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L’EQUIPAGGIAMENTO DEL SOLDATO PATAVINO

E’ stato più sopra osservato come nonostante la generale carenza di dati relativi all’equipaggiamento adottato dai soldati della città, non manchi la possibilità di delineare un profilo piuttosto affidabile del militare patavino almeno a partire dal IV a.C. Nel confrontare tra di esse le poche evidenze provenienti dagli ambiti più disparati (corredi funerari, stipi votive, stele) e nel collocare tali evidenze all’interno di un più ampio contesto comprendente, quantomeno, gli scenari geograficamente limitrofi (e certo non alieni), si delinea un quadro non privo di alcune solidità interpretative668.

Pur tenendo in considerazione l’elevata quantità di variabili esistenti all’interno di una società che certo per la quasi totalità della sua storia mancò di un esercito professionale ove lo ‘stato’ provvedesse all’armamento dei soldati669 e l’evolversi (pur né drastica né particolarmente rapida)

della tecnologia militare in Cisalpina tra IV e I a.C., si notano dei termini di riferimento in grado di inquadrare in un settore piuttosto preciso lo spettro di varianti osservabili. E’ formulabile un unico concetto di base, pur estremamente generalizzante, che costituisca una valida chiave di lettura strutturata direttamente sulle evidenze in possesso degli studiosi: l’evoluzione della panoplia veneta e patavina si colloca in uno spazio che fa da cerniera tra il modo di fare guerra proprio dei popoli della koiné italica di IV-II secolo a.C. e quello dei popoli caratterizzati dalla cultura La Tène670. Tale zona di cerniera, o meglio di ‘sfumatura’, non è da interpretarsi come

668 Nel caso specifico dei limitrofi contesti veneti, si notino le osservazioni di Zaghetto relative alle lamine vicentine,

facilmente confrontabili con materiale da Padova, Este e Lagole (vd. supra), per il quale i rinvenimenti “sembrano indicare per questa fase una generale affinità degli equipaggiamenti militari di alcuni dei più importanti centri veneti, un certo livellamento morfologico che in qualche modo sembra – se non espressione diretta – quantomeno congruo con una condotta unitaria di tipo politico e militare […] almeno di fronte a pericoli esterni” (ZAGHETTO 2003, p. 161).

669 Non c’è motivo di ritenere che Padova avesse anticipato le innovazioni apportate dalla riforma mariana nell’esercito

repubblicano (coincidente pressappoco col periodo della definitiva perdita di autonomia da parte della città). Esercito che invece appare consacrato, proprio grazie all’homo novus, quale l’avanguardia tra i popoli affacciati allo scenario mediterraneo ed europeo in fatto di organizzazione militare. Per una bibliografia di riferimento sulla riforma mariana BRIZZI 2008, pp. 130-134.

670 Riguardo la sempre più evidente influenza tecnologica della cultura latèniana sulle realtà a contatto con essa si

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luogo ove non esista un’autonomia culturale, ma come il campo in cui elementi costituenti di due differenti sistemi si compenetrano per poi mescolarsi con i caratteri locali. In seguito all’inevitabile reciprocità di scambio con le realtà connesse, se non altro per motivi geografici, ed alla convenienza che tale scambio, soprattutto in ambito tecnologico, comporta, i Veneti stabiliti a Padova rielaborarono o adottarono a loro vantaggio le novità conosciute per mezzo dei popoli con cui vennero a contatto. Ciò accadde rispettivamente in modalità più o meno pacifiche a seconda dell’occasione. E’ questo d’altro canto il destino di gran parte delle realtà situate in posizione di confine, ove la molteplicità culturale diventa innanzitutto ricchezza.

Appurata l’innegabile l’influenza delle realtà limitrofe nell’adozione di armi di provenienza esterna da parte società veneta, è necessario non mutuare tale influenza nel vizio del ‘determinismo tecnologico’671. Rey fa notare come sovente si tenda ad eliminare l’essere umano “from the

equation of historical change in favor of arguments based on technology, which are much more compelling and attractive”672. Ciò ha comportato non solo la convinzione più o meno consapevole

che l’innovazione nel campo delle armi sia il motore degli eventi storici673 ma anche a trascurare

il fatto che la mera acquisizione di innovazioni tecnologiche non è sufficiente ad innescare un cambiamento reale se non accostata dalla ‘replica’ “of the whole social and economic structure that underpinned the capacity to innovate and respond swiftly”674. E’ dunque da soppesare con cautela

