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2. Sulle forme di opposizione

L’ultimo paragrafo di questa sezione è dedicato alla divisione aristotelica dell’opposizione. Aristotele individua quattro tipi di opposizione:

relativa (πρός τι, in latino ad aliquid o relativa, ad es. tra padre e figlio); contraria (ἐναντία, contraria, ad es. tra bene e male);

secondo privazione o disposizione (κατὰ στέρησιν καὶ ἕξιν, secundum privatio-

nem et habitum, ad es. tra vista e cecità);

come affermazione o negazione (κατάφασις καὶ ἀπόφασις, affirmatio et negatio, ad es. siede, non siede)356.

Diversamente da Aristotele, secondo l’umanista la relazione, ad es. tra il doppio e il mezzo o tra padre e figlio, non costituisce una forma di oppositio ma di appositio (ossia di rapporto, comparazione), perché i termini di cui è composta risultano affini e non contrapposti357. Essa esprime semplicemente una messa in rapporto di termini legati e imparentati tra loro. Già nel primo libro l’umanista si è occupato dei termini relativi, in particolare nell’ambito della riduzione della categoria di relazione a quella di qualità, dove il confronto con le Categorie di Aristotele è stato continuo e serrato358. Qui lo Stagirita definisce i relativi come quelle cose che possono essere dette solo in relazione ad altro, ad. es. maggiore o doppio, i quali sono sempre maggiore o doppio di qualcos’altro. La contrarietà, invece, è una specifica forma di relazione avente luogo tra relativi massimamente opposti: virtù e vizio, scienza e ignoranza ecc. Secondo Aristotele, poi, se tutti i contrari sono relativi, non tutti i relativi sono contrari, ad es. grande e piccolo, poco e molto, i quali sono relativi ma non contrari359.

Probabilmente Valla ha in mente queste considerazioni quando esclude che la rela- zione sia una forma di opposizione. Come scriveva nel primo libro della Dialectica, soltanto ciò che è opposto può essere considerato contrario, ad es. il bianco e il nero; ma padre e

356 Cf. ARISTOTELE, Cat., 10, 11b 17-23. 357 Cf. VALLA, ibid., II, 18, 1.

358 Cf. ibid., I, 15, 2-3, 17, 3-4, 19, 4-5; NAUTA, In Defense of Common Sense cit., pp. 44-45, 229-230. 359 Cf. ARISTOTELE, Cat., 6, 5b 11-6b 19.

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figlio, genere e specie, intero e parte e altre coppie simili non sono opposti, dunque non sono contrari. I relativi, afferma l’umanista, sono ἀντικείμενα, non ἐναντία, parola che in greco indica sia la contrarietà sia l’opposizione in senso generale («contraria sive adversa»)360.

La contrarietà come specifica forma di relazione costituisce invece il secondo tipo di opposizione. Nonostante la riconosca come forma di opposizione, secondo Valla essa non differisce dalla privazione e dalla disposizione. Il male, infatti, è sì contrario al bene, ma quest’ultimo è anche un habitum del quale il male è privazione, così come la cecità è ad un tempo privazione della vista e contraria ad essa. Qui l’umanista non prende in considerazione l’elemento alla luce del quale Aristotele giudica differenti queste due forme di opposizione: la mediazione. Se tra i contrari in cui non sussiste nulla di intermedio uno dei due deve essere necessariamente presente per natura (ad es. la malattia e la salute nell’uomo, il pari e il di- spari nel numero), per la privazione e il possesso ciò non è necessario, in quanto ciò che per natura non ha la vista non è né cieco né vedente. Se poi tra i contrari sussiste qualcosa di intermedio, essi non devono appartenere necessariamente a qualcosa (ad es. il caldo e il freddo o il bianco e il nero), invece la privazione e il possesso della vista dovranno apparte- nere a chi per natura possiede la vista. Inoltre, vi sono casi in cui uno dei due contrari può cambiare nell’altro e viceversa (il bianco nel nero o la salute nella malattia), mentre la pri- vazione non può mutare in possesso (il cieco non può riacquistare la vista), sebbene sia dato il contrario361.

Tuttavia, se Valla non considera l’argomento aristotelico è perché ne rifiuta una delle premesse, quella secondo cui la privazione indica l’assenza di qualcosa solo in ciò in cui sussiste per natura e in un dato tempo: ad es. cieco non è chi manca della vista, ma chi l’ha perduta. Se invece, come scrive l’umanista, cieco è chiunque manchi della vista, sia se l’ha persa sia se non l’ha mai avuta (così come malvagio è sia chi non è mai stato buono, sia chi lo è diventato dopo essere stato buono), ne viene che uno dei due termini dovrà predicarsi sempre di qualcosa – come i contrari in cui non sussiste nulla di intermedio362. D’altro canto,

360 Cf. VALLA, ibid., II, 18, 1-2. L’umanista potrebbe esser stato influenzato anche dalla traduzione di

Cicerone, il quale denomina questo tipo di opposizione ‘comparatio’ o ‘collatio’, laddove Boezio lo rimprovera di non aver usato i termini più appropriati di ‘relativa’ o ‘ad aliquid’; cf. BOEZIO, In Top. Cic., 1120D.

