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Si potrebbe pensare, a tutta prima, che l’influenza che Theodor Lipps ha effettivamente esercitato sullo sviluppo del pensiero freudiano sia un’influenza estremamente significativa e importante, forse anche fondamentale per il sorgere stesso della psicoanalisi offrendo ad essa i presupposti teorico-filosofici sui quali si fonda, ma che tuttavia, nonostante questo ruolo fondamentale e decisivo, l’influenza di Lipps su Freud sia in realtà circoscrivibile ai soli momenti aurorali dell’attività e della ricerca psicoanalitica freudiana. Una tale impressione sarebbe in effetti del tutto giustificata se ci si limitasse alla sola letteratura secondaria, in realtà piuttosto scarna. Tutti gli autori che accostano i nomi di Lipps e Freud, generalmente, lo fanno all’interno di lavori non espressamente dedicati al tema, accennando solo al fatto che una tale influenza è esistita, che rientra nel quadro più generale dei rapporti tra psicoanalisi e filosofia e, soprattutto, si accenna al fatto che Lipps ha realmente anticipato Freud nella formulazione di alcuni concetti, come quello di psiche inconscia, ma non al fatto che il confronto con i testi lippsiani possa essere stato in un certo qual modo una costante dell’intera attività psicoanalitica freudiana. Finanche Mark Kanzer, che è il solo a dedicare espressamente un intero lavoro alla questione dei rapporti Lipps-Freud, non sembra in realtà fare eccezione per quanto riguarda il fatto che l’influenza lippsiana sulla psicoanalisi sia circoscrivibile ai soli momenti iniziali. Infatti, nonostante il suo lavoro non sottostimi affatto il ruolo di Lipps, è però necessariamente limitato, proprio in quanto lavoro pioneristico sul tema, ai riferimenti freudiani in un certo qual senso più evidenti ed espliciti, vale a dire quelli presenti nella corrispondenza con Wilhelm Fliess, che ne evidenziano appunto il ruolo fondativo e quelli che, infondo, sono talmente lapalissiani da venir riconosciuti abbastanza universalmente, ovvero quelli presenti ne Il motto di spirito.

In questa sede, invece, pur riconoscendo il valore delle tesi di Kanzer, si cercherà tuttavia di sostenere una posizione se possibile ancor più radicale ed estesa, e cioè l’idea che Lipps non soltanto abbia influenzato Freud durante gli ultimi anni dell’Ottocento contribuendo così alla formazione dei concetti fondamentali della psicoanalisi e al suo sfondo teorico-filosofico, ma che sia addirittura rimasto un termine di confronto teorico per l’intero arco della produzione psicoanalitica di Freud, accompagnandolo perfino negli ultimi anni di attività e finanche nei mesi dell’esilio londinese.

Nonostante non sia possibile, né infondo auspicabile, stilare una gerarchia di riferimenti freudiani a Lipps per ordine di importanza, tuttavia è forse possibile sostenere che gli ultimi riferimenti in ordine cronologico, siano anche quelli che, proprio per la loro collocazione temporale, testimonino con maggiore efficacia il peso e l’importanza che il contributo di Lipps ha avuto per l’intero arco della produzione freudiana. Se Lipps non fosse stato un autore per lui fondamentale,

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infatti, non si capisce per quale ragione Freud avrebbe portato con sé, nell’esilio londinese, ben nove opere lippsiane, le quali portano traccia di lettura attraverso annotazioni e sottolineature dello stesso Freud, ma, soprattutto, non si capisce perché un Freud ormai anziano e malato, intento a redigere delle opere conclusive e riassuntive dei suoi risultati di ricerca, faccia riferimento esplicito, anche in quel caso, al nome e all’opera di Theodor Lipps.

