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La vita quotidiana come struttura connettiva dell’esistenza

CO CETTO CRITICO

2.2. La vita quotidiana come struttura connettiva dell’esistenza

La nozione di armonia...implica la perfezione dell’immobilità, la giustificazione immediata di ogni elemento a partire da tutto e la sua partecipazione passiva alla totalità.

Simone De Beauvoir

William James diceva che l’abitudine è «il gran volano della società»188 e aggiungerei, lo è ancora di più, se pensiamo alla società contemporanea, che si appoggia appunto alle abitudini, come a una sorta di impalcatura della nostra esistenza sociale, che tiene assieme e sostiene ciò che si ripresenta quotidianamente nella nostra vita. Senza questa “armatura” le attività quotidiane sarebbero praticamente impossibili, come sarebbe alquanto difficile preservare la mente dal caos delle percezioni e permettere che si compia interazione sociale.

Il concetto di vita quotidiana si intreccia a quello di senso comune, altrimenti considerato una conoscenza ordinaria cui i soggetti fanno ricorso nell’ambito della loro vita quotidiana. Quest’ultima si rivela quindi fatta in buona parte di routines, fondata sulla costruzione di “tipi” di cose che accadono, rendendo con questo possibili tali routines e facilitando il riconoscimento di ciò che accade. Quando si parla di “vita quotidiana” si pensa a quell'insieme di pratiche, di ambienti, di relazioni e di orizzonti di senso in cui una persona è coinvolta ordinariamente, cioè più spesso e con la sensazione della maggiore familiarità189.

La “tipizzazione”, così come esposto da Schutz, ovvero «la rappresentazione della realtà, risultato di una classificazione, in base a tipi di fenomeni, resa funzionale dalla

caratteristica di condivisibilità sociale di fatti e azioni, permette tra l’altro,

188

In P. Jedlowski, Il sapere dell’esperienza, cit., p. 17.

189 Per la giustificazione di questa definizione si veda Jedlowski, Sociologia della vita quotidiana, Il

Mulino, 2003 e Ghisleni M.( a cura di), Sociologia della quotidianità. Il vissuto giornaliero. Carocci Roma 2004.

nell’economia sociale, la possibilità di socializzare e interagire, evitando corto- circuiti, empasses e problematiche varie, in quanto l’assunzione di un sapere tacito e condiviso salvaguarda l’individuo dal dover risolvere continuamente problemi che si sono già affacciati e hanno già trovato una risposta soddisfacente». Il senso comune, diventa, a sua volta, una routine cognitiva, un’abitudine socialmente condivisa, un’automatismo che permette di “pensare come al solito”, senza farsi domande che non siano necessarie che, come osserva Schutz, «incarna la capacità di sospendere il dubbio»190.

In questa prospettiva, la vita quotidiana, diventa la realizzazione pratica, l’esemplificazione contestuale di un atteggiamento che si pone naturalmente rispetto alla realtà e al mondo. Il sapere connesso a questo tipo di atteggiamento non è oggetto di dimostrazione o ragionamento, ma è dato per scontato.

Ancora, secondo la prospettiva di Schutz, l’atteggiamento quotidiano corrisponde ad una sorta di familiarità, ovvero una forma di conoscenza, secondo cui si conoscono le cose e le relazioni quotidiane come “prossime”, mettendo tra parentesi i dubbi e le domande sulla sostanza delle cose stesse. In questo senso, la familiarità è una conoscenza ambigua, anche secondo quanto sostiene Lefebvre, che approfondisce lo scarto, l'ambiguità e la natura dialettica della quotidianità, per cui ciò che appare familiare e ovvio in un certo contesto può apparire strano o addirittura paradossale in un altro. Rispolverando il concetto di esperienza, su cui si è argomentato in precedenza, la dialettica tra familiarità ed esperienza arriva a consistere nel fatto che la familiarità è contemporaneamente il contrario dell’esperienza e ciò che consente il suo sedimentarsi. L’esperienza, come scrive Jedlowski, diventa il «momento di redenzione della quotidianità»191 e, come ricorda Lefebvre, «nel suo sedimentare,

190

Si veda A. Schutz, Saggi soiciologici, UTET, Torino 1979: i saggi principali per questo tema sono L’interpretazione dell’azione umana da parte del senso comune e della scienza e Sulle realtà multiple, ma un’utile sintesi sul senso comune è anche nello scritto su Lo straniero; in P. Jedlowski, op. cit., p. 17.

