Supporto
Le stele patavine costituiscono per quantità la seconda categoria di testimonianze iconografiche riconducibile all’area di pertinenza della città tra IV e I secolo a.C. La critica le ha riconosciute come il monumento funerario per eccellenza della Padova paleoveneta, rappresentativo del prestigio dei notabili della città e di valore identitario tale da protrarsi sino in epoca romana senza soluzione di continuità401. Gambacurta ritiene la tradizione delle stele patavine una “attitudine tutta
particolare della città nel celebrare in modo autonomo ed originale i maggiorenti della città”402. Si
tratta di circa una ventina di stele dai caratteri chiaramente aristocratici collocabili tra il VI ed I secolo a.C.403, tutte riconducibili a necropoli di area patavina (principalmente quelle collocate ad
oriente della città, lungo le strade extraurbane)404 ove dovevano sorgere sopra tombe di personaggi
di alto rango sociale (sia uomini che donne)405. La tipologia del supporto è assai omogenea: stele
a lastra in pietra locale di forma quadrangolare più o meno allungata con specchio quadrato o rettangolare occupante la parte che emergeva dal terreno una volta infissa. Tale specchio è racchiuso da una cornice sovente ospitante su due o più lati un’iscrizione con il nome del defunto406. Nello riquadro veniva incisa o scolpita a bassorilievo l’immagine, quando presente
(non si sono conservate eventuali tracce di pittura). Recenti studi hanno rivelato come il tipo della stele rettangolare con cornice inquadrante uno specchio figurato sia verosimilmente stato importato dal mondo etrusco, probabilmente da maestranze etrusco-meridionali trasferitesi a Padova. In questa direzione portano le osservazioni sull’esemplare più antico, la cosiddetta stele di Camin (Fig. 52), datata ai primi decenni del VI secolo a.C., che testimonierebbe l’esportazione
401 Sulla rappresentatività patavina di tali reperti MALNATI 2002a, p. 131; Cfr. PROSDOCIMI 1976, p. 27;
FOGOLARI 1988, p. 99; ZAMPIERI 1994, p. 49; CIURLETTI 2014, p. 146; CAPUIS 20093; MODONESI 1990, p.
63.
402 GAMBA et ALII 2013, p. 344. 403 GAMBA et ALII 2013, p. 344.
404 ZAMPIERI 1994, p. 49; FOGOLARI 1988, p. 99.
405 Ciurletti rimarca come tali reperti testimonino da subito l’esistenza di una classe di abbienti in grado di affidare la
committenza di un singolo privato ad un artista (CIURLETTI 2014, p. 146).
406 Sette sono riconoscibili a tutt’oggi, per la maggior parte con evidenti caratteristiche linguistiche patavine
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di un modello e di un’idea ben precisi da parte di maestranze dall’Etruria, forse lo stesso Pupone
Rakos ricordato nel monumento407. Il modello etrusco, che diede origine alle celebri stele di
Felsina408, sarebbe stato quindi rielaborato secondo i codici dell’iconografia veneto-patavina,
inizialmente ancora in legame con l’arte delle situle409. Su tale prima rielaborazione devono essersi
stratificate progressivamente influenze artistiche celtiche, magnogreche e romane. La fase celtica (V-IV secolo a.C.) è riconoscibile non solo dall’apparizione di oggetti di fattura latèniana, ma anche dall’utilizzo di un marcato decorativismo lineare ed una nuova ricerca di espressività410. La
fase magnogreca (III secolo a.C.) è stata ritenuta “tanto forte da attenuare il carattere paleoveneto”411; ivi si può apprezzare un rilievo particolarmente aggettante, “quasi plastico”412 ed
uno stile d’influenza specificamente tarantina413. Segue infine una fase romanizzante (II-I secolo
a.C.), con stile ed elementi di gusto romano (uomini togati, cocchio), durante la quale tuttavia non viene meno il ‘patriottistico’ mantenimento della lingua venetica e di altri elementi della tradizionale iconografia patavina414. Tra queste la più significativa è senza dubbio la stele di
Ostiala Gallenia (Fig. 53), uno dei più sensazionali esempi di ‘autoromanizzazione’ in Venetia. Su di essa, nello specchio figurato, sono presenti uomo in toga, donna in tradizionale abbigliamento veneto, cocchio romano, scudo rotondo affine a quelli degli opliti dalle più arcaiche lamine figurate, iscrizione in lingua e alfabeto latino, termine peculiarmente patavino di ekupetars415.