Il Compendio di psicoanalisi e Alcune lezioni elementari di psicoanalisi, dunque, testimoniano, se ce ne fosse ancora bisogno, l’enorme tributo freudiano al filosofo che più di ogni altro ha inciso sulla nascita e sullo sviluppo della psicoanalisi e che ne ha accompagnato, con costanza e pervasività, l’intero percorso teorico, almeno limitatamente alla vita e al lavoro dell’uomo Sigmund Freud. Inoltre, il valore aggiunto di questi riferimenti finali, consiste non tanto nel riconoscimento in sé, che dopo tutto non fa che confermare ciò che era possibile intravedere già nei riferimenti precedenti disseminati nelle altre opere, quanto, piuttosto, che non c’è stato alcun ripensamento, da parte di Freud, per ciò che riguarda il ruolo che Lipps ha avuto sulla sua riflessione teorica, anzi, questi riferimenti finali si può dire che confermino ed estendano i riconoscimenti precedenti. Dunque, diventa impossibile sostenere che Lipps sia stato una fascinazione giovanile, un confronto aurorale, uno spunto dal quale far iniziare il lavoro, ma, invece, si è costretti a riconoscere che, avendo accompagnato Freud dall’inizio alla fine del suo percorso psicoanalitico, l’importanza di Lipps assume allora un valore per certi versi maggiore rispetto a qualsiasi altro maestro della lunga serie di quelli che Freud ha avuto e poi abbandonato, da Brentano a Brücke, passando per Claus, da Meynert a Breuer, passando per Charcot. Lipps inteso allora non solo come il filosofo per eccellenza della psicoanalisi freudiana, ma anche come un vero e proprio maestro senza il quale Freud non avrebbe potuto concepire e sviluppare il suo apparato teorico e metodologico.

1.5.1 Il Compendio di psicoanalisi

Nella sua Avvertenza editoriale Cesare Musatti sostiene che il Compendio di psicoanalisi scritto da Freud nel 1938 e rimasto incompiuto si differenzia «dalle molte altre esposizioni divulgative della psicoanalisi composte da Freud in quanto è deliberatamente destinato a un pubblico bene informato, a cui siano già familiari le categorie fondamentali della dottrina psicoanalitica e la sua terminologia»151. Per questo motivo, forse, l’opera non è di semplice lettura, ma, una volta familiarizzatisi con la terminologia e con le categorie fondamentali della psicoanalisi freudiana, si rivela in realtà uno dei testi più interessanti dal punto di vista filosofico ed è probabilmente proprio a causa della sua natura fortemente teorica che l’interesse filosofico corrisponde, nel testo, anche alla sua difficile lettura. Musatti prosegue la sua presentazione scrivendo: «In particolare è

151

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privilegiato in questo scritto l’aspetto teorico di questa dottrina, ed è quindi presupposta la conoscenza degli scritti metapsicologici in senso lato: dal capitolo 7 dell’Interpretazione dei sogni (1899) ai saggi di Metapsicologia (1915), da Al di là del principio di piacere (1920) a L’Io e l’Es (1922)»152. Già da queste prime parole introduttive di Musatti salta subito all’occhio una strana coincidenza: Lipps compare, nella corrispondenza con Fliess, affianco alla prima occorrenza freudiana del termine “metapsicologia”, compare nuovamente nel capitolo 7 dell’Interpretazione dei sogni, è adombrato, ma comunque presente tanto nei saggi di Metapsicologia quanto ne L’Io e l’Es e, infine, ricompare proprio nel Compendio di psicoanalisi che presuppone la conoscenza delle nozioni metapsicologiche esposte in questa serie di scritti precedenti al Compendio stesso. Si conferma dunque, ancora una volta, il legame strettissimo tra Lipps e la metapsicologia freudiana, cioè tra Lipps e la parte più squisitamente teorica della psicoanalisi freudiana, oppure, in altri termini, tra Lipps e la filosofia sottesa alla psicoanalisi.

Le battute iniziali del Compendio sono già esplicitamente filosofiche e si riferiscono a quello che oggi è noto come il problema mente-corpo, anzi, sembra che Freud si riferisca addirittura alla questione oggi nota come Hard-Problem of Counsciousness.

La psicoanalisi parte da una premessa di fondo, la cui discussione è riservata al pensiero filosofico e la cui giustificazione risiede nei suoi stessi risultati. Di ciò che chiamiamo la nostra psiche (o vita psichica) ci sono note due cose: innanzitutto l’organo fisico e il suo scenario, il cervello (o sistema nervoso) e, in secondo luogo, i nostri atti di coscienza che sono dati immediatamente e che nessuna descrizione potrebbe

farci comprendere più da vicino.153

Al di là del fatto che un’opera freudiana come il Compendio si apra così esplicitamente e direttamente con l’esposizione di un problema chiaramente filosofico, ciò che è interessante notare ai fini della presente indagine è il fatto che Freud, per indicare la psiche, faccia immediatamente ricorso a un’espressione tipicamente lippsiana come quella di “Seelenleben” [vita psichica]. Dunque, già in apertura, il Compendio si caratterizza per la presenza di Lipps: si potrebbe addirittura ipotizzare che il Compendio rappresenti, agli occhi di Freud, il tentativo di redigere un’opera riassuntiva delle acquisizioni più squisitamente teoriche e, quindi, filosofiche, ottenute durante i quarant’anni di ricerca e attività psicoanalitica e, allo stesso tempo, il risultato di quarant’anni di confronto con la filosofia lippsiana.

