Il primo capitolo del secondo libro della Dialectica non si presta ad una comprensione age- vole. Diversamente dalle summulae scolastiche, nelle quali il primo trattato è dedicato a illustrare gli strumenti lessicali e concettuali della logica, l’umanista non solo non fornisce alcun quadro preciso dei principi della sua logica, ma dà l’impressione di selezionare i temi in maniera piuttosto rapsodica. Tuttavia, a ben guardare il primo capitolo del secondo libro della Dialectica contiene alcuni elementi fondamentali della logica valliana, insieme a di- verse indicazioni interessanti sul modo in cui l’umanista recepisce la logica tradizionale. Vediamo quali.
Riprendendo quanto già esposto brevemente nel primo libro dell’opera, Valla defini- sce il discorso (oratio) come una unione coerente di parole dotate di significato, di cui l’uomo è l’artefice146. La parte più semplice è costituita dall’enunciato (enuntiatio), in cui vengono uniti un nome e un verbo, mentre il sillogismo, del quale si tratterà nel terzo libro, è un insieme di più enunciati. Infine c’è il discorso oratorio, quello più elevato e completo di tutti del quale però l’umanista non intende parlare. Valla non si sofferma sulla distinzione tra vox, nomen e verbum con cui si aprono i trattati di logica scolastici e il commento di Boezio al De interpretatione147. Attraverso tale distinzione la dialettica stabilisce il valore e il numero delle parti dell’enunciato, in primo luogo per separare i suoi scopi da quelli della grammatica rispetto a questo tema – comune a entrambe le discipline. Valla è perfettamente
146 Cf. VALLA, DD, I, 14, 22-24.
147 Cf. ARISTOTELE, De interpretatione (in seguito: De int.), 16a-17a 24 (le citazioni in italiano
dell’Organon seguiranno la traduzione di Giorgio Colli, Torino 1955); BOEZIO, In Librum Aristotelis De in-
terpretatione Libri Duo (in seguito: In lib. Arist. De int.), 398D-434B; PIETRO ISPANO, Summ., I, 2-6; PAOLO VENETO, Log. p., I, 2-10. Un rapido cenno a tale distinzione si trova nel primo libro della Dialectica; cf. VALLA,
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a conoscenza di tali questioni ma non analizza le posizioni delle due artes, in primo luogo perché per lui spetta alla grammatica occuparsi delle parti dell’oratio148.
Facendo propria la posizione degli antichi grammatici, ma riprendendola diretta- mente dall’Institutio di Quintiliano (il quale a sua volta si rifà ai grammatici stoici), l’uma- nista critica uno dei caposaldi della logica aristotelico-boeziana: quello dell’oratio simplex (l’unione di un nome e un verbo) come oratio perfecta. Come stabilito da Aristotele, la logica si occupa solo dell’enunciato dichiarativo (cioè vero o falso), per formare il quale è suffi- ciente l’unione di un nome e un verbo in quanto entrambi possiedono un significato com- piuto in sé (ad es. ‘Socrate corre’). Le altre parti del discorso non incidono sul valore di
148 Cf. VALLA, Eleg., II, 6-61; BOEZIO, ibid., 399A-D; ID., De Syllogismo Categorico (in seguito De syll. cat.), 762C-D, 766A-D; ALBERTO MAGNO, In librum Aristotelis Perihermeneias (in seguito: In lib. Arist.