Quattordici reperti possiedono un apparato iconografico articolato; sette presentano un’iscrizione, sempre posizionata sulla cornice inquadrante lo specchio figurato, in alfabeto e lingua venetica (sei reperti) o alfabeto latino e lingua ‘mista’ (un unico reperto).
407 Si ritiene che tali direttrici culturali dall’Etruria meridionale importarono a Padova non solo innovazioni artistiche
ma anche il sistema di scrittura cosiddetto di seconda fase (Gambacurta in GAMBA et ALII 2013, pp. 344-345.). Sull’origine etrusca della stele di Camin fondamentale il contributo di MAGGIANI 2000. Per la stele di Camin e le sue caratteristiche etruschizzanti cfr. anche GAMBA et ALII 2013, pp. 133-137; 345; 359-361; FOGOLARI 1988, pp. 99-102.
408 Per una bibliografia di riferimento sulle stele felsinee si rimanda a MAGGIANI 2003; MAGGIANI 2000. 409 Riferimenti in CIURLETTI 2014, p. 146 (ciò sarebbe riscontrabile soprattutto nelle prime stele ad incisione). Cfr. infra.
410 PROSDOCIMI 1976, p. 36; MALNATI 2002a, p. 132; ZAMPIERI 1994, p. 52. Gli esemplari attribuibili a questa
fase sono innanzitutto le stele di Altichiero, Albignasego, Levico, Maffeiano 610 e la cosiddetta stele Checchi (vd.
infra).
411 PROSDOCIMI 1976, p. 36. 412 MALNATI 2002a, p. 132.
413 FOGOLARI 1988, p. 103. Cfr. anche ZAMPIERI 1994, p. 52 Attribuibili chiaramente a questa fase sono le due
stele con cavaliere Loredan I e II (vd. infra).
414 Alla terza fase Malnati attribuisce le stele di Ostiala Galliena, di San Massimo e del Lapidario I (MALNATI 2002a,
p. 133).
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Il tema figurativo più diffuso tra le stele patavine è senza dubbio il viaggio agli Inferi su carro (otto in totale), ben noto al di fuori dal mondo venetico416, in cui il defunto, sovente accompagnato da
un auriga, intraprende il viaggio diretto verso il mondo dei morti a bordo di un carro (elemento che su queste stele viene declinato in molteplici varianti, dall’essedum celtico alle quadrighe di età romana) trainato sovente da due o più cavalli. Ad accompagnare il percorso che conduce agli Inferi vengono spesso raffigurati animali, reali o mitologici, accostati al soggetto della stele all’interno dello stesso specchio iconografico417. Ad essi si aggiungono grandi fiori in boccio418, raffigurati
sempre singolarmente, interpretati come gli asfodeli che ricoprivano le rive del fiume infernale Acheronte, i quali richiamano per stile “i motivi orientali naturalistici diffusi nell’arte delle situle”419. Tra le restanti stele si segnala la stele da Ca’ Oddo (Fig. 51), presso Monselice, la quale
costituisce un unicum in quanto come apparato figurativo presenta non una scena con defunto ma un singolo simbolo, interpretato come chiave di valore cultuale, noto anche altrove nel repertorio dei monumenti lapidei paleoveneti420. Tra le stele con regolare iconografia ritraente il defunto non
in viaggio, la più significativa è senz’altro la più antica stele di Camin, ove il soggetto è raffigurato in una scena di commiato in piedi rivolto verso sinistra, con gli attributi degli alti ceti patavini (cappellaccio a tesa larga, mantello421 e lungo scettro422), antistante ad una figura femminile che
gli porge con la mano una colomba. Il secondo gruppo di stele per omogeneità di tema è composto da quattro esemplari con cavalieri in armi raffigurati in combattimento o semplicemente in movimento.