Entrando nel dettaglio dei problemi sollevati da questa apertura del Compendio, bisogna subito sottolineare che quando Freud sostiene che cervello e atti di coscienza ci sono noti, non intende

152 Ibidem. 153

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assolutamente sostenere che ne abbiamo una conoscenza anche solo vagamente esaustiva, ma soltanto che siamo a conoscenza della loro esistenza, del fatto cioè che si danno in qualche modo. Freud usa l’espressione “uns … bekannt” [ci sono noti], cioè un tipo di espressione che generalmente si usa per indicare un conoscente, una/un vicina/o di casa, di cui si è conoscenza del fatto che esiste, se ne conosce il volto e forse anche il nome, ma di cui non si sa realmente nient’altro, non è una/un amico/a o una persona vicina, non è qualcuno di cui si possa dire “la/lo conosco”, ma soltanto, appunto, “è una/un conoscente” [sie/er ist mir bekannt], o mi è noto. Dunque, sappiamo che esiste il cervello o sistema nervoso e sappiamo che esistono atti di coscienza, nonostante non sappiamo in realtà poi molto né del funzionamento del primo né della costituzione dei secondi. Ma ciò che rimane ancora più ignoto sono i rapporti reciproci tra queste due cose; se gli atti di coscienza emergano dal sistema nervoso, se sopravvengano ad esso, se siano in realtà riducibili o irriducibili ad esso, oppure paralleli o epifenomenici rispetto ad esso, detto in altri termini «tutto ciò che sta in mezzo fra queste due cose ci è sconosciuto»154. Ed è esattamente tra queste due cose, sistema nervoso e coscienza, e tra le discipline che si occupano di essi, che, secondo Freud, si inserisce la ricerca psicoanalitica. Freud stesso si era occupato di neurologia ai tempi del Progetto di una psicologia per neurologi e, ancor prima, durante gli anni di collaborazione con Brücke, ma aveva poi abbandonato il tentativo di ottenere risultati significativi nel settore, nonostante molte di quelle intuizioni si siano poi rivelate estremamente feconde nella seconda metà del Novecento. Analogamente, Freud si era anche occupato di filosofia e di studi relativi ai vissuti di coscienza durante i primissimi anni giovanili che lo avevano avvicinato alle ricerche e all’insegnamento di Brentano. La psicoanalisi, invece, almeno nella prospettiva freudiana, ma in realtà anche secondo studi recenti155, si costituisce come un sapere interdisciplinare in grado di dialogare con medicina e filosofia, ma, soprattutto, con neuroscienze e fenomenologia, offrendo così anche un contributo agli studi di filosofia della mente che, per loro stessa natura, si costituiscono già intrinsecamente come un ambito interdisciplinare che si avvale dei contributi provenienti da ognuna di queste discipline.

Dopo aver aperto il Compendio con l’esposizione di un problema eminentemente filosofico come quello corpo-mente, e avendolo fatto utilizzando una terminologia che richiama immediatamente a Lipps, Freud prosegue la sua descrizione sintetica dei risultati acquisiti dalla ricerca psicoanalitica procedendo, nell’ordine, all’esposizione della concezione psicoanalitica dell’apparato psichico, ovvero all’esposizione della suddivisione della personalità psichica in Es, Io e Super-Io, seguita poi dalla descrizione della teoria delle pulsioni, ovvero delle «richieste corporee

154 Ibidem.

155 Cfr. P. Giampieri-Deutsch (a cura di), Psychoanalysis as an Empirical, Interdisciplinary Science, Verlag der

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[körperlichen Anforderungen] avanzate alla vita psichica [Seelenleben]»156 e, da queste, alla descrizione dello sviluppo della funzione sessuale, del suo ruolo e delle sue caratteristiche all’interno del più generale sviluppo psichico, normale e patologico. A questo punto, dopo aver richiamato questi presupposti, Freud giunge al capitolo dedicato alle Qualità psichiche157, quello più denso di considerazioni interessanti relativamente al rapporto Lipps-Freud.