191

poiché non derivante dall’azione rissatrice dell’intelletto, risulta legata all’abitudine.192

Indubbiamente, le abitudini del mondo moderno si fanno brevi e, congiuntamente all’ispirazione nietzschiana del prestissimo moderno e alla progressiva routinizzazione dell'esperienza quotidiana nel corso della modernità di Lefebvre, riesce difficile pensare che esse possano scomparire e con loro la disattenzione che necessariamente si accompagna ad ogni forma di attività routinizzata.

Se da un lato, seguendo il ragionamento di Lefebvre, la quotidianità viene qualificata come la sfera della «passività organizzata», di un'alienazione non soltanto del lavoro, ma soprattutto, dei bisogni e dei desideri, tuttavia, l'insistenza lefebvriana sul carattere ambivalente del quotidiano consente di mantenere viva una tensione produttiva, una ricchezza irriducibile del vissuto come possibilità di emancipazione e liberazione anche all'apice di sviluppo di una «società terroristica»193.

La vita quotidiana come concetto ambiguo, spazio contestuale di una realtà a due facce, e, in termini dialettici, germe e sintomo di una continua dialettica fra ciò che è ordinario, e ciò che è straordinario, tra ciò che passa sotto silenzio e ciò che invece salta agli occhi, così come risulta dalle argomentazioni fin qui esposte, definisce il luogo reale in cui tutto ciò che è dominato dagli uomini si incontra incessantemente con il settore non dominato dal reale: salute, desiderio, spontaneità, vitalità, umore, sensibilità, istinto, emozioni.

Il quotidiano viene così inteso come il luogo dell’umile e dell’ovvio, dove le contraddizioni scivolano, senza soluzione di continuità nella conciliazione, senza necessità di maturare una qualche consapevolezza dei condizionamenti psicologici o pratici che vi possono essere implicati, dove, i fatti allo stesso tempo noti e trascurati, familiari e misconosciuti, si mescolano, senza esserne consapevole.

192 Si veda H. Lefebvre, C. Régulier, The Rhythmanalytical Project, cit.; H. Lefebvre, C.

Régulier, Éléments de rythmanalyse. Introduction à la connaissance des rythmes, Syllepse, Paris 1992.

193 H. Lefebvre, La survie du capitalisme. La reproduction des rapports de production, Anthropos,

La considerazione riservatagli è abitualmente scarsa, socialmente parlando; in generale, l’uomo si definisce per la sua attività produttiva e creativa, regno che è sempre stato considerato fuori dalla ricerca e dall’evoluzione, a rimorchio del progresso pensato e costruito altrove. Il quotidiano è sempre stato contrapposto, come residuo non interpretabile, rispetto alla storia, nel suo essere il tempo della ciclicità, dei sentimenti, dell’invisibilità sociale, della sussistenza, a rimorchio della produzione materiale e intellettuale.

Con l’affermarsi dell’economia capitalistica e della borghesia, la vita quotidiana ha assunto l’aspetto di ambito della riproduzione, cioè della ripetizione, contrapposta, come residuo, alle più interessanti attività produttive.

Un contributo fondamentale su questo terreno proviene dalla critica femminista, la quale ha notevolmente ampliato l'orizzonte teorico mostrando come l'avviamento al lavoro – per richiamare l'espressione di Lefebvre – coincida con una produzione differenziata delle soggettivià.

La questione riguarda anche l’universo femminile, nella misura in cui alcune funzioni riproduttive di base, biologiche e sociali, sono appunto femminili, per cui la donna, fin dai primordi, è sempre stata considerata l’indiscussa signora del quotidiano, un regno per niente conteso al momento della sua definizione, perché immediatamente considerato fuori dalla ricerca e dall’evoluzione, diametralmente opposto alla scienza e alla tecnica.

Alla conoscenza, alla tecnica, alla scienza, alle abilità, appartiene un carattere cumulativo, il tempo dell’accumulazione che è estraneo al quotidiano, che, invece, resta ad un’idea di tempo ciclico dei ritmi abituali, delle relazioni familiari, in sottordine, potremmo aggiungere al tempo della storia.

Il quotidiano è il tempo della ciclicità, dei sentimenti, dell’invisibilità sociale, della sussistenza ed è a rimorchio del tempo della produzione materiale ed intellettuale che si caratterizza come lineare e progressivo, come tempo della competitività, del

successo e dell’appariscenza194.

