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Le energie naturali cui fa riferimento la norma sono quelle che, insite e latenti in natura, in conseguenza dell’attività di captazione ed

elaborazione ad opera dell’uomo

371

, diventano autonome ed isolabili

372

e

371 Cfr. R.FEDERICI, Concetto giuridico di energia, in Trattato di diritto dell’economia,

Vol. X, Il diritto dell’energia, a cura di E. Picozza – S.M. Sambri, p. 6 ss.; A.M. GAMBINO, Beni extra mercato, Milano, 2004, p. 29 s.; nonché B.BIONDI, voce Energia, in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1975, p. 530. SecondoR.PARDOLESI, Le energie, in

Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 7, Torino, 1982, p. 28, «l’aggettivazione

“naturale” nulla aggiunge all’idea di energia, non foss’altro perché “nessuna energia può produrre l’uomo che non esista già in natura”»; l’A. precisa che devono ritenersi escluse «quelle energie che certamente sussistono in natura e hanno un indubbio, e sia pure virtuale, valore economico (si pensi al potenziale elettrostatico presente in un temporale), ma rispetto alla quali non è dato configurare interessi concreti». Così disponendo, la norma esclude dalla categoria dei beni in senso giuridico le energie umane, quelle energie, cioè, che sono prodotte con gli sforzi fisici dell’uomo e che sono identificabili con la sua attività (ad es., il lavoro): con riferimento a queste ultime D.MESSINETTI, voce Energia (dir. priv.), in Enc. Dir., Milano, 1965, p. 868, ne afferma

«l’assoluta irrilevanza sotto il profilo oggettivo. Anzi, più che di vera e propria irrilevanza, derivante dalla inidoneità a soddisfare in via autonoma interessi del soggetto, si tratta addirittura di una radicale inesistenza come elemento oggettivo, dal momento che è impossibile distinguere sia pure concettualmente, l’energia umana dal comportamento, dall’attività concreta, in cui si è esplicata e tradotta».

372 È affermazione comune quella secondo la quale energie naturali conseguono la

qualifica di beni in senso giuridico a condizione che possano essere separate dalla cosa che è la fonte della loro produzione, e che, a sua volta, può essa stessa costituire un bene (cfr., ex multis, D.MESSINETTI, voce Energia (dir. priv.), in Enc. Dir., Milano, 1965, p. 867). In dottrina, è ricorrente la distinzione tra energie separabili dal corpo che le produce, ed energie che, viceversa, non possono essere separate dalla fonte di produzione. L’attitudine delle energie alla separabilità dalla propria fonte assume fondamentale importanza, dal momento che solo le prime possono essere considerate beni in senso giuridico, essendo suscettibili di autonoma utilizzazione rispetto al corpo che le produce e, quindi, idonee a costituire oggetto di separati rapporti giuridici, quali entità determinate e circoscritte del mondo esterno. Secondo D. MESSINETTI, ibidem, p. 868, sono considerate energie non separabili e, in quanto tali,

sottratte all’ambito dell’art. 814, quelle energie naturali che «si manifestano attraverso l’utilizzazione o il consumo della cosa, da cui derivano e della quale debbono considerarsi dei concreti modi di essere»; cfr. anche F.DE MARTINO, Beni in generale -

Proprietà, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna –

Roma, 1976, p. 29, secondo il quale è inseparabile l’energia genetica degli animali «perché questa non può concepirsi come autonoma rispetto all’animale, ma espressione di questo». In termini generali, v. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella

legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, tomo II, 3a ed., Napoli,

2006, p. 906, secondo il quale «le utilità non idonee a costituire oggetto di situazioni soggettive proprietarie (o comunque reali), non connotate quindi dall’esclusività, non potrebbero essere beni». La separabilità deve intendersi non in senso materiale, ma in senso ideale e giuridico, sicché essa sussiste allorquando le energie acquisiscono

assumono conseguentemente un «valore economico», cioè diventano

«suscettibili di valutazione economica»