Già quarant’anni prima della stesura del Compendio, Freud aveva confessato all’amico e collega Fliess che Lipps «dice nel suo linguaggio esattamente ciò che io [Freud] ho scoperto riguardo alla coscienza, alla qualità eccetera»158. L’aver accostato i termini “qualità” e “coscienza” potrebbe apparire del tutto enigmatico se ci si limitasse alla sola corrispondenza con Fliess e non si prendesse dunque in considerazione il capitolo quarto del Compendio, congiuntamente al ruolo che Lipps gioca all’interno di questo capitolo. Accostare i termini “coscienza” e “qualità”, nella prospettiva freudiana, significa concepire la coscienza come una qualità o proprietà o attributo della psiche e, quindi, non come la sua natura intrinseca. Al giorno d’oggi si potrebbe forse rappresentare questa posizione, come prima approssimazione, nei termini di un dualismo delle proprietà, ovvero quella tesi in ambito di filosofia della mente secondo cui esistono soltanto sostanze di natura fisica, alcune delle quali poi presentano delle proprietà non fisiche159. In altri termini, la coscienza è una qualità secondaria e inessenziale, seppure importantissima, di una sostanza psichica in sé inconscia. Utilizzando una terminologia spinoziana non del tutto estranea a Freud160, si potrebbe dire che la coscienza è un attributo della sostanza psichica. La differenza consiste nel fatto che, in Spinoza, tanto la res cogitans quanto la res extensa sono entrambi attributi dell’unica sostanza, in Freud, invece, la res cogitans è sì mero attributo, ma attributo della res extensa che è identificata e considerata come unica e vera sostanza, ovvero la res extensa possiede un primato ontologico rispetto alla res cogitans; quello di Freud è dunque uno spinozismo declinato in direzione di un forte materialismo fisicalista. Quando Freud scrive che «la psiche è estesa»161 intende quindi che la psiche è res extensa, come qualsiasi altro ente di natura, in una prospettiva rigidamente monista.

156 S. Freud (1938), Compendio di psicoanalisi, in OSF, vol. 11, p. 575. 157 Ivi, pp. 584-591.

158

J. M. Masson (a cura di), The Complete Letters of Sigmund Freud to Wilhelm Fliess 1887-1904, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, 1985; tr. it. Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904, Bollati Boringhieri, Torino 1986, p. 368 lettera del 27/09/1898.

159 Per una visuale introduttiva sulla questione del dualismo delle proprietà si veda A. Paternoster, Introduzione alla

filosofia della mente, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 69.

160 Sull’argomento si vedano in particolare le due lettere di Freud rispettivamente a Juliette Boutonier del 11/04/1930 e

a Siegfried Hessing del 09/07/1932, riportate in S. Freud, Nachtragsband. Texte aus den Jahren 1885 bis 1938, a cura di A. Richards e I. Grubrich-Simitis, in GW, Fischer Verlag, Frankfurt am Main, 1987; tr. it. Complementi alle Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp. 190, 192 e lo studio di P. Giampieri-Deutsch, Der »Philosoph der Psychoanalyse«? Zu den Verwandschaften zwischen Spinoza und Freud, in V. L. Weibel (a cura di), Affektenlehre und amor Dei intellectualis. Die Rezeption Spinozas im Deutschen Idealismus, in der Frühromantik und in der Gegenwart, Felix Meiner Verlag, Hamburg, 2012, pp. 91-120.

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L’errore filosofico per eccellenza, però, consiste, secondo Freud, nell’identificare l’inconscio con i processi fisiologici e organici del sistema nervoso, da un lato, e la coscienza con il vero e proprio psichico o mentale, dall’altro. In questo modo non soltanto verrebbe a mancare uno psichico inconscio, ma anche il termine “qualità” andrebbe declinato al singolare e accostato alla sola coscienza-mente. In realtà, per Freud, le qualità psichiche si declinano al plurale, e anche l’inconscio e il preconscio della prima topica, esattamente come la coscienza, possono a egual titolo essere considerati delle qualità psichiche dell’unica sostanza fisica che le sottende tutte. Per questo motivo è dunque parzialmente erroneo parlare di dualismo delle proprietà in Freud, poiché sebbene la psiche presenti delle proprietà diverse rispetto all’unica vera sostanza che è il corpo, tuttavia queste proprietà non si presentano affatto in termini dualistici, bensì in termini continuistici e di concomitanza. Non esiste, in questa prospettiva, da un lato il corpo e dall’altro la psiche, ma piuttosto una stratificazione che dal corpo conduce alla coscienza passando prima attraverso l’inconscio. In altri termini, la psicoanalisi freudiana ha la pretesa di indagare intorno a ciò che avviene tra i due poli espressi in apertura del Compendio, cioè sistema nervoso e coscienza, e in questo senso essa suppone «che la vita psichica [Seelenleben] sia la funzione di un apparato al quale ascriviamo estensione spaziale e struttura composita»162. La psiche dunque è ontologicamente riconducibile al corpo in una prospettiva rigidamente monista, ma presenta tuttavia una serie di qualità che si sviluppano senza discontinuità l’una dall’altra. La prima di queste qualità, sia in senso logico che cronologico, è l’inconscio, dal quale solo in seguito si sviluppa la coscienza, intesa anch’essa come qualità. L’inconscio è dunque il primo psichico. Ed è a questo punto che Freud sente l’esigenza di richiamarsi esplicitamente a Lipps e riconoscerne l’importanza per la propria concezione psicoanalitica dell’inconscio.