Simone De Beauvoir, nel suo Il Secondo sesso, scrive che «si ignora quanta energia ci sia nel sapere e nel potere ambigui, ma operanti, che concorrono a comporre e a risolvere buona parte della misera, ma nobile esperienza, connessa al benessere spirituale, emotivo e morale della società»195. La De Beauvoir inserisce le sue considerazioni, all'interno della complessità e dell'ambiguità legate alle differenze di genere, a proposito delle differenti interpretazioni che i diversi generi sessuali danno al significato delle esperienze che vivono e che abitano. La scrittrice constata che l'esperienza dell'uomo è intellegibile, poiché dipendente quasi esclusivamente dall'intelletto, e quindi afferente all'universo dell'astrazione, nella loro insaziabile tendenza a “mettere ordine” e a “fare chiarezza”, ma anche piena di lacune, poiché tralascia il mondo della tangibilità, della complessità e dell'ambiguità, che cercano di camuffare con l'orgoglio, e che, al contrario la donna esibisce come tratto caratteristico della sua condizione.

I beni tangibili, attraverso l'esperienza al femminile, non vengono conquistati una volta per tutte, la loro progressione non è lineare, ma un tornare continuamente su se stessi. Nella loro attuazione concreta, la donna sperimenta la contingenza della propria condizione, rispetto alla quale essa rimane sempre disponibile. L'esperienza della donna, quindi, al contrario di quella dell'uomo, sempre secondo la De Beauvoir, è sì oscura, ma piena. La sensibilità che le è propria e che lei ostenta con orgoglio diventa ad un tempo effetto e regia di una vita quotidiana per lei soddisfacente, che ha un pò del mistero e che pulsa di una forte carica di ambiguità latente e manifesta che si presta a infiniti equivoci. Ma qui sta il suo fascino, ossia nella sorpresa, nell'imprevedibilità, nella multiforme veste della quotidianità.

In questa direzione speculativa, riprendendo la prospettiva di Lefebvre, il filosofo individua una “nuova” posizione soggettiva e strategica per la critica della vita quotidiana: egli riconosce nel “femminile” l'esistenza di un soggetto incarnato

194

E. Cocever, Angela Chiantera (a cura di), Scrivere l’esperienza in edicazione, CLUEB, Bologna 1996, p. 31.

195

rispetto al quale la differenza costituisce un fattore politico primario, la cui esistenza è alienata al di fuori della sfera del lavoro salariato. Scrive Lefebvre: «Le donne simbolizzano la vita quotidiana intera. Esse riassumono la sua situazione, i suoi conflitti e le sue possibilità. Esse ne presentano la critica in atto»196.

Il potere che manca alle donne nella rappresentazione secondo le categorie scientifiche e tecniche correnti, non mancano loro nella vita quotidiana, appunto: nell’ “eterno ritorno” del quotidiano sperimentano il senso di sé al mondo che le giustifica nell'esercizio di qualcosa che è potere ed è conoscenza.

La De Beauvoir si sofferma, a titolo esemplificativo, sul momento della festa, uno spazio e un tempo gratuito, ma che può apparire alla donna come una realtà palpitante, densa di significato e foriera di nuovi imprevedibili orizzonti e che invece di fronte all'uomo tace, improduttiva.

Il concetto di festa è sviluppato anche da Lefebvre, per il quale la festa è il godimento di un'abbondanza a portata di mano il cui impeto comporta un fattore di rischio, connaturato all'instaurazione di un rapporto situato e radicale con il tempo e con il mondo. Secondo Lefebvre, la proposta di un'originale teoria della rivoluzione come “festa”, comporta un'esperienza del tempo e dello spazio che sovverte l'impianto trascendentale della quotidianità come ripetizione. Da questo punto di vista, la festa non è completamente riducibile alla situazione carnevalesca poiché, non soltanto mette in scena un capovolgimento delle normali gerarchie di potere, ma determina l'esplosione incontenibile di «tutte le forze lentamente accumulate dentro e attraverso la stessa vita quotidiana»197, segnale di una riappropriazione delle potenzialità connaturate all’esistenza minuta.

Il soggetto, precisa Jedlowski, che fa del quotidiano la sua realtà sperimentata, è «colui che ritorna a se stesso osservando e valutando i materiali di cui è fatta la sua vita, domandandosene il senso»198.

Ritornando alla dimensione delle abitudini, come costitutive del tessuto della vita

196 H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne II, cit., p. 224.

197

H. Lefebvre, Critique de la vie quotidienne I, cit., p. 156.

quotidiana, intese come un insieme di corsi d'azione resi automatici dall'uso, come routines, appunto, ovvero «sistemi di aspettative date per scontate»199, essa è la dimensione della quotidianità.