l’impatto culturale che si potrebbe attribuire a certi ‘scambi tecnologici’ tra Veneti ed altri popoli. L’adozione di armi etrusche, celtiche o italiche non necessariamente comportò nella società veneta una modifica del warfare, o addirittura nel sistema culturale. E’ più facile che i soldati della Venetia adottassero non solo l’equipaggiamento più efficace, ma anche quello meglio adattato alle proprie capacità, tradizioni

e mezzi. Relativamente ai momenti in cui si adottarono tali innovazioni, sempre in maniera

graduale, è da notarsi che, similmente a quanto osservato da Rapin per il mondo celtico, “les périodes d'innovations techniques intenses, sont étroitement liées aux grandes mobilisations militaires enregistrées par l'historiographie méditerranéenne”675. Così si osservano sviluppi

significativi nei periodi di più attivo confronto con i popoli celtici tra IV e III secolo a.C. e poi di

bouleversent actuellement notre approche des cultures barbares et celle de leurs contacts et influences réciproques avec les civilisations méditerranéennes”.

671 Su cui REY 2010 con relativi esempi relativi alla storiografia tradizionale. 672 REY 2010, p. 41

673 REY 2010, pp. 21 e sgg. 674 REY 2010, p. 50 675 RAPIN 1999.

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nuovo negli anni delle grandi mobilitazioni di armati in Cisalpina da parte di uomini politici romani durante il critico arco di tempo che va da Mario alla fine della Repubblica.

Armi da offesa

L’arma senza dubbio maggiormente attestata tanto a Padova quanto negli altri importanti contesti insediativi veneti è la lancia da impatto. Le evidenze funerarie, unitamente alle armi gettate nelle acque di Lagole, appaiono fortemente omogenee con quelle di limitrofo contesto celtico. La quasi totalità degli esemplari appartiene alla tipologia ben nota al contesto latèniano nel tipo cosiddetto Rapin II a lama foliata allargata dalla parte dell’imboccatura e tallone conico in ferro676. Si tratta

di un tipo di lance da impatto con lunghe cuspidi forse ispirate all’utilizzo nelle fanterie mediterranee e che andò a costituire l’armamento offensivo per eccellenza anche nell’Europa settentrionale677. Benché inficiate da una modalità di rappresentazione non particolarmente

accurata, le evidenze iconografiche da lamine e dai bronzetti che ne abbiano concesso il riconoscimento sembrano attestare il medesimo tipo678. Nel contempo il modello standardizzato

del bronzetto di guerriero con lancia (in assalto o a riposo), sia a cavallo che a piedi, diffuso specialmente tra Padova e valle del Piave, riprova l’assoluta centralità, anche ideologico- figurativa, di questo strumento bellico per i guerrieri del territorio (sia in qualità di arma da impatto che nella variante da lancio)679.

Molto più rade sono invece le testimonianze di spade. La loro diffusione nella Venetia della seconda età del ferro è attribuita all’innovazione nel combattimento apportata dai Galli in Cisalpina a partire dal V secolo a.C. per cui venne nuovamente valorizzato il singolo duello a scapito del

676 Lance di questa categoria si trovano in sepolture a Padova, Arquà, Altino e in deposizioni fluviali a Lagole (cfr. supra).

677Così secondo RAPIN 1988. Per fonti antiche sulla lancia dei Galli vd. Diod. 5, 30; Polyb. 2, 28, 8. Studi di

riferimento in RAPIN 1988 e RAPIN 1999, pp. 49 e sgg. per quanto riguarda l’evoluzione dell’oggetto, che col tempo tende ad allargarsi ed allungarsi: si conoscono cuspidi in cui lama e immanicatura raggiungono i 70 cm di lunghezza complessiva. Nel caso di tali esemplari la lama bitagliente della cuspide, specie una volta spezzata l’asta in combattimento, poteva essere utilizzata anche come corta spada (vd. casi consimili tra i Piceni in CHERICI 2003, p. 525).

678 Le attestazioni iconografiche certe sono quasi esclusivamente provenienti dai bronzetti di Este e dalle lamine di

Vicenza (cfr. supra).

679 Si confrontino le osservazioni di CHERICI 2012, p. 219. Come rintracciato dall’autore, la lancia costituisce molto

presto, e a lungo, un elemento centrale per lo status di guerriero tra i popoli della penisola italica, in maniera del tutto indipendente dalla diffusione della panoplia e della tattica oplitiche. Relativamente all’utilizzo della lancia come rappresentativa di status in Etruria vd. CHERICI 1999, pp. 187-188.