361 Cf. ARISTOTELE, Cat., 10, 12b 26-13a 36; BOEZIO, In Top. Cic., 1120A-B. 362 Cf. ARISTOTELE, ibid., 12a 26-34; VALLA, DD, II, 18, 2.

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tralasciando la contrarietà in cui invece è presente una mediazione, Valla può mostrare da un lato la somiglianza tra queste due forme di opposizione (contrarietà e possesso/priva- zione), dall’altro la somiglianza di entrambe rispetto alla quarta e ultima forma di opposi- zione, quella secondo affermazione e negazione.

Quest’ultima viene chiamata da Boezio contraddittoria (da ἀντίφασις, e non contra-

ria, come imputa a Cicerone) o anche aientia e negantia (qui seguendo Cicerone) perché

scaturisce dall’affermazione e dalla negazione della medesima determinazione: siede/non siede, buono/non buono363. Secondo Valla la negazione esprime la privazione di una qualità in quelle opposizioni in cui non si dà mediazione, ad es. tra ‘litteratus’ e ‘non idiota’ (o ‘idiota’ e ‘non litteratus’), ‘ebrius’ e ‘non sobrius’ (o ‘sobrius’ e ‘non ebrius’): la negazione dell’ignoranza e della sobrietà (o dell’essere erudito e dello stato di ebrezza), in quanto rap- presentano la privazione di tali stati, è equivalente alla condizione ad essi contraria, cioè l’essere erudito e l’essere ubriaco, così come la negazione di questi ultimi corrisponde all’ignoranza e alla sobrietà364. Per Aristotele, invece, l’opposizione secondo affermazione

363 Cf. BOEZIO, ibid., 1119C, 1121D-1122B; ARISTOTELE, ivi. Già Aristotele nella Metafisica parlava

di una opposizione secondo contraddizione in luogo di quella secondo affermazione e negazione; cf. ID., Me-

taphysica (in seguito: Meteph.) (le citazioni dalla Metafisica seguiranno la traduzione di Giovanni Reale, Mi-

lano 2010), 1018a 20-22, 1055a 38-1055b 3, 1057a 33-37); ID., Top., 113b 15-26.

364 Cf. BOEZIO, In lib. Arist. De int., 474C-D; VALLA, ibid., I, 13, 7; 19, 3-4. Qui il riferimento di Valla

non può essere la definizione di privazione data da Aristotele nelle Categorie, secondo cui, essendo la priva- zione mancanza di una proprietà in ciò in cui dovrebbe essere presente per natura e in un dato momento, non sempre la negazione corrisponde alla privazione e questa alla determinazione contraria: poiché al cavallo non è dato di essere erudito, non lo si può dire non litteratus o idiota né il contrario. L’umanista potrebbe invece avere in mente alcune pagine della Metafisica in cui lo Stagirita scrive: «la contrarietà prima è data dal possesso e dalla privazione, non però da ogni privazione, in quanto la privazione si intende in diversi sensi, ma solamente dalla privazione perfetta», vale a dire quella della forma, la quale determina il passaggio da un estremo all’altro; ARISTOTELE, Metaph., 1055a 32-34. E più avanti: «ora, se i processi di generazione, nella materia, hanno luogo fra i contrari, e se partono sia dalla forma sia dal possesso della forma sia da una privazione della forma e della struttura formale, allora è evidente che ogni contrarietà sarà una privazione, ma, certo, non ogni privazione sarà una contrarietà, per la ragione che la cosa che subisce una privazione può subirla in diversi modi: perciò solo gli estremi fra i quali hanno luogo le mutazioni sono contrari». Tuttavia, aggiunge Aristotele, è vero che «ogni contrarietà implica che uno dei due contrari sia privazione, ma non in modo simile in tutti i casi: la disuguaglianza è privazione dell’uguaglianza, la dissomiglianza è privazione della somiglianza, il vizio è pri- vazione della virtù» (ibid., 1055b 12-20). Ciò significa che, diversamente da quanto Valla lascia intendere,

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e negazione differisce da tutte le altre perché in essa, mancando termini intermedi, l’una delle due deve risultare necessariamente vera e l’altra falsa, mentre negli altri casi ciò non è dato sempre365.

In conclusione, a mio avviso le osservazioni di Valla risultano senza dubbio perti- nenti. Nella maggior parte dei casi, se l’umanista lascia da parte molti degli elementi chia- mati in causa da Aristotele è perché ne rifiuta alcuni assunti – ancorché non esplicitamente –, primo fra tutti la molteplicità di significati del concetto di privazione. Anche in questo caso, a Valla interessa non già elaborare una teoria delle forme d’opposizione speculare a quella di Aristotele, bensì mostrare la plausibilità di conclusioni contrarie a quelle dello Sta- girita.