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La “mitologia quotidiana” come l’orizzonte narrativo dell’età contemporanea

CO CETTO CRITICO

2.1. La “mitologia quotidiana” come l’orizzonte narrativo dell’età contemporanea

Fin dagli albori della storia umana, il senso e il valore della vita quotidiana è un tema inteso e rappresentato in modi diversi. In grande sintesi, dalla civiltà greca fino ai nostri giorni, le concezioni della vita quotidiana hanno oscillato fra una polarità negativa (la vita quotidiana come negazione o privazione di valori) e una polarità positiva (la vita quotidiana come affermazione e generazione di valori). Questa profonda, e a volte radicale, ambivalenza ha permeato la storia umana, e non solo dell'Occidente, facendo sì che la vita quotidiana rimanesse un luogo e un tempo sempre incerto e poco propizio alla vita produttiva.

Una concezione della vita quotidiana che innesta qualcosa di profondamente nuovo nelle culture e nelle pratiche del passato, è quella presentata da Josemaría Escrivá, il quale intende l’esperienza del quotidiano come un modo per dare un'anima al mondo, giorno per giorno, nel lavoro, nella famiglia, nell'impegno civico e sociale.

Per Escrivá, «la vita quotidiana è il mondo della wide awakeness, della comprensione lucida, della consapevolezza, della avvertenza, dello "stato di allerta"», a patto di farsi semplici come i bambini: capaci, come soltanto loro lo sono, di provare stupore di fronte alla realtà»158. Escrivá, diversamente da chi potrebbe considerarla come una sorta di contenitore vuoto, parla della vita quotidiana come il mondo più concreto e reale che le persone abbiano, una sfida costante al proprio sentire, alla propria identità, al proprio bisogno di senso, che deve certo confrontarsi con la banalità e le contraddizioni, ma che tuttavia è capace di prendere le distanze da ogni alienazione.

Volendo argomentare a proposito delle criticità insite nel concetto di vita quotidiana, innanzitutto va detto che la vita quotidiana ha una storia, ovvero cambia in rapporto a

158

J. Escrivà, Colloqui con Mons. Escrivá , Ares, Milano 2009, p. 116. Il libro raccoglie sette interviste che san Josemaría concesse tra il 1966 e il 1968 a Le Figaro, The *ew York Times, Time, L'Osservatore della Domenica e a varie riviste spagnole (Telva, Gaceta Universitaria e Palabra). Fu pubblicato per la prima volta alla fine del 1968 in castigliano, inglese, italiano e portoghese.

ciò che è definibile come non-quotidiano, assimilato a ciò che invece è definibile come evento storico. Eppure oggi tutto si gioca sul terreno della quotidianità, ed il suo recupero nell’ambito della riflessione sociologica è all’ordine del giorno, segnale e sintomo di qualcosa che si muove, che cambia, aggiungerei ad una velocità senza precedenti.

Quando si parla di “quotidianità”, si può pensare a quello che accade tutti i giorni, l’ordinario e il convenzionale, l’abitudine e la routine, spesso grigia e monotona oppure, all’estremità opposta, il senso del fatto straordinario, che non può accadere tutti i giorni, e che, proprio in virtù della sua estemporaneità, acquista valore e reclama il diritto ad essere ricordato e testimoniato.

Sul filo di questo ragionamento, i silenzi della storia sarebbero una caratteristica della quotidianità, puzzle di vita, non degni di venire raccontati e tramandati attraverso la ricostruzione storiografica.

In realtà, come ci dice la sociologia francese Agnes Heller: «Per riprodurre la società, è necessario che i singoli uomini riproducano se stessi come uomini singoli. La vita quotidiana è l’insieme delle attività che caratterizzano la riproduzione degli uomini singoli, le quali creano a loro volta la possibilità della riproduzione sociale […]. Poiché nessuna società può esistere senza che l’uomo sociale si riproduca, allo stesso modo nessuno può esistere senza semplicemente riprodursi. In ogni società c’è quindi una vita quotidiana e ogni uomo…. ne ha una»159. Il filosofo francese H. Lefebvre, definisce oggettivamente la vita quotidiana come «la mediatrice tra la naturalità e la socialità dell’uomo, tra la natura e la società»160 e la sua forza sta nell’avere impostato una critica della vita quotidiana.

