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Le emozioni degli insegnanti

A conclusione dell’esposizione sull’analisi dei dati e della loro inter- pretazione, si riporta di seguito l’ampio ventaglio di emozioni che i do- centi hanno dichiarato di provare, quando si trovano a dover affrontare le difficoltà degli allievi. Nell’intervista era presente la seguente do- manda specifica:

-Come ti senti quando i tuoi alunni incontrano difficoltà nel risolvere un problema?

Di seguito si presenta l’elenco degli stati d’animo e delle emozioni espresse dai docenti:

1. Dispiacere 2. Senso di umiltà 3. Pazienza 4. Nervosismo 5. Non disperazione 6. Senso di fallimento 7. Serenità 8. Frustrazione 9. Malessere 10. Rabbia 11. Difficoltà 12. Non coinvolgimento

13. Delusione

14. Senso di incapacità

15. Felicità (di poterglielo rispiegare) 16. Tranquillità

17. Scoraggiamento 18. Rassegnazione.

I docenti non mostrano disinteresse nei confronti delle difficoltà e si dichiarano interessati a mettere in discussione il proprio operato; una sola docente nega la presenza di difficoltà: «In genere non capita, ma se ca-

pita ti poni la questione di che pesci prendere». La stragrande maggioranza

mostra sensibilità, attenzione e volontà di mettersi in discussione e di esplorare nuove strade con gli allievi:

«cerco di lavorare di più per migliorare»;

«cerco di farli lavorare praticamente perché non si sentano in ansia»; «cerco di non perdermi d’animo e di cominciare tutto daccapo»; «mi sento spronata a incoraggiarli e a cambiare strategie »; «cerco di dare loro gli strumenti »;

«mi chiedo in che cosa non sia stata chiara»; «cerco di dare loro gli strumenti »;

«mi dico che devo abbassare il tiro se sono in difficoltà »; «cerco di capire qual è il nodo, la difficoltà».

Conclusioni

8.1. La discussione dei risultati

L’obiettivo della ricerca è stato quello di studiare le convinzioni che i docenti di scuola primaria hanno: sui problemi, sugli obiettivi di inse- gnamento che ispirano la loro pratica didattica, con specifico riferimento alle Indicazioni Nazionali per il curricolo del 2012, sulla risoluzione dei problemi e le relative teorie del successo.

Per acquisire in modo dettagliato tali convinzioni, è stata costruita, testata e poi somministrata, un’intervista semi-strutturata a 45 docenti di diverse regioni italiane: del Sud e delle Isole, del Centro e del Nord.

Nella prima parte dell’intervista gli insegnanti hanno analizzato sette problemi, selezionati e modificati avendo come riferimento sei diverse tipologie di prove: problema standard, problema narrativo, compito di realtà, esercizio anticipato, quesito simil-Invalsi, problema non standard inclusivo.

Ciascuno dei sette problemi ha determinato, da parte degli insegnanti intervistati, risposte ben connotate, che sono state acquisite, analizzate e interpretate.

I docenti si sono espressi in modo diametralmente opposto nei con- fronti di uno stesso problema, e ciò è apparso in modo evidente nel cor- so dell’analisi e della valutazione del problema narrativo Le monete.

Grazie alle due diverse “classifiche”, di gradimento e di applicabilità in aula, è stato possibile prendere atto di incongruenze tra ciò che gli in- segnanti dichiarano di apprezzare e ciò che invece sentono di poter uti- lizzare in aula, lavorando con i propri allievi.

Si è visto, per esempio, che problemi ritenuti particolarmente validi per le loro potenzialità a far ragionare e discutere gli allievi (come Le

monete (narrativo) e Il giardino di Torquato (non standard inclusivo), pro-

vocano in alcuni docenti delle resistenze, nel momento in cui si tratta di accoglierli e di pensarli in un’ottica di applicabilità in aula.

Al contrario, problemi che non sono particolarmente apprezzati sul piano delle potenzialità di ragionamento e di sviluppo di procedimenti risolutivi creativi e personali, in quanto considerati fondamentalmente esercizi, come Il commerciante (classico standard), sembrano invece esse- re graditi per il lavoro in aula, perché considerati più “adatti” agli allievi

che possono applicare le tecniche e le conoscenze acquisite nel corso del- le lezioni di matematica.

Taluni docenti sembrano essere rassicurati dal conseguimento del “risultato” da parte degli allievi e nello stesso tempo ammettono che ciò confligge con il primato che i processi dovrebbero avere nel lavoro sui problemi.

Anche i problemi esercizio, e ci si riferisce ancora al problema Il com-

merciante (classico standard), possono mettere in difficoltà gli allievi per

diversi motivi. Nel caso del problema citato, la compravendita è un ar- gomento complesso, lontano dall’esperienza quotidiana degli allievi. I suoi termini specifici: “ricavo”, “incasso”, “guadagno” richiedono spes- so una “discussione” in classe, che però, in questo caso, assume il signi- ficato di “confronto dialogico” tra insegnante e alunni, per cercare di ca- pire meglio il significato di ciò che si sta apprendendo.

Uno dei problemi proposti, Il giardino di Torquato (non standard inclu- sivo), ha riscosso un apprezzabile successo presso gli insegnanti intervi- stati perché, pur non essendo il solito problema standard “rassicurante”, permette agli allievi di utilizzare diversi procedimenti risolutivi: il clas- sico procedimento scolastico (misurazione e applicazione delle formule studiate), la visualizzazione geometrica con risoluzione senza passaggi scritti, il ritaglio e la sovrapposizione.