416 PROSDOCIMI 1976, p. 28 riconosce un riferimento alla scultura greca di primo V sec., benché i dettagli siano
veneti infatti è greca l’idea di viaggio agli inferi su biga. Cfr. ZAMPIERI 1994, p. 51 sull’importazione dell’immagine del viaggio su carro all’Ade dalle stele felsinee. Sul tema del viaggio all’Aldilà dalle stele funerarie felsinee come connotato tipicamente aristocratico (benché non precedente al V secolo a.C.), spesso (nel caso dei carri trainati da cavalli alati) accostato ad immagini che richiamassero la virtù militare del defunto, vd. MAGGIANI 2003.
417 Tra gli esemplari più interessanti si citano la stele di via Acquette e di Albignasego (vd. infra) e la stele Bassani
con carro e animale fantastico, forse grifone orientalizzante (descrizione in PROSDOCIMI, TADIOTTO 1976, p. 300).
418 Si tratta delle stele di Albignasego, Loredan II, di Levico (vd. infra) e di Altichiero (ZAMPIERI 1994, p. 108;
PROSDOCIMI, TADIOTTO 1976, p. 302). Alcune interpretazioni in PROSDOCIMI 1976 p. 70; FOGOLARI 1988, p. 101; CIURLETTI p. 146 (cfr. sotto).
419 FOGOLARI 1988, p. 101. 420 Vd. infra.
421 Abbigliamento consimile nella stele di Altichiero. Sul riconoscimento di tale accessorio come tipico del notabili
veneti BOSIO 1981, p. 41.
422 Simbolo di comando e di appartenenza ad un determinato ceto (FOGOLARI 1988, p. 100), con un richiamo alle
situle figurate (a partire dalla situla Benvenuti, per la cui bibliografia si rimanda a GAMBA et ALII 2013, p. 293) e agli scettri in lamina di bronzo da tombe venete di VI-V secolo a.C. (vd. vari esempi in: tomba Ricovero 3 in CAPUIS, CHIECO BIANCHI 1985; tombe 99, 122, 126 in CAPUIS, CHIECO BIANCHI 2006; tomba Posmon 13 in MARZATICO 2004, pp. 660-662).
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L’iconografia dunque suffraga efficacemente l’interpretazione di tali monumenti (generalmente pervenuti privi di contesto423) come oggetti di funzione funeraria appartenuti ad esponenti degli
alti ranghi della società patavina dell’epoca. A riconferma di ciò concorre l’analisi del repertorio epigrafico presente sulle stele. In cinque iscrizioni, sempre di carattere cultuale e rigidamente formulari, figura il termine ekupetaris/eppetaris (presumibilmente presente anche in alcune delle stele il cui apparato iscritto sia andato irrimediabilmente perduto), associato all’appartenenza ad una classe di equites patavini, per il quale si rimanda a più avanti. Come considerato da Malnati, se le iscrizioni sono “prodotti della comunicazione del passato, intrisi dell’intenzione di far durare nel tempo il messaggio trasmesso” a coloro che sono nella condizione di leggerle, allora le stele patavine sono tra i supporti paleoveneti che “per caratteristiche di visibilità e durata, hanno assolto al meglio tale funzione”424.
Sono di seguito analizzate le sette stele con elementi figurativi direttamente riconducibili alla sfera semantica della guerra grazie alla presenza di armi associate ai personaggi raffigurati o scene di combattimento (si escludono perciò le più recenti stele in cui figurano grandi scudi rotondi in sostituzione degli ‘asfodeli’ in quanto tali oggetti non risultano utilizzati in qualità di vere e proprie armi all’interno della raffigurazione)425.
Reperti
x Stele di Via Acquette (Fig. 44)426: rinvenuta a Padova, in trachite dei colli Euganei, misura
90 per 50 cm circa, viene datata agli inizi del IV secolo a.C. Lo specchio superiore è circondato da una cornice iscritta su quattro lati nella quale figura il termine eppetaris427.
Vi è raffigurato ad incisione un cavaliere al galoppo428 orientato verso sinistra, armato di
lancia tenuta in posizione di ‘assalto’ ed ampio scudo circolare quadripartito con umbone e bordo rilevato. Porta un elmo a calotta semisferica ove è forse possibile distinguere un
423 ZAMPIERI 1994 p. 50 424 MALNATI 2002a, p. 127. 425 Su di essi vd. infra.
426 PROSDOCIMI, TADIOTTO 1976, p. 303; PROSDOCIMI 1976, p. 30; PASCUCCI 1990, p. 130-131; ZAMPIERI
1994, pp. 108; 110; MALNATI 2002a, p. 132.
