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Trauma cranico lieve nei pazienti in terapia con anticoagulanti orali : gestione clinica e follow-up.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

TRAUMA CRANICO LIEVE NEI PAZIENTI IN TERAPIA

CON ANTICOAGULANTI ORALI:

GESTIONE CLINICA E FOLLOW-UP

ANNO ACCADEMICO 2016-2017

CANDIDATA:

Alessandra Eugenia Bionda

RELATORE:

Dott. Massimo Santini

CORRELATORE:

Dott. Alessandro Cipriano

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ABSTRACT

Background: la terapia anticoagulante orale (OAT), il cui uso è in costante

aumento nella popolazione soprattutto geriatrica, rappresenta un importante fattore di rischio di complicanze emorragiche associate al trauma cranico. Rimane da indagare l’impatto clinico di questa terapia nel trauma cranico lieve (MTBI) , parzialmente descritto in letteratura per i VKASs ma non per i DOACs, in termini di emorragie immediate e tardive, e quale sia il percorso diagnostico-terapeutico ottimale nei pazienti in OAT vittime di MTBI senza complicanze acute.

Obiettivi: Valutare l’incidenza delle emorragie intracraniche (ICH) acute e tardive

conseguenti a TBI lieve (MTBI, GCS 13-15) confrontando i pazienti in terapia con Antagonisti della Vitamina K (VKASs) e con Anticoagulanti Orali Diretti (DOACs), avendo una stima del profilo di sicurezza di questi ultimi. Valutare l’efficacia e la sicurezza di un protocollo di gestione clinico diagnostico-terapeutico del MTBI in Pronto Soccorso basato sull’osservazione clinica.

Metodi: In questo studio prospettico osservazionale in un periodo di 15 mesi

(01/2016-03/2017) sono stati valutati 204 pz. (età media 81.65 ± 8.41 anni; M=79 , F=112) che si sono presentati al Dipartimento di Emergenza-Accettazione (DEA) dell’ Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP). Sono stati reclutati 191 pazienti secondo i seguenti criteri di inclusione: MTBI in pz. in OAT con dosaggio efficace [INR ≥ 1.5] se con VKAS, e assunzione del farmaco < 24h prima del TBI se con DOAC. All'accesso venivano sottoposti a TC cranio senza mezzo di contrasto (TCsmc) e, se questa risultava negativa, venivano trattenuti in regime di Osservazione Breve Intensiva (OBI) per almeno 24h, senza sospensione della OAT; infine se la clinica neurologica rimaneva stabile, dimessi con modulo informativo. A

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distanza di almeno 30 giorni venivano contattati e interrogati sull'eventuale comparsa di complicanze post- traumatiche tardive.

Risultati: Dei 191 pazienti considerati, 21 (11%) sono risultati positivi per ICH alla

TCsmc all'accesso, perciò esclusi dal follow-up a lungo termine; solo 1 paziente (0,5%) è deceduto a causa dell’ICH, i restanti pazienti con emorragia intracranica non sono stati sottoposti ad intervento neurochirurgico e nessuno di essi ha avuto sequele permanenti. La prevalenza di emorragia intracranica acuta osservata nei pazienti con MTBI è statisticamente maggiore nei pazienti trattati con VKASs (16,2%) rispetto ai pazienti trattati con DOACs (3,8%) (p<0,01). I casi di complicanze emorragiche acute erano associati alle seguenti condizioni in maniera statisticamente significativa: trauma maggiore (28.6% vs. 7.6%; p < 0.01), evidenza di trauma sopra le clavicole (85.7% vs. 61.8%; p < 0.05) e fratture clinicamente rilevanti (57.1% vs. 24.7%; p < 0.01). Abbiamo eseguito il follow-up su 170 pazienti, di cui 5 soggetti sono stati persi, dei restanti 165, solo 2 pazienti (1,2%) sono risultati positivi per emorragia intracranica tardiva con differenza non statisticamente significativa (0% nei VKASs; 2.6% nei DOACs ) e con un’incidenza di outcome sfavorevole (decesso o intervento neurochirurgico) dovuto a complicanze pari a 0,6%.

Conclusioni: I risultati di questo studio suggeriscono che nel MTBI la terapia con

DOAC risulta essere più sicura rispetto a quella con VKAS per rischio di eventi emorragici immediati. Sono stati individuati alcuni fattori di rischio relativi alla dinamica del trauma che risultano associati agli eventi emorragici immediati.

Inoltre si dimostra che i pazienti in terapia anticoagulante con riscontro di una TCsmc negativa all’arrivo seguiti da uno stretto monitoraggio clinico e senza segni di deterioramento neurologico, possono essere dimessi come previsto nel nostro protocollo con un bassissimo rischio di complicanze e senza effettuare una seconda TCsmc al termine dell’osservazione.

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ABSTRACT ... 2 1. INTRODUZIONE ... 7 2. IL TRAUMA CRANICO LIEVE ... 25 2.1 Introduzione ... 25 2.2 Classificazione del trauma cranico e definizione del trauma cranico lieve ... 25 2.2.2 Definizione del TBI in base alla severità del quadro clinico: la GCS ... 28 2.2.3 Definizione del MTBI ... 30 2.2.1.1 Differenza tra MTBI e commozione cerebrale ... 34 2.2.2 Classificazione del TBI in base ai reperti neuroradiologici ... 36 2.3 Epidemiologia ... 37 2.3.1 Epidemiologia del TBI ... 37 2.3.2 Epidemiologia del MTBI ... 41 2.4 Fisiopatologia del TBI ... 42 2.4.1 Danno cerebrale primario ... 42 2.4.2 Danno cerebrale secondario ... 46 2.4.3 Danno sistemico secondario ... 47 2.5 Clinica del MTBI ... 49 2.6 Complicanze del MTBI ... 51 2.6.1 Complicanze a breve termine ... 51 2.6.2 Complicanze a lungo termine del MTBI ... 53 2.6 Valutazione e diagnostica del paziente con MTBI ... 54 2.6.1 Anamnesi ed esame obiettivo ... 54 2.6.2 Diagnostica per immagini ... 57 2.6.3 Ruolo dei Biomarkers ... 59 2.6 Gestione del paziente con MTBI ... 62 2.6.1 Panoramica delle linee guida sul MTBI ... 62 2.6.2 Osservazione e ricovero ... 73 2.6.3 Dimissione ... 75 3. LA TERAPIA ANTICOAGULANTE ORALE ... 77 3.1. Introduzione ... 77 3.2. Gli Antagonisti della Vitamina K ... 79

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3.2.3 Svantaggi della terapia anticoagulante con VKAS ... 80 3.2.6 Monitoraggio dell’INR ... 81 3.2.7 Rischio di sanguinamento della OAT con VKAS ... 83 3.3. Gli Anticoagulanti Orali Diretti ... 87 3.3.1 Indicazioni terapeutiche ... 88 3.3.3 Svantaggi della terapia anticoagulante con DOACS ... 90 3.3.5 Rischio di sanguinamento della terapia con DOACS ... 95 4.IL RISCHIO DI EMORRAGIA INTRACRANICA NEI PAZIENTI CON MTBI IN OAT ... 101 4.1. Rischio di ICH traumatica acuta nei pazienti con MTBI in terapia con OAT ... 102 4.1.1 Rischio di ICH acuta nei pazienti con MTBI in terapia con VKAs ... 102 4.1.2 Rischio di ICH traumatica acuta nei pazienti con MTBI in terapia con DOACs ... 104 4.2 Rischio di ICH tardiva nei pazienti con MTBI in OAT ... 109 4.2.1 Rischio di ICH tardiva nei pazienti con MTBI in terapia con VKAs ... 109 4.2.4 Rischio di ICH traumatica tardiva nei pazienti in terapia con DOACs ... 115 4.1.3 Cofattori di rischio di ICH tardiva nei pazienti con MTBI in OAT ... 116 5. lo studio clinico ... 118 5.1 Introduzione allo studio ... 118 5.2 Obiettivi dello studio ... 120 5.3 Materiali e metodi ... 121 5.3.1 Setting dello studio ... 121 5.3.2 Disegno dello studio ... 122 5.3.3 Popolazione in studio ... 125 5.3.4 Criteri di inclusione ed esclusione ... 125 5.3.5 Parametri analizzati ... 126 5.3.6 Follow-up ... 129 5.3.7 Gestione dei dati ... 131 5.4 Analisi statistica ... 133 5.4.1 Statistica inferenziale ... 133 5.4.2 Analisi predittiva ... 134 5.5 Risultati ... 136

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5.5.2 Caratteristiche della popolazione in esame ... 138 5.5.3 Analisi del rischio di ICH traumatica acuta nei pazienti in OAT ... 143 5.5.3 Analisi del rischio di ICH traumatica acuta nei pazienti in OAT ... 157 5.3 Discussione ... 167 5.5.1 Rischio di ICH traumatica acuta nei pazienti in OAT con MTBI ... 167 5.5.2 Rischio di ICH traumatica tardiva nei pazienti in OAT con MTBI ... 168 5.5.3 Efficacia e sicurezza del protocollo proposto per la gestione del MTBI nei pazienti in OAT ... 170 5.5.4 Fattori di rischio di ICH traumatica nei pazienti in OAT ... 174 5.5.5 Impatto clinico delle ICH traumatiche acute nei pazienti in OAT ... 176 5.5.6 Impatto clinico delle ICH traumatiche tardive nei pazienti in OAT ... 178 5.6 Limiti ... 180 6. CONCLUSIONI ... 182 Bibliografia ... 202 RINGRAZIAMENTI ... 215

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1. INTRODUZIONE

La terapia anticoagulante orale (OAT) è utilizzata comunemente, e sempre più frequentemente, per la profilassi ed il trattamento delle complicanze tromboemboliche associate alla fibrillazione atriale, alla trombosi venosa profonda, alle valvulopatie cardiache e alle protesi valvolari cardiache meccaniche e biologiche1.