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combattimento in formazione serrata. Relativamente alle evidenze iconografiche dal santuario di Vicenza Zaghetto osserva come, in un arco di tempo che va dal V al I secolo a.C., si possa apprezzare nei fanti rappresentati un progressivo mutamento di equipaggiamento che andrebbe di pari passo con tale cambiamento nella tecnica di combattimento680. In questo, secondo l’autore, la

reintroduzione della spada, dopo la parentesi del secondo quarto del I millennio a.C. durante la quale le uniche armi da offesa attestate in Veneto appaiono lance e giavellotti, costituisce il fattore fondamentale nell’evoluzione della panoplia. Con la reintroduzione della spada si osserva il mutamento degli scudi, da circolari con umbone a circolari con bordo rinforzato ed infine al tipo prettamente celtico681. L’unico tipo archeologicamente attestato682 nel territorio è quello attribuito

alla cultura La Tène medio-tarda: lunga spada dritta, a doppio taglio e con punta arrotondata pensata per colpire con ampi fendenti in uno spazio non troppo ridotto683. Essendo la lancia l’arma

da stocco per eccellenza, in questi secoli la spada La Tène, inefficace nell’affondo, non assume altra funzione che quella di arma da taglio684.

Si è detto più sopra delle critiche mosse dagli scrittori classici alla qualità della spada lunga latèniana, che rischiava facilmente di piegarsi nel bel mezzo del combattimento. Il parere degli studiosi contemporanei sull’efficacia di tale strumento bellico non è tuttavia concorde con ciò che riportarono gli antichi autori. Secondo Lejars “il est probable que si l’épée celtique était d’aussi mauvaise qualité que le prétendaient certains historiens grecs, les Celtes en auraient changé et que cette arme n’aurait pas eu le succès qu’on lui connaît”685. La sua diffusione anche in contesti in

cui preesisteva una valida tradizione militare, come in Italia settentrionale, in Ibreria o nei Balcani “permet de mesurer le succès de l’épée “celtique” auprès des élites guerrières de ces territoires, qu’il

680 ZAGHETTO 2003, p. 159. 681 Cfr. Situla Arnoaldi Fig. 64b.

682 Spade di questo genere sono attestate nelle tombe di Arquà e di Altino, nonché tra le offerte fluviali a Lagole. La

spada La Tène è inoltre chiaramente raffigurata su almeno una stele patavina, in alcuni bronzetti da Padova e Lagole nonché su una lamina con fanti da Altino (vd. supra).

683 (cfr. supra) Sulla spada vd. KRUTA, MANFREDI 1999, pp. 17-21. Studi di riferimento in LEJARS 2011, pp. 133-

137; RAPIN 1999, pp. 49 e sgg. Lunghezza, peso, impugnatura, sezione ed estremità variano nel tempo, e tendono ad aumentare o contrarsi a seconda del secolo (ma sono note spade La Tène di dimensioni assai differenti anche nel medesimo contesto geografico e cronologico ad identificare differenti tipi di combattenti). Se la maggior parte delle spade di IV secolo a.C. è inquadrabile tra i 65 e i 70 cm di lunghezza, nel II secolo a.C. si nota un gran numero di spade che raggiungono i 90 cm, con un ampiezza quasi doppia delle precedenti ed una struttura irrobustita dalla marcata nervatura mediana.

684 RAPIN 1999, p. 59. Si nota comunque, secondo l’autore, un ritorno di lame da affondo nella seconda metà del II

secolo a.C.

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s’agisse ou non de Celtes”686. La fragilità delle spade dei Celti, pur riconosciuti quali esperti artigiani

del metallo687, sarebbe innanzitutto un luogo comune: “les raisons de ce dénigrement systématique

des armes et des mœurs celtiques sont à rechercher dans la nature conflictuelle qui caractérise les relations, d’une part entre Celtes et Romains, dans la péninsule pendant un peu plus de deux siècles, et d’autre part, entre Celtes et Grecs depuis l’épisode fameux du sac de Delphes”688.

Non è chiaro in che misura la spada fosse adottata dai soldati antenorei. A motivarne (o permetterne) l’adozione, che pure dovette essere minoritaria rispetto a quella della lancia, concorrevano motivi di ordine economico e culturale. Per quanto riguarda l’aspetto economico, è assai probabile che riuscissero a permettersi le grandi spade latèniane innanzitutto i più agiati all’interno della comunità, a partire dalle élite di ceto equestre689. Per quanto riguarda i motivi

culturali, considerato il valore della spada per i Galli (tanto per significato ideologico quanto per lo stile di combattimento da essi prediletto)690, non è da escludere che gli individui di origine o

cultura gallica militanti tra le schiere governate da Padova mantenessero quest’arma come elemento fondamentale della propria panoplia691. Benestanti e Galli dovettero dunque ricorrere

