• Non ci sono risultati.

individuazione delle oggettività e delle correlative situazioni di appartenenza 296 , quanto nella fase ‘dinamica’ di circolazione negoziale 297

296 Secondo P.GROSSI, I beni: itinerari fra ‘moderno’ e ‘pos-moderno’, in Riv. trim. dir. e

proc. civ., 2012, p. 1060, «il bene sta ad indicare il punto di riferimento oggettivo delle

situazioni e vicende giuridiche del diritto patrimoniale, quasi in contrappunto (e, talora, in contrapposizione) con le posizioni giuridiche soggettive. Infatti, se la cosa può esaurirsi nell’essere semplicemente un frammento di cosmo, il bene è sempre una entità in rapporto a un soggetto e ai suoi interessi e bisogni, è sempre – necessariamente – entità relazionale». V. anche N.LIPARI, Le categorie del diritto civile,

Milano, 2013, p. 119; A.GAMBARO, I beni, in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni e cont. da P. Schlesinger, Milano, 2012, p. 1 ss.; nonché, E.BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, 1960, 2a rist., Napoli, 2002,

p. 48 s., ove si afferma che «[i]l diritto soggettivo ha una finalità statica, di conservazione e di tutela. Il negozio giuridico ha una finalità dinamica, d’iniziativa e di rinnovamento».

297 Al riguardo, ci sembrano vengano in rilievo i concetti di autonomia privata,

causa del contratto e meritevolezza dell’interesse. L’art. 1322, cpv., c.c. riconosce autonomia contrattuale ai privati, attribuendo loro la facoltà di concludere «contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico». Come è stato correttamente affermato da R.CLARIZIA, voce Contratti innominati, in Enc. giur.

Treccani, Roma, 1988, pag. 1, il riconoscimento dell’autonomia privata risponde ad una

esigenza propria dell’ordinamento di tutelare ed incentivare i traffici economici, impedendo che l’inadeguatezza dei mezzi giuridici “tipici” ne comporti la paralisi. Precisa, tuttavia, E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, 1960, 2a rist., Napoli,

2002, p. 53 che «l’ordine giuridico, nel riconoscere che fa l’autonomia privata, sente il problema di fissare condizioni e limiti al proprio riconoscimento. […] È ovvio, infatti, che il diritto non può prestare il suo appoggio all’autonomia privata per il conseguimento di qualunque scopo essa si proponga». Quanto alla meritevolezza dell’interesse, è nota l’impostazione, oggi dominante in dottrina e giurisprudenza, di farla coincidere con la liceità. In tal senso, ex multis, G.B.FERRI, Causa e tipo nella teoria

del negozio giuridico, Milano, 1966, il quale, a pag. 406, afferma che «i criteri dei quali

l’ordinamento si avvale, per la valutazione della meritevolezza dell’interesse sono quelli enunciati nell’art. 1343 c.c.: norme imperative, ordine pubblico, buon costume. Soltanto quando l’interesse perseguito con il contratto sia contrario a siffatti principi, l’interesse non è meritevole di tutela». Per una sintesi delle diverse posizioni espresse in dottrina, v. R. CLARIZIA, op. ult. cit., pag. 6. Tale opinione, oltre a non apparire

corretta in chiave sistematica, sembra giustificata principalmente dal timore di attribuire al giudice un controllo arbitrario sull’esercizio dell’autonomia privata: Cfr. F.GAZZONI, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in

Riv. dir. civ., 1968, pag. 52 ss. il quale afferma che «una delle rare norme che avrebbe

potuto (se non dovuto) essere con maggiore ragionevolezza coinvolta in toto nella caduta dell’ordinamento corporativo fascista, essendone compiuta espressione (ovviamente a livello di ideologia, quale traspare dalla Relazione del Guardasigilli) [… è l’art.] 1322, cpv., c.c.»; precisa, tuttavia, l’Autore (nota 2) che «la tecnica delle clausole generali […] permette, da un lato, di porre la norma al riparo dalla naturale