Peri.), I, II, 1, in Opera Omnia cit.; PIETRO ISPANO, ibid., I, 5; PAOLO VENETO, ibid., I, 9; T. SUTO, Boethius
on Mind, Grammar and Logic. A Study of Boethius‟ Commentaries on Peri hermeneias, Leiden - Boston 2012,
pp. 117-129, al quale si rimanda per ulteriori approfondimenti bibliografici. Si veda anche I. ROSIER-CATACH,
Priscien, Boèce, les Glosulae in Priscianum, Abélard: les enjeux des discussions autour de la notion de consi-
gnification, in «Histoire Épistémologie Langage», 25 (2003), 2, pp. 55-84; Cf. CAMPOREALE, Lorenzo Valla
cit., pp. 101-108. Nel primo libro della Dialectica Valla si occupa di un tema collegato a questo, e cioè la costituzione semantica delle parole e dell’attribuzione delle voces alle res; cf. VALLA, DD, I, 14, 22-23. Senza entrare nei dettagli, dico soltanto che, se da un lato l’umanista evita di affrontare i complessi problemi legati a questo tema – procurando così non poche difficoltà agli interpreti –, dall’altro tale semplificazione è interes- sante più per quanto non dice che per quanto afferma. In luogo della tripartizione boeziana di res, intellectus e
vox, in base a cui la res viene pensata naturaliter dall’intelletto mentre la vox è la traccia (nota) convenzionale
che, significando le conceptiones animi e l’intellectus, rimanda alla res, secondo Valla le voces vengono attri- buite direttamente alle res. In questo modo non è più soltanto il segno ad essere convenzionale, ma anche il suo contenuto. L’uomo ne diventa così l’artefice (nonostante vi sia un richiamo piuttosto sporadico alla tradi- zione che vede in Adamo il primo uomo ad attribuire i nomi alle cose), e tale artificialità sottende la storia come luogo istitutivo del significato delle parole, ovvero all’usus, e non ad una sua origine naturale. Cf. REGO- LIOSI, Le Elegantie del Valla come ‘grammatica’ antinormativa cit., pp. 325-327. Sulla difficoltà di questi passaggi dell’opera, cf. NAUTA, In Defense of Common Sense cit., pp. 53-58. Per quanto riguarda Boezio, cf. BOEZIO, In lib. Arist. De int., 402B-414C; SUTO, Boethius on Mind, Grammar and Logic cit., pp. 17-113; M. CAMERON, Boethius on Utterances, Understanding and Reality, in The Cambridge Companion to Boethius, ed. by J. Marenbon, Cambridge 2009, pp. 85-104, 88-92.
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verità dell’enunciato149. Nella logica laurentiana, invece, l’enunciato comprende parti al- trettanto necessarie e non semplicemente accessorie, come il pronome, il participio, la pre- posizione o l’avverbio, tutte ugualmente influenti sul suo valore di verità. Attraverso questa semplice operazione l’umanista ridefinisce la natura dell’enunciato dichiarativo e, di conse- guenza, la fisionomia della dialettica, chiamata adesso a non restringere il valore di verità ad una unità minima di parti. Considerare le altre parti come un mero supplemento, alla maniera di Boezio, significa lasciare un enunciato incompleto, irrisolto – come una famiglia che non può vivere una vita sufficientemente piacevole se fosse priva di schiavi, servi o animali150. Pertanto, con Valla la logica non cessa di occuparsi del valore di verità dell’enunciato, ma lo fa in relazione a parametri diversi da quelli tradizionali151.
Proseguendo, l’umanista nota come la definizione tradizionale del nome e del verbo coincida con quella di soggetto (subiectum) e predicato (praedicatum): il primo è ciò di cui si dice qualcosa, il secondo ciò che si dice di qualcosa152. Quest’ultimo a sua volta viene diviso in verbo e complemento del verbo: in ‘Plato est philosophus’, ‘philosophus’ è il com- plemento del verbo riferentesi al soggetto, e ‘est’ il verbo, detto ‘copula’ in quanto unisce il predicato al soggetto. Viceversa, quest’ultimo è sempre suppositum, cioè un termine stante
149 Cf. QUINTILIANO, Inst., I, 4, 17-19. I grammatici greci e latini individuano otto parti del discorso:
nome, pronome, verbo, avverbio, participio, congiunzione, preposizione, articolo (al posto del quale i latini annoverano l’interiezione – respinta però da Valla nelle Elegantie; cf. GAVINELLI, Teorie grammaticali nelle
“Elegantie” cit., p. 162). Anche secondo Aristotele, il primo a introdurre tale distinzione, la locuzione (lexis)
si compone di otto parti, ma la logica ne considera soltanto due perché persegue fini diversi dalla grammatica. Cf. ARISTOTELE, Poetica, 1456b 20-21; SUTO, ivi; ROSIER-CATACH, ivi.
