a) Classificazione degli enunciati
Messo così da parte questo tema, si entra nel cuore della logica valliana. Il suo mo- dello è sempre il De interpretatione di Aristotele, per lo più filtrato dal commento di Boezio e dalle Summulae terministe – in particolare quelle di Pietro Ispano e di Paolo Veneto. Di- versamente da questi ultimi, Valla non suddivide gli enunciati in categorici e ipotetici (o condizionali) – sebbene qui prenda d’esame il primo e nel terzo libro si occuperà del secondo –, probabilmente perché, come ha chiarito all’inizio, l’analisi non deve essere ristretta agli enunciati composti soltanto dal soggetto, dal predicato e dalla copula (ovvero i categorici)188. Gli enunciati si distinguono in affermativi e negativi a seconda se vi siano o meno avverbi di negazione. Prendendo le distanze da Aristotele, Valla definisce l’affermazione e la nega- zione sulla base dell’usus loquendi e non dell’attribuzione e della separazione189.
187 Cf. NAUTA, In Defense of Common Sense cit., pp. 72-79.
188 Cf. PIETRO ISPANO, Summ., I, 7; PAOLO VENETO, Log. p., I, 13. Sebbene anche Ispano e Veneto si
occuperanno più avanti degli enunciati ipotetici, Valla lo farà solo coi sillogismi; cf. VALLA, DD, III, 10.
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Sono universali gli enunciati con ‘omnis’, ‘nullus’ ecc., particolari con ‘aliquis’ (‘qualcuno’) o ‘quispiam’ (‘qualcuno/taluno’). L’umanista separa da questi ultimi gli enun- ciati singolari con ‘quidam’ (‘un certo’), che Boezio, Ispano e Veneto considerano invece come un segno particolare. Tale distinzione sarà decisiva per la critica al quadrato delle op- posizioni190. Al pari di ‘quidam’, Valla considera segni singolari anche i pronomi ‘hic’, ‘ille’ e ‘iste’, tradizionalmente intesi come termini che rendono un enunciato singolare quando si uniscono a un termine comune (ad es. ‘quest’uomo’) – analogamente ai pronomi ‘meus’, ‘tuus’ o ai nomi propri191. Per Valla è inutile specificare che tali segni debbano essere uniti a un termine comune (‘omne animal’, ‘aliquod animal’, ‘omnis homo’, ‘aliquis homo’ ecc.), perché nessuno dice ‘omnis ego’, ‘quidam tu’, ‘nullus Sol’ o ‘aliqua Luna’. Tuttavia, ciò non vale sempre, perché in alcuni casi i nomi propri o gli appellativi possono essere preceduti da un segno universale o particolare, come quando si dice ‘omnis Alexander’, ‘nullus Alexan- der’, ‘aliquis Alexander’ ‘nullus titan’192.
Qui il bersaglio dell’umanista sembra non solo un duplice assunto della teoria ispanea della distribuzione dei segni, ma più in generale il modo di concepire la composizione e la formulazione degli enunciati da parte del logico scolastico – e questo, come dirò a breve, coinvolge la teoria della suppositio di cui la distributio signorum è una parte. Ispano defini- sce la distribuzione come una «multiplicatio termini communis per signum universale facta», in cui cioè il termine comune viene distribuito per ogni parte denotata dal segno193. In ‘omnis homo’, ad es., ‘homo’ si estende a tutti i referenti di ‘omnis’, vale a dire a tutti gli uomini,
190 Cf. infra, p. 127 ss.
191 Qui Valla si riferisce alla distinzione ispanea tra terminus singularis e propositio singularis; cf.
PIETRO ISPANO, ibid., I, 8. Il primo «est aptus natus de uno solo predicari» (‘Sortes currit’) mentre la seconda «est illa in qua subicitur terminus singularis vel terminus communis iunctus cum pronomine demonstrativo» (‘iste homo currit’); il terminus communis invece è «aptus natus de pluribus predicari». Cf. anche OCKHAM,
Sum. log. II, 1, 88-92. In realtà, già Ockham e Veneto avevano considerato i suddetti pronomi come segni
singolari; cf. ibid., II, 1 88-92; PAOLO VENETO, Log. p., I, 20. Entrambi, poi, distinguono le proposizioni sin- golari da quelle universali, particolari e indefinite, salvo identificare ‘quidam’ con ‘aliquis’ e con altri segni particolari; cf. PIETRO ISPANO, ibid., I, 8-9, 12; PAOLO VENETO, ibid., I, 19-20, 23-26; BOEZIO, In lib. Arist.
