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L’epistemologia della testimonianza

esperienza e quotidianità

Capitolo 4 Lo studio delle pratiche educative

4.1. La valenza epistemica ed epistemologica dell’analisi delle pratiche

4.1.1. L’epistemologia della testimonianza

È solo nelle parole

che le cose diventano e sono

Martin Heidegger

La testimonianza è riconosciuta in epistemologia come un’importante fonte di conoscenza. Meno consenso c’è riguardo lo status epistemico della testimonianza. Ci si domanda, infatti, se la testimonianza è una fonte primaria di conoscenza, o un importante strumento per trasmettere conoscenza acquisita in altro modo. I termini del dibattito attuale hanno origine con Locke, Hume, Descartes e Reid. Locke e Hume diffidavano della testimonianza come fonte primaria, privilegiando i sensi, mentre Descartes la screditava conformemente al suo programma di fondazione della conoscenza a partire dal ragionamento e dall'introspezione. L'idea che la testimonianza sia una fonte di conoscenza primaria nella comunità umana era invece sostenuta da Thomas Reid. Da allora sulla testimonianza, e sulla sua giustificazione, si sono contrapposte queste due linee di pensiero, una riduzionista e una anti- riduzionista.

«Secondo gli antiriduzionisti la testimonianza è una fonte di base di giustificazione, alla pari di percezione, memoria e ragionamento, e chi riceve testimonianza è giustificato a fidarsene in assenza di defeaters rilevanti. I riduzionisti sostengono al contrario che non sia sufficiente l’assenza di defeaters rilevanti: per credere giustificatamente a una testimonianza chi la riceve deve possedere ragioni non- testimoniali. Normalmente, tali ragioni sono fornite da un’induzione a partire dalla memoria dell’osservazione di una generale conformità tra i fatti e le testimonianze ricevute. I riduzionisti ritengono inoltre che il promuovere la testimonianza a fonte primaria significhi autorizzare la credulità e l’irresponsabilità epistemica»41.

41

E. Fricker, Testimony: Knowing through being told, in I. Niiniluoto, M. Sintonen, J. Wolenski, Handbook of epistemology, Dordrecht, Kluwer Academic Publishers, 2005; J. Lackey, Introduction, in J. Lackey, E. Sosa, The epistemology of testimony, Oxford, Clarendon University Press, 2006; P. Faulkner, The social character of testimonial knowledge, “Journal of philosophy”, n. 97, pp. 581- 601, 2000.

Annette Wieviorka ha definito la nostra epoca «l'era del testimone»42 sottolineando l'attenzione che oggi è riservata al racconto dei protagonisti del passato.

È solo di recente che gli epistemologi hanno smesso di considerare un errore contare sulla testimonianza in quanto segno di dipendenza epistemica e perciò di rinuncia alla propria autonomia.

Negli ultimi anni, infatti, la significanza epistemica della testimonianza ha avuto notevoli apprezzamenti e la letteratura di settore ha beneficiato di pubblicazioni e di lavori innovativi43.

Una delle questioni fondamentali della “epistemologia della testimonianza” è come si acquisisce una giustificata credenza o una conoscenza sulla base del “dire degli altri”. Si tratta di capire non solo se la testimonianza promuove la conoscenza, ma anche che cosa è la testimonianza, nel suo rapporto con la fiducia: per esempio, è corretto accettare la testimonianza di coloro dei quali ci fidiamo oppure possiamo essere legittimati ad acquisire conoscenze anche attraverso le parole di coloro di cui non ci fidiamo?

La questione della testimonianza si ricollega dunque al discorso sulla fiducia, sulla crisi di fiducia che negli ultimi anni ha investito il settore dei professionisti dei vari settori all'interno della società che lavora, che si specializza per fornire un servizio. Perché dunque viene meno la fiducia nel comunicatore che si interfaccia con noi su questioni inerenti la soddisfazione di un bisogno, la prestazione di un servizio, la comunicazione di un consiglio? La risposta potrebbe trovarsi proprio nel vacillare della posizione anti-riduzionistica, rispetto alla fede nella testimonianza, a favore di quella riduzionistica avviata dagli studi di David Hume, per il quale la “giustificazione” nella testimonianza, ovvero la sua credibilità, risiede nella natura dell'interazione sociale esistente fra chi parla e chi ascolta, che viene intesa come garanzia, processo di conferma e verifica di un'opinione.

In epistemologia, il riduzionismo mira a ridurre le fonti di conoscenza e la

42

Annette Wieviorka, L'era del testimone, tr. it. Milano, Cortina 1999, in C. Laneve, op. cit, p. 46. 43

Fra gli altri si veda anche N. Vassallo, Teoria della conoscenza, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 24-32.

giustificazione della loro affidabilità a qualcosa di più fondamentale. Il riduzionismo sulla testimonianza nella sua versione iniziale (posizione comunemente attribuita a David Hume) sostiene che la conoscenza acquisita tramite testimonianza sia riducibile alla conoscenza sostenuta da altre fonti (percezione e inferenza), e quindi nega che la testimonianza sia una fonte epistemica autonoma.

