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Un concetto altrettanto importante della produzione lippsiana, insieme a quello di Einfühlung, è sicuramente il concetto di Unbewusst, che assume particolare rilievo al fine di valutarne la eventuale incidenza nello sviluppo del pensiero freudiano. Sebbene entrambi questi concetti siano per Lipps di fondamentale importanza, manca, tuttavia, un lavoro espressamente dedicato all’analisi della loro relazione teorico-concettuale. Del resto, il fatto che nei lavori in cui Lipps si occupa espressamente di empatia manchi un riferimento al tema dell’inconscio, e viceversa, che nei lavori in cui si occupa espressamente di inconscio manchi un riferimento al tema dell’empatia, potrebbe indurre a ritenere che non esista, nella prospettiva lippsiana, alcun nesso tra i due concetti94. In realtà i due concetti sono strettamente legati l’un l’altro, come non manca di notare uno tra i numerosi critici del concetto lippsiano di empatia che, sottolineandone appunto lo stretto legame con il tema dell’inconscio, finisce per collocare l’empatia lippsiana a metà strada tra l’inconscio freudiano e l’apriorismo kantiano95

. Inoltre, anche un autore come Theodor Vischer, influenzato da Lipps e a sua volta letto e citato da Freud, parla di un «empatizzare inconscio dell’anima»96

.

Prima di procedere all’indagine di eventuali rapporti tra inconscio ed empatia all’interno della prospettiva lippsiana, è forse opportuno analizzare preliminarmente e isolatamente la questione dell’inconscio in Lipps. Come punto di partenza per una indagine preliminare, si possono assumere due pubblicazioni lippsiane, la prima, dal titolo emblematico Il concetto di inconscio in psicologia97 e, la seconda, dal titolo particolarmente significativo, Delle eccitazioni psichiche inconsce98.

Al di là dell’importanza che questi due testi hanno avuto per lo sviluppo della riflessione freudiana, si tratta, per il momento, di soffermarsi sul loro contenuto, sul ruolo giocato dal concetto di inconscio all’interno della produzione lippsiana ed, eventualmente, di abbozzare un’ipotesi sul rapporto che questo concetto intrattiene con quello di empatia.

2.4.1 Il concetto di inconscio in psicologia

Lo scritto lippsiano Der Begriff des Unbewussten in der Psychologie, come già accennato, è stato presentato al terzo congresso internazionale di psicologia99, tenutosi nel 1896 proprio a Monaco di

94 In realtà, nel lavoro del 1912 Zur Einfühlung, il termine “Unbewusst” compare un paio di volte sottoforma di

aggettivo, “unbewussten”, ed è riferito, però, a sensazioni [Empfindungen] e a rappresentazioni [Vorstellungen], quindi, mai espressamente al termine empatia [Einfühlung]. Cfr. T. Lipps, Zur Einfühlung. Psicologische Untersuchungen, Engelmann Verlag, Leipzig, 1912, p. 272.

95 Cfr. J. Volkelt, System der Ästhetik, Beck, München, 1926, 2a edizione, vol. III, p. 182.

96 T. Vischer, Das Schöne und die Kunst. Vorträge zur Einführung in die Ästhetik, Cotta Verlag, Stuttgart, 1898, p. 313. 97

T. Lipps, Der Begriff des Unbewussten in der Psychologie, Lehmann Verlag, München, 1896.

98 T. Lipps, Grundtatsachen des Seelenlebens, Cohen&Sohn, Bonn, 1883, cap. 7 “Von unbewussten seelischen

Erregungen”, pp. 125-150.