La psicoanalisi reputa che i presunti processi concomitanti [Begleitvorgänge] di natura somatica costituiscano il vero e proprio psichico, e in ciò prescinde a tutta prima dalla qualità della coscienza. In questo non è sola. Alcuni pensatori (come per esempio Theodor Lipps) hanno detto la stessa cosa con le stesse parole, e l’insoddisfazione generale riguardante le concezioni correnti dello psichico ha fatto sì che si imponesse con urgenza sempre maggiore la pretesa che un concetto di inconscio fosse accolto nel pensiero

psicologico.163

Il riferimento a Lipps è un vero e proprio riconoscimento del debito intellettuale contratto da Freud, soprattutto se lo si considera in relazione ai precedenti riconoscimenti già espressi durante i quarant’anni trascorsi tra la stesura dell’Interpretazione dei sogni e il riferimento presente nel

162 S. Freud (1938), Compendio di psicoanalisi, in OSF, vol. 11, p. 572. 163

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Compendio. Anzi, di per se stesso, questo riferimento non è altro che la riproposizione di quello presente nell’Interpretazione dei sogni, infatti, entrambi sottolineano l’importanza del saggio lippsiano Il concetto di inconscio in psicologia e, entrambi, utilizzano la filosofia lippsiana in chiave polemica contro le «concezioni correnti dello psichico» che identificano quest’ultimo con la coscienza, quindi, su tutti, Brentano e la sua scuola. La differenza consiste nel fatto che questo riferimento a Lipps è reso ancor più vigoroso, in primo luogo, dal fatto stesso che venga ribadito a quarant’anni di distanza, in un Compendio, ovvero in uno scritto divulgativo e riassuntivo, in secondo luogo, dall’aggiunta dell’espressione «la stessa cosa con le stesse parole», cioè dall’ammissione che l’asserzione psicoanalitica di una psiche inconscia è stata mutuata integralmente dalla filosofia di Lipps.

A riprova della continuità tra il riferimento presente nell’Interpretazione dei sogni e questo del Compendio e, a riprova che l’obiettivo polemico è ancora una volta Brentano, basta leggere i passi immediatamente successivi in cui Freud sostiene che «mentre nella psicologia della coscienza non si è mai andati oltre a quelle serie lacunose di fenomeni», cioè i fenomeni della coscienza, «che palesemente dipendono da qualcos’altro», cioè da qualcosa di extracosciente, «l’altra concezione», cioè quella lippsiano-freudiana, ovvero «quella secondo cui lo psichico è in sé inconscio, ha permesso di sviluppare la psicologia fino a farne una scienza naturale come tutte le altre»164. La partita che Freud intende giocare è dunque una partita che ha a che fare con lo statuto epistemologico della psicoanalisi, certo, ma anche con lo statuto epistemologico della psicologia in generale, almeno nella misura in cui quest’ultima accetti o meno all’interno del suo apparato teorico la nozione di inconscio. In altri termini, nella prospettiva freudiana, la nozione di inconscio si inserisce a pieno titolo all’interno dello Psychologismusstreit e, in un certo qual senso, funge da elemento dirimente: finché la psicologia rifiuta il concetto di inconscio, come la psicologia dal punto di vista empirico di Brentano, questa è destinata secondo Freud a rimanere nient’altro che filosofia, ma, quando la psicologia assume la nozione di inconscio all’interno del suo apparato teorico e ne fa il vero e proprio psichico, come la psicologia di Lipps, allora essa può pretendere al rango di scienza naturale tra le altre.

A questo punto, però, una volta inserita anche la psicoanalisi all’interno dello Psychologismusstreit e aver preso espressamente le parti della posizione psicologista rappresentata da Lipps, Freud si trova dunque costretto a rispondere alle eventuali critiche che una tale posizione

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