427 Vd. infra. Si segnala che le iscrizioni presenti nelle stele qui considerate sono tutte in lingua e alfabeto venetici. 428 Secondo PROSDOCIMI 1976, p. 30 la resa del galoppo ricorda le lamine di teorie equestri da Este Baratella (vd. supra).
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bottone apicale429. Il cavallo è seguito da un piccolo cane ed un uccello in volo (motivi
rientranti nella simbologia funeraria430). Secondo Prosdocimi “le proporzioni formali della
prima arte delle situle e dei primi rilievi sono anche qui abbandonate” mentre “la figurazione risente dei modi dell’influenza celtica, come rivelato dall’assenza di gambe e braccia, coperte dallo scudo”431.
x Stele 610 del Maffeiano (Fig. 46)432: di rinvenimento ignoto ma di provenienza patavina,
in trachite dei Colli Euganei, misura 86 per 66 cm ed è datata al IV secolo a.C. Lo specchio iconografico è racchiuso su tre lati da una cornice che presenta un’iscrizione piuttosto prolungata in cui figura il termine ekupetaris433. La scena è quella del viaggio
all’Oltretomba su carro “con riferimento all’attività o alla condizione sociale del defunto”434. Il carro, orientato a sinistra, è del tipo a essedum con basse sponde ad archetto,
trainato da una pariglia di cavalli con morsi e finimenti ben segnalati. Accompagnato dall’auriga, vi è il defunto, stante, con scudo allungato a spina, umbone e bordo rilevato e spada nella destra alzata. Sotto lo specchio epigrafico si trova un elemento decorativo inciso a cerchio aperto nella parte inferiore con estremità avvolgenti in riccioli (in una forma che ricorda un torquis). Secondo Modonesi uso e forma della stele rimandano al mondo greco e a quello felsineo mentre “un certo decorativismo lineare, il tipo di carro e lo scudo ellittico tradisce la presenza di apporti celtici”435.
x Stele di Albignasego (Fig. 45)436: rinvenuta a Padova, in calcare dei Colli Berici, di circa
80 per 70 cm, viene datata alla seconda metà del IV secolo a.C. Specchio superiore incorniciato e accostato su due lati da un’iscrizione in parte danneggiata ma dove è possibile riconoscere con un certo margine di sicurezza il termine ekupetaris437. La scena
rappresenta una coppia di persone non ben riconoscibili (le alternative oscillano tra auriga
429 Secondo MALNATI 2002a, p. 132 si tratterebbe di un elmo pileato simile a quello rappresentato sulla situla
Arnoaldi, il che daterebbe la stele tra fine V e inizio IV, rientrando nel gruppo fortemente ‘tuscanico’. ZAMPIERI 1994, p. 110 riconosce invece l’equipaggiamento ibrido costituito da scudo circolare arcaico ed elmo apicato ‘latènizzato’.
430 ZAMPIERi 1994, p. 108. 431 PROSDOCIMI 1976, p. 30.
432 PROSDOCIMI, TADIOTTO 1976, p. 301; PROSDOCIMI 1976, pp. 29-30; MODONESI 1990, p. 63. 433 Vd. infra.
434 MODONESI 1990, p. 63.
435 MODONESI 1990, p. 63. Similmente PROSDOCIMI 1976, p. 30.
436 PROSDOCIMI, TADIOTTO 1976, p. 302; PROSDOCIMI 1976, pp. 31-32; FOGOLARI 1988, pp. 102-103;
ZAMPIERI 1994, p. 109; GAMBA et ALII 2013, pp. 370-371; cat. n. 10.1.1.
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e defunto, auriga e defunta, coppia coniugale438 e coppia di guerrieri) trasportata da un
essedum gallico a basse sponde circolari sulle quali è agganciato un ampio scudo ovale a spina centrale, umbone e bordo rilevato che caratterizza uno dei personaggi come guerriero439. Il tema è quello del viaggio verso l’Aldilà. Il carro, orientato verso sinistra, è
trainato da una pariglia di cavalli con bardatura e morso particolarmente dettagliati440.