99 Cfr. AA. VV., Dritter Internationaler Congress für Psychologie in München vom 4. bis 7. August 1896, Verlag von

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Baviera, dove Lipps, da un paio d’anni, non soltanto era titolare della cattedra di “Filosofia sistematica”, succedendo a Carl Stumpf, ma, soprattutto, aveva fondato, nel 1895, lo Psychologische Verein. In questo quadro, quindi, dato anche il ruolo di “padrone di casa” a Monaco, l’importanza stessa del congresso e la novità rappresentata dal gruppo che ruotava intorno allo Psychologische Verein , la relazione di Lipps ebbe una certa eco, non necessariamente e non sempre entusiastica, ma comunque tale da arrivare fino a Vienna ed essere accolta, lì sì con entusiasmo, da Sigmund Freud, che proprio in quegli anni pubblicava con Breuer gli Studi sull’isteria e metteva a fuoco, a livello teorico, il concetto di inconscio, anche senza avere ancora messo a punto e definito la psicoanalisi come nuova metodologia terapeutica.

L’intervento di Lipps si apre con quella che Freud definirà, un paio di anni dopo, una «vigorosa asserzione» [kräftigen Worten]100, ovvero la tesi secondo cui la questione dell’inconscio in psicologia non sarebbe tanto una questione psicologica tra le altre, quanto, piuttosto, la questione per eccellenza della psicologia101. Inoltre, forse ancora più importante, è la prosecuzione dell’asserzione lippsiana, secondo cui «non ci si può occupare del concetto di inconscio in psicologia senza occuparsi anche, o almeno sfiorare, la questione psicologica più generale dell’essenza e del compito di questa scienza»102

. Secondo Lipps, la psicologia è per sua essenza la scienza della psiche e il suo compito è quello di descrivere e spiegare i fatti psichici [die Tatsachen des Seelenlebens]. La questione, però, si sposta a questo punto sulla domanda relativa al che cosa sia la psiche: l’errore filosofico per eccellenza, nella prospettiva lippsiana, sarebbe da individuarsi nell’identificazione tra ciò che è psichico con ciò che è cosciente103

, tagliando così fuori dal concetto di ciò che è psichico tutto ciò che ha a che fare con l’inconscio104

. In questo caso, Lipps non fa nomi e, probabilmente, quando dice di riferirsi all’intera tradizione filosofica, è sincero. Non è comunque da escludere un riferimento, velatamente polemico, nei confronti di Franz Brentano, presente al congresso, alla sua Psicologia dal punto di vista empirico (1874) e alla tradizione filosofica che intorno a Brentano si andava proprio allora formando. Comunque, l’intervento di Lipps prosegue con un’asserzione altrettanto vigorosa di quella iniziale, con cui afferma l’impossibilità di mettere in questione l’esistenza di attività psichiche inconsce, già, secondo lui,

100 S. Freud (1899-1900), L’interpretazione dei sogni, in OSF, vol. 3, p. 556; in GW, Bd. II/III, s. 614.

101 T. Lipps, Der Begriff des Unbewussten in der Psychologie, Lehmann Verlag, München, 1896, p. 1 «Die Frage, mit

der es dieser Vortrag zu thun hat, ist weniger eine psychologische Frage, als die Frage der Psychologie»; «La questione con la quale ha a che fare questo intervento, è meno una questione psicologica [tra le altre], quanto la questione della psicologia» trad. mia.

102 Ibidem, «Man kann vom Begriff des Unbewussten in der Psychologie nicht handeln, ohne die allgemeinste

psychologische Frage, nämlich die nach dem Wesen und der Aufgabe dieser Wissenschaft wenigstens zu streifen » trad. mia.

103 Ivi, p. 4 «„Bewusst“ und „psychisch“, so hat man allen Erstes gemeint, sind gleichbedeutende Begriffe»; «”Conscio”

e “psichico”, così hanno inteso tutto in principio, sono concetti sinonimici» trad. mia.

104 Ibidem, «Natürlich bleibt dann das Unbewusste von der Psychologie ausgeschlossen»; «Lasciando quindi

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abbondantemente e scientificamente dimostrate. Anche in questo caso Lipps non fa nomi, sebbene il riferiemento, questa volta non polemico, ma anzi decisamente conciliativo, è, con ogni probabilità, a T. G. Fechner e ai suoi Elemente der Psychophysik (1860).