De int., 463A-464D, 468A-D, 471A.
192 Cf. PIETRO ISPANO, ibid., I, 8; PAOLO VENETO, ibid., I, 19-20; VALLA, DD, II, 3, 1-5. 193 Cf. PIETRO ISPANO, ibid., XII, 1.
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mentre un termine singolare non può essere distribuito perché ha un solo suppositum; per- tanto, conclude Ispano, non si può dire ‘omnis Sortes’ o ‘omnis Plato’ (primo assunto criti- cato da Valla). Qui si verifica una incoerenza tra le parti del discorso, cioè una inadeguata attribuzione del segno al termine194. Tuttavia (secondo assunto ispaneo), un segno universale può avere un solo suppositum all’interno di un contesto dimostrativo, il quale, poiché attiene solo a enunciati universali, dovrà recare il segno ‘omnis’. In questo caso sono consentite espressioni come ‘omnis sol’ o ‘omnis luna’195.
A ben guardare, Valla colpisce anche un altro passaggio della teoria di Ispano, e cioè che per respingere o ammettere espressioni come ‘omnis Sol’ o ‘omnis Alexander’ si debba analizzare e stabilire il rapporto interno alle parti del discorso. Verosimilmente, nessuno sa- rebbe disposto a dire ‘omnis sol’ e a giustificarsi mediante la tesi di Ispano. È evidente che per Valla la liceità di espressioni simili dipende dall’usus loquendi, in virtù della quale non occorre determinare il rapporto tra il segno e il suo referente per sapere che nessuno dice, ritenendolo sensato, ‘omnis luna’, ‘omnis sol’ o ‘omnis ego’ – e che, per contro, non ne abbia dire ‘omnis Alexander’. Valla conosce bene l’importanza del terminus communis all’interno della logica terminista e dei temi ad esso collegati – dalla suppositio all’appellatio, dalla
restrictio e ampliatio fino alla distribuzione dei segni196. Tuttavia non è interessato a questi temi, i quali introducono distinzioni per lui cavillose che non possono decidere della liceità di certe espressioni, né tantomeno valere come principi della logica.
Proseguendo, l’umanista distingue gli enunciati in affermativi e negativi, il cui valore è identico sia al singolare sia al plurale. Esempi di universali affermativi e negativi saranno:
194 Cf. ivi. Scrive Ispano: «unde iste sunt incongrue: ‘omnis Sortes’, ‘omnis Plato’, et sic de aliis. Et
est ibi solecismus per partes orationis». In realtà Valla non nega questo assunto come tale, perché in espressioni come ‘omnis Alexander’ o ‘aliquis Alexander’, in cui il nome è comune a più individui, il segno continua ad avere più oggetti di appellazione – a differenza dell’esempio di Ispano (‘omnis sol’) non a caso respinto dall’umanista; critica bensì il fatto che principi simili vengano stabiliti non solo more dialectico, ma anche senza tener conto delle molteplici circostanze semantiche in cui si rivelano errati. Oltretutto, già Boezio soste- neva che il nome ‘Plato’ potesse predicarsi di più individui, a differenza della ‘Platonitas’ (cioè la proprietà di Platone). Cf. BOEZIO, In lib. Arist. De int., 464A-B.