Sopra il carro è in volo un uccello mentre sotto il ventre dei cavalli, nell’estremità in basso a sinistra si trova un grande fiore in boccio interpretato come asfodelo. Fogolari riconosce delle sproporzioni nei corpi che ricordano le lamine figurate accostate ad aspetti di stile celtico quali la durezza delle linee profonde e parallele, la decorazione a cerchietti che ricopre carro, passeggieri e cavalli, oltre che il carro stesso e lo scudo441. La stele è assai
simile per linguaggio alla 610 del Maffeiano e alla stele di Levico, nonché alla stele Checchi, priva tuttavia di carro.
x Stele Checchi (Fig. 46)442: di rinvenimento sconosciuto acquistata e conservata sempre a
Padova, in pietra di Nanto, mancante di gran parte del lato destro, doveva avere forma consimile alle altre. E’ conservata per 90 per 50 cm circa e datata al tardo IV secolo a.C. Nel bordo a sinistra è apprezzabile solo la parte finale dell’iscrizione, estremamente compromessa. Nella porzione di riquadro figurato pervenuto si osservano due cavalieri al galoppo che travolgono un nemico la cui testa, spiccata dal corpo, giace poco avanti sotto le zampe dei cavalli (testa, cavalli e cavalieri sono orientati rigorosamente verso sinistra). Almeno uno dei cavalieri porta, fissato al fianco, un lungo scudo ovale/esagonale a spina centrale, umbone e bordo rilevato. Riguardo la particolare raffigurazione dell’armamento è interessante l’osservazione di Prosdocimi per cui “la posizione degli scudi indica una
438 Così la voce autorevole di FOGOLARI 1988, pp. 102-103. 439 Così già PROSDOCIMI 1976, p. 32.
440 Si tratta della stele in cui i finimenti sono indicati con maggior precisione: si notano distintamente l’anello in cui
passano le redini vicino al timone e le briglie con anello alla tempia e correggia attorcigliata collegata a sua volta al grosso anello del morso cui sono agganciate le redini (PROSDOCIMI 1976, p. 32). Cfr. supra sui riscontri che i morsi più dettagliati dalle stele patavine (Albignasego, Checchi, Maffeiano 610 e Levico) presentano con alcuni dei frammenti di bardatura rinvenuti nella necropoli equestre di Altino. Sull’utilizzo e le varianti di tali morsi con elementi ‘ad omega’, diffusi in Venetia a partire da IV secolo a.C., vd. Groppo in GAMBA et ALII 2013, p. 367.
441 FOGOLARI 1988, p. 103. PROSDOCIMI 1976, p. 29 parla di riflessi di un’influenza da parte dell’istinto
“antiformale” celtico. Secondo l’autore si tratterebbe di “una tendenza propria dei Celti, che qui nel Veneto si applica a modelli di tarda e mediata derivazione greca, trasformandoli e travisandone completamente il senso. L’artista veneto, pure intendendo riprodurli, non li comprende più nella loro vera essenza formale e si lascia trasportare dal suo istinto ad un particolare espressionismo e decorativismo lineare” (PROSDOCIMI 1976, p. 33).
442 PROSDOCIMI, TADIOTTO 1976, p. 303; PROSDOCIMI 1976, p. 33; CHIECO BIANCHI, 1981, p. 48;
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cavalcata di guerrieri affine a quella della laminetta Baratella, ma non un combattimento, perché in questo caso gli scudi sarebbero alzati sul braccio”443. Rilevante il dettaglio
nell’esprimere i morsi delle cavalcature. I differenti influssi rintracciabili nella raffigurazione sono così considerati da Fogolari: “mi sembra che in modo particolare questo monumento ci mostri una Padova, al passaggio dal IV al III sec., legata ancora in pieno al suo mondo precedente (rimane l’ultima parola dell’iscrizione venetica), ma aperta agli influssi classici – assai più di Este – e che recepisce indubbi apporti celtici (morsi, linearismo dei solchi delle zampe dei cavalli, tendenza al decorativismo)”444. Elemento
sicuramente più sensazionale della stele è la presenza del corpo decapitato del nemico e di quella che Fogolari definisce “una testa pregna di significato, sconcertante” la quale “fa subito rievocare le têtes coupées, mostruose raffigurazioni dei Celti, cariche di valore apotropaico, rituale, la cui fioritura data però dal III sec. in poi”445. Come anticipato, diversi
studiosi hanno osservato che, più che una scena di combattimento in atto, vada qui riconosciuta l’esaltazione di una vittoria passata, benché non sia chiara la natura del nemico a scapito del quale essa sia stata ottenuta446. Si segnala l’ipotesi di Braccesi che, seguendo
la proposta di Fogolari, vede nel nemico privo di connotati specifici un mercenario di Cleonimo travolto da due iuvenes trionfanti447.