Già all’epoca, infatti, era stata dimostrata l’esistenza di alcune attività che gli esseri umani compiono senza essere coscienti e, la maggior parte di queste attività, in particolare quelle che avevano ricevuto dimostrazione scientifica, avevano sempre più o meno a che fare con la percezione attraverso gli organi sensoriali. Per questo motivo, secondo Lipps, molti erano caduti nell’errore di identificare, da una parte, la psicologia con la scienza della coscienza e, dall’altra, la fisiologia con la scienza che si occupa delle restanti attività inconsce, arrivando così ad escludere la possibilità stessa di una psiche inconscia: se un’attività è inconscia, allora afferisce alla fisiologia, se è cosciente, alla psicologia. Questo doveva essere il pensiero dominante all’epoca, o quanto meno lo era nella considerazione lippsiana. Ciò che invece lo stesso Lipps vuole sostenere e dimostrare con il suo intervento, è proprio l’esistenza di processi psichici inconsci non fisiologici, ma, appunto, puramente psichici, come rappresentazioni [Vorstellungen] o pensieri [Gedanken].

A questo punto, però, si pone un problema: nel momento in cui un essere umano fa esperienza di un pensiero o di una rappresentazione inconscia, proprio per il fatto che questa è inconscia, non ne ha alcun sentore, alcuna percezione e, appunto, alcuna consapevolezza; in quel momento, per quell’essere umano, quel pensiero o quella rappresentazione inconscia, semplicemente non esiste. A questo problema, secondo Lipps, è possibile ovviare attraverso una “analisi” [bei der „Analyse“]105, ovvero attraverso un’indagine che muovendo a ritroso [nachträglich]106

sia in grado di dimostrare, a posteriori, l’esistenza e l’attività di pensieri e rappresentazioni inconsce, o quanto meno, ne permetta il passaggio dal piano inconscio precedente all’analisi, al piano della coscienza in cui verrebbero a trovarsi in conseguenza del processo analitico. In tal modo, l’esistenza di pensieri e rappresentazioni inconsce può essere dimostrata solo attraverso la mediazione della coscienza.

La psiche, per Lipps, non coincide con il piano della coscienza, ma è, piuttosto, la somma di tutto ciò che è conscio insieme a tutto ciò che è inconscio: una psicologia che rinunciasse al concetto di inconscio sarebbe, in questa prospettiva, una psicologia monca, in quanto rinuncerebbe a una parte consistente del suo oggetto di studio, ovvero rinuncerebbe a una parte consistente della psiche. Una psicologia che rinunciasse al concetto di inconscio, per Lipps, sarebbe allora una psicologia non psicologica, o almeno, non totalmente psicologica, sarebbe una «non-cosa» oppure un «assurdo» [Unding]: «La psicologia non richiederebbe alcun concetto di inconscio, se si ponesse

105 Cfr. ivi, p. 3. 106

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solamente il compito di descrivere i vissuti di coscienza, ma una tale psicologia sarebbe un assurdo»107.

Bisogna però ancora sottolineare che, per Lipps, non soltanto la psiche è composta, nella sua interezza, tanto da pensieri, rappresentazioni e altri processi psichici coscienti, quanto da pensieri, rappresentazioni e processi psichici inconsci, ma, ancor più radicalmente, che i processi psichici inconsci costituiscono addirittura la gran parte dell’intera vita psichica, che possiedono una sorta di primato ontologico sull’essenza di ciò che è possibile definire psichico, tanto che una rappresentazione, da questo punto di vista, può «diventare cosciente, oppure rimanere inconscia»108, ma non essere cosciente di per se stessa e, quindi, prima di diventare cosciente è dovuta essere, prima e necessariamente, inconscia: la coscienza, allora, si costituisce come forma emergenziale dell’inconscio. Anzi, a questo proposito Lipps propone una metafora molto simile alla famosa metafora dell’iceberg che, generalmente ed erroneamente, viene spesso attribuita a Freud, con la differenza che al posto dell’iceberg Lipps utilizza l’immagine delle montagne: «la base generale della vita psichica si manifesta come questo inconscio. La vita psichica […] è come una catena montuosa inabissata nel mare, dalla cui superficie dell’acqua riaffiorano solo poche alte vette». In ogni caso, si tratti di iceberg o di montagne, il concetto di fondo rimane il medesimo: la vita psichica è costituita in gran parte da processi inconsci, dei quali, solo una piccola parte è in grado di affiorare alla coscienza.