195 Cf. PIETRO ISPANO, Summ., XII, 7.
196 Cf. ibid., IX, XI, X, 3-4, XII. Un riferimento rapido da parte dell’umanista a questi temi, nella
fattispecie alla ampliatio, alla compositio e alla divisio, si trova nell’Encomion; cf. VALLA, Scritti filosofici e
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‘omnis equus hinnit’ (‘ogni cavallo nitrisce’), ‘omnes equi hinniunt’ (‘tutti i ca- valli nitriscono’), ‘nullus equus hinnit’, ‘nulli equi hinniunt’ (‘nessun cavallo nitrisce’);
di particolari:
‘nonnullus equus hinnit’ (‘qualche cavallo nitrisce’), ‘nonnulli equi hinniunt’ (‘alcuni cavalli nitriscono)’, ‘nonnullus equus non hinnit’, ‘nonnulli equi non hinniunt’;
per i singolari:
‘hic equus…’, ‘meus equus…’, ‘Bucephalus hinnit’ o ‘…non hinnit’ al singo- lare, e ‘hi equi…’, ‘mei equi…’, ‘Bucephali hinniunt’ o ‘…non hinniunt’ al plu- rale.
Vengono in ultimo gli indefiniti (enunciati privi di segno):
‘equus hinnit’, ‘…non hinnit’, ‘equi hinniunt’, ‘…non hinniunt’.
Diversamente dalla tradizione latina inaugurata da Boezio, per Valla gli indefiniti hanno valore universale e non particolare, perché se il nitrire è una proprietà del cavallo allora l’enunciato dovrà riferirsi a ognuno di essi197. Quando invece il sostantivo viene ripetuto due
197 Cf. BOEZIO, In lib. Arist. De int., 472D-475D. Scrive Boezio nel De syllogismo categorico: «inde-
finitae propositiones aequam vim retinent particularibus propositionibus»; cf. ID., De syll. cat, 802C. Secondo Boezio l’indefinito non è universale neanche quando la qualità espressa dal predicato inerisce (o non inerisce)
naturaliter al soggetto (ad es. ‘homo animal est’), ciò a cui è rivolta l’obiezione di Valla in questo caso; cf. ibid., 776C-777A. Seguendo Teofrasto, nel commento al De interpretatione Boezio sostiene che proposizioni
particolari come ‘quidam homo iustus est’ sono indefinite perché non specificano per quanti (e quali) individui sta il segno ‘quidam’ – e chiama queste proposizioni ‘particulares indefinitae’; cf. ID., In lib. Arist. De int., 464B-D. Si può dunque arguire che gli indefiniti hanno un valore simile ai particolari perché un soggetto privo di segno non specifica il numero dei suoi referenti. Ciononostante, in alcuni punti Boezio sembra lasciare aperta la possibilità che gli indefiniti siano equivalenti agli universali; cf. ibid., 465C, 478B-D. Anche secondo Veneto gli enunciati con ‘aliquis’ sono indefiniti; cf. PAOLO VENETO, Log. p., VII, 5. Diversamente da quanto scrive Mack, gli indefiniti rientrano nella distinzione tradizionale degli enunciati, perlomeno con questo nome, fin da Boezio, ma di fatto erano già presenti in Aristotele; cf. MACK, Renaissance Argument cit., p. 74; ARISTOTELE,
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volte, allora l’enunciato assume un valore particolare: ‘equus superat equum’ (‘il cavallo vince nella corsa il cavallo’), poiché solo qualche cavallo viene sconfitto nella corsa da un altro. Tuttavia neanche in questo caso l’enunciato è particolare, perché sottintende che ogni cavallo, nessuno escluso, vinca o venga battuto da un altro. Bisogna invece ricorrere espli- citamente al segno per conferire all’enunciato un valore particolare: ‘aliquis equus superat aliquem equum’198. Tale differenza, prosegue Valla, risulta più comprensibile con quest’al- tro enunciato: ‘equus superat bovem’, in cui, come l’eredità tra due fratelli, l’universalità è appannaggio di uno dei due non appena venga sottratta all’altro. In altri termini, tutti i cavalli prevalgono su ogni singolo bue199. Occorre spiegare meglio questi passaggi, soprattutto per- ché introducono la concezione valliana dell’universalità che più avanti si rileverà centrale.