Lefebvre scrive appunto che la critica alla vita quotidiana è stata compiuta in diversi modi nella storia: con l’arte, con il sogno e l’evasione. Tuttavia, anche l’uomo comune compie spontaneamente la sua critica alla vita quotidiana. «Questa critica della quotidianità fa parte integrante della quotidianità e si compie nel e mediante il

159 A. Heller, Sociologia della vita quotidiana, Editori Riuniti, 1975

160

H. Lefebvre, La vita quotidiana nel mondo moderno, Il Saggiatore, Milano 1978 (in part. pp. 112-134).

tempo libero. Così il tempo libero appare come il non-quotidiano nel quotidiano». Ma non si può uscire dal quotidiano. Tuttavia, si desidera sempre avere l’illusione di evasione. La critica alla vita quotidiana, secondo Lefebvre, risponde proprio al bisogno di apportare un cambiamento radicale al proprio stile di vita. In questo senso: «L’arte di vivere presuppone che si consideri la propria vita non un mezzo per un altro fine, ma come suo proprio fine»161.

Per Lefebvre, la vita quotidiana non è immutabile e quindi può degenerare, aprendo la vita al mondo delle possibilità: «La vita umana può degenerare e può progredire»162. Ma il problema è di mostrare l’ampio ventaglio delle possibilità che si aprono all’uomo e che sono razionalmente realizzabili.

Non ci possiamo, a questo punto, astenere dal rendere testimonianza delle approfondite riflessioni di Henri Lefebvre in materia di quotidianità, sull’onda delle quali intendiamo sviluppare il nostro ragionamento.

Lefebvre è infatti considerato uno tra i principali teorici della “vita quotidiana” e la sua riflessione costituisce uno snodo decisivo all'interno dello spettro di varianti semantiche e concettuali che caratterizzano le diverse definizioni della vita quotidiana. La filosofia quotidiana di Lefebvre risulta ascrivibile all'interno di un «progetto trasformativo» molto ampio, nel quale l'esistenza minuta acquisisce lo status di concetto critico, «non soltanto allo scopo di descrivere l'esperienza vissuta, ma al fine di cambiarla»163. La tematica della vie quotidienne definisce un campo aperto d'indagine: Lefebvre fornisce un'indicazione preziosa in tal senso dichiarando che: «al fine di comprendere il mondo moderno, è necessario […] aggiungere […] la quotidianità, l'urbano, lo spazio-tempo sociale, la tendenza verso un modo di

161

H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne. Introduction, L'Arche, Paris 1958 ; Critique de la vie quotidienne, II. Fondements d'une sociologie de la quotidienneté, L'Arche, Paris 1961; Critique de la vie quotidienne III. De la modernité au modernisme (Pour une métaphilosophie du quotidien), L'Arche, Paris 1981. tr. It. Critica della vita quotidiana, Vol. II. ed. Dedalo, 1993.

162

H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne. Introduction, cit. pp. 147-208. 163

produzione statuale»164, accennando dunque all’esigenza, tipicamente moderna, di elaborare una vera e propria teoria della quotidianità.

In un'intervista per la televisione francese del 1988, Lefebvre elenca gli snodi principali della sua riflessione e, al contempo, ne denuncia le influenze storico- culturali determinanti. La dialettica della vita quotidiana, secondo Lefebvre, fa emergere un'ambivalenza radicale tra l'impoverimento dell'esistenza e la sua ricchezza potenziale. Sin dalla prima formulazione nella Critique del 1947, l'insistenza sul carattere ambiguo e virtualmente produttivo della quotidianità costituisce l'elemento distintivo della critica lefebvriana rispetto ai precedenti filosofici di Lukács e Heidegger165. La nozione di vie quotidienne risulta infatti declinabile in maniera positiva: la vita di ogni giorno non è solo il luogo dell'alienazione e dell'inautenticità, ma anche lo spazio all'interno del quale sono iscritte le possibilità e le finalità di un autentico progetto di emancipazione e liberazione. Scrive Lefebvre: «l'uomo sarà quotidiano o non sarà»166.

In una lunga intervista radiofonica del 1975, infatti, il filosofo francese traccia un discrimine tra la “pratica sovversiva” e la “pratica rivoluzionaria”: mentre la prima si configura come l'uscita improvvisa, individuale e occasionale dall'ordine abituale, connotando l’esperienza, dal punto di vista essenzialemtne estetico, la seconda determina una trasformazione vera e propria del vissuto e della vita che coincide con l'azione rivoluzionaria167.

La proposta di un'originale teoria della rivoluzione come “festa”, elaborata in forma embrionale già nella Critique del '47, induce Lefebvre a concepire appunto la festa come un'esperienza che sovverte l'impianto trascendentale della quotidianità come

164

H. Lefebvre, Toward a Leftist Cultural Politics: Remarks Occasioned by Centenary of Marx's Death, in C. Nelson, L. Grossberg (a cura di), Marxism and the Interpretation of Culture, Macmillan, London 1988, p. 77.