La stragrande maggioranza delle condizioni mediche descritte in precedenza, che costituiscono indicazione alla prescrizione della OAT, interessa più frequentemente la popolazione geriatrica2. Tale circostanza, insieme al

documentato progressivo invecchiamento della popolazione, fa sì che si stia assistendo ad un contestuale incremento della prescrizione di farmaci anticoagulanti nei pazienti anziani3, 4.

Basti pensare che la prevalenza dei pazienti in terapia con Warfarin, in base a un’analisi retrospettiva del NTDB (American College of Surgeons National Trauma Data Bank) effettuata su un elevato campione di pazienti ammessi in Trauma Centers in USA e Puerto Rico, risulta essere aumentata dal 2.3% nel 2002 al 4.0% della popolazione in esame nel 2006 (p < 0.001); inoltre nel contesto dei pazienti over 65 si è assistito a un incremento della prevalenza dal 7.3% nel 2002 al 12.8% nel 2006 (p < 0.001)2. Negli anziani, in particolare quelli di età superiore a 65 anni i traumi da caduta si verificano frequentemente5; infatti nei pazienti di età avanzata rappresentano il meccanismo più comune di trauma cranico lieve. Quest’ultimo costituisce il 75-90% di tutti i traumi cranici che si presentano al Dipartimento di Emergenza-Urgenza-Accettazione (DEA) che già di per sé sono un numero grandissimo, si pensi che ogni anno negli Stati Uniti, sono oltre 4,8 milioni gli accessi nei dipartimenti di emergenza per trauma cranico6.

Dato l’aumento dell’anzianità media della popolazione, si può pertanto ipotizzare un ulteriore futuro aumento generale delle lesioni traumatiche legate alla caduta.

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I tassi di incidenza dei ricoveri ospedalieri per trauma cranico sono aumentati dell’11,6% annuo dal 2001. I tassi d'incidenza specifici per età sono aumentati in tutte le fasce d'età, in particolare in soggetti di età ≥ 85 anni, con un aumento complessivo dei giorni di ricovero per trauma 7, 8.

Le cadute inoltre rappresentano una causa significativa di mortalità e morbidità, negli Stati uniti sono la nona causa di morte nei pazienti di età superiore ai 65 anni e i traumi cranici lievi costituiscono di per sé un fattore di rischio significativo ed indipendente per morte nell’anziano9, soprattutto perché è stato osservato che molti pazienti anziani possono avere un rischio maggiore per le lesioni intracraniche correlate ad esse. In DEA i traumi cranici in anziani sono la principale causa di morte correlata al trauma da caduta, si contano circa 135000 morti in cinque anni negli USA oltre ad essere causa di costi sanitari elevati nella popolazione di età superiore ai 65 anni a causa degli esiti non fatali10. Il tasso di ICH è comunque relativamente basso in coloro che sono vittime di trauma cranico lieve (MTBI)11. Il MTBI è definito dalla presenza di uno score GCS

(Glasgow Coma Scale) compreso tra 13 e 15 all’accesso in ospedale, indipendentemente dall’insorgenza di perdita di coscienza (LOC) o di amnesia post-traumatica (PTA)12, 13.

La prevalenza stimata delle anomalie alla TCsmc è del 5% nei pazienti che accedono all'ospedale con un punteggio GCS di 15 e 30% o più in pazienti che si presentano con un punteggio di 13. Tuttavia, solo circa l'1% dei pazienti con MTBI richiede un intervento neurochirurgico11.

Per quanto riguarda invece i pazienti in trattamento anticoagulante, molti studi suggeriscono che sono esposti ad un maggiore rischio di emorragie intracraniche immediate dopo un trauma cranico14, 15 16, 17. Infatti è stato ampiamente dimostrato che, in seguito a cadute accidentali, i pazienti anziani che assumono terapia anticoagulante orale a lungo termine a base di Warfarin presentano sia un’aumentata prevalenza di emorragie intracraniche (ICH) traumatiche (8.0% vs. 5.3%, p<0.0001), sia un’aumentata mortalità in coloro che

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sviluppano l’ICH (21.9% vs. 15.2%, p = 0.04) rispetto ai soggetti non sottoposti a terapia anticoagulante18, 19 20.

Inoltre, l’assunzione di OAT precedentemente al verificarsi di un trauma cranico chiuso risulta correlata a una mortalità pressoché doppia rispetto a quella dei pazienti non in OAT, anch’essi vittime di trauma cranico da impatto (odds ratio di 2.008, 95% CI 1.634-2.467)18, 21, 22.

Questi dati sono estremamente allarmanti in quanto preannunciano un significativo incremento nel tempo degli accessi al DEA (Dipartimento di Emergenza e Accettazione) da parte di soggetti anziani in OAT vittime di trauma cranico, il cui rischio di morte per lesioni emorragiche è notevole23.

È necessario porre però un distinguo all’interno della grande classe dei farmaci anticoagulanti, difatti sebbene tra gli OAT i farmaci Antagonisti della Vitamina K (VKAS, quali warfarin, acenocumarolo e fenprocumone) siano ancora i più utilizzati24 ed il warfarin tra questi risulti essere il più prescritto; i DOAC

offrono un’opzione terapeutica sempre più selezionata dai medici per le loro caratteristiche25.Alcuni vantaggi di questa terapia sono: non necessario

monitoraggio di routine, dosi fisse, effetti più stabili dose risposta, assenza di interazioni alimentari e minori interazioni farmacologiche26, 27, tanto da essere

diventati ad oggi una reale e valida alternativa in termini di costo-efficacia ai pazienti con fibrillazione atriale e tromboembolismo venoso28.I DOAC infatti

rappresentano attualmente la terapia di scelta per la prevenzione dell’ictus cerebri nei pazienti affetti da Fibrillazione Atriale, in accordo con le più recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia29.

SI intravede nello scenario futuro che anche se i farmaci VKAS continueranno ad essere utilizzati, i DOAC saranno la terapia predominante per la prevenzione dell’ischemia cerebrale nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (NVAF)30 e per la prevenzione del tromboembolismo venoso (VTE)31 nonché nella prevenzione della TVP nei pazienti sottoposti ad artroplastica elettiva di ginocchio e anca poiché hanno un’efficacia pari ai VKAS con un rischio di sanguinamento minore o paritario associato a sempre maggiori benefici e minori

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Questi farmaci garantiscono un’efficacia analoga, e in alcuni setting superiore, ai VKAS, senza necessità di un monitoraggio continuo dell’effetto anticoagulante e con un profilo di sicurezza maggiore. Le criticità dell’impiego dei DOAC consistono nella mancanza di semplici test ematochimici per valutare l’effetto anticoagulante e nell’attuale mancata disponibilità di antidoti specifici per questi agenti, ad eccezione che per Dabigatran, per il quale l’antidoto Idarucizumab34

ha mostrato buoni risultati in termini di sicurezza ed efficacia anche nelle situazioni di emergenza35 consentendo un’inattivazione degli effetti

anticoagulanti in maniera rapida, specifica e sostenuta nel tempo con scarsissimo effetto pro-trombotico.