Rimane però ancora da capire come una rappresentazione inconscia possa essere condotta, grazie al processo di “analisiˮ, alla coscienza. In questo caso Lipps è costretto a utilizzare argomentazioni relative ai processi della memoria e, contemporaneamente, a ricorrere a una terminologia, all’epoca alquanto originale che, però, diverrà riconoscibile e di larga diffusione quando verrà in seguito adottata da Freud. Lipps parla di „rappresentazione latente“ [latente Vorstellung] e di „residuo mnestico“ [Gedächtnisspur]: una rappresentazione latente è una rappresentazione inconscia, che quindi non si è consapevoli di possedere, ma che comunque agisce in maniera attiva e concreta nella vita di una persona, esattamente come un residuo mnestico, infatti, non a caso, i due termini vengono utilizzati da Lipps come sinonimi. A proposito di questi residui mnestici attivi, ma il discorso potrebbe valere per ogni rappresentazione inconscia, Lipps parla di ‟influssi educativiˮ [erzieherischen Einflüssen], ‟convincimento generaleˮ [allgemeine Ueberzeugung], ‟mentalitàˮ

107 Ivi, p. 1 «Die Psychologie bedürfte gar keines Begriffes eines Unbewussten, wenn die Psychologie einzig die

Aufgabe sich stellte, Bewusstseinserlebnisse zu beschreiben. Eine solche Psychologie wäre aber ein Unding» trad. mia.

108 Ivi, p. 2 «bewusst sein, oder unbewusst bleiben» trad. mia.

109 Ivi, p. 13 «die allgemeine Basis des psychischen Lebens erscheint dies Unbewusste. Das psychische Leben […] ist

wie ein im Meer versunkenes weites Gebirge, von dem nur wenige höchste Gipfel über die Wasseroberfläche emporragen.

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[Denkrichtung], ‟intenzioneˮ [Gesinnung] e tutto ciò che può essere riassunto come ‟disposizione psichicaˮ [psychische Disposition]110

.

In effetti non è semplice descrivere, con un esempio concreto, cosa sia questa disposizione psichica inconscia, difficoltà derivata del resto, nella prospettiva di Lipps, proprio dal fatto che questa disposizione è, per l’appunto, inconscia. Tutto ciò che ha a che fare con l’inconscio, infatti, mantiene, secondo Lipps, un fondo di “indescrivibilitàˮ [Unbeschreibbares]111, o almeno, non può essere descritto sistematicamente con lo stesso linguaggio utilizzato per le descrizioni scientifiche. Eppure, nonostante questa indescrivibilità scientifica di fondo, Lipps ribadisce più volte nel suo intervento che «il concetto di inconscio così considerato non è né ipotetico né mistico, bensì […] l’espressione per uno stato di fatto»112

.

