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2 METODOLOGIE DI INDAGINE ED ACQUISIZIONE DAT

2.6 ELABORAZIONE DAT

La possibilità di ottenere prodotti cartografici digitali correttamente georeferenziati e ad alta risoluzione dipende dalle metodologie d’acquisizione, ma anche dalle procedure di elaborazione dei dati, che possono influenzare notevolmente la qualità dei prodotti finali sia in termini di accuratezza che di risoluzione. L’ elaborazione dei dati geofisici e soprattutto di quelli multibeam, che ha richiesto un lungo ed accurato lavoro, costituisce una fase molto importante ai fini di una corretta rappresentazione tridimensionale attraverso DTM (modello digitale del terreno) e di una valida interpretazione delle morfologie sommerse.

L’elaborazione dei dati multibeam si compone principalmente di due fasi: calibrazione e filtraggio.

1) La calibrazione permette una verifica dei dati registrati dai sensori connessi al multibeam e l’eliminazione di eventuali errori grossolani. La calibrazione dei dati “grezzi” si effettua sia in fase di acquisizione (realizzando delle strisciate su target morfologici noti) che in post processing e permette di verificare i file di navigazione, di variazione di assetto dell’imbarcazione lungo le tre direzioni spaziali (roll, pitch, heave), di variazione del livello del mare nonché i dati relativi alla velocità dell’acqua e l’orientamento del sistema d’acquisizion

2) Il filtraggio dei dati si basa sull’impiego di filtri statistici e geometrici per eliminare spike di diversa natura. Tali filtri possono essere applicati sia in fase d’acquisizione che di elaborazione dei dati. I filtri che agiscono sull’ingresso nei dati “grezzi” sono quelli di profondità, per raggio e di scala e permettono di eliminare errori grossolani e artefatti localizzati sulle parti esterne della strisciata o multiple in prossimità di rilievi sotto costa. I filtri che possono essere applicati e rimossi ripetutamente in post- processing sono il filtro per raggio, di profondità, per angolo alla verticale, d’intersezione, di qualità, statistico, per numero di beam per cella e per esclusione dei beam. In fig. 2.18 è visualizzato un esempio di filtraggio dei soundings.

A seguito dell’elaborazione delle singole strisciate i dati vengono successivamente mediati in celle (grid) di dimensioni variabili in funzione del valore medio della densità di distribuzione dei punti ed interpolati. Sul DTM ottenuto, vengono realizzate ulteriori correzioni per l’eliminazione di spike residui mediante editing manuale, che permette la rimozione dell’intera cella in cui lo spike è localizzato.

La restituzione cartografica digitale dei dati multibeam costituisce l’ultima fase del processing e viene realizzata attraverso differenti prodotti cartografici (contouring, rilievi ombreggiati, carta delle pendenze, ecc), ottenuti attraverso numerosi algoritmi di interpolazione. Infine i vari DTM ottenuti vengono integrati per la generazione di un mosaico; nel presente lavoro il mosaico è stato realizzato sovrapponendo le varie strisciate dotate di risoluzione più alta su quelle con risoluzione più bassa.

Fig. 2.18 Eliminazione dei

soundings attraverso l’applicazione dei filtri di range e di depth in fase di acquisizione.

I dati multibeam acquisiti nel sotto-costa sono stati elaborati con una risoluzione sub- metrica, molto utile per individuare elementi morfologici di piccola estensione (fig. 2.19).

Fig. 2.19 Esempi di elaborazione multibeam ad alta risoluzione: a sinistra particolare dei basalti colonnari a largo di Acitrezza, a destra un relitto a largo della Timpa di Acireale.

L'elaborazione e la restituzione dei dati multibeam acquisiti durante le campagne oceanografiche è stata realizzata utilizzando in fase di acquisizione il software PDS 2000 ed in fase di processing CARIS Hips & Sips che è stato utilizzato anche per elaborare i dati Side Scan Sonar. I DTM sono stati generati, elaborati, visualizzati ed analizzati per mezzo di programmi quali Surfer, MicroStation e Global Mapper. L'elaborazione dei dati sismici Sparker e Sub Bottom Profiler è stata effettuata ricorrendo ad altri programmi come SeisPhro, SeiSee e Geo-Suite per la visualizzazione e l'applicazione di filtri.

Infine per l'elaborazione grafica delle immagini multibeam e dei sonogrammi ci si è avvalsi dei software Adobe Photoshop e CorelDraw.