In particolare, per quanto riguarda l’efficacia anticoagulante e il rischio emorragico di ciascuno dei nuovi anticoagulanti orali, alcuni studi effettuati su pazienti affetti da FA hanno dimostrato che:

• Rivaroxaban (Xarelto), inibitore diretto del fattore X attivato (FXa), risulta equivalente al Warfarin sia in termini di efficacia nella prevenzione dell’ictus ischemico sia in termini di rischio emorragico, senza evidenti diversità nel rischio di eventi emorragici maggiori, ma con un lieve incremento del rischio di sanguinamenti gastrointestinali36. Nonostante da un recente studio retrospettivo condotto su un limitato campione di pazienti fosse emerso che la terapia con Rivaroxaban potesse associarsi ad un rischio di progressione del sanguinamento intracranico nei pazienti con ICH traumatica conseguente a MTBI37; i grandi numeri di una sottoanalisi del trial di ROCKET-AF condotta da Hankey GJ su 14 264 pazienti hanno affermato che il rischio di ICH per pazienti in DOAC è minore del rischio in VKAS38 confermando che non vi sono differenze statisticamente significative nell’efficacia e nella sicurezza di Rivaroxaban rispetto a Warfarin39.

• Apixaban (Eliquis), inibitore diretto del FXa, determina una riduzione del rischio di ictus ischemico e si associa a un minor rischio di sanguinamenti maggiori; inoltre, il tasso di emorragia intracranica e

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quello di ictus emorragico risultano essere inferiori nei pazienti in trattamento con apixaban piuttosto che con warfarin riducendo la morte nei pazienti con e senza cardiopatia valvolare40(ARISTOTLE).

• Edoxaban (Lixiana), inibitore diretto del FXa, presenta un rischio di sanguinamenti maggiori e un tasso annuale di morte per cause cardiovascolari inferiori rispetto al warfarin41,sia nei pazienti con FA e pregressi eventi cerebrovascolari dove si è mostrato più sicuro per i sanguinamenti intracranici rispetto al warfarin42, inoltre si propone

come una valida alternativa al Warfarin nei pazienti ad aumentato rischio di caduta, perché è associata ad una riduzione assoluta ancora maggiore di eventi emorragici e mortali43.

• Dabigatran (Pradaxa), inibitore diretto reversibile della trombina (fattore IIa), al dosaggio di 110 mg due volte al giorno presenta un’efficacia maggiore del Warfarin nel ridurre i rischi di ictus ischemico e di eventi tromboembolici sistemici. Inoltre è associato a un minor rischio di sanguinamenti maggiori e e le emorragie intracraniche fatali e traumatiche sono inferiori con Dabigatran rispetto a Warfarin44

sebbene al dosaggio di 150 mg due volte al dì, presenta un’incidenza di emorragie gastrointestinali maggiori più elevata45.

I risultati ottenuti da uno studio retrospettivo pubblicato da Parra et al. nel 2013 sembrerebbero suggerire che, in caso di ICH traumatica conseguente a trauma cranico chiuso, nei pazienti in terapia con Dabigatran il rischio di progressione dell’emorragia e la mortalità siano più elevati rispetto ai pazienti in terapia con Warfarin; queste conclusioni, però, potrebbero rivelarsi inesatte in quanto ottenute dallo studio di un esiguo campione di pazienti46. Addirittura in un recente studio condotto da Graham su un grande numero di pazienti in USA utilizzando il database Medicare l'assunzione di Dabigatran 150 mg due volte al giorno è stata associata ad diminuzioni statisticamente significative di ICH e di sanguinamenti extracranici maggiori, incluse le emorragie gastrointestinali, rispetto all’assunzione di Rivaroxaban 20 mg una volta al giorno47.

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L’approccio clinico al MTBI nel paziente in terapia con i DOAC potrebbe essere in gran parte sovrapponibile a quello dei pazienti in OAT con Warfarin, sebbene vi sia grande apprensione per quanto riguarda la gestione delle ICH nei primi48,

fondamentalmente per due problemi:

• Carenza di test laboratoristici per definire lo stato coagulativo dei pazienti in terapia con DOACS: i parametri di laboratorio comunemente utilizzati per valutare lo stato coagulativo, ovvero il PT (Tempo di Protrombina), l’aPTT (Tempo di Tromboplastina Parziale attivata) e l’INR (International Normalized Ratio), presentano valori elevati nei soggetti con un livello efficace di scoagulazione con DOAC, senza però correlare in modo prevedibile con la concentrazione plasmatica e l’effetto anticoagulante di questi farmaci. Alcuni laboratori sono in grado di effettuare test di laboratorio più specifici, quali il TT (Tempo di Trombina) o l’ECT (Tempo di Coagulazione all’Ecarina) per il Dabigatran, il Dosaggio dell’Attività Anti-Xa per gli inibitori diretti del fattore X attivato (Rivaroxaban, Apixaban ed Edoxaban) o la misurazione diretta delle concentrazioni plasmatiche dei farmaci anticoagulanti, ma generalmente questi procedimenti non sono disponibili o forniscono risultati in tempi eccessivamente lunghi. Oggigiorno i parametri che vengono più frequentemente sfruttati per stimare lo stato di “anticoagulazione” nel paziente trattato con DOAC sono la valutazione della latenza temporale dall’ultima assunzione del farmaco e della capacità di escrezione dello stesso da parte del paziente (ad esempio, in base alla funzione renale stimata mediante la Clearance della Creatinina, o le interazioni con gli altri farmaci assunti)49.

• Assenza di specifici antidoti per il “reverseal” dell’attività anticoagulante degli DOACS: nei pazienti in terapia con Dabigatran è stato proposto di somministrare il PCC (4-Factor Prothrombin Complex Concentrate, un derivato del plasma umano contenente i fattori coagulativi II, VII, IX e X, e le Proteine C ed S) o il FEIBA (Factor Eight Inhibitor Bypass Activity), un derivato plasmatico umano contenente i fattori della coagulazione II, VII (prevalentemente in forma attivata), IX e X, nel trattamento delle

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emorragie improvvise e potenzialmente mortali50. Allo stesso scopo è stato proposto anche l’impiego dell’acido tranexamico51. Recentemente è stato approvato un antidoto specifico, Idarucizumab (Praxbind), che agisce come anticorpo monoclonale in grado di legare selettivamente e neutralizzare l’attività anticoagulante del dabigatran52. Per quanto concerne gli inibitori del fattore Xa (Apixaban e Rivaroxaban), invece, non sono al momento disponibili antidoti specifici, per cui è stato proposto l’impiego del PCC39 o del FEIBA come possibili opzioni terapeutiche nei confronti delle emorragie “life- threatening”3.

I DOAC, rispetto ai VKAS, sono associati a un minor rischio di emorragia intracranica, nonostante presentino un lieve incremento del rischio di sanguinamenti gastrointestinali.

Dentali et al. hanno pubblicato nel 2012 un’interessante meta-analisi di studi clinici controllati randomizzati di fase 2 e 3 riguardanti il confronto tra efficacia e sicurezza dell’impiego degli DOAC rispetto ai VKAS nei pazienti con fibrillazione atriale, dimostrando che i primi si associano a ridotta mortalità totale (5.61% vs 6.01%; RR 0.89; 95% CI 0.83-0.96), ridotta mortalità per cause cardiovascolari (3.45% vs. 3.64%; RR 0.89; 95% CI 0.82-0.98) e ridotta incidenza di ictus ed eventi tromboembolici sistemici (2.39% vs. 3.13%; RR 0.77; 95% CI 0.70- 0.86) rispetto agli anticoagulanti classici53.

Inoltre è stato comprovato che vi sia un ridotto rischio nei DOAC rispetto al Warfarin di sanguinamenti maggiori (RR 0.86; 95% CI 0.72-1.02) e una significativa diminuzione delle emorragie intracraniche (RR 0.46; 95% CI 0.39- 0.56)53.

Una grande meta-analisi di Ruff, Braunwald et al. che ha analizzato trials come RE-LY, ROCKET AF, ARISTOTLE, and ENGAGE AF-TIMI ha evidenziato come i nuovi anticoagulanti orali mostrano un profilo di rischio-beneficio favorevole, con significative riduzioni di ictus, emorragia intracranica e mortalità e con tassi di sanguinamenti maggiori simili al Warfarin, con un incremento relativo dei sanguinamenti gastrointestinali54. La relativa efficacia e sicurezza dei nuovi anticoagulanti orali li indicano come opzione terapeutica sicura per ridurre il rischio

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L'ICH nei pazienti con MTBI è descritto ampliamente nel trattamento con antagonisti della vitamina K (VKAS). Studi clinici hanno dimostrato che i pazienti in terapia con VKAS abbiano un maggior rischio di emorragia intracranica acuta2, infatti

sembra che la prevalenza di emorragia intracranica traumatica acuta nei pazienti con MTBI trattati con VKAS sia variabile tra il 4.3% e il 16%55-58.

Tuttavia quale sia la prevalenza delle emorragie intracraniche immediate post-traumatiche in coloro che assumono DOAC non è ancora stato definito con certezza44, 46, 59.