Più recentemente il dibattito riduzionista si è occupato di individuare nella testimonianza diverse forme di dipendenza rispetto alle fonti di base, arrivando a sostenere che la testimonianza debba appoggiarsi alla percezione (che è indiscutibilmente fonte fondamentale e primaria) anche al solo scopo di generare credenza.

Il giudizio di valore che s'intende conferire alla testimonianza in quanto tale, ovvero come fonte primaria di conoscenza, è implicitamente contenuto in quanto espresso da H. I. Marrou, a proposito della conoscenza storica: «Nulla di peculiare vi è nella comprensione del passato: si tratta dello stesso processo di cui si serve la conoscenza degli altri nel presente, e, in particolare, nella comprensione del linguaggio articolato»44.

Per Marrou la conoscenza storica basandosi sulla testimonianza di altri «non è una scienza propriamente detta ma una conoscenza di fede»45.

Prendendo spunto dalla tesi espressa da Raymond Aron in, Introduction à la

philosophie de l'histoire. Essai sur les limites de l'objectivité historique46, il quale ha avuto il merito di dissolvere un importante dato del senso comune e cioè l'asserzione del carattere assoluto dell'evento, inteso come ciò che è veramente accaduto, Paul Ricoeur dichiara espressamente la sua tesi circa il carattere narrativo della storia, affermando che la storia è essenzialmente una disciplina ambigua, un po’ letteraria, un po' scientifica. Più oltre il filosofo chiarisce che la sua tesi è che la storia, anche la

44

I. Marrou, De la conaissance historique, Ed. du Seuil, Paris, 1944: tr. it. La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna, 1976, p. 86; in P. Ricoeur, op. cit., p. 182.

45

Ibidem p. 137. 46

R. Aron, Introduction à la philosophie de l'histoire. Essai sur les limites de l'objectivité historique, Gallimard, 1938; “Biblioteque des Idées”, Paris, 1957 in Paul Ricoeur, Tempo e racconto, cit. p. 147.

più lontana dalla forma narrativa, continua ad esser legata alla comprensione narrativa mediante un legame di derivazione che si può ricostruire gradualmente mediante un metodo adeguato. Questo metodo non dipende dalla metodologia delle scienze storiche, bensì da una riflessione sull'intenzionalità del pensiero storico grazie al quale la storia continua a rivolgersi in modo obliquo al campo dell'azione umana e alla sua temporalità di base.

La suggestione di Ricoeur sposa quella di Aron nella misura in cui quest'ultimo afferma: «Non esiste una realtà storica bell'efatta prima della scienza. Che si tratterebbe solo di riprodurre con fedeltà»47.

Aron intende dunque affermare che nella misura in cui lo storico è implicato nella comprensione e spiegazione degli eventi passati, un evento assoluto non può essere attestato mediante il discorso storico. La comprensione, anche la comprensione di un singolo altro evento della vita quotidiana, non è mai una intuizione diretta ma sempre una ricostruzione.

Marrou, citando Aron, scrive: «Ma no, ...non esiste una realtà storica già definita prima che intervenga la scienza, e che si dovrebbe soltanto riprodurre fedelmente. La storia è il risultato dell'attività creatrice dello storico che, soggetto conoscente, stabilisce un rapporto tra il passato evocato e il presente che è suo»48.

Le considerazioni di Marrou inducono quindi ad affermare che la comprensione, intesa come processo di appropriazione della verità, avvolge l'intero lavoro dello storico nella misura in cui «la storia è un'avventura spirituale in cui la personalità dello storico si trova interamente impegnata»49.

Nella verità della storia (titolo del penultimo capito del suo libro), Marrou scrive che «quando la storia è vera. La sua verità è duplice, in quanto è costituita – assieme – di verità sul passato e di testimonianza sullo storico»50.

Volendo avvicinarci sempre più all'oggetto di indagine del nostro capitolo, lo statuto epistemologico della testimonianza, strumento di analisi della nostra ricerca sulle

47

Aron, op. cit. p. 120. 48

I. Marrou, op. cit. pp. 50-51, tr. it. p. 52. 49

Ibidem, p. 221, tr. it. p. 234 . 50

pratiche, ci sembra utile citare Marc Bloch, che, nella sua Apologia per la storia o

mestiere di storico, affida alla penna alcune riflessioni importanti a proposito delle

nozioni di tracce e testimonianza, riconducendo le sue principali notazioni metodologiche alla definizione di storia come “conoscenza per tracce”. Bloch, a proposito delle tracce sulle quali si costruisce una scienza degli uomini nel tempo, afferma che si tratta essenzialmente di «rapporti dei testimoni»51 e a proposito dello statuto del racconto, su cui indugeremo più avanti, appare come una specie di testimonianza intenzionale, destinata all'informazione del lettore.

Attraverso le sue considerazioni si evince chiaramente la specificazione della nozione di traccia in termini di dimensione psichica dei fenomeni storici: le considerazioni sociali «sono nella loro natura profonda, mentali»52 e da ciò ne deriva, secondo il suo punto di vista, che «la critica delle testimonianze, che lavora sul realtà psichiche, sarà sempre un'arte fiondata sulla discrezione […]»53.