Il problema Il giardino di Torquato, dunque, oltre ad essere un buon “catalizzatore” di processi, “funziona” perché permette ai ragazzi di ar- rivare al risultato, ciascuno a suo modo.

Il problema Una mostra in aula, proposto ai docenti come compito di realtà, ha suscitato una serie di perplessità, fin dalla fase del try out. Molti docenti hanno cercato di modificarlo con l’intento, più o meno e- splicito, di renderlo “autentico” oltre che “reale”, e anche più fattibile in termini pratici.

Proporre i sette problemi si è rivelata una buona scelta, in quanto essi hanno sollecitato tutta una serie di riflessioni che hanno permesso ai do- centi di effettuare un’attenta analisi metacognitiva, alla quale non sono molto avvezzi.

Alcuni docenti hanno modificato le loro convinzioni su alcuni pro- blemi nel corsodell’intervista stessa; si può ipotizzare che ci sia stato un inizio di cambio di convinzioni, proprio grazie alla possibilità di avere un “tempo dedicato” per poter riflettere su una gamma più vasta di prove, per conoscerle meglio, valorizzandone le specifiche caratteristi- che e potenzialità.

prie scelte didattiche e di portare la classe all’altezza di tali compiti, an- ziché il contrario.

I sette problemi, inoltre, sono stati utilizzati come mediatori per poter acquisire i significati attribuiti dai docenti intervistati ad alcune parole chiave, presenti nella premessa delle Indicazioni Nazionali: “significati- vità”, “autenticità”, “contesto autentico e significativo”, “discussione”, “argomentazione”.

L’analisi dei dati ha mostrato che i docenti intervistati hanno attribui- to significati diversi alle parole sopra indicate. Questo risultato può in- durre a ipotizzare che ci possano essere interpretazioni diverse del testo delle Indicazioni Nazionali, con conseguente ricaduta sulle scelte didat- tiche dei docenti.

Pensare che la discussione possa essere un’occasione per far emergere idee vincenti di alcuni allievi, e che ciò possa permettere anche a chi non ce la farebbe mai di arrivare alla soluzione, è molto diverso dal pensare alla discussione come una “polifonia di voci”, di contributi, di scambi, nel corso della quale, con una guida sapiente e non invadente dell’insegnante, nascono e si realizzano processi risolutivi ricchi e signi- ficativi che non necessariamente devono condurre al risultato (cfr. § 1.4.4, p. 41).

Ciò vale per la parola “discussione”, ma anche per termini come “au- tentico”, “significativo” e “legato alla vita quotidiana”, che, sebbene sia- no proposti in un’unica proposizione nel testo della premessa delle Indi- cazioni Nazionali, hanno in realtà significati specifici e ben precisi, dei quali si dovrebbe tener conto nel momento in cui si scelgono o si redigo- no i testi dei problemi e quando ci si trova ad analizzare e a comprende- re alcune difficoltà incontrate dagli allievi nel corso dei processi risoluti- vi.

Altri risultati di questa ricerca sono apparsi di particolare interesse: le convinzioni che i docenti hanno espresso su indicatori e cause del suc- cesso degli allievi nel problem solving matematico; l’acquisizione di un vasto repertorio di strategie che i docenti ipotizzano, sia per poter “aiu- tare” un bambino a diventare un “buon risolutore”, che per affiancarlo efficacemente nella gestione delle difficoltà incontrate nel risolvere un problema.

Si riscontrano profonde differenze tra gli insegnanti per quanto ri- guarda l'importanza attribuita ai processi, in fase di risoluzione di un problema, o ai prodotti, rispetto quindi al raggiungimento della soluzio- ne di un problema.

Ci sono insegnanti che, nel definire le caratteristiche del “buon risolu- tore”, offrono delle indicazioni molto astratte, legate a fattori innati dei ragazzi e quindi poco utili ai fini della rilevazione di comportamenti os- servabili degli allievi. Ciò porta con sé la difficoltà di poter “diagnostica- re” comportamenti non adeguati, con la conseguente impossibilità di po- ter intervenire su di essi, strutturando, come sarebbe opportuno, inter- venti didattici mirati che possano andare a modificare lo stato delle cose. Altri insegnanti, invece, indicano cause e comportamenti più circo- scritte, con conseguente guadagno rispetto alla possibilità di progettare azioni mirate che possano sbloccare certe situazioni “patologiche” dal punto di vista della didattica del problem solving.

Di particolare interesse appare la distinzione tra “strategie a maglie strette con focus sui processi” e “strategie a maglie strette con focus sui prodotti”, che potrebbe condurre all’individuazione di “profili di docen- ti” più propensi ad attuare una pratica didattica che metta al centro i pensieri e le rappresentazioni dei bambini e “profili di docenti” che mi- rano di più al risultato, valorizzando quindi la ripetitività e il consegui- mento del mero prodotto, come indicatore del vero successo.

Un altro elemento, meritevole di essere sottolineato, è che, sia nella definizione dei tratti del buon risolutore, sia nel caratterizzare le strate- gie dei docenti, entrano in gioco competenze non solo matematiche: spi- rito di iniziativa e imprenditorialità, imparare ad imparare e gli aspetti affettivi e motivazionali. Ciò conferma che la risoluzione di “veri” pro- blemi matematici ha potenzialità formative che vanno ben oltre l’ambito matematico e contribuisce allo sviluppo di personalità nella loro comple- tezza.