obsolescenza e, dall’altro, di superare, senza dover ricorrere alle forbici censorie, anche i momenti di crisi istituzionale». A nostro avviso è possibile riconoscere al requisito della meritevolezza di cui all’art. 1322, cpv., cod. civ., un ambito autonomo rispetto alle disposizioni in tema di liceità della causa, elevandolo a presupposto della giuridicità del vincolo negoziale; più precisamente, affinché un negozio possa ricevere la tutela dell’ordinamento, non è sufficiente la conformità alle norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume (limite negativo), essendo invece anche necessario che lo stesso (negozio) rappresenti «la realizzazione pratica dell’ordine giuridico dei valori, quale coerente sviluppo di premesse sistematiche poste nella Carta costituzionale» (cfr. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale,

Napoli, 2006, p. 611) (limite positivo). Per una lettura dell’art. 1322, cpv., cod. civ., come «norma sulla quale erigere una teoria degli indici di giuridicità: ovvero di tutti quegli elementi indispensabili affinché un accordo privato sia qualificabile nei termini di contratto dal sistema giuridico», v. A. M. GAROFALO, La causa del contratto tra

meritevolezza degli interessi ed equilibrio dello scambio, in Riv. dir. civ., 6, 2012, p. 573 ss.

Afferma F. GAZZONI, Manuale cit., p. 816, con riferimento «all’utilità sociale come

ulteriore criterio di controllo del contenuto disciplinare, a fianco ed oltre alla liceità», che «è impossibile ipotizzare contratti socialmente dannosi, ma non illeciti […] mentre per i contratti socialmente futili […] il problema è solo quello della giuridicità del vincolo e della patrimonialità dell’interesse»; l’osservazione di Gazzoni appare inconferente nel momento in cui si eleva la meritevolezza ad indice di giuridicità del negozio. A nostro avviso, inoltre, è possibile immaginare fattispecie socialmente (e costituzionalmente) accettabili ma illecite e viceversa. Si pensi, ad esempio, all’eutanasia di un malato terminale, colpita da un divieto penale, ex artt. 579 e 580 c.p., ma ritenuta (sia pure non unanimemente) meritevole di tutela, o comunque socialmente accettabile (cfr. art. 32 Cost.). Sull’origine e sulle diverse letture che, in epoche diverse, sono state date alla clausola generale di meritevolezza, v. A. GUARNIERI, voce Meritevolezza dell’interesse, in Dig. disc. priv. – sez. civ., XI, Torino,

1994, p. 324 ss. il quale evidenzia come – a fronte di un dibattito dottrinale accesissimo – le pronunce giurisprudenziali raramente hanno invocato il criterio in esame. Quanto alla individuazione concreta dei valori che soddisfano il requisito della meritevolezza, le posizioni in dottrina sono molto divergenti (cfr. A.GUARNIERI, op.

ult. cit., pagg. 328 e 329); un esame attento consente tuttavia di individuare quale

minimo comun denominatore la tutela dei valori costituzionali. La tesi qui sostenuta ha trovato puntuale accoglimento anche in una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2011, n. 7557 in Giur. It., 2012, pag. 543 ss.) nella cui motivazione si afferma che «i controlli insiti nell’ordinamento positivo relativi all’esplicazione dell’autonomia negoziale, riferiti alla meritevolezza di tutela degli interessi regolati convenzionalmente ed alla liceità della causa, devono essere in ogni caso parametrati ai superiori valori costituzionali previsti a garanzia degli specifici interessi perseguiti (Cass. 19 giugno 2009 n. 14343): in tal senso dovendosi ormai intendere la nozione di "ordinamento giuridico", cui fa riferimento la norma generale sul riconoscimento dell'autonomia negoziale ai privati, attesa l'interazione, sulle previgenti norme codicistiche, delle superiori e successive norme di rango costituzionale e sovranazionale comunque applicabili quali principi informatori o fondanti dell'ordinamento stesso». Bisogna, tuttavia, sottolineare come la dottrina guardi con molta diffidenza ad un sindacato del giudice sull’equilibrio contrattuale

Con particolare riferimento ai beni, è affermazione delle Sezioni Unite