L’esclusione dei due campi, quello ipotetico e quello mistico, è rappresentativo, a mio avviso, della posizione intermedia, e forse anche un po’ ambigua, nella quale Lipps intende collocarsi. Da una parte, tutti gli autori che hanno sostenuto l’idea che potessero esistere processi psichici inconsci, hanno sempre corso il rischio di essere accusati di avanzare proposte misticheggianti e, naturalmente, Lipps non fa eccezione113. Per questo, probabilmente, Lipps ribadisce a più riprese la sua distanza dalla metafisica, non nasconde minimamente le sue simpatie laiche114 e, nella sua intera produzione scientifica, non cita mai, forse proprio per questi motivi, né Schopenhauer né, soprattutto, Eduard von Hartmann, se non in chiave polemica. In altri termini, Lipps non cita mai quegli autori che forse per primi e con più forza hanno sostenuto il concetto di inconscio, ma, nel fare ciò, hanno assunto posizioni eccessivamente metafisiche e, agli occhi di Lipps, misticheggianti. Al contrario, generalmente, Lipps si richiama spesso a Hume e Kant, ovvero ad autori che, pur non avendo sostenuto espressamente l’esistenza di processi psichici inconsci, anzi, pur non avendo utilizzato neanche l’espressione “inconscio”, appartengono però a una tradizione di pensiero decisamente più critica nei confronti della metafisica, rispetto a Schopenhauer ed Eduard von Hartmann e, allo stesso tempo, hanno sostenuto posizioni non incompatibili con il concetto di inconscio115. In questa specifica occasione del congresso internazionale di psicologia, però, sono

110

Ivi, p. 10.

111 Ivi, p. 9.

112 Ivi, p. 12 «Der so gefasste psychologische Begriff des Unbewussten ist weder hypothetisch noch mystisch, sondern,

wie schon gesagt, der Ausdruck für Thatsachen» trad. mia. Cfr. anche Ivi, p. 18 «Der Begriff des Unbewussten in der Psychologie, so sagte ich oben, sei weder hypothesisch noch mystisch, sondern der Ausdruck für feststehende Thatsachen»; «Il concetto di inconscio in psicologia, come ho detto sopra, non è né ipotetico né mistico, bensì l’espressione di uno stato di fatto» trad. mia.

113 Cfr. M. Rosa Quiroga, La estetica psicologica de Lipps como una espece de panteismo laico, in «Actes du Xlème

Congrès International de Philosophie», vol. X (1953), n. 20-26, Bruxelles, p. 233.

114 A questo proposito si veda l’interessante saggio T. Lipps, Religion und Zwang, in T. Lipps; F. Goldschmit; K.

Gutmann, Der Kirchenzwang in der Schule. Drei Vorträge, Georg Müller Verlag, München-Leipzig, 1907, pp. 3-16.

115 A questo proposito si veda il saggio di C. La Rocca che ricostruisce bene l’importanza del concetto di

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totalmente assenti i riferimenti filosofici, anche a quegli autori, come Hume e Kant, che pure Lipps non smetterà mai di considerare come momenti di confronto obbligati e necessari. Ciò è dovuto, molto probabilmente, a quella volontà di presentare una posizione puramente psicologica, cercando di apparire distante tanto da tentazioni misticheggianti, quanto da tentazioni speculativo-filosofiche: in questo senso, forse, è necessario interpretare quel rifiuto dell’inconscio come argomento “ipotetico” [hypothetisch]. Un’ipotesi, per definizione, è una proposizione che descrive uno stato di cose che potrebbe essere effettivamente così come viene descritto dall’ipotesi stessa, oppure, potrebbe anche non essere tale come nella descrizione ipotizzata, quindi, asserire l’esistenza di processi psichici inconsci a livello ipotetico, significherebbe anche ammettere la possibilità che questi non esistano, invece, per Lipps, asserire l’esistenza di processi psichici inconsci non è un’ipotesi, ma l’asserzione di uno stato di fatto certo e che va al di là di ogni possibile ipotesi o speculazione a riguardo.