Anche se sembrano essere associati a un rischio emorragico più basso rispetto ai VKAS53, 60

, i tassi di prevalenza e incidenza di queste complicazioni intracraniche post-traumatiche non sono ancora state attentamente valutate nei pazienti in trattamento con DOAC44, 46, 59.

Da tempo infatti si cerca di fornire ai clinici strumenti utili basati sulle evidenze per districarsi dai dilemmi diagnostici e selezionare i casi meritevoli di TC dalle situazioni in cui è opportuno e sicuro soprassedere; infatti la valutazione di pazienti con trauma cranico può essere difficile poiché le lesioni non riconosciute possono causare danni permanenti al cervello, gravi disabilità e perfino morte; allo stesso tempo però l'imaging è costoso e espone i pazienti ad un piccolo rischio di trasformazione letale maligna. La maggior parte dei pazienti affetti da emorragia intracranica traumatica è identificata e valutata mediante l’esecuzione di una tomografia computerizzata del cranio senza l’utilizzo del mezzo di contrasto (TC cranio senza mdc) all’accesso in DEA61 , metodica che permette di determinare rapidamente il tipo e l'entità della lesione nonché di scegliere la strategia di gestione ottimale. Nell’ampio panorama delle linee guida sul trauma cranico lieve, non specifiche per pazienti in OAT, troviamo certezze decennali sulla gestione dei traumi cranici e sulle indagini diagnostiche necessarie. I criteri di New Orleans (NOC) del 2000 sviluppati da Haydel et al. per individuare pazienti con traumi cranici lievi che presentano un rischio molto basso di lesioni intracraniche significative hanno reso evidente che nel caso dei MTBI con un GCS di 15 l'uso di TC cranio può essere tranquillamente limitato a coloro che hanno

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determinati reperti clinici (cefalea, vomito, un'età superiore ai 60 anni, intossicazione da droga o alcool, deficit nella memoria a breve termine, evidenze di traumi sopra le clavicole e crisi epilettiche), la presenza di almeno una di queste caratteristiche rendeva necessario l’utilizzo di una TC cranio con una sensibilità del 95% per rilevamento di lesioni intracraniche acute62 .

Le linee guida canadesi, le Canadian CT Head Rule (CCHR) pubblicate sul Lancet nel 2001 hanno appianato le controversie relative all’uso della TC cranio nei pazienti vittime di MTBI con un GCS da 13 a 15 individuando sette fattori di rischio : cinque maggiori o ad alto rischio di intervento neurochirurgico (diminuzione del GCS di 15 entro 2 ore, sospetta frattura esposta delle ossa del cranio, qualsiasi segno di frattura basale del cranio, più di due episodi di vomito o età> 65 anni) e due fattori minori o di rischio intermedio di lesioni intracraniche alla TC (amnesia prima dell'impatto per più di trenta minuti e traumi a dinamica maggiore); la presenza di uno di questi costituisce un’indicazione alla TC cranio. Queste regole altamente sensibili per l’identificazione dei pazienti con rischio di anomalie alla TC hanno semplificato in modo significativo la gestione delle emergenze di pazienti con trauma cranico lieve63.

I criteri di New Orleans e le linee guida Canadesi mostrano una sensibilità del 100%, ma i limiti di confidenza più bassi che vi sono associati indicano che queste regole potrebbero ancora non rilevare quasi il 5% dei pazienti che richiedono un intervento neurochirurgico; per questo sono stati sviluppati i criteri NEXUS II.

I criteri NEXUS-II sostengono che la TC cranio può essere evitata nei pazienti di età inferiore ai 65 anni, che non hanno alcuna evidenza di frattura del cranio, di ematoma del cuoio capelluto, deficit neurologici, alterazioni del sensorio, comportamenti anomali, coagulopatie o vomito persistente64.

Le CHIP prediction rule, proposte da Smits nel 2007 rappresentavano un compromesso tra le NOC e le CCHR e si proponevano come un vero e proprio score per l’uso selettivo della Tcsmc cranio nei pazienti con trauma cranico lieve con o senza perdita di coscienza(LOC). I fattori di rischio proposti erano: più di due episodi di vomito, crisi epilettica post-traumatica, amnesia retrograda persistente, età superiore ai 60 anni, segni clinici di frattura del cranio, deterioramento del GCS,

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trauma a dinamica maggiore, GCS<15 all’arrivo, deficit neurologici, perdita di coscienza e in ultimo, tra i criteri maggiori, presenza di trattamento anticoagulante65.

La Clinical Policy riguardante la gestione tempestiva dei pazienti con MTBI prodotta dall’ACEP (American College of Emergency Physicians) nel 2008 ritiene che un’indagine TCsmc sia indicata nei pazienti con trauma cranico con perdita di coscienza o amnesia post-traumatica solo se uno o più dei seguenti sono presenti: mal di testa, vomito, età superiore ai 60 anni, intossicazione da droga o alcol, deficit nella memoria a breve termine, evidenze di trauma sopra la clavicola, crisi epilettica post-traumatica, punteggio GCS inferiore a 15, deficit neurologico focale o coagulopatia; nonostante ponga si riferisce ai traumi cranici con GCS afferma che “fino ad oggi, non vi sono stati studi dotati di potenza statistica sufficiente per definire specifiche sottopopolazioni di pazienti con MTBI le quali possano presentare un maggior rischio di complicanze tardive e per le quali la dimissione, in seguito ad una TC cranio negativa, non sia appropriata. Queste sottopopolazioni potrebbero includere pazienti affetti da coagulopatie, pazienti in terapia anticoagulante, pazienti sottoposti a pregressi interventi neurochirurgici e quelli affetti da patologie neurologiche significative61”.

Sebbene queste linee guida siano da tempo codificate ed utilizzate nei Dipartimenti di Emegenza-Urgenza, per aiutare a determinare quali pazienti abbiano la necessità di uno studio imaging più accurato ed un follow-up stretto nei pazienti con trauma cranico severo o moderato66, oppure che il ruolo di TCsmc supplementari in caso di rapido deterioramento neurologico sià razionale in qualsiasi tipo di trauma

67; queste norme non sono applicabili nè verificate per i pazienti in OAT.

Vi è ancora grande discordanza tra gli approcci diagnostico-terapeutici messi in pratica in questo subset di pazienti, non soltanto tra Paesi differenti, ma addirittura nel contesto delle singole realtà ospedaliere.

Ciò deriva soprattutto dal fatto che sono scarsi e spesso contrastanti i dati riguardanti l’eventuale rischio di emorragia intracranica traumatica ad esordio tardivo nei pazienti in OAT14, 68-70.

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L’emorragia intracranica rappresenta una complicanza temibile successiva ad un trauma cranico anche lieve che può essere riscontrata in pazienti con un prima TCsmc cranio normale all’accesso in ED. Per questo motivo in un primo momento nella pratica clinica è sembrato necessario ricorrere ad indagini di imaging seriate per la rilevazione precoce di lesioni emorragiche tardive susseguenti al trauma.

Nelle linee guida attuali tuttavia non è stabilita chiaramente l’importanza di ripetere Tcsmc seriate per pazienti in terapia anticoagulante vittime di MTBI con una TCsmc all’accesso negativa per evidenze di sanguinamento.

Le linee guida del 2002 proposte dalla EFNS (European Federation of Neurological Societies)12 raccomandano che tutti i pazienti con trauma cranico lieve e specifici

fattori di rischio associati, tra cui la OAT, siano sottoposti, oltre alla TC cranio all’accesso al DEA, a ricovero ospedaliero, a follow-up neurologico intensivo per almeno 24 ore e raccomanda di sottoporre a una seconda TCsmc tutti i pazienti in OAT vittime di MTBI prima della dimissione a domicilio, con una conseguente spesa sanitaria di circa 1 milione di dollari negli USA, o 157,696 dollari in Spagna. Queste raccomandazioni, però, sono state definite senza essere supportate da rigorosi studi prospettici multicentrici in grado di definire con esattezza la prevalenza e l’incidenza delle emorragie intracraniche traumatiche immediate e tardive nei pazienti in OAT.