165

G. Lukács, Storia e coscienza di classe (1923) e M. Heidegger, Essere e Tempo (1927). Egli, infatti, conosce e si confronta con entrambi i testi. In particolare la relazione con l'opera di Heidegger è oggetto di un rinnovato interesse di ricerca. Si veda, per esempio: S. Elden, «Between Marx and Heidegger: Politics, Philosophy and Lefebvre's The Production of Space», Antipode, 36, I, 2004, pp. 86-105.

166

H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne, II, cit., p. 102. 167

Conversazioni con Henri Lefebvre, intervista a cura di J. C. Lambert e J. P. Faye, trasmessa da France Culture il 7 e 8 giugno 1975. Consultabile presso Institut national de l'audiovisuel, Paris.

ripetizione. Da questo punto di vista, la festa determina l'esplosione incontenibile di «tutte le forze lentamente accumulate dentro e attraverso la stessa vita quotidiana»168. Al suo interno, si definisce un progetto politico di riappropriazione delle incredibili e sorprendenti potenzialità, presenti all’interno dell'esistenza minuta. Negli anni in cui il filosofo francese pone la questione rivoluzionaria in questi termini, la deflagrazione del Sessantotto parigino gli fornisce una prova empirica dell'ambivalenza del quotidiano, della dialettica tra ricchezza e miseria che lo caratterizza169. Nella pratica di ogni giorno, dunque, si offusca il confine tra il gesto eroico e l’atto ordinario, per cui «il banale diventa lo straordinario, e l'abituale diventa “mitico”»170.

La filosofia del quotidiano di Lefebvre si sviluppa dunque come sforzo di esplorazione dello spazio apparentemente amorfo che si situa tra la banalità dell'esistenza e la straordinarietà della scoperta, tra i quali sembra non esservi alcuna discontinuità, ma che potenzialmente appare disseminato di possibilità virtuali importanti per l’esistenza dell’individuo all’interno della società. In tal senso, l'ordinario non costituisce il contrario dell'eroico, ma, nella misura in cui descrive le condizioni di esistenza nel mondo contemporaneo, al contrario ne determina una portata materiale e ideologica importante. Ne consegue, da parte di Lefebvre, il rifiuto di ogni ripiegamento nostalgico e reazionario, insistendo sulla necessità di sviluppare una teoria critica radicata nelle forme di vita alienate della contemporaneità.

In tal modo il filosofo individua una sorta di “mitologia quotidiana” da intendersi come l'orizzonte narrativo proprio dell'età contemporanea171. Nella filosofia di Lefebvre, la problematica della vita quotidiana apre uno spazio teorico ampio, caratterizzato da una forte ambiguità, al punto che Lefebvre la paragona a uno schermo, a «qualcosa che, al tempo stesso, maschera e disvela la porzione

168 H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne I, cit., p. 156.

169

Si veda H. Lefebvre, L'irruption de *anterre au sommet, Syllepse, Paris 1998. 170

Ibidem, pp. 17-36 e pp. 235-259. 171

di realtà a cui si riferisce»172.

Lefebvre argomenta che «si è obiettato a questo piano di ricerca l'oscurità e la vaghezza della nozione iniziale, quella di “vita quotidiana”. Che cos'è la vita quotidiana? Tutto? O niente? Tutta la vita, compreso il lavoro. I rapporti sociali, i rapporti familiari, riuniti senza distinzioni? O nient'altro che il residuo informe delle altre attività, lavoro, cultura, tempo libero. Quando si distingue ciò che ha una forma o una struttura da ciò che non ne possiede? A [tutto] ciò, risponderei più o meno così: il concetto di vita quotidiana non è suscettibile di una definizione rigorosa, ma i concetti definibili rigorosamente sono giunti alla fine del loro corso, esauriti, finiti»173. Nella sua autobiografia monumentale del 1959, Lefebvre esprime l’idea che il vissuto costituisca un campo di tensione entro il quale si definiscono le configurazioni concrete della soggettività: «Nel quotidiano si realizza l'incontro tra il settore dominato del reale e il settore non dominato, […] il luogo dei loro incontri, dei loro scambi e dei loro conflitti». Jedlowski la definisce «il luogo di un'eccedenza soggettiva, dunque, che dinamizza i processi sociali, che mette a disposizione infinite possibilità di vita tra cui scegliere, infinite possibilità di biografie diverse, all’insegna dell’incertezza e della provvisorietà»174.

Scrive ancora Lefebvre: «il vivere e il vissuto non coincidono» poiché «una distanza li separa»175.