b) Osservazioni sull’enunciato indefinito e sulla teoria della suppositio
Nell’enunciato ‘equus superat equum’ non avviene il passaggio dell’eredità (cioè dell’universalità) dall’uno all’altro, perché il cavallo vinto non cede ipso facto all’altro la qualità esclusiva di essere vincitore. Esso, infatti, può a sua volta essere battuto da un altro, così come chi viene vinto può prevalere su un altro cavallo. Viceversa, al bue non è dato di vincere contro il cavallo, né a questo di perdere contro quello; perciò ad ogni bue appartiene solo l’essere vinto dal cavallo e non anche il prevalere su questo. All’interno di una stessa specie, invece, nessun individuo possiede una proprietà esclusiva, della quale, cioè, un altro individuo della stessa specie sia privo per natura. Per questo, come afferma l’umanista, è proprio di ogni cavallo non solo vincere ma anche esser vinto, e l’enunciato rimane univer- sale.
Di conseguenza, non è la mancanza del segno come tale a rendere universale un enunciato, bensì lo specifico rapporto tra la qualità espressa dal predicato e il soggetto. In altri termini, l’universalità di un enunciato indefinito è subordinata al possesso di una qualità da parte di tutti gli individui di una medesima specie, e laddove la qualità è non naturale – il
198 Tuttavia anche qui è implicito un riferimento all’universalità, perché, come l’umanista dirà più
avanti, propriamente ogni particolare è in parte una negazione dell’universale. Cf. VALLA, DD, II, 10, 5.
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cui possesso cioè non è necessario (ad es. il calore nel ferro) –, l’enunciato sarà particolare200. Tale, infatti, l’umanista considera un enunciato del tipo
‘elephas invento in solitudine homini viam monstrat’ (‘l’elefante mostra la strada a un uomo trovato nella foresta’),
perché non tutti gli elefanti compiono tale azione né per tutti gli uomini, ma solo alcuni elefanti per alcuni uomini. In altri casi, invece, conta non tanto il possesso della qualità, ma le circostanze retorico-discorsive grazie alle quali un enunciato indefinito può assumere va- lore singolare, ad es.
‘nosti hominis tarditatem ac taciturnitatem’ (‘hai conosciuto la lentezza e la ta- citurnità dell’uomo’),
come Cicerone dice di Pompeo, dove è sottinteso l’uomo di cui si sta parlando, oppure: ‘non repperi in stabulo equum’ (‘non ho trovato il cavallo nella stalla’) cioè il mio, il tuo o il nostro cavallo201.
Dunque, sebbene l’enunciato sia sempre indefinito, i casi a cui si applica ne attestano un valore di volta in volta diverso202. Ne consegue che non è tanto la mancanza del segno come tale a decidere della natura dell’indefinitezza (sebbene un enunciato privo di segno sia sempre indefinito), quanto il contesto e il contenuto dell’enunciato stesso. Se per Boezio gli indefiniti sono particolari a causa degli effetti di tale mancanza, poiché essi non specificano a quanti e a quali individui si riferiscono, per Valla l’assenza del segno non rende di per sé imprecisato quanti e quali siano i soggetti in questione, e solo in alcuni casi si verifica la circostanza descritta da Boezio.
200 Sulla distinzione tra qualità naturale e non naturale, si veda ibid., I, 13, 1-4. 201 Cf. VALLA, DD, II, 3, 11-12.
202 Tutto ciò risulta ancora più chiaro in una serie di passi della Repastinatio assenti nell’ultima edi-
zione; cf. ID., Rep., p. 455. A differenza di quanto ritiene Laffranchi, qui a mio avviso la determinazione del valore universale o particolare dell’indefinito non dipende tanto da un criterio di tipo retorico o grammaticale, quanto da una considerazione del rapporto tra la qualità propria del predicato e il soggetto. Per questo, lo vedremo immediatamente, la teoria della suppositio non può essere una soluzione, perché presuppone una diversa declinazione di tale valore. Cf. LAFFRANCHI, Dialettica e filosofia in Lorenzo Valla cit., pp. 132-133.
