• Non ci sono risultati.

Gli elementi innovativi della disciplina di conflitto proposta dalla Commissione

Nel documento Electio legis e contratti dei consumatori (pagine 111-116)

REGOLAMENTO PRESENTATA DALLA COMMISSIONE

V. Gli elementi innovativi della disciplina di conflitto proposta dalla Commissione

quanto ritenuta compatibile con l’elevato grado di tutela del consumatore medesimo imposto dal Trattato.

Delle due diverse impostazioni prospettate nel Libro Verde e sopra ricordate, ha prevalso, nella proposta della Commissione, quella tradizionale di distinguere, sulla base del criterio della c.d. attività diretta, i consumatori meritevoli di protezione e quelli che ne sono esclusi, secondo una logica rispondente non già alla sola esigenza di tutelare il contraente debole, bensì anche a quella di preservare gli interessi del professionista, al fine di evitare disequilibri esattamente contrari a quelli di partenza, che potrebbero seriamente pregiudicare il generale sistema degli scambi transfrontalieri e il corretto funzionamento del mercato interno.

V. Gli elementi innovativi della disciplina di conflitto proposta dalla Commissione

Dall’esame della norma di conflitto proposta dalla Commissione in tema di contratti di consumo emergono, al di là della già detta sostituzione delle condizioni di applicazione, due sostanziali novità rispetto alla disciplina dettata dalla convenzione: la soppressione della facoltà per i contraenti di scegliere la legge applicabile e la restrizione del campo di applicazione della norma di conflitto ai contratti conclusi dai soli consumatori aventi la residenza abituale in uno Stato membro.

La soluzione di negare ai contraenti la facoltà di scegliere la legge applicabile157 può trovare una fondata giustificazione nel timore che, stante la disparità delle forze

157 L’esclusione della facoltà di scelta non è soluzione nuova nel panorama internazionale. L’art. 120

della legge federale svizzera sul diritto intern. priv. del 18.12.1987, in materia di contratti con i consumatori, nega alle parti la possibilità di scegliere la legge applicabile imponendo l’applicazione della legge dello Stato di dimora abituale del consumatore a condizione che (i) il fornitore abbia ricevuto l’ordinazione in questo Stato; (ii) la stipulazione sia stata preceduta in questo Stato da un’offerta o da una pubblicità e il consumatore via abbia compiuto gli atti necessari per la stipulazione medesima o (iii) il fornitore abbia indotto il consumatore a recarsi all’estero per fare l’ordinazione. Si tratta sostanzialmente delle stesse condizioni di applicazione dell’art. 5 della convenzione di Roma risultandone, anche nel caso della norma di conflitto svizzera, una netta distinzione tra consumatori meritevoli di tutela e consumatori esclusi dalla disciplina protettiva per aver consapevolmente assunto il rischio del commercio estero.

104 contrattuali in campo, detta scelta, benché formalmente convenuta tra le parti, non sia sostanzialmente il risultato della comune volontà dei contraenti, ma si traduca al contrario in una imposizione del professionista (contraente forte), subita dal consumatore (contraente debole).

Non convince, invece, la giustificazione data dalla Commissione che, sottacendo completamente il rischio che quella scelta possa essere di fatto imposta dal professionista in danno del consumatore, spiega l’esclusione della facoltà di scegliere la legge applicabile sulla base dell’avvertita esigenza di evitare (come accadrebbe secondo la disciplina dettata dall’art. 5 della convenzione) l’applicazione simultanea della legge del professionista e delle disposizioni imperative della legge del consumatore. L’obiettivo sarebbe di evitare il dépeçage e la connessa frammentazione dell’unitaria fattispecie contrattuale in distinte parti, ciascuna di esse regolata da leggi di paesi differenti.

Se è vero che il fenomeno del dépeçage può pregiudicare la prevedibilità della legge applicabile al contratto e comportare anche costi procedurali aggiuntivi non tollerabili nel contenzioso del consumo di valore generalmente modesto, è anche vero che non può spiegare da solo l’esclusione della facoltà di scelta in nome della certezza del diritto. Nei contratti individuali di lavoro, anch’essi fatti oggetto di una disciplina speciale motivata dall’esigenza di assicurare protezione al contraente debole (il lavoratore), la stessa Commissione, nella proposta di regolamento (cfr. art. 6), riconosce alle parti la facoltà di scelta e ammette al tempo stesso il dépeçage nella misura in cui prevede che la scelta della legge applicabile ad opera dei contraenti non valga a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni imperative della legge che sarebbe applicabile in mancanza di scelta.

Peraltro, la stessa proposta di regolamento ammette anche il dépeçage volontario (cfr. art. 3), essendo previsto che le parti possano designare la legge applicabile a tutto il contratto ovvero a una parte soltanto di esso, con la conseguenza di rendere praticabile l’applicazione simultanea ad uno stesso contratto di leggi di paesi differenti.

Se, dunque, il dépeçage trova ampio riconoscimento nella disciplina di conflitto proposta dalla Commissione, è chiaro che l’esigenza di evitarlo non può ragionevolmente integrare la ratio dell’esclusione della facoltà di scelta nei soli

105 contratti di consumo. Si tratterebbe, infatti, di soluzione contraddittoria, la cui incongruenza è resa ancor più evidente dal fatto che nella disciplina dei contratti di lavoro la medesima esigenza di garantire protezione al contraente debole non si è tradotta nella negazione della facoltà di scelta per evitare il dépeçage che, anzi, resta praticabile.