Per chiarire quest’ultimo concetto, serve riprendere concettualmente ciò che è stato argomentato a proposito della tensione esistente tra senso comune, inteso come pensiero collettivo, sapere tacito e condiviso, secondo delle regole implicite, date per scontate e considerate a priori “vere” e quello che veramente “si sa”, il “sapere” in quanto prodotto della propria personale esperienza, derivante dal proprio particolare

vissuto, tra i quali esiste appunto uno scarto.

172 H. Lefebvre, Toward a Leftist Cultural Politics: Remarks Occasioned by Centenary of Marx's

Death, cit., p. 78.

173 H. Lefebvre, La somme et le reste, cit., p. 596.

174

P. Jedlowski, Il sapere dell’esperienza, cit., p.109.

Al di là del senso comune, che come dicevamo, “va da sé”, vi è anche un altro sapere che resta in ombra: si tratta di quell’insieme di sospetti, dubbi, risonanze, a volte appena percepite, di saperi , anche solo abbozzati, che non sono partecipi di un senso comune condiviso e accettato aprioristicamente come vero, ma facenti parte della nostra soggettività. Questi sospetti, questi dubbi accompagnano sempre la vita quotidiana, ma difficilmente vengono tematizzati perché spesso non riescono ad essere formalizzati, contestualizzati, nemmeno a parole. Essi rimandano alla costituzione della soggettività in quanto tale.

Se ci soffermiamo sul significato di “soggettività”, essa parrebbe rimandare alla capacità di dire no, ovvero alla capacità di prendere le distanze da ciò che è dato. Di fronte a ciò che pare scontato e dato una volta per tutte, la soggettività impone il suo punto di vista, richiede un chiarimento, richiede di andare oltre, e in modo quasi anarchico, osa porre domande provocatorie, talora dissacranti rispetto alla solidità di assunzioni e credenze, con cui si presenta il nostro mondo “oggettivo”, aprendo il multiforme ed infinito orizzonte del possibile. La critica della vita quotidiana e delle sue condizioni di miseria, corrisponderebbe, secondo Debord, al loro superamento nella direzione di progetti di vita appassionanti. «La vita quotidiana non criticata significa oggi il perdurare delle forme attuali, profondamente degradate della cultura e della politica, forme la cui crisi estremamente avanzata, soprattutto nei paesi più moderni, si traduce in una spoliticizzazione e in un neoanalfabetismo generalizzati. Invece, la critica radicale e fattiva, della vita quotidiana data, può portare ad un superamento della cultura e della politica intese in senso tradizionale, cioè ad un livello superiore di intervento sulla vita»176.

Con Debord, teorico dell’internazione Situazionista, il cui intervento, negli anni dal ’57 al ’61, di portata rivoluzionaria, scosse la cultura e la società, ponendo l’accento sulla necessità di reinventare il vissuto, facendo emergere i valori dirompenti di una soggettività provocatoria e dissacrante, la vita quotidiana costituisce il sedimento di

176 Si veda G. Debord, Prospettive di modificazioni coscienti nella vita quotidiana, in

“Internazionale Situazionista” n. 6, Agosto 1961, p. 22, in AA.VV., Definizioni, in “Internazionale Situazionista” n. 1, Giugno 1958, p. 13.

tutti quei gesti non specializzati, certamente concreti, ma talmente banali da non giustificare l'esigenza di una ulteriore specializzazione del sapere sociologico. Ecco perché, aggiunge il teorico francese, «la maggior parte dei sociologi riconosce attività specialistiche ovunque, e la vita quotidiana da nessuna parte»177. In quanto «parte residuale di una realtà catalogata e classificata»178, continua, essa incarna l'imbarazzante punto di vista della totalità che rivela tutta l'alienazione dei saperi professionali e delle attività specialistiche.

D’altro canto, il situazionismo condivide con Lefebvre la prospettiva secondo la quale: «il dramma dell'alienazione è dialettico [...], l'uomo si crea attraverso, nel e con il suo contrario e la sua alienazione: l'inumano»179, valorizzando la dimensione conflittuale del suo darsi forma.

L'esercizio critico, allora, corrisponderebbe ad «una presa di distanza da noi stessi – una sorta di sdoppiamento intenzionale»180 che consenta di rintracciare in sé i germi di un adeguamento collaborativo al già dato. La vita infatti, per esser tale, «non è mai solamente vita [...], essa deve diventare critica della vita. Ove per critica della vita si possa intendere lo spazio entro cui ciascuno decide di sé, magari nell'avvertimento che la vita, per quello che essa immediatamente è, cerca in tutti i modi di decidere in vece nostra»181.