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Inoltre, qui viene colpito anche un altro assunto della logica aristotelico-boeziana: la distinzione tra l’universalità di un termine (stante cioè per tutti i soggetti), ad es. ‘homo’, e il suo predicarsi universalmente, ‘omnis homo’. In base a tale distinzione un termine resta universale anche quando si predica solo di alcuni individui203. Valla invece respinge la se- parazione tra la natura di un termine e il suo valore predicativo204. Nonostante non si soffermi su questo tema, dalle sue osservazioni sembra scaturire la seguente alternativa: o ‘homo’ rimane sempre universale oppure non si può dire che sia tale in sé. E la conclusione più plausibile sembra proprio quest’ultima, poiché per l’umanista l’indefinito non conserva mai lo stesso valore. In altre parole, la critica valliana subordina lo statuto ontologico del termine alla sua funzione predicativa, e ‘homo’ non può essere di per sé universale se assume un valore sempre diverso (ancorché sia un termine comune o univoco)205.
L’importanza di questi passaggi sull’indefinitezza emerge anche dal confronto con un altro topos della logica scolastica apparentemente estraneo: la teoria della suppositio (sempre nella versione di Pietro Ispano). Si è già detto che all’umanista non interessa misu- rarsi con essa – anche se non la ignorava di certo –, e tuttavia vi sono dei richiami piuttosto evidenti. Non solo perché a questa teoria sono collegate le questioni della distribuzione dei segni e del terminus communis richiamate più sopra, ma soprattutto perché quest’ultimo nella logica ispanea – e non solo – svolge il ruolo di termine indefinito206. In generale, poi,
203 Cf. ARISTOTELE, De int., 17b 5-16; BOEZIO, In lib. Arist. De int., 463C-D, 465C-D. 204 Cf. VALLA, DD, II, 3, 9.
205 Da questo punto di vista Valla mostra una maggiore vicinanza con Ispano, secondo il quale ‘homo’
è un termine comune che può assumere valore universale all’interno di una data suppositio, come vedremo immediatamente. Tuttavia, va osservato, la suddetta critica dell’umanista compare in un contesto diverso da quello nel quale è stata discussa qui (cioè quando connota l’indefinito come universale). Le mie osservazioni invece prendono atto del prosieguo del capitolo in cui si dice che l’indefinito assume anche altri valori oltre a quello universale.
206 Richiamo la versione di Ispano – anziché quella di Veneto – non solo perché quest’ultimo è la fonte
dei due temi suddetti, come si è visto, ma anche perché risulta più vicina alle argomentazioni dell’umanista. Scrive Ispano: «indefinita est illa [propositio] in qua subicitur terminus communis sine signo, ut ‘homo currit’». Se però l’indefinito è sempre un termine comune (privo di segno), il termine comune non è sempre un indefi- nito, perché talvolta può stare per un termine singolare o essere preceduto da un segno particolare o universale. Cf. PIETRO ISPANO, Summ., I, 4, 8, 9.
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la teoria della suppositio ha lo scopo di definire le proprietates terminorum secondo le va- riazioni semantiche all’interno dei contesti proposizionali. E Valla non fa qualcosa di molto diverso analizzando gli enunciati indefiniti, rispetto ai quali, anzi, probabilmente è stato in- fluenzato proprio dalla teoria della suppositio, in cui il valore del termine comune/indefinito muta nei diversi contesti. Un loro confronto può dunque aiutare a inquadrare le differenze tra le due impostazioni – malgrado le affinità superficiali207.