Dunque, muovendo anche dalle precedenti considerazioni di Benjamin, si potrebbe facilmente individuare nella vita quotidiana il terreno di coltura potenziale dell'esperienza.

Ovviamente, la vita quotidiana, afferma anche Jedlowski, «non è in sé esperienza, quanto piuttosto, la sua redenzione, nella misura in cui l'esperienza è la riappropriazione consapevole di ciò che viene vissuto quotidianamente, attraverso però una presa distanza dal vissuto stesso»200.

La dialettica tra quotidianità ed esperienza si gioca allora proprio su questo punto, ovvero nel fatto che i materiali dell'esperienza hanno modo di sedimentare proprio grazie all'atteggiamento distratto e a-problematico della vita quotidiana, fornendo una coltre di inconsapevolezza che protegge i vissuti dalla luce abbagliante della coscienza per il tempo necessario alla loro elaborazione.

Nella noia, «uccello incantato che cova l'uovo dell'esperienza»201, diceva Benjamin, del gesto ripetuto, della frequentazione quotidiana di luoghi che ritornano, nel distacco provocato dalla routine, sedimentano i contenuti di ciò che, nel momento in cui l'ebbrezza, o la conversazione, o la solitudine riaprono le porte del passato, viene restituito come esperienza.

La noia è anche quella di Pennac, che individua in essa il germe della creatività, il motore della ricerca del senso, quella buona, quella vera, quella lunga, che ti permette di far affiorare gli strati più profondi della memoria, traccia di un inconsapevole depositarsi dei vissuti quotidiani, che, nascosti dalla prepotenza di una coscienza ammonitrice, non avrebbero potuto mai svelarsi.

Guerra al sogno! Dagli alla noia!

199

P. Jedlowski, Memoria, esperienza e modernità, cit., p. 40. 200

Ibidem, p. 41.

La bella noia... La lunga noia...

Che rende possibile la creazione...

Facciamo in modo che non debba mai annoiarsi202.

Questo, d'altronde, accade proprio perché i contenuti dell'esperienza non sono i vissuti eccezionali, ma ciò che, nel suo ripetersi persistente, ha scavato la disponibilità a riconoscere il mondo come dotato di senso.

Le abitudini, dunque, «struttura connettiva dell'esistenza»203, vanno analizzate, come forma sedimentata dei rapporti tra singoli e ambiente, permettendo al soggetto di stupirsi del proprio quotidiano, cogliendone i caratteri arbitrari e fantastici insieme in una prospettiva alienata.

Ciò risulterebbe paradossalmente più facile nel mondo contemporaneo che nel passato, dove la possibilità di rivisitare quegli stessi materiali vissuti, attraverso il linguaggio del racconto, nasce proprio dalla percezione di un senso di imprevedibilità, di estraneità, rispetto a ciò che in genere è vissuto come familiare e quotidiano.

Del resto lo stesso andirivieni tra cerchie sociali diverse che caratterizza la nostra vita quotidiana sembra appunto favorire questo tipo di percezione, trasformando ciò che appare familiare e ovvio all'interno di un contesto in qualcosa di strano o addirittura paradossale in un altro.

Ciò che diventa problematico è a questo punto la capacità del singolo di rivisitare i propri vissuti accogliendoli in una qualche forma narrativa che non sia solo un frammento. Ciò che viene richiesto, scrive Adorno, a proposito di quello che Benjamin definiva il giusto atteggiamento intellettuale rispetto alla rappresentazione dell'esperienza, è che «il pensiero raggiunga lo spessore dell'esperienza e tuttavia non rinunci a nulla del suo rigore»204.

L'esigenza avvertita da Benjamin è quella di un pensiero che, senza annullare la

202

D. Pennac, Come un romanzo,Universale economica Feltrinelli, Milano 2000, p. 53. 203

Vedi P. Jedlowski, Il tempo dell’esperienza, F. Angeli, Milano 1986. 204

specificità dell'esperire a-concettuale della vita quotidiana, porti il concetto a operare direttamente sui dettagli di ogni giorno, rendendo possibile quel delicato passaggio dal fare esperienza all'avere esperienza, che consiste nel diventare consapevoli del senso, in ordine al cambiamento e alla conoscenza, di quel “farsi impressionare” dalle immagini della vita, facendosene modellare, al fine di apparire più liberi e più intelligenti.