150 Cf. VALLA, DD, II, 1, 4; BOEZIO, De syll. cat., 796D. Scrive Boezio: «nomen et verbum duae solae
partes sunt putandae, ceterae enim non partes, sed orationis supplementa sunt». Sulla similitudine tra le varie forme dell’oratio e i nuclei sociali, cf. LAFFRANCHI, Dialettica e filosofia in Lorenzo Valla cit., pp. 125-128. Va però notato che nella logica valliana le parti dell’enunciato non sono assimilabili alle partes orationis della grammatica tradizionale. Cf. infra, p. 103 ss.
151 Come si vedrà più avanti, qui il bersaglio sono innanzitutto i criteri di compositio (o coniuctio) e divisio introdotti da Aristotele, intesi come modalità logiche di definizione del vero e del falso; cf. ARISTOTELE,
De int., 16a 12-13.
152 Cf. VALLA, DD, II, 1, 4-5. Tale equiparazione si trova in BOEZIO, In Topica Ciceronis Commenta- riorum Libri Sex (inseguito: In Top. Cic.), 1130C-D. Si veda anche ARISTOTELE, De int., 16b 10-25; QUINTI- LIANO, Inst., I, 4, 18; PIETRO ISPANO, Summ., I, 7.
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per un referente determinato (come quando ‘uomo’ sta per Socrate o Platone)153. In base a tale distinzione, la logica definisce perfectum un enunciato composto dal soggetto, dalla co- pula e dal predicato perché queste parti generano un senso compiuto nell’animo di chi ascolta (ad es. ‘homo est albus’). Un enunciato imperfectum (ad es. ‘homo albus’), invece, diventa compiuto analizzando il verbo nel suo participio e nel verbo essere: ‘Plato legit’ in ‘Plato est legens’, ‘sol lucet’ in ‘sol est lucens’154.
Ora, Valla non nega tanto la validità di tale analisi, quanto la sua formulazione come regola generale di costituzione degli enunciati. Innanzitutto perché essa non è più vera della sintesi, cioè del processo inverso per cui ‘sol est lucens’ diventa ‘sol lucet’, e poi perché in latino esistono alcuni verbi che sfuggono a questa regola (i transitivi passivi), come quando si dice ‘luna illuminatur’. Non solo, ma allora anche il verbo essere andrebbe risolto allo stesso modo: ‘Plato est philosophus’ in ‘Plato est ens philosophus’, il che è assurdo. Così, riprendendo una serie di argomenti sviluppati nel primo libro, Valla conclude che mentre il participio contiene il verbo, e dunque può risolversi in esso (sebbene attraverso un pronome relativo o più parole: ‘lucens’ ovvero ‘qui lucet’, ‘legens’ ovvero ‘is homo qui legit’), il verbo non contiene in sé il participio, perciò non può essere risolto155.
Secondo alcuni studiosi Valla trascura – o peggio ignora – il motivo per cui la logica assume la sintesi del verbo nel participio e nel verbo essere, e cioè uniformare gli enunciati privi della copula (i quali si sottraggono alla forma perfetta del giudizio dichiarativo) a quelli in cui è presente, operazione importante soprattutto in sede di sillogismo156. Ci sono diversi motivi per dissentire da questo giudizio. Lasciando da parte la critica della sostantivazione
153 Il suppositum ha un ruolo fondamentale all’interno della logica nova in quanto è alla base della
teoria della suppositio, come vedremo a proposito di Pietro Ispano; cf. infra, p. 70. Nonostante esso, insieme all’appositum (ovvero l’appositio), abbia un’origine grammaticale – come Valla mostra di sapere attraverso le
Elegantie –, l’umanista è anche a conoscenza dell’uso filosofico di questa coppia di termini da parte della
logica recente. Cf. VALLA, Eleg., III, 40. Così, nella Repastinatio utilizza come sinonimi ‘predicato’ e ‘appo-
situm’ «aliorum more»; cf. ID., Rep., p. 455.
154 Cf. PIETRO ISPANO, Summ., I, 6-7; PAOLO VENETO, Log. p., I, 11-13; BOEZIO, In lib. Arist. De int.,
417B-C.
155 Cf. VALLA, DD, I, 2, 15 e 3, 25; ID., Rep., p. 451.
156 Cf. MACK, Renaissance Argument cit., p. 74; NAUTA, In Defense of Common Sense cit., p. 215.
Cf. ARISTOTELE, De int., 20a 3-7, 21b 5-10 in cui dice che ‘uomo cammina’ è identico a ‘uomo è camminante’; BOEZIO, In lib. Arist. De int., 549D-550A-B.