Lefebvre che, secondo Gardiner, elabora una «critica multiforme della vita quotidiana», sviluppa le sue argomentazioni a partire dal riferimento a un livello amorfo dell'esistenza come campo di tensione entro cui si dispiegano i processi di soggettivazione, spazio di contesa dialettica tra la produzione e l'eccedenza delle forme di vita182. La “quotidianità”, sarebbe, dunque, un prodotto specifico della modernità, svelando «la condizione più universale e più unica, la più sociale e

177 Ibidem, p. 21. 178 Ibidem, p.22. 179

Si veda H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne (1947) e Critique de la vie quotidienne II. Fondements d'une sociologie de la quotidienneté (1961); trad. it. Critica della vita quotidiana (vol. I), Bari, Dedalo Libri, 1977, pp.194- 195.

180

Si veda A. Erbetta, L'educazione in quanto esistenza, in A. Erbetta (a cura di), L'educazione come esperienza vissuta. Percorsi teorici e campi d'azione, Tirrenia Stampatori, Torino 2005, p. 20.

181 Ibidem, p. 32.

182

la più individuata, la più ovvia e quella meglio nascosta»183, ovvero lo straordinario che si rivela a partire dall'ordinario.

Se dunque il quotidiano, anche secondo la sua etimologia, significa “di ogni giorno”, implicando per la vita quotidiana, una struttura ricorrente, una struttura fatta di ripetizioni continue che creano abitudini, che si socializzano, diventando routines, gran parte di ciò che facciamo o vediamo o proviamo nella vita quotidiana passa sotto silenzio, come se fosse qualcosa di ovvio. D’altro canto, se è difficile immaginare la vita umana senza una certa struttura di ripetizioni, che comunque ci schermano di fronte agli imprevisti, ai rischi, agli incidenti di percorso, alle scelte di vita, infondendoci sicurezza, la sensibilità moderna predilige le innovazioni, poiché i ritmi e le ripetizioni sono poco attraenti e ci impediscono di emergere dallo sfondo di ciò che si ripete e che continua senza modificazioni vistose, tanto da passare sotto silenzio.

Si tratta del modo in cui usualmente il mondo viene vissuto, attraverso un vero e proprio progetto intenzionale, in virtù del quale il soggetto è chiamato a realizzare, a sviluppare, in un modo mai prima inteso, il senso della propria unicità, a dispiegare ciò che ritiene di essere, ovvero a farsi. Si passa da un mondo del destino a un mondo della scelta, tipico appunto dell’individuo della società moderna.

Ecco allora insinuarsi il dubbio, acerrimo nemico dell’abitudine, della certezza consapevole e della routine, la cui attivazione permette all’individuo di mettere in forse l’ovvietà della propria presenza e dello stato delle cose che lo circondano e di rivolgersi a se stesso cercando di scoprire il senso della propria vita e se stesso come individuo.

Lefebvre approfondisce lo scarto, l'ambiguità e la natura dialettica della quotidianità e nei lavori che costituiscono il nucleo principale del suo progetto critico si legge «lo Stato non si trova fuori dal quotidiano, al di sopra di esso, esso è invece dentro [poiché] lo determina dall'interno, lavorandolo» e ancora «sin dal suo emergere –

183

scrive Lefebvre – il vissuto non rappresenta, per lo Stato e per gli uomini di Stato, che una materia da modellare, da divorare, in una parola da dominare»184.

Secondo Lefebvre, infatti, lo snodo principale di un ragionamento critico sulla modernità va individuato nell'«avviamento al lavoro»185, nel processo attraverso cui i corpi vengono educati e disciplinati all'attività seriale e ripetitiva.

La critica della vita quotidiana prende la forma di una teoria complessiva della società: «se consideriamo la vita del lavoratore nel suo insieme, il suo lavoro e la sua attitudine di fronte al lavoro sono collegate a tutta la pratica sociale, a tutta la sua esperienza, ai suoi piaceri, alla sua vita di famiglia, alle sue aspirazioni culturali e politiche, come alla lotta di classe. Inoltre, questo “tutto” s'inserisce all'interno di un paese e di una nazione determinata, a un livello determinato di sviluppo sociale e di civilizzazione che comportano un preciso insieme di bisogni. Abbiamo così ritrovato la critica della vita quotidiana»186.

Nonostante la stratificazione progressiva, tuttavia, la vita quotidiana rimane per Lefebvre, un livello non scomponibile.

«Il quotidiano ha il privilegio di portare il peso maggiore. Se il Potere occupa lo