Riguardo all’Italia, le linee guida nazionali di riferimento per il trattamento del trauma cranico, presentate dall’ASSR (Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali)71 nel

2007 e non più riviste, identificano i pazienti con trauma cranico lieve qualora essi presentino un GCS compreso tra 14 e 15, considerando i pazienti con GCS 13 appartenenti alla classe del trauma cranico moderato (GCS 9-13), differentemente dalla maggior parte dei lavori della letteratura anglosassone (nei quali il trauma cranico viene suddiviso in lieve, GCS 13-15; moderato, GCS 9-12; grave, GCS 3-8); inoltre, stratificano ulteriormente la categoria del trauma cranico lieve in classi di rischio (basso, intermedio e alto) in base ai fattori di rischio associati, tra i quali l’assunzione di farmaci anticoagulanti. In definitiva, queste linee guida indicano che tutti i pazienti con trauma cranico lieve (GCS 14-15) in OAT siano sottoposti a TC cranio acutamente all’accesso al DEA (se in classe di rischio alto) o entro le prime 6

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osservazione per 24 ore e che siano rivalutati mediante un’ulteriore TC cranio di controllo prima della dimissione. Le più recenti linee guida proposte dal NICE (National Institute for Health and Care Excellence)72 nel 2014 confermano l’ormai chiara raccomandazione di sottoporre a acuta TC cranio i pazienti in terapia anticoagulante con trauma cranico lieve, ma non supportano la necessità di un periodo prolungato di follow-up neurologico intensivo, né di un ulteriore studio imaging di controllo prima della dimissione. Queste linee guida raccomandano di considerare la necessità di una TC cranio di controllo, e quindi la rivalutazione clinica e gestionale del paziente, solo nel caso in cui il soggetto presentasse segni o sintomi di deterioramento neurologico - quali le alterazioni del comportamento, un’alterazione sostenuta o di importante entità dello score GCS, la comparsa di cefalea severa e progressiva o di vomito persistente, la manifestazione o la progressione di segni o sintomi neurologici focali quali l’anisocoria o il deficit di forza agli arti – oppure qualora lo score GCS del paziente, inizialmente negativo alla TC cranio all’accesso al DEA, non fosse tornato a un valore di 15 nel corso del periodo di osservazione in seguito al trauma cranico. Sono stati condotti due studi al fine di supportare o confutare le raccomandazioni delle linee guida EFNS 2002, con risultati contrastanti: 1. Lo studio prospettico di Menditto et al. (2012)55 ha dimostrato che il 6% (5/87; 95% CI 1%-11%) dei pazienti in terapia con VKAS, vittime di trauma cranico lieve e inizialmente negativi alla TC all’accesso al DEA, trattenuti in osservazione in ambito ospedaliero per 24 ore e sottoposti a TC cranio di controllo prima della dimissione, presentava un sanguinamento intracranico a esordio tardivo. Questi risultati sembrerebbero sostenere le raccomandazioni della EFNS; è importante sottolineare, però, che di questi 5 pazienti identificati (su 87), 2 di essi sono stati comunque dimessi in quanto l’emorragia risultava non clinicamente significativa, mentre degli altri 3 pazienti ricoverati soltanto uno di essi è stato sottoposto a intervento neurochirurgico (craniotomia) per ematoma subdurale. Inoltre, altri due ulteriori pazienti (2%; 95 CI 0.5%-5%) che erano stati dimessi in seguito a una TC cranio di controllo negativa, venivano ricondotti al DEA nei giorni successivi per sintomatologia di origine neurologica e risultavano positivi alla TC cranio per

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ematoma subdurale; nessuno dei due soggetti presentava indicazioni all’intervento neurochirurgico.

2. Lo studio prospettico di Kaen et al. (2010)73 ha dimostrato, invece, che soltanto

l’1.4% (2/137) dei pazienti in terapia anticoagulante e vittime di trauma cranico lieve, negativi per lesioni focali acute a un primo studio imaging del cranio, trattenuti in osservazione per 24 ore e sottoposti ad ulteriore TC cranio di controllo prima delle dimissione, presentava fenomeni emorragici intracranici tardivi, senza indicazioni all’intervento neurochirurgico. Peraltro, questi 2 pazienti presentavano concomitante terapia antiaggregante con ASA (acido acetilsalicilico) e risultavano tra i soggetti che avevano sperimentato perdita di coscienza in seguito al trauma. Questi risultati hanno indotto Kaen et al. a concludere che la prassi di uno studio TC routinario in questo subset di pazienti risulta essere eccessiva e che la gestione clinica dovrebbe limitarsi al follow-up neurologico intensivo di 24 ore, riservando un ulteriore controllo imaging soltanto ai rari pazienti che presentassero modificazioni rilevanti della clinica. E’ importante notare, però, che anche questo studio presenta importanti limitazioni, tra cui la contemporanea inclusione di pazienti in OAT e in terapia anticoagulante parenterale (eparina) nel campione in esame; infatti le differenze farmacologiche di queste classi di anticoagulanti potrebbero essere alla base delle profonde discrepanze di esito tra i due studi riportati.

Si sono poi susseguiti una serie di studi sperimentali che si sono interrogati sulle evidenze dell’osservazione breve dopo la prima Tcsmc negativa e su quale fosse il periodo necessario di osservazione in questi pazienti e quali di essi e per quali fattori fossero a maggiore rischio di eventi emorragici tardivi.

Le questioni sono varie: quantificare il rischio di ICH tardiva nei pazienti in terapia anticoagulante, individuare le differenze tra le due sottoclassi di farmaci; alcuni autori si concentrano su gruppi più ampi di pazienti e si interrogano sulla necessità della ripetizione di TCsmc74 75, altri si chiedono la validità e la durata dell’osservazione, altri ancora cercano di individuare a quali pazienti in particolare è necessario concedere l’osservazione, per quali fattori di rischio70, 76.

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I dati di Nishijima in un importante studio del 2012 riportavano il dato delle emorragie tardive in warfarin dello 0.6% e su queste basi proponevano che si iniziasse a considerare ragionevole una dimissione a domicilio senza ulteriore TCsmc dopo una prima TCsmc negativa, fornendo adeguate istruzioni al paziente.

Il lavoro di McCammack et al. (2015) cercava di valutare la validità della pratica di ripetizione di TC seriate ma conclude che una seconda TCsmc di controllo a 6 ore dalla prima non sia indicata nei pazienti con terapia anticoagulante orale con prima TCsmc negativa poiché nel loro studio è stato dimostrato soltanto un caso77. Questi

dati vanno a conferma del lavoro di Peck et al. che nel 2011 riportava solo un 1% di casi su 500 pazienti positivi per ICH alla TCsmc effettuata a 6 ore dalla prima78.

La meta-analisi di Chauny et al. pubblicata sul Journal of Emergency Medicine nel 2016 sul rischio di insorgenza delle ICH traumatiche nei pazienti in terapia anticoagulante, descrive un dato dello 0,6% per le emorragie tardive a seguito di un trauma cranico lieve sebbene questo dato fosse comprensivo di pazienti in terapia anticoagulante e antiaggregante79 e afferma che la ripetizione della TCsmc a 24 ore a

seguito del risultato negativo della prima non si rende necessaria in assenza di altri fattori quali traumi a dinamica maggiore, segni di deterioramento neurologico o concomitante terapia antiggregante piastrinica.

Lo studio di Schoonman del 2014 evidenzia bassi tassi di emorragie tardive che si sono verificate dai 2 ai 24 giorni dopo alla luce di ciò perderebbe di significato anche l’osservazione di 24 ore in quanto non in grado di individuare eventuali emorragie che potrebbero verificarsi in un secondo momento.

Anche i dati più attuali dello studio di Feeney del 2016 sulle emorragie traumatiche in OAT segnalano una mortalità migliorata, ridotti tassi di intervento chirurgico in pazienti affetti da ICH traumatica associata all’uso di DOACs rispetto ad un simile gruppo in terapia con Warfarin.

Uno studio più recente, del 2017, di Scantling et al. ha confermato i dati già presenti in letteratura riportando un rischio di ICH tardiva di 0.85% su 234 pazienti considerati (95% CI 0.1-3.1%) , soltanto una piccolissima percentuale di essi ha mostrato una TCsmc a 12 h (D-CTH) dalla prima positiva per emorragia di questi nessuno (0%) ha modificato il suo percorso clinico in base al risultato della TCsmc

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tardiva 80 concludendo che una D-CTH nei pazienti che assumono terapia anticoagulante non mostra alcun vantaggio statisticamente significativo o clinico per la diagnosi di emorragia intracranica tardiva dopo trauma cranico lieve80 .

Le discrepanze tra gli approcci delle varie linee guida dimostrano l'assenza di un accordo generale su ciò che dovrebbe essere la gestione clinica più adeguata dei pazienti che subiscono un MTBI in terapia con OAT. Le questioni aperte rimangono l’esecuzione di indagini TCsmc, l’osservazione clinica e la presenza di co-fattori di rischio associati che siano predittori precoci di lesioni emorragiche e di outcome avverso, tra i quali ormai risultano ampiamente accettati i sintomi di deterioramento neurologico e le caratteristiche del trauma piuttosto che l’INR81.