Considerata in questa prospettiva psico-sociologica, la questione del valore della testimonianza, inteso come tessera indispensabile, carica di significato umano, per completare il puzzle della storia, s'intreccia con l'esigenza di spiegare la storia seguendo la rotta di una teoria narrativista, come spiegato da Ricoeur nel suo capitolo

In difesa del racconto, nel quale il filosofo cita Charles Frankel, il quale afferma che

«se la storia viene scritta in un linguaggio ordinario e se il lettore non si attende un linguaggio scientifico specializzato, ciò dipende dal fatto che la riuscita della spiegazione non si misura sulla base del rigore della storia, ma by the account he

gives of concrete affairs». Ci attendiamo dunque dallo storico che racconti una storia

insufflandole la vita54 .

Tende così a svanire la frontiera tra la spiegazione scientifica, la spiegazione del senso comune e quel tipo di giudizio prudenziale che noi esprimiamo abitualmente circa le questione umane. Rimane il concetto di una storia che sarà la «storia anonima, profonda, silenziosa, di un tempo sociale a mille velocità e a mille

51

Marc Bloch, Apologia per la storia o mestiere di storico, p. 57; in P. Ricoeur, op. cit., p. 190. 52

Ibidem, p. 97, tr. it. p. 103. 53

Ibidem, p. 99, tr. it. p.105. 54

lentezze»55. Tesi avvallata anche da Braudel, che si lancia in una esplicita difesa e affermazione di fede nei confronti della storia, in quanto «realtà di una storia particolarmente lenta delle civiltà»56.

La storia che si dispiega attraverso le testimonianze, viste come tracce delle mentalità, permette di cogliere un senso dell'estraneità, della distanza e della differenza, lontane da quel rigore asettico della storia che allontana e appiattisce la curiosità, l'interesse e la partecipazione da parte del lettore. È dunque l'uomo quotidiano, spesso privato della parola, da parte del discorso dominante, che ritrova la parola attraverso le testimonianze, considerate alla stregua di «vecchi documenti che dormono»57 .

Il nostro ragionamento ci porta a concludere, come afferma Frankel, che la storia non è condannata ad essere un campo di battaglia tra punti di vista inconciliabili; c'è posto per un pluralismo critico, il quale, se ammette più di un punto di vista, non li considera però tutti ugualmente legittimi. Frankel mostra tutto il suo spirito liberale e umanista osservando che, giocandosi sulle testimonianze personali, umane, emotive, individuali, anonimo, la storia è fatta di possibilità aperte alle circostanze, ovvero una «storia illuminata da un'idea chiara e attenta a ciò che può essere la vita umana. Tale tipo di storia, aperta alla comprensione narrativa, piuttosto che alla spiegazione storica, è preferibile ad una storia impassibile, senza alcuna presa di posizione, priva di un ideale orientatore, senza ironia e senza le lacrime che accompagnano l'applicazione di questo ideale alla registrazione delle cose umane...»58.

Nell'Apologia della storia, Bloch costruisce una critica vigorosa della nozione di fatto storico e la difesa di una realtà storica costruita dallo storico: «il fatto storico, appunto, sarebbe interamente dato con le fonti (le testimonianze), che avvicinano fondamentalmente la realtà storica, così creata mediante la storia, al racconto, creato

55

Fernand Braudel, La mediterranée et le monde mèditerraneen à l'èpoque de Philippe II, Armand Colin, Paris, 1949, tr. it. Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi , Torino, 1953, pp. 21-24; in P. Ricoeur, op. cit., p. 186.

56

Ibidem p. 24. 57

Ibidem p. 24. 58

dal narratore. In questo modo, si pone in primo piano l'individuo e l'evento»59. Si parla allora di «storia événementielle, ovvero la storia ad oscillazioni brevi, rapide, nervose; la più ricca di umanità, ma anche la più pericolosa», come sostiene Ricoeur60.

Ritornando al valore epistemico della testimonianza, di cui s'intende avvalorare la tesi, ed in particolare, appoggiando la corrente anti-riduzionista, la testimonianza è una fonte di base di giustificazione, alla pari di percezione, memoria e ragionamento, e chi riceve testimonianza è giustificato a fidarsene.

Sosterrò una tesi anti-riduzionista basata su un resoconto affidabilista della giustificazione che si spiega nei termini dell’esercizio di abilità acquisite in un ambiente dove determinate pratiche epistemiche sono radicate. Un resoconto dell’asserzione nei termini delle norme costitutive che la istituiscono indicherà che la testimonianza è giustificata in virtù della conoscenza presupposta dall’asserire, che è la forma paradigmatica della testimonianza.

Si terrà presente, al fine del presente lavoro, l'autorità epistemica del professionista dell'educazione come “giustificazione” della sua stessa testimonianza.

59

Marc Bloch, Lecon innaugurale al Collège de France (1933), in Combats pour l'histoire, Armand Colin, Paris 1953, p. 7, in Paul Ricoeur, Tempo e racconto, op. cit. p. 157.

60