2.7 RILIEVI ROV

I Rov (Remotley Operated Vehicle) sono robot piccoli e di facile manovrabilità, collegati ad una nave, da cui gli giungono i comandi attraverso un ombellicale, che permette di scambiare corrente elettrica, segnali video e dati. La gamma delle applicazioni di questi strumenti subacquei è varia e, a seconda dei compiti da assolvere, possono montare diverse apparecchiature, tra cui sonars, magnetometri, videocamere, braccio manipolatore o con pinze, campionatori d'acqua, strumenti che misurano la limpidità dell'acqua, la penetrazione della luce e la temperatura, sistemi di posizionamento ed altro ancora. Un sistema di posizionamento acustico subacqueo permette di determinare con precisione la posizione del R.O.V.: il trasduttore del HPR (Hydroacoustic Position Reference) (istallato sull'imbarcazione) comunica con il transponder (sul veicolo subacqueo) e calcola la posizione di quest'ultimo espressa in coordinate polari relative. Il software di navigazione trasforma successivamente le coordinate polari in coordinate geografiche.

Nel caso dell’esplorazione dell’offshore etneo è stato impiegato un ROV Pollux by GEI (300 m di profondità operativa) essenzialmente per eseguire ispezioni visive (fig. 2.20) a profondità troppo elevate per essere raggiunte tramite normali immersioni ARA (AutoRespiratori ad Aria). Nonostante il ROV si sia rivelato molto utile ai fini delle indagini, la non facile reperibilità dello strumento e la sua delicata meccanica che richiede continua manutenzione ne hanno ridotto di molto la possibilità d’impiego.

2.8 CAMPIONAMENTI

Fig. 2.20 Il ROV utilizzato nei rilievi nell’offshore etneo (sinistra) ed una foto scattata dal ROV a 61 m di profondità

2.7 CAMPIONAMENTI

Nel corso di alcune tra le campagne oceanografiche effettuate nell’offshore etneo sono stati realizzati dei campionamenti del fondale marino.

Sebbene questo tipo di indagine sia notevolmente limitata da diversi fattori quali le condizioni ambientali (moto ondoso, correnti) e la presenza di reti da pesca, cavi sottomarini e altre imbarcazioni, essa fornisce preziose informazioni ai fini della caratterizzazione litologica del fondale.

I campionamenti effettuati in questa indagine sono rappresentati da dragaggi, bennate e carotaggi.

Il dragaggio costituisce uno tra le metodologie di campionamento più usate grazie alla sua efficacia e alla relativa velocità d’esecuzione. Esso va effettuato trascinando sul fondale marino un cilindro (di varie dimensioni) che presenta una particolare dentatura in corrispondenza della “bocca” utile a strappare le porzioni rocciose. Una volta accertato l’arrivo sul fondo della draga (per mezzo di un repentino abbassamento del tiraggio del cavo) si registrano i vari “strappi” (picchi nel tiraggio) che la draga effettua mentre viene trainata dalla nave e che stanno ad indicare il parziale o completo riempimento della draga stessa. Il dragaggio viene utilizzato per “strappare” porzioni rocciose in situ e per questo viene realizzato “in salita” (lungo tracciati via via meno profondi). Il limite di questo tipo di campionamento e la non esatta collocazione del prelievo essendo un’operazione che solitamente prevede decine o a volte centinaia di metri di trascinamento della draga e la conseguente imprecisa individuazione dello strappo che ha fatto riempire la stessa. Nelle indagini è stata utilizzata una draga a tazza di circa 2 m di altezza che ha permesso di eseguire importanti campionamenti di rocce in posto in corrispondenza degli elementi morfo-strutturali principali.

La bennata rappresenta un tipo di campionamento puntuale utilizzato per caratterizzare litologicamente solo la parte più superficiale del fondale; per questo motivo i campionamenti realizzati con le benne sono preferibili quando si vuole studiare da un punto di vista litologico-paleotologico la porzione pellicolare del fondale marino. Nel corso delle indagini condotte nell’offshore etneo è stata utilizzata una Benna Van Veen da 25 litri allo scopo di campionare l’eventuale presenza di recenti depositi di paleo spiaggia localizzati in corrispondenza della Dorsale di Riposto e di livelli di tephra intervallati ai depositi olocenici.

Il carotaggio, infine, rappresenta il tipo di campionamento puntuale più preciso ma anche più lungo in termini di durata a causa della complessità della strumentazione utilizzata. Esso permette di ricostruire l’esatta successione stratigrafica del fondale mediante la perforazione (dovuta alla caduta per gravità del carotiere che si infigge nel fondale) e successivo campionamento di una carota di sedimenti lunga anche diversi metri. Nelle campagne oceanografiche condotte davanti nell’offshore etneo è stato usato un carotiere a gravità Kullemberg 1200 kg con leva di sgancio, che però non ha ottenuto i risultati aspettati a causa della natura vulcanica del fondale.