Inoltre, ancora in merito al rischio di emorragie acuta in pazienti vittime di MTBI, non è chiaro quali sarebbero i co-fattori di rischio emorragico che potrebbero aumentare significativamente il tasso di ICH traumatiche nei pazienti in trattamento OAT18 . Mentre questi fattori di rischio sono ormai ben indagati nel caso di ICH

spontanee in cui si è visto che l’età avanzata, l’intensità dell’anticoagulazione, l’ipertensione e un precedente cerebrovascolare possono essere influenti sulla gravità dell’entità dell’ICH, il campo di ricerca sui predittori nelle emorragie traumatiche in OAT è all’inizio della sua esplorazione.

In particolare, Cohn et al. (2014) avevano attribuito un ruolo di particolare rilevanza a fattori di rischio di ICH quali la concomitante assunzione di terapia antiaggregante piastrinica e la presenza di un INR elevato18, lo studio di McCammack et al. (2015) aveva evidenziato alcuni fattori quali di rischio di ICH traumatica acuta: variazione del GCS, segni di deterioramento neurologico, LOC, terapia antiaggregante concomitante con Clopidogrel, Aspirina o entrambi77.

Per concludere, rimane controverso se le raccomandazioni emerse dagli studi precedenti dovrebbero essere applicate a tutti i pazienti anticoagulanti con MTBI o forse solo a quelli più anziani con traumi più significativi, con comorbidità o con un elevato livello di effetto anticoagulante (INR, aPTT)1, 14, 18, 82, 83.

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Pertanto, fino ad oggi non è definita quale sia la gestione ottimale dell'osservazione e l’algoritmo diagnostico terapeutico dei pazienti in trattamento anticoagulante con VKAS o DOAC vittime di MTBI.

Alla luce dei problemi finora portati in evidenza, risulta fondamentale la necessità di definire un ottimale piano di gestione diagnostica, terapeutica ed eventualmente di follow-up dei pazienti vittime di trauma cranico di lieve entità in terapia con farmaci anticoagulanti orali, sia classici (VKAS) che nuovi (DOAC).

La finalità di questo studio pertanto è stata quella di stimare il tasso di prevalenza di emorragia intracranica (ICH) traumatica acuta conseguente a trauma cranico lieve (MTBI, GCS 13-15) nei pazienti in terapia anticoagulante orale, con i farmaci Antagonisti della Vitamina K (VKAS, warfarin o acenocumarolo) o con gli Anticoagulanti Orali Diretti (DOAC), confrontando i pazienti con DOAC e VKAS e valutare il tasso d’incidenza di emorragia intracranica traumatica a esordio tardivo con esito negativo per emorragia intracranica alla TC cranio senza mezzo di contrasto (TCsmc) eseguita all’accesso al DEA.

Obiettivi secondari dello studio sono stati valutare l'efficacia e la sicurezza di un protocollo di gestione diagnostico-terapeutica del MTBI nei pazienti in OAT basato sull’osservazione clinica facendo riferimento alle linee guida NICE 2014; ed identificare la possibile presenza di co-fattori pre-traumatici di rischio emorragico capaci di predire un peggior risultato nei pazienti vittime di trauma cranico lieve in terapia anticoagulante orale.

Il protocollo di questo studio osservazionale prospettico monocentrico, condotto sui pazienti in OAT e vittime di MTBI presentatisi al Pronto Soccorso del DEA Dipartimento d’Emergenza e Accettazione (DEA di II livello) dell’Ospedale Nuovo Santa Chiara, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana AOUP in un periodo di 15 mesi; prevedeva che tutti i pazienti trattati con OAT e vittime di MTBI fossero sottoposti ad una TCsmc entro 6 ore dall’accesso al DEA, in accordo con il protocollo di gestione del trauma attualmente in uso in AOUP.

I pazienti che non hanno presentato lesioni emorragiche traumatiche intracraniche acute alla prima TCsmc sono stati trattenuti per 24 ore nella sezione di

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OBI (Osservazione Breve Intensiva) del Pronto Soccorso. In questo periodo di osservazione i pazienti sono stati sottoposti periodicamente (ogni 4-6 ore) ad una valutazione clinica generale e neurologica al fine di identificare l’eventuale comparsa di segni o sintomi neurologici focali indicativi di complicanze subacute intracraniche. L’indicazione del protocollo era di non sospendere né sostituire la OAT con la somministrazione di farmaci anticoagulanti parenterali. Qualora i pazienti si fossero mantenuti asintomatici e stabili nel corso delle 24 ore di ricovero, veniva loro consegnato il modulo informativo con le istruzioni per l’osservazione domiciliare in seguito a MTBI (riportato in Allegato) e infine dimessi a domicilio.

Il protocollo standardizzato di gestione diagnostico-terapeutica messo in atto nel corso di questo studio ha previsto di non sottoporre i pazienti a un ulteriore TCsmc di controllo prima della dimissione a domicilio, in accordo con le raccomandazioni delle recenti linee guida NICE (2014), ma di eseguirlo soltanto nel caso in cui si presentassero segni o sintomi di deterioramento neurologico oppure qualora lo score GCS del paziente non fosse tornato a un valore di 15 nel corso del periodo di osservazione in seguito al trauma cranico. Nel caso in cui il medico incaricato del paziente traumatizzato avesse comunque deciso di sottoporlo a una TCsmc di controllo prima della dimissione ( come consentito e previsto dalle linee guida aziendali) oppure nel caso in cui il paziente avesse eseguito una TCsmc nei giorni o mesi successivi al trauma, i referti di questi esami verranno ricercati ed esaminati nell’archivio informatizzato di immagini radiologiche (SUITEXTENSA®), così da valutare l’eventuale insorgenza di lesioni intracraniche traumatiche a esordio tardivo.

A distanza di almeno 30 giorni, è stato eseguito il follow-up per ogni singolo paziente attraverso un’ intervista telefonica. Infine, a distanza di un mese dal trauma, le cartelle cliniche informatizzate dei pazienti (FIRST-AID®) relative all’accesso al DEA per il MTBI e a tutti gli eventuali ulteriori accessi avvenuti successivamente sono state esaminate al fine di ottenere tutte le informazioni e i parametri clinici, laboratoristici e strumentali necessari allo studio.

L’esecuzione di un ulteriore controllo imaging del cranio con TCsmc non era un elemento necessario nel protocollo di follow-up di questo campione di pazienti, per

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cui la decisione di prescrivere questo esame aggiuntivo è stata lasciata alla discrezione dei medici del DEA al momento della dimissione dei pazienti.

Per concludere, un obiettivo importante che ci ha fatto da guida nel nostro percorso di ricerca è stato di arrivare, tramite solide evidenze scientifiche, a fare chiarezza sull’approccio ai pazienti traumatizzati in terapia anticoagulante orale con lesioni craniche lievi in modo da rendere più semplice, efficace e standardizzato sul territorio il lavoro del Medico d’Urgenza di fronte a questa evenienza sempre più frequente aumentando anche la sicurezza per il paziente con una notevole diminuzione dei costi in termini di salute e di spesa sanitaria.

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2. IL

TRAUMA

CRANICO

LIEVE

2.1 Introduzione

Il trauma cranico lieve (MTBI, Mild Traumatic Brain Injury) è una condizione molto comune nei dipartimenti di Emergenza-Urgenza in tutto il mondo, infatti rappresenta circa il 70-90%6, 84 di tutti i traumi cranici, che di per sé costituiscono causa del 3,6% di tutti gli accessi in ED all’anno6, con una prevalenza nella popolazione generale del

2%, configurandosi come un importante problema di sanità pubblica al giorno d’oggi82.

Tuttavia questa condizione è ancora scarsamente caratterizzata in termini di definizione, epidemiologia, storia naturale e gestione clinica poiché non vi è uniformità metodologica nei sempre più numerosi studi al riguardo.

Seppure il MTBI venga considerata una condizione generalmente benigna e priva di sequele, può in alcuni casi associarsi a complicanze anche severe, a breve o a lungo termine, specialmente nei pazienti anziani e con comorbidità.

Per questo diventa fondamentale stabilire una appropriata gestione clinica di questa condizione al fine di identificare immediatamente le emergenze neurologiche. Un pronto riconoscimento permetterebbe infatti di prevedere e trattare le sequele neurologiche , così da impedire lo sviluppo di danni cerebrali permanenti e garantire la preservazione della qualità di vita del paziente.

2.2 Classificazione del trauma cranico e

definizione del trauma cranico lieve

Nonostante il trauma cranico sia tra le condizioni neurologiche più comuni, la definizione precisa e la diagnosi accurata rimangono problematiche a causa dell’eterogeneità di questa condizione. Infatti la definizione di trauma cranico (TBI) è ampiamente variabile in letteratura; vi sono numerose modalità per classificare i

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Glasgow Coma Scale, GCS), alla presenza di markers di danno cerebrale al neuroimaging, alla dinamica del trauma e ai meccanismi di danno, in base a parametri laboratoristici, oppure stratificando la popolazione per età, comorbidità e così via. Nonostante vi siano stati alcuni tentativi di definire degli affidabili modelli prognostici che tenessero di conto di tutti questi parametri85, nella pratica clinica risulta più utile considerare queste variabili in modo indipendente.