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del participio/trascendentale ens sulla quale si regge buona parte primo libro, e di cui quella appena discussa è una diretta conseguenza, Valla coglie piuttosto un difetto del suddetto assunto. Talvolta, infatti, risolvendo il verbo nel participio e nella copula l’enunciato acqui- sta un valore diverso: ‘nescit quispiam diem mortis’ (‘non conosce taluno il giorno della propria morte’) è universale, mentre ‘quispiam est nesciens diem mortis’ (‘taluno è non- conoscente del giorno della propria morte’) è particolare157. Oppure, dicendo ‘homo est cur- rens’ si denota l’atto del correre e non il correre inteso come qualità158.
Insomma, se in alcuni casi è possibile risolvere il verbo nel participio e nella copula, in altri non lo è, e il problema consiste nell’aver universalizzato una regola solo parzialmente valida – anche se per Valla sembrano esservi più motivi per rifiutarla di quanti non ve ne siano per mantenerla159. Il contrasto tra l’universalità delle regole e la loro incapacità a valere in tutti i casi sarà un elemento centrale della critica valliana. Pertanto, qui non solo non vi è alcuna confusione tra il piano logico e quello semantico, ma l’obiezione dell’umanista im- plica un’attenzione ai differenti contesti semantici in relazione ai quali muta il significato di un enunciato, dunque la sua funzione logica.
Alla fine del primo capitolo Valla critica un altro assunto della dialettica tradizionale, e cioè che la logica debba occuparsi soltanto dell’enunciato indicativo (peraltro al presente) e lasciare da parte il modo ottativo, imperativo, soggiuntivo ecc. perché in questi non si trova né verità né falsità160. L’umanista invece include gli altri modi e tempi perché anch’essi influenzano la natura dell’enunciato, come già si è visto con le partes orationis. Certo, qui è innanzitutto il Valla orator che parla. Tuttavia, non si deve mancare di cogliere il significato generale di questa operazione, e cioè che un enunciato non va ristretto a un numero limitato
157 Già Boezio (e altri commentatori prima di lui) poneva il problema della risoluzione del verbo nel
participio e nella copula – ma solo a proposito dei verbi infiniti, cioè preceduti dall’avverbio ‘non’ – chieden- dosi se formassero una negazione o un’affermazione. Cf. BOEZIO, ibid., 550D-551A-D; VALLA, DD, I, 2. Al fine di agevolare la comprensione dell’analisi valliana, riporterò tra parentesi la traduzione (mia) degli enun- ciati o dei termini latini che possono risultare più ostici.
158 Nel trattato sui sincategorematici Ispano scrive: «‘hoc participium ‘legens’ actionem significat cum
substantia infinita’». PIETRO ISPANO, Sync., I, 14.
159 Nella Repastinatio (I versione), riferendosi alle espressioni ‘Plato est legens’ e ‘sol est lucens’,
scriveva: «quod plane rude et inscitum est». Cf. VALLA, Rep., p. 450.
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di parti e di circostanze semantiche, ma deve tener conto del maggior numero possibile di variazioni linguistiche, tutte incidenti sul suo valore di verità. All’inizio del capitolo Valla ha affermato che dell’oratio, cioè la forma più alta e compiuta del discorso, non avrebbe parlato affatto, e tuttavia essa è la cornice in cui si inserisce fin a subito l’enuntiatio. Egli supera l’assunto tradizionale dell’oratio simplex come oratio perfecta (ad es. ‘Plato legit’) perché fonda l’unità minima del discorso logico a un livello più complesso. È evidente allora per quale motivo gli esempi di enunciati scelti dall’umanista differiscono molto da quelli tradizionali, e cioè allargare lo spettro semantico che serve a verificare le norme logiche.
Dunque, come Aristotele nei primi tre capitoli del De interpretatione stabilisce i fon- damenti dell’analisi logica dell’enunciato, così Valla, più per quanto lascia intendere che per quanto non dica esplicitamente, condensa i suoi nel breve capitolo di apertura del secondo libro della Dialectica.