all’utilizzo sistematico della spada come arma da taglio nelle armate patavine almeno fino a tutto il II secolo a.C., con pratica della tecnica di combattimento ad essa relativa incentrata sulla violenza del primo fendente in carica e poi su una serie di duelli non ostacolati da una formazione troppo serrata. Da notare come, in entrambe le categorie di utenti, più individui dovettero utilizzare la spada La Tène come specifica arma da cavaliere. Tra III e II secolo a.C., di pari passo con una maggior centralità della cavalleria nel mondo celtico, si sviluppa infatti un modello di spada con lama particolarmente allungata (80-100 cm) che poteva essere brandita efficacemente solo in sella ad un destriero ed incompatibile con l’equipaggiamento di un fante692.

Esiste poi una serie di armi secondarie con cui potevano equipaggiarsi coloro che, per un qualsiasi motivo, non ricorressero alla spada per il combattimento ravvicinato. La scelta ricadeva soprattutto

686 LEJARS 2011, p. 133.

687 Sulla qualità del metallo celtico cisalpino vd. LEJARS 2011; per la provenienza cfr. infra riguardo il ferro del

Magdalensberg.

688 LEJARS 2011, p. 133.

689 Si pensi alle attestazioni sulle stele del Maffeiano 610 e Loredan I. Non mancano attestazioni di fanti dotati di

spada ma, trattandosi solitamente di offerte bronzee di qualità piuttosto elevata, dovrebbero riferirsi sempre ad individui di grado medio-alto (cfr. supra).

690 Vd. LEJARS 2011, p. 133. Sullo stile di combattimento dei guerrieri Celti vd. infra. 691 Vd. infra sui Galli nelle armate patavine.

692 Sul legame tra allungamento delle spade La Tène ed utilizzo da parte della cavalleria, soprattutto quella composta

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su scuri693 e coltellacci, oggetti molto più facili da reperire per il guerriero non di professione che

dovesse provvedere personalmente all’equipaggiamento, in quanto meno costosi o addirittura già presenti tra gli arnesi domestici.

Piuttosto scarse sono le attestazioni di armi da lancio. Ciò certamente non a causa del mancato utilizzo di un’attrezzatura adottata in tutti gli eserciti del mondo antico, ma per la assai differente carica ideologica risiedente nella figura del soldato ‘di supporto’, come si evince dal monopolio dell’apparato figurativo veneto tra IV e I secolo a.C. posseduto da fanti ‘pesanti’ e cavalieri. In tal senso è significativa l’osservazione di Cherici694 per cui “Le schiere di supporto si attivano solo in caso di effettivo bisogno, non sono strutturate militarmente e non godono di rappresentatività politica, per questo hanno lasciato labili tracce di sé nei reperti, nelle immagini, nelle fonti storiche”. La motivazione del mancato riconoscimento dello status onorifico di guerriero è da rintracciarsi, secondo l’autore, nell’allenamento695. Se l’arte di utilizzare archi, giavellotti e

frombole può essere esercitata in attività quotidiane come la caccia, spada e lancia richiedono di potersi permettere del tempo appositamente dedicato all’allenamento militare. E’ dunque intuibile come non tutti potessero permettersi da un lato l’acquisto e dall’altro il tempo necessario per l’esercizio con spada e lancia e di conseguenza queste ultime andassero a distinguere gli individui di maggior prestigio. Accanto al minor impegno richiesto nella preparazione al combattimento, inoltre, concorreva a snobilitare le truppe di supporto la più lieve esposizione allo scontro vero e proprio. Ciò teneva il fante leggero lontano non solo dal pericolo ma anche dalla possibilità di distinguersi sul campo di battaglia mediante gesta degne di nota, con conseguente minor accesso alla corresponsione di gratificazioni post-belliche.

L’utilizzo di armati alla leggera, non solo in supporto alla fanteria ma anche come elemento centrale in vere e proprie azioni di ‘guerriglia’, è d’altro canto ben noto al contesto militare della penisola, a partire da quelle popolazioni dell’Appennino che costrinsero i Romani stessi ad abbandonare lo schieramento di fanterie pesanti in formazione serrata per restare in balìa dei ben

693 Scure del tipo ad alette laterali o bilaterali, meno efficace del tipo ad occhiello successivamente affermatosi, ma

ancora valido come arma da botta. Adatta soprattutto al combattimento singolo piuttosto che a quello in formazione (CHERICI 2003, p. 527). La scure è attestata in qualità di arma in più raffigurazioni venete del secondo quarto del I millennio a.C. (MALNATI 200, p. 162 con riferimenti).