A questo punto risulta forse più chiaro il motivo per cui Lipps, all’inizio della sua relazione, aveva asserito che la questione dell’inconscio è strettamente intrecciata alla questione relativa all’essenza e al compito della psicologia. L’asserzione dell’esistenza di processi psichici inconsci non può essere sostenuta a partire da argomentazioni paragonabili a quelle delle scienze fisico- matematiche, altrimenti, se così fosse, l’inconscio non avrebbe quella particolarità di essere “indescrivibile”. Oltre a ciò, quella stessa asserzione non può essere ricondotta, né al registro ipotetico-filosofico, né a quello mistico-religioso. Infondo, l’asserzione relativa all’esistenza di processi psichici inconsci è, per Lipps, un’asserzione puramente psicologica e coinvolge l’essenza e il compito della psicologia proprio in quanto quest’ultima, se vuole essere tale, ovvero una scienza della psiche, deve, secondo lui, rendersi autonoma tanto dalle scienze fisico-matematiche, quanto dalla filosofia e dal pensiero mistico-religioso. Lipps, ancora una volta, non avanza esempi concreti a sostegno delle sue tesi, per questo motivo può essere forse opportuno avanzarne uno estraneo al testo lippsiano, ma che possa essere utile per chiarirne il significato. Si prenda in considerazione il caso, molto diffuso all’epoca, di una cecità isterica; se la psicologia adottasse metodi e modelli fisico-matematici, riducendosi così a mera fisiologia, dovrebbe limitarsi a un’asserzione relativa alla sanità dell’occhio e, a prova di questo, addurrebbe il dilatarsi e il restringersi della pupilla in base alla sua esposizione a una fonte di luce. Una asserzione di questo tipo non solo non prenderebbe minimamente in considerazione il vissuto psichico della soggettività affetta da una cecità isterica, non essendo per l’appunto in alcun modo un’asserzione psicologica, ma non sarebbe

con la successiva riflessione sull’inconscio e la scarsa fortuna che Kant ha avuto nel riconoscimento di questo ruolo precorritore a causa di una vulgata che lo vorrebbe invece autore lontano da qualsiasi concezione dell’inconscio. C. La Rocca, L’intelletto oscuro. Inconscio e autocoscienza in Kant, in C. La Rocca (a cura di), Leggere Kant. Dimensioni della filosofia critica, ETS, Pisa, 2007, pp. 63-116.

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neanche di alcuna utilità per quella soggettività che, pur venendo a conoscenza della assoluta sanità del proprio apparato visivo, non per questo smetterebbe di soffrire di cecità isterica. In modo molto simile non sarebbe possibile ricorrere neanche ad asserzioni di tipo mistico-religioso, come potrebbe essere, ad esempio, una spiegazione che riconducesse la cecità isterica all’intervento di una entità maligna o a un peccato commesso dal soggetto in questione. Un’asserzione di questo tipo, infatti, a differenza di quella scientifico-fisiologica, non solo sarebbe platealmente falsa, ma, rispetto alla precedente, non potrebbe neanche considerarsi inutile dal punto di vista terapeutico, quanto, piuttosto, controproducente, andando ad aggravare il sintomo della cecità isterica con ulteriori disagi psichici ed emotivi originati proprio da quel genere di spiegazione mistico-religiosa.

È in questo senso che l’inconscio rientra a pieno titolo, nella prospettiva di Lipps, nella sfera della psicologia: una volta esclusa la spiegazione fisiologica o quella metafisica di una cecità isterica, allora diviene necessario ricorrere a una spiegazione di tipo puramente psicologico. Si potrebbe obiettare che una spiegazione di natura psicologica non necessariamente debba coincidere con una spiegazione che faccia ricorso al concetto di inconscio, infatti, nel caso della cecità isterica si potrebbe pur sempre ricorrere all’ipotesi che la soggettività in questione stia semplicemente, e coscientemente, fingendo un tale sintomo di cecità. Una tale spiegazione, però, non solo non apporterebbe alcun beneficio terapeutico, ma andrebbe anche incontro a una serie di difficoltà relative all’effettivo comportamento dei soggetti affetti da sintomatologie puramente psichiche: non si riuscirebbe a spiegare come l’atteggiamento della dissimulazione possa essere mantenuto così fedelmente per lungo tempo, si pensi ad esempio a paralisi isteriche in cui la parte del corpo paralizzata diventa realmente indifferente al dolore, nonostante venga appositamente stimolata e nonostante non presenti alterazioni fisiologiche tali da far pensare che la paralisi sia realmente fisica. È evidentemente necessario ricorrere a un tipo di spiegazione differente che, pur essendo puramente psicologica, non passi però attraverso la coscienza e, insieme alla coscienza, riesca ad

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