373

. Ci sembra, pertanto, non

rilievo autonomo perché «in grado di soddisfare interessi determinati e circoscritti» (così O.T. SCOZZAFAVA, I beni, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del

notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2007, p. 107 s., il quale osserva che le

energie acquisiscono autonomia (giuridica ma non certo fisica) solo allorquando sono contenute in un recipiente, ed ipotizza il caso di un soggetto che acquista l’energia contenuta in un’apparecchiatura concessa in comodato: sembra evidente che, in questa circostanza, gli interessi dell’acquirente sono rivolti non all’apparecchiatura, bensì all’energia in essa contenuta, con la conseguenza che la tutela a lui spettante non può esaurirsi nella tutela del recipiente che gli spetterebbe in quanto comodatario, dovendosi, invece, considerare il suo interesse di acquirente dell’energia. Nell’esempio riportato, il contenitore assolve infatti solo alla funzione di consentire all’acquirente di appropriarsi dell’energia in esso contenuta. L’appropriazione avviene nel momento in cui l’energia acquista una propria autonomia «attraverso un meccanismo formale del tutto assimilabile al diritto di proprietà, sicché si può ben affermare che le energie sono beni in senso giuridico». Tale soluzione è condivisa, seppur con riferimento al rapporto tra l’informazione e il supporto che la incorpora, P.PERLINGIERI, L’informazione come bene giuridico, in Rass. dir. civ., 1990, p. 330, il quale

afferma che «occorre stabilire un più realistico e corretto rapporto tra il contenente – documento o supporto nel suo intrinseco valore (come cosa) – ed il suo contenuto (la notizia o l’idea)».

373 Al riguardo ci sembra possano valere le medesime soluzioni raggiunte in

tema di patrimonialità della prestazione. Cfr. M.GIORGIANNI, L’obbligazione. La parte

generale delle obbligazioni, Milano, 1968, p. 35, secondo il quale «[l]a norma dell’art. 1174

va posta in relazione perciò sia con quella che afferma la patrimonialità dei beni presi in considerazione dalla legge (arg. Art. 814 c.c.), sia soprattutto con quella che stabilisce che il contratto deve avere ad oggetto un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 c.c.). Si tratta perciò, in definitiva, di un limite alla libertà negoziale dei privati». L’A., inoltre, (p. 37 ss.), distinti i concetti di giuridicità del vincolo e patrimonialità della prestazione, afferma che «per ricercare se una data prestazione è patrimonialmente valutabile, deve essere preso in considerazione l’ambiente giuridico sociale nel quale l’obbligazione sorge. La valutabilità economica di una prestazione sta ad indicare che, in un dato ambiente giuridico-sociale, i soggetti siano disposti ad un sacrificio economico per godere dei vantaggi di quella prestazione». Secondo E. INDRACCOLO, Prime riflessioni sul d. lg. 9 gennaio 2008, n. 9: il bene «evento sportivo», in

Rassegna di diritto ed economia dello sport, 2008, p. 437 s., «la formulazione dell’art. 810 c.c.

è da intendere nei seguenti termini: è bene in senso giuridico tutto ciò che, in quanto meritevole di tutela, può formare oggetto di situazioni giuridiche soggettive complesse. La posizione che identifica il “bene giuridico” nel solo “bene economico” è da disattendere. Questo perché il concetto di interesse non si può ridurre al mero interesse economico. La cosa è bene, quant’anche realizza interessi di natura non patrimoniale». Cfr. anche F.ANGELONI, La patrimonialità della prestazione, in Contratto e

impresa, 2001, p. 893 ss.; G.CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, in

Riv. dir. civ., 1968, p. 197 ss., nonché F.GAZZONI, Atipicità del contratto, giuridicità del

condivisibile l’opinione secondo la quale il requisito della patrimonialità