694 CHERICI 2008, p. 201.

695 Sull’importanza del tempo necessario all’allenamento per gli eserciti con un certo grado di organizzazione, e la

ripercussione sociale di tale importanza su società per la maggioranza incentrate su un’economia agraria, vd. CHERICI 2012, pp. 216-217.

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più adattabili schermagliatori nemici696. L’arma da lancio più attestata per i soldati del territorio

patavino è il giavellotto, noto in ambito archeologico nella variante Rapin II697. E’ da tenere in

considerazione che il giavellotto non era alternativa alla lancia da impatto ed un fante sovente poteva essere equipaggiato con entrambe le armi, destinate a momenti diversi del combattimento698. Allo stesso tempo nella Venetia appare testimoniato l’utilizzo di

schermagliatori dotati di frombola. Nel caso specifico si tratta di Opitergini al servizio di Roma che appaiono militare in una modalità richiamante la specializzazione di altre più note formazioni di frombolieri dell’antichità (da Rodi o dalle Baleari). Secondo Cherici tali ‘settorializzazioni’ del mestiere delle armi “sono dovute alle selezioni, alla scelte, operate dal mercato mercenario, cioè alle esigenze di realtà politico-economiche più evolute che da tali regioni attingevano determinate specializzazioni militari: quelle non presenti - per minor perizia o per inopportunità politica - nelle schiere dei propri abilitati alle armi”699.

Armi da difesa

Attributo caratteristico, anche sul piano figurativo, del soldato patavino (e veneto) di seconda età del ferro è lo scutum. Le attestazioni nelle stele patavine sono confortate dal materiale archeologico700 o votivo proveniente dal territorio della città, da Altino e dalla valle del Piave,

oltre che dalla situazione registrata per le vicine città venete di Este e Vicenza701, nonché dallo

696 Per una bibliografia di riferimento sulle caratteristiche belliche del Sanniti vd. BRIZZI 2008, pp. 54-55. A ribadire

l’importanza del giavellotto nell’equipaggiamento dei popoli della penisola vi è forse la netta differenza che intercorre tra le tombe latèniane di ambiente italico (dove la presenza di questo tipo di arma è piuttosto attestata) e quelle transalpine, dove il giavellotto è quasi assente (VITALI 2004, p. 324).

697 Esemplari di riconoscimento piuttosto sicuro, in quanto accostati ad una seconda lancia di dimensioni differenti,

sono quelli dalle tombe di Padova (vd. supra). Va considerato tuttavia che sovente l’identificazione con un giavellotto da parte degli archeologi si basa sulla lunghezza ridotta della cuspide, quando, come secondo RAPIN 1999, p. 49, “La distinction entre armes d'estoc et armes de jet se fait encore trop souvent à partir de la taille relative des armatures en fer. C'est en réalité leur structure qui permet de les différencier. Une armature courte peut être une lance, c'est-à-dire une arme d'estoc, si elle est équipée d'une forte nervure lui permettant d'absorber sans fléchir, les chocs répétés des combattants affrontés (fig 5, D 3). Une armature longue non nervurée peut être façonnée pour le jet lorsqu'on prémédite, au contraire, sa flexion lors du premier impact. L'adversaire ne doit pas, en effet, pouvoir la réutiliser”.

698 Relativamente a tale accostamento in ambito Veneto basti pensare alle panoplie con lancia e giavellotto rinvenute

nelle tombe o alle innumerevoli raffigurazioni di ‘opliti’ arcaici armati di doppia asta, una delle quali chiaramente più corta e leggera, adatta per il lancio (Vd. supra – cfr. Figg. 32 e 34).

699 CHERICI 2008, p. 197.

700 Rigorosamente limitato alle componenti più difficilmente deperibili dello scudo.

701 Umboni sono stati rinvenuti a Padova, Arquà e Lagole, mentre assai diffusi sono gli scudi nella bronzistica

lagoliana, patavina e altinate, cui si aggiungono le belle attestazioni delle stele patavine (vd. supra anche riguardo le corrispondenze atestine e vicentine).

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scenario tecnologico che almeno a partire dal IV secolo a.C. interessò buona parte della penisola italiana. Come sopra indicato, si tratta dello scudo allungato (rettangolare o elissoidale) in legno, irrobustito da spina centrale e, successivamente702, dotato di umbone metallico a protezione

dell’impugnatura lignea, in seguito accostato da alette metalliche o borchioni, e bordo metallico rilevato703. Cherici rintraccia le prime attestazioni dell’adozione di tali oggetti da parte delle armate