questo studio clinico per la gestione del MTBI nei pazienti in OAT prevedeva, in sostanza, che tutti i pazienti con una prima TCsmc negativa, fossero trattenuti in regime di osservazione per 24 ore, sottoposti a controllo clinico e, in assenza di segni o sintomi indicativi di deterioramento neurologico, dimessi a domicilio con l’indicazione di ripresentarsi al Pronto Soccorso qualora fossero comparse manifestazioni cliniche sospette nelle ore o nei giorni successivi. Il protocollo, inoltre, suggeriva che la terapia anticoagulante continuasse a essere assunta regolarmente e immodificata, e che i pazienti non venissero sottoposti a ulteriori TCsmc prima della dimissione a domicilio.

Soltanto 1 paziente è deceduto (tasso di prevalenza nella popolazione dello studio: 0,5%, 95% CI 0,5% -1,6%, 4,8% dei pazienti ICH acuti) a causa delle complicanze di un sanguinamento acuto perciò il tasso di prevalenza delle complicanze importanti per il paziente a causa dell'ICH acuta era dello 0,5% (95% CI 0,5% -1,6%), sebbene nessuno dei pazienti con la prima TCsmc positiva abbia avuto bisogno di ricorrere ad un intervento neurochirurgico. In particolare vari studi recenti hanno analizzato il rischio di insorgenza di ICH tardiva nei pazienti in trattamento con anticoagulanti vittime di MTBI e l’efficacia diagnostica di scansioni seriate TCsmc per diagnosticare. Il lavoro di McCammack et al. (2015) suggerisce che una seconda TCsmc di controllo a 6 ore dalla prima non sia indicata nei pazienti con terapia anticoagulante orale con prima TCsmc negativa poiché nel loro studio è stato dimostrato soltanto un caso77. Questi dati

vanno a conferma del lavoro di Peck et al. che nel 2011 riportava solo un 1% di casi su 500 pazienti positivi per ICH alla TCsmc effettuata a 6 ore dalla prima78.

Sembrano seguire la stessa linea anche i dati riportati da Scantling et al. su 234 pazienti di cui soltanto lo 0.85% (95% CI 0.1-3.1%) di essi ha mostrato una TCsmc a 12 h (D-CTH) dalla prima positiva per emorragia. Di questi nessuno ha necessitato di intervento chirurgico, concludendo che una D-CTH nei pazienti che assumono terapia anticoagulante non mostra alcun vantaggio statisticamente significativo o clinico per la diagnosi di emorragia intracranica tardiva dopo trauma cranico lieve80.

Per quanto riguarda l’osservazione clinica di 24 ore, in linea con quanto proposto dalle linee guida NICE 2014, non sono stati osservati casi di emorragie insorti in questo primo lasso temporale, sebbene 3 pazienti (2,1%, 95% CI 0,9% - 3,4%) abbiano mostrato segni o sintomi di deterioramento neurologico (confusione e disorientamento, sequestro post-traumatico, nausea e mal di testa), pertanto sono stati sottoposti a una seconda scansione TC negativa per ICH in tutti e tre i casi sempre con esito invariato e negativo.

Questo conferma il dato di letteratura per cui è atteso un bassissimo di rischio di deterioramento neurologico e di positività alla TCsmc di controllo per sanguinamento dopo 24 ore da una prima TCsmc negativa per ICH.

Addirittura ci sono alcuni studi (Schoonman et al.) che negano la necessità di un’osservazione clinica di 24 ore in quanto l’incidenza di ICH tardiva sarebbe concentrata in un lasso temporale più ampio oltre le 24 ore e quindi consigliano piuttosto che un’ospedalizzazione standardizzata dei pazienti con prima TCsmc negativa, una adeguata informazione ed educazione al riconoscimento di sintomi di deterioramento neurologico suggestivi di ICH che possano essere di allarme per il paziente e lo inducano a ripresentarsi al DEA171.

Nella nostra esperienza complessivamente abbiamo assistito ad un buon outcome in acuto e ad una facilità di gestione del follow-up a 30 giorni in quanto i pazienti erano stati adeguatamente educati al riconoscimento dei sintomi di allarme di deterioramento neurologico. Non è tuttavia noto con sicurezza se

al MTBI, ma, poiché nessun paziente è deceduto o ha necessitato di intervento neurochirurgico, si ha la certezza che qualora esso sia avvenuto, sia stato comunque ininfluente dal punto di vista dell’impatto clinico sul paziente. Altri studi mettono in dubbio l’utilità della ripetizione di una seconda TCsmc per un cambiamento di gestione del paziente (Reljic et al, Journal of Neurotrauma,2014), come invece era suggerito da Vos et al. nel protocollo di gestione diagnostico-terapeutica proposto dall’EFNS del 2002, il quale raccomanda di sottoporre a una seconda TCsmc tutti i pazienti in OAT vittime di MTBI prima della dimissione a domicilio, con una conseguente spesa sanitaria di circa 1 milione di dollari negli USA, o 157,696 dollari in Spagna83.