Uno dei metodi più comuni per valutare la gravità del danno cerebrale traumatico, utilizzato sia dai medici che dagli epidemiologi, è la Glasgow Coma Scale (GCS) 86. Pubblicata nel 1974 da Teasdale e Jennett87, professori di neurochirurgia

presso l'Istituto di Scienze Neurologiche dell'Università di Glasgow, questo punteggio mira a valutare la gravità del danno cerebrale basata su tre aspetti comportamentali: la responsività oculare, verbale e motoria. Tradizionalmente, la GCS classifica il TBI in tre categorie definite come lieve (GCS 14-15), moderato (GCS 9-13) o grave (GCS 3-8)88, 89.

L'Advanced Trauma Life Support (ATLS) ha modificato questa classificazione in modo che un punteggio GCS di 13 sia classificato come TBI lieve . Un altro strumento per la valutazione della gravità della lesione cerebrale, meno suscettibile ad alcune limitazioni analizzate in seguito del GCS, è la Abbreviated Injury Scale (AIS)90. In contrasto con la GCS, l'AIS è un sistema di punteggio globale basato su aspetti anatomici che classifica ogni lesione presente in una determinata regione del corpo a seconda della sua gravità relativa su una scala ordinale di sei punti, fa parte dell' Injury Severity Score (ISS) che è un punteggio medico utilizzato per valutare la gravità del trauma ed è correlato con la mortalità, la morbilità e la durata dell'ospedalizzazione dopo il trauma91. Nello studio di Savitsky del 2016 viene proposta una classificazione della gravità del trauma cranico in base al punteggio AIS in quanto sembrava essere più sensibile per il riconoscimento del trauma cranico severo , gli autori suggerivano quindi l'utilizzo di AIS ≥ 5 per la definizione di TBI grave, AIS di 3-4 per TBI moderata e AIS di 1-2 per la definizione di TBI lieve90.

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Questo score può servire come un utile predittore di esiti gravi di lesioni alla testa, in particolare in situazioni in cui l'accuratezza del punteggio iniziale GCS può essere in dubbio. Tuttavia, la definizione di TBI grave attraverso il punteggio AIS non è univoca tra i vari studi: in alcuni studi un grave TBI è definito da un AIS ≥ 3 , mentre in altri come AIS ≥ 4 92 . L'utilizzo di una diversa categorizzazione nella ricerca delle lesioni del cranio rende problematica l'interpretazione dei risultati cumulativi, poiché le lesioni definite severe in uno studio possono essere definite come moderate in un altro 90, 93.

Nonostante ciò gli autori sono concordi nel sostenere che la Glasgow coma scale rimanga uno dei migliori strumenti di misura della severità trattamento e prognosi sebbene la sua applicabilità alla ricerca epidemiologica sia limitata da diversi fattori90.

Sebbene la classificazione della gravità del TBI sia effettuata preferenzialmente mediante la valutazione dello score GCS o dei reperti di neuroimaging, vi sono altri elementi in base ai quali sarebbe possibile effettuare una stratificazione prognostica e terapeutica del TBI:

• Dinamica del trauma, in base alla quale è possibile, ad esempio, distinguere un trauma cerebrale da lesione chiusa oppure da lesione penetrante alla testa. • Biomeccanica del trauma, secondo la quale si differenziano i TBI da impatto

diretto dai TBI indiretti. Nel primo caso la testa è colpita da un oggetto, oppure il moto della stessa è arrestato violentemente da un ostacolo esterno; nel secondo il contenuto della scatola cranica è sottoposto ad uno spostamento, e quindi ad un traumatismo, secondariamente all’applicazione di forze differenti dall’impatto tra il cranio ed un oggetto esterno, così come avviene nei traumi da accelerazione-decelerazione.

• Contemporanea presenza di traumatismi extracranici, in circa il 35% dei casi di TBI94. La gravità del TBI è fortemente correlata al coinvolgimento traumatico di altre sedi corporee: complicanze sistemiche del trauma, quali l’ipossia, l’ipotensione, l’anemia e l’iperpiressia, possono far precipitare le funzioni neurologiche95.

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Appare evidente che per affrontare la composita problematica del TBI, sia necessaria una metodologia standardizzata. L'analisi di trial controllati randomizzati nello studio TBI (IMPACT) ha fornito novità per questo aspetto offrendo il potenziale di aumentare l’efficienza statistica dei trials clinici fino al 50% . Questo studio si propone in primo luogo di affrontare l’eterogeneità del TBI come malattia in termini di cause, fisiopatologia, trattamento e risultato poiché la molteplicità dei dati presenti in letteratura rende la ricerca in TBI particolarmente impegnativa e in secondo luogo di spiegare perché molti studi clinici randomizzati (RCT) non hanno mostrato risultati statisticamente significativi. Purtroppo il set di dati IMPACT non ha incluso i pazienti con trauma cranico lieve e i modelli IMPACT non sono pertanto validi per il MTBI nonostante il fatto che fino al 95% dei TBI siano lievi. Probabilmente in futuro verrà realizzata una classificazione più omogenea del TBI, che faccia prevalentemente riferimento ai meccanismi fisiopatologici del danno cerebrale, così da ottimizzare l’approccio terapeutico96.

2.2.2 Definizione del TBI in base alla severità del quadro

clinico: la GCS

Il metodo più frequentemente adottato per la classificazione del TBI consiste nella valutazione di scores di severità del quadro clinico. La Glasgow Coma Scale (GCS) è lo strumento clinico comunemente utilizzato per definire la gravità del TBI e per il follow-up dello stato neurologico del malato87.

La GCS valuta la responsività oculare, verbale e motoria a stimoli applicati dall’operatore sul paziente. Questa scala di valutazione neurologica fu realizzata per la valutazione dei pazienti vittime di TBI dopo almeno 6 ore dal trauma e la sua applicabilità prevedeva che si trattasse di TBI isolato, in un paziente emodinamicamente stabile e in assenza di ipossia; ciononostante, la sua dimostrata affidabilità, la riproducibilità, il valore predittivo per la prognosi generale e la semplicità di applicazione hanno reso la GCS lo strumento standard di valutazione di tutte le alterazioni dello stato mentale nel setting acuto87.

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L’applicazione della GCS, tuttavia, presenta delle limitazioni, soprattutto entro le prime 6 ore dal TBI: l’ipossia, l’ipotensione e le intossicazioni possono falsamente diminuire il punteggio GCS iniziale; inoltre, la paralisi e la sedazione farmacologica, l’intubazione endotracheale, le fratture ossee a carico delle estremità o le lesioni spinali, le ferite sul volto e i traumi oculari sono fattori di confondimento per il calcolo dello score97. Peraltro la GCS non tiene in considerazione la valutazione dei

riflessi tronco-encefalici e dei riflessi pupillari, per cui il suo valore prognostico nel setting acuto non è affidabile. Sono stati proposti sistemi di valutazione neurologica alternativi, come il Full Outline of Unresponsiveness (FOUR) Score98, che includano

anche lo studio delle funzioni del tronco encefalico, ma hanno ottenuto scarso successo nella pratica clinica.

Essendo utile come è per scopi clinici, l'utilizzo di GCS per studi epidemiologici non è sempre ottimale. Innanzitutto, gli studi epidemiologici nel campo del trauma sono spesso basati su Registri Trauma, il cui limite noto è la capacità di raccogliere e registrare eventi pre-ospedalieri. La conseguente incongruenza nella registrazione di alcune informazioni critiche come il punteggio GCS sul campo impedisce ai ricercatori di incorporare queste preziose informazioni nelle loro indagini. L'utilizzo dei dati del dipartimento di emergenza (ED) sul GCS è anche limitato, poiché come già visto l'intubazione e la sedazione pre-ospedaliera compromettono la capacità di ottenere un punteggio GCS accurato in ED influenzando i parametri fisiologici misurati [8]. Inoltre, GCS è uno strumento di misurazione non valido per i pazienti affetti da stress psicologico, lesioni alla faccia o sotto l'influenza dell'alcool o di droghe.

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Figura 1. Glasgow Coma Scale. (William G. Heegaard MHB. Head Injury. In: John

A. Marx RSH, Ron M. Walls, Michelle H. Biros et al., ed. Rosen's Emergency Medicine: concepts and clinical practice 8th ed. ed; 2014: 339-67)

Il TBI è più comunemente classificato secondo lo score GCS, misurato approssimativamente a 30 minuti dal trauma, in: • Trauma cranico lieve (MTBI), quando lo score GCS è 13-15; • Trauma cranico moderato, quando lo score GCS è 9-12; • Trauma cranico severo, quando lo score GCS è ≤ 88,9,17,23. Secondi alcuni studi i pazienti con TBI ed uno score GCS di 13 dovrebbero essere classificati come traumi cranici moderati, in quanto sembrerebbero caratterizzati da una peggiore prognosi e un’incidenza di lesioni intracraniche più elevata71, 99, 100.