Ispano definisce la suppositio come una «acceptio termini substantivi pro aliquo», e in base al valore assunto di volta in volta da questo ‘aliquis’ individua vari tipi di suppositio (communis, discreta, naturalis, accidentalis ecc.)208. Così, il sostantivo (il quale è quasi sem- pre un termine comune in funzione di soggetto) avrà un valore diverso a seconda di ciò che viene aggiunto ad esso. L’enunciato valliano ‘equus hinnit’, ad es., rientra nella suppositio
communis naturalis, dove il sostantivo è un termine comune stante per tutte le cose cui può
riferirsi (cioè per tutti i cavalli, in quanto il nitrire appartiene a ognuno di essi), ed ha valore universale209. Ora, una differenza interessante rispetto alla determinazione ispanea dell’in- definito risiede nelle prime due forme di suppositio: communis e discreta. Nella prima il sostantivo sta per un termine comune (‘homo’), e l’enunciato corrispondente è indefinito (‘homo currit’); nella seconda sta per un termine discreto o singolare (‘Sortes’ o ‘iste homo’),
207 Della vasta letteratura sulla logica terminista mi limito a segnalare L. M. DE RIJK, The Origins of the Theory of the Properties of Terms, in The Cambridge History of Later Medieval Philosophy cit., pp. 161-
173 (tr. it. pp. 71-84); A. DE LIBERA, The Oxford and Paris Traditions in Logic, in ibid., pp. 174-187 (tr. it. pp. 85-101); E. J. ASHWORTH, Terministic Logic cit., I, pp. 146-158. Analogo accostamento di Valla alla teoria della suppositio si trova in BLANCHARD, The negative dialectic of Lorenzo Valla cit., p. 179. Tuttavia, il tema viene affrontato in un altro contesto e senza ulteriore analisi; si veda anche MACK, Renaissance Argument cit., pp. 92-93.
208 Cf. PIETRO ISPANO, Summ., VI, 3-9.
209 Cf. ibid., VI, 4. Scrive Ispano: «suppositio naturalis est acceptio termini communis pro omnibus a
quibus aptus natus est participari».Un altro punto di contatto risiede nella classificazione di un enunciato del tipo ‘homo est species animalis’. Secondo l’umanista esso non è né universale, né particolare, né singolare ma indica una totalità (‘totaliter’) poiché si riferisce alla totalità della specie (o del genere) e non a qualcosa di determinato – sia esso ‘ciascuno’, ‘qualcuno’ o ‘un tale’; cf. VALLA, DD, II, 3, 12-13. Analogamente, nella
suppositio simplex ispanea il termine comune viene assunto per una cosa universale significata tramite esso,
come ‘homo est species’, in cui il soggetto sta per l’uomo in generale («in commune») e non per qualcosa di determinato («non pro aliquo inferiorum») – come nella suppositio personalis; cf. PIETRO ISPANO, ibid., VI, 5.
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e l’enunciato è singolare (‘Sortes/iste homo currit’)210. Qui Ispano distingue due forme di
suppositio sulla base di due differenti valori del termine sostantivo. Viceversa, in Valla il
termine comune non ha di per sé un valore diverso da quello singolare, perché all’interno di un dato contesto essi possono risultare equivalenti: come detto, ‘homo’ può stare per ‘iste homo’ (come nell’esempio di Cicerone e Pompeo).
Ancora più importante è il confronto con la suppositio personalis determinata, in cui un termine comune viene assunto in senso indefinito o particolare per quelle cose che stanno sotto di esso – cioè i singoli uomini211. Anche in questo caso Ispano distingue due valori per Valla invece intercambiabili. Infatti, il suddetto enunciato
‘elephas invento in solitudine homini viam monstrat’,
sebbene rientri nella suppositio personalis determinata indefinita, è particolare, laddove per Ispano il termine comune o è indefinito o è particolare.
Tuttavia qui c’è da considerare un elemento in più. Secondo il logico scolastico la
suppositio è determinata sia se il termine comune è indefinito sia se si unisce a un segno
particolare, perché ‘homo’ può stare per ogni uomo sia che corra sia che non corra. Ciono- nostante, aggiunge Ispano, essa è vera solo se c’è un uomo che stia effettivamente correndo, perché un conto è stare-per («supponere») e un altro è rendere vera una locuzione stante per qualcosa212. Ora, a mio avviso Valla prende le distanze da ciò affermando che ‘elephas in- vento…’ è particolare perché vale solo per alcuni elefanti. Qui infatti stare-per significa immediatamente stare-per-una-cosa-vera, perché l’enunciato è particolare solo in quanto sta per gli elefanti per i quali risulta immediatamente vero. ‘Elephas invento…’ non può stare per gli elefanti che non ne esauriscono il valore di verità perché, come previsto dalla suppo-