Da notare che nessuno di questi studi è perfettamente comparabile con il nostro poiché in questi studi ci sono frequentemente dati sul trattamento anticoagulante ed antiaggregante senza distinzione e ad oggi non è stata posta l’attenzione esclusiva nel rimarcare le differenze tra trattamento anticoagulante con DOAC o con VKAS , obiettivo che ci eravamo proposti e che, data la crescente numerosità del campione di pazienti in trattamento con questi nuovi farmaci costituirà un’ esigenza di ricerca importante nel futuro.

Futuri studi su larga scala consentiranno di definire con certezza la validità di questo protocollo di gestione clinica del MTBI, assimilabile in gran parte a quello proposto dalle linee guida NICE del 2014. Quest’obiettivo è importante sia dal punto di vista dell’adeguato impiego di risorse in ambito sanitario sia dal punto di vista radio-protezionistico. Rispetto al protocollo di gestione diagnostico- terapeutica proposto dall’EFNS molti anni orsono, il quale raccomanda di sottoporre a una seconda TCsmc tutti i pazienti in OAT vittime di MTBI prima della dimissione a domicilio, il protocollo gestionale applicato in questo studio risulterebbe estremamente più economico e di pari efficacia e sicurezza. Inoltre, la mancata esecuzione di una seconda TCsmc prima della dimissione a domicilio risparmierebbe a ciascuno di quei pazienti che non svilupperebbero complicanze emorragiche tardive (98.5%-100%) l’inutile esposizione a una massiccia dose di radiazioni ionizzanti: in termini di dose efficace, infatti, una TC del cranio comporta l’esposizione a 2.3 mSv di radiazioni ionizzanti, i quali equivalgono

all’esposizione per 9 mesi al fondo di radioattività naturale o all’esecuzione di 115 radiografie del torace.

Consolidata quindi la sicurezza di un protocollo di gestione che impone di non effettuare TCsmc seriate di controllo oltre alla prima; rimane da discutere e suffragare con nuovi dati la posizione già chiaramente espressa in letteratura (Schoonman, Chauny) della poca utilità, ai fini dell’ identificazione di una ICH tardiva post-traumatica, persino di un’osservazione ospedaliera con monitoraggio clinico a favore invece di una dimissione a domicilio preceduta da un’adeguata istruzione del paziente e dei familiari sul rischio relativo di emorragia tardiva spiegata e descritta con un elenco di sintomi da monitorare con il suggerimento di ritornare al DEA di riferimento per ulteriori indagini in caso di presentazione di uno qualsiasi dei seguenti sintomi.

Parzialmente in accordo con questa posizione ne condividiamo il principio di base per cui la clinica debba sempre costituire la guida per qualsiasi decisione diagnostico-terapeutica, infatti il punto centrale intorno a cui è stato pensato questo protocollo era la necessità di un'educazione adeguata dei pazienti per renderli in grado di riconoscere qualsiasi sintomo di allarme evolutivo che suggerisse complicazioni intracraniche tardive e di ritornare al DEA se questi sintomi si fossero verificati, come indicato dallo studio di Schoonman (2014). Anche se non è stato possibile applicare in modo preciso questo protocollo su ogni paziente del nostro studio, abbiamo dimostrato in gran parte che abbia efficacia e sicurezza comparabili a quelli del più "conservatore" protocollo di gestione proposto dalle linee guida EFNS del 2002, senza esporre i pazienti a inutili dosi di radiazioni.

Il nostro approccio si basa sulla proposta di evitare gli esami evitabili al fine di ridurre i costi sul sistema sanitario e di potenziali rischi a lungo termine come l'uso irragionevole delle radiazioni ionizzanti. È pertanto giustificato un saggio e maggiore utilizzo di strumenti clinici con la conseguente riduzione dei costi dovuti alle tecniche di imaging, riducendo così l'onere del dipartimento di emergenza, poiché come emerge anche da questo lavoro, la clinica, spesso

Un tale approccio è sicuro e fattibile, purché siano applicati rigorosi criteri di valutazione.

5.5.4 Fattori di rischio di ICH traumatica nei pazienti in