2.2.3 Definizione del MTBI

Uno dei principali problemi della letteratura su questo argomento è la mancanza di una definizione coerente di MTBI. Le linee guida pubblicate da alcune

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organizzazioni internazionali forniscono varie definizioni, alcune concordano sul fatto che il meccanismo di azione del trauma debba comportare una forza esterna sbilanciata con una fisiologica risultante alterazione nella funzione del cervello, la maggior parte inoltre concorda sul fatto che il punteggio GCS presentante dovrebbe essere da 13 a 15, che ogni perdita di coscienza dovrebbe essere inferiore a 30 minuti, e che la durata dell'amnesia post-traumatica dovrebbe essere inferiore a 24 ore, ma differiscono ad esempio sul fatto che il termine concussione possa o no essere usato in maniera intercambiabile con MTBI101.

Questa discordanza probabilmente è dovuta alla notevole variabilità nei criteri di inclusione, nella metodologia e nelle variabili di esito misurate dai vari studi condotti finora. Gli studi sono distribuiti su una vasta gamma di riviste di differenti discipline e provengono da molti paesi diversi. Di conseguenza, vi è stato un accumulo di un gran numero di studi in cui ciascuno ha utilizzato un diverso metodo di analisi sulla popolazione in oggetto perciò non si possono trarre profitti da questi dati poiché non sono stati raccolti in modo uniforme102.

Nonostante le definizioni di trauma cranico lieve presenti il letteratura siano più di cinquanta, storicamente ce ne sono alcune ampiamente utilizzate, ripercorriamole cronologicamente:

§ ACRM 1993

Il Congresso Americano della Medicina Riabilitativa ha delineato i criteri di inclusione per una diagnosi di TBI lieve, di cui almeno uno dei seguenti deve essere rispettato:

1. Qualsiasi periodo di perdita di coscienza inferiore a 30 minuti

un punteggio alla Glasgow Coma Scale (GCS) da 13 a 15 dopo la risoluzione di questo periodo di perdita di coscienza;

2. Qualsiasi amnesia dell'evento immediatamente prima o dopo l'incidente, con una durata inferiore a 24 ore;

3. Qualsiasi alterazione dello stato mentale al momento dell'incidente (ad esempio, stordimento, disorientamento e confusione).

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• CDC, 2004. Secondo il centro per il controllo e prevenzione delle malattie (CDC), un TBI è causato da un urto, un colpo o un colpo alla testa o una lesione alla testa penetrante che interferisce con la normale funzione del cervello a causa di un brusco trasferimento di energia al cranio. Questa definizione del CDC si basa sui codici diagnostici della Classificazione Internazionale della Malattia (ICD) riportati da Marr e Coronado.

• WHO, 2004. Nel 2004 l'Organizzazione Mondiale della Sanità con la Task Force sul trauma cranico lieve ha proposto una definizione di TBI lieve sulla base della revisione della letteratura. I loro criteri sono simili a quelli proposti da ACRM, ma specificano l'uso del punteggio GCS di 13-15 al momento della presentazione definendo il trauma cranico lieve come un trauma risultante dalla trasmissione di energia meccanica da parte di forze esterne al cranio.

I criteri operativi per l'identificazione clinica includono 1 o più dei seguenti: Ø Confusione o disorientamento, perdita di coscienza inferiore od uguale a

30 minuti, amnesia post-traumatica per meno di 24 ore e / o altre anomalie neurologiche transitorie quali segni focali, crisi epilettiche e lesioni intracraniche emorragiche, che non richiedono l'intervento chirurgico;

Ø Punteggio GCS di 13-15 30 minuti dopo il trauma.

Devono essere escluse altre cause (Traumi psichici, barriere linguistiche o coesistenti condizioni mediche) o causati da lesioni craniocerebrali penetranti

• ACEP 2008

L’American College of Emergency Physicians definisce il trauma cranico lieve come il risultato di un trauma non penetrante alla testa in pazienti con un GCS di 14-15 all’accesso in DEA, specificando che nè la perdita di coscienza nè l’amnesia post-traumatica possono essere criteri attendibili per la distinzione del trauma cranico lieve rispetto agli altri tipi di diversa entità.

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• VA/DoD 2009

Più recentemente, nel 2009, il Dipartimento di Affari dei Veterani negli Stati Uniti (VA/DoD) ha emesso un orientamento clinico-pratico per la gestione di concussioni e trauma cranico lieve. Questa linea guida ha stabilito criteri analoghi a quelli dell'ACRM per la diagnosi di lesioni cerebrali nei soldati, con il criterio supplementare che la perdita di coscienza abbia una durata inferiore alle 24 ore e che l'imaging strutturale sia normale103. A causa dell'elevata incidenza di TBI

riportato nel personale militare che torna dal combattimento (Hill et al., 2009), è importante avere linee guida rigorose per differenziare il trauma cranico lieve dalla patologia non traumatica, specialmente quando vi è una grande sovrapposizione nei sintomi tra il MTBI e della sindrome da stress post-traumatico (PTSD).

• EAST nel 2012

Secondo Barbosa et al. che si sono occupati del problema per la Eastern Association for the Surgery of trauma il MTBI è definito come una alterazione acuta della funzione del cervello successivo ad un trauma da impatto con una forza esterna ed è caratterizzata da un punteggio di 13 - 15 di Glasgow Coma Scale (GCS), perdita di coscienza per 30 minuti o meno e una durata dell'amnesia post-traumatica pari o inferiore alle 24 ore con risultato negativo per anomalie intracraniche alla TC, se eseguita.

Altri aspetti della definizione di MTBI variano tra questi quattro orientamenti. I pazienti che soffrono di crisi epilettiche dopo il trauma possono ancora essere considerati come un MTBI secondo alcune definizioni ma sarebbero esclusi da quella dell’EAST e la questione non è stata affrontata in altre linee guida nè dall’ACRM nè da VA/DoD. La presenza di un deficit neurologico focale è consentita ad esempio nella definizione dell’ ACRM ma non nelle altre definizioni. Gli orientamenti del CDC indicano che alcuni pazienti con risultati positivi alla scansione TC del cervello possono ancora essere considerati come MTBI, 1 ma nelle linee guida VA / DoD2 e

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2001 EAST, la ricerca CT deve essere negativa e la definizione ACRM afferma che la scansione CT può essere normale

Esiste anche il disaccordo sul fatto che i concetti di termini e MTBI siano sinonimi. Le linee guida VA / DoD raccomandano che i termini siano utilizzati in modo intercambiabile nel registro medico e nelle comunicazioni con i pazienti mentre la dichiarazione di consenso 2009 sulla Concussione nello Sport, un documento della medicina sportiva fortemente indicato, afferma che il MTBI è un processo distinto dalla concussione e che i termini non devono essere utilizzati in modo intercambiabile. Tuttavia, il gruppo non ha proposto una definizione precisa di MTBI o di come potrebbe essere distinto dalla concussione. In generale, la letteratura medica soprattutto nell’ambito dell’emergenza tende ad usare il termine MTBI, e la letteratura della medicina dello sport tende ad usare il termine concussione.

2.2.1.1 Differenza tra MTBI e commozione cerebrale

Il termine commozione cerebrale (o concussione cerebrale, CC) viene spesso utilizzato come sinonimo di MTBI101; in realtà esso fa riferimento a una categoria ristretta nel contesto del MTBI, caratterizzata dalla presenza di un’alterazione transitoria delle funzioni neurologiche conseguente a un trauma da accelerazione-decelerazione o di tipo rotazionale tipicamente associato agli “sport da contatto”.

La definizione di CC approvata in seguito alla International Consensus Conference on Concussion in Sport (Zurigo, 2012) sostiene che “la commozione cerebrale è una forma di trauma cranico, ed è definita da un complesso processo fisiopatologico a carico dell’encefalo e provocato da forze biomeccaniche. Le caratteristiche comuni che definiscono la natura concussiva di un trauma cranico sono:

• La CC è provocata da un impatto diretto al capo, al collo o a qualsiasi altra regione corporea sotto-forma di forza “impulsiva” trasmessa alla testa;

• La CC esita tipicamente in una rapida e transitoria alterazione delle funzioni neurologiche, che si risolve spontaneamente. In alcuni casi, però, i sintomi e i segni possono evolvere e persistere per minuti o ore;

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