E’ del tutto irragionevole, in buona sostanza, ammettere in linea generale il

dépeçage anche volontario con i conseguenti effetti pregiudizievoli che esso può

comportare sul piano della certezza del diritto e, poi, negare con riferimento ai soli contratti di consumo la facoltà di scegliere la legge applicabile per impedire il fenomeno del dépeçage.

Invero, l’esclusione della facoltà di scelta è stata, senz’altro, motivata dalla preoccupazione della Commissione, seppur non palesata, di evitare che detta facoltà si presti ad abusi da parte del professionista in danno del consumatore.

Analoga sensibilità, però, la Commissione non ha mostrato con riguardo ai contratti di lavoro, rispetto ai quali ha proposto di mantenere la facoltà di scelta ad opera dei contraenti seppur con le limitazioni di cui si è detto, malgrado si tratti di contratti anch’essi caratterizzati dalla presenza di una parte debole (il lavoratore), che ben potrebbe subire l’imposizione della legge applicabile voluta dal datore di lavoro.

L’ulteriore novità che emerge dalla proposta della Commissione rispetto alla disciplina dettata dalla convenzione, è data dalla restrizione del campo di applicazione della norma di conflitto ai contratti conclusi dai soli consumatori aventi la residenza abituale in uno Stato membro dell’Unione europea.

Ciò significa che la disciplina protettiva ha un ambito operativo territorialmente limitato, in quanto può trovare applicazione solo nel caso in cui il contratto coinvolga un consumatore residente all’interno dell’Unione europea, lasciando conseguentemente senza tutela il consumatore non residente in uno Stato membro, il cui contratto resta assoggettato alle norme di conflitto ordinarie che consentono di

scegliere la legge applicabile e, in mancanza, conducono all’applicazione della legge

del paese di residenza del professionista.

Di tale radicale innovazione la Commissione non fornisce alcuna spiegazione nelle motivazioni che accompagnano la proposta di regolamento. Detto silenzio ha indotto a chiedersi se la modifica fosse realmente voluta o si trattasse semplicemente

106 di un errore della Commissione che avrebbe automaticamente aggiunto l’attributo “membro” al termine Stato che figura nel testo dell’articolo in questione158.

Sarebbe semplicistico ipotizzare sbrigativamente che si sia trattato di un mero errore di compilazione.

E’ più probabile che l’opzione prescelta sia stata motivata da precise ragioni di politica legislativa che, seppur non indicate esplicitamente dalla Commissione, è comunque possibile ricostruire. Non è azzardato ipotizzare che la Commissione, limitando la protezione ai soli consumatori comunitari disinteressandosi di quelli residenti in Stati terzi, abbia voluto riproporre, sul piano del diritto internazionale privato, l’approccio proprio delle direttive di settore che si preoccupano, in genere, della sola tutela dei consumatori “interni” all’Unione.

La Commissione può aver pensato che non fosse compito delle Istituzioni comunitarie proteggere i consumatori residenti in uno Stato terzo159, dimenticando però che l’attribuzione alla disciplina di conflitto di un ambito applicativo geograficamente limitato al territorio dell’Unione europea avrebbe finito con lo smentire la vocazione universale che la stessa Commissione ha voluto assegnare al regolamento (tanto da renderlo applicabile anche laddove sia richiamata la legge di uno Stato non membro), e avrebbe altresì contraddetto la natura aperta del regolamento stesso, nel senso che la sua operatività prescinde dalla localizzazione

158 Sul tema, per maggiori approfondimenti, cfr. A. BONOMI, Autonomia delle parti e protezione dei

consumatori nel regolamento Roma I, cit., 255.

159 Il rilievo è di A. BONOMI, Autonomia delle parti e protezione dei consumatori nel regolamento

Roma I, cit., 255, il quale aggiunge che la Commissione avrebbe limitato la protezione ai soli

consumatori comunitari anche in considerazione del fatto che l’eventuale protezione dei consumatori residenti in uno Stato terzo potrebbe «tradursi in uno svantaggio per i professionisti stabiliti negli Stati membri, obbligati a tener conto delle norme protettive di uno Stato straniero, per di più estraneo all’Unione europea». L’A. propone anche una diversa lettura della riferita limitazione ipotizzando che essa risponda ad una logica di tutela del consumatore extracomunitario sul presupposto che quando quest’ultimo risiede in uno Stato in via di sviluppo, in cui il livello di protezione dei consumatori è in genere inferiore a quello previsto dalla normativa comunitaria, sarebbe svantaggiato dall’applicazione della norma di conflitto speciale in quanto renderebbe applicabile la legge, meno favorevole, del suo paese di residenza abituale; mentre applicando le ordinarie norme di conflitto che conducono in genere alla legge del paese di residenza del professionista che opera all’interno dell’Unione, il consumatore extracomunitario sarebbe paradossalmente favorito in quanto troverebbe applicazione la normativa comunitaria più protettiva.

La spiegazione non convince: il rilevato effetto di vantaggio per il consumatore si avrebbe solo nel caso in cui risieda in un paese in via di sviluppo e non anche laddove abbia la residenza in un paese terzo industrializzato, dotato di una normativa in ipotesi anche più protettiva di quella comunitaria. In questo caso, infatti, l’applicazione della normativa comunitaria risulterebbe penalizzante per il consumatore.

107 delle parti del rapporto contrattuale nel territorio dell’Unione europea, essendo necessario soltanto il radicamento del processo davanti al giudice di uno Stato membro.

108 CAPITOLO V

Nel documento Electio legis e contratti dei consumatori (pagine 111-116)

Outline

Documenti correlati