x Stele di Levico (Fig. 48)448: Rinvenuta presso Levico in Valsugana, secondo Ciurletti può
essere fatta risalire con un certo margine di sicurezza alla Padova paleoveneta449. In pietra
tenera di Vicenza, ben conservata, misura circa 50 per 80 cm e si può datare, accanto alle stele di Albignasego e 610 del Maffeiano, a tardo IV – primo III secolo a.C. E’ incorniciata sui lati destro e superiore da un’iscrizione, fortemente danneggiata nella seconda parte, con
443 PROSDOCIMI 1976, p. 33. 444 FOGOLARI 1988, pp. 103-104.
445 FOGOLARI 1988, p. 104. Le fonti letterarie sulla decapitazione come usanza culturalmente connotata caratteristica
del mondo celtico sono molteplici; si segnalano: Liv. 22, 24, 6-13. Diod. 5, 29, 4-5. Strab. 4, 4, 5. Assai diffuse anche le attestazioni archeologiche che culminano nei siti di Roquepertuse ed Entremont. All’interno della sconfinata bibliografia sull’argomento si segnalano gli sguardi generali rivolti ai significati ‘sacri e profani’ di tale atto in DEDET 2011; GREEN 2002, pp. 93-110; LAMBRECHTS 1954. Sempre FOGOLARI 1988, p. 105 fa notare che “non si può però escludere perentoriamente che la scena richiami in modo generico le imprese del defunto e la testa sia simbolo dell’oltretomba cui esso si avvia”.
446 FOGOLARI 1988, p. 105; PROSDOCIMI 1976, p. 33; BRACCESI 2010.
447 BRACCESI 2010, pp. 116-117. La stele e l’avventura del principe spartano si daterebbero infatti agli stessi anni. 448 GAMBA et ALII 2013, p. 359-361; CIURLETTI 2014.
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il nome del defunto450. Per resa stilistica e stato di conservazione del rilievo è stato ritenuto
“uno degli esemplari di stele più espressivi e artisticamente validi fino a oggi noti”451. Nello
specchio figurato si osserva la familiare scena di viaggio agli Inferi su carro con defunto e auriga. Il carro, rivolto verso sinistra, è del tipo essedum con sponde ad archetti, trainato da un pariglia di cavalli con morsi e finimenti ben tracciati. Sul carro sono presenti l’auriga con frustino ed un secondo personaggio, verosimilmente il defunto, imbracciante uno scudo circolare allungato a spina centrale, umbone e bordo rilevato il quale, secondo Gambacurta, caratterizza il defunto come guerriero, e che Ciurletti considera vero e proprio simbolo dell’élite sociale di appartenenza452. Sopra la testa dell’auriga figura una fiasca
sospesa a mezz’aria (nella posizione in cui la stele di Albignasego propone un uccello in volo) mentre nell’angolo in basso a sinistra sotto le zampe dei cavalli impennati si nota quello che è stato riconosciuto come un grande asfodelo in boccio, con petali a spirale e linea sinuosa453. Nonostante la provenienza incerta, la critica concorda nell’inserire la stele
di Levico in quel gruppo di stele che, come l’ultima arte delle situle di IV periodo, reinterpreta antichi modelli greci con relativo espressionismo e decorativismo lineare, con impulsi e suggestioni celtiche454.
x Stele Loredan I (Fig. 50)455: rinvenuta a Padova presso la necropoli di via Loredan, in pietra
di Custoza, originariamente di forma rettangolare, è ora fortemente danneggiata (specialmente nelle parti più alte del rilievo, che in alcuni punti doveva essere quasi a tutto tondo). E’ pervenuta nelle misure di 80 per 80 cm circa e si data ai primi decenni del III secolo a.C. Non vi sono tracce di iscrizione. Nello specchio figurato si assiste alla lotta tra un cavaliere al galoppo verso destra ed un fante colto nell’atto di essere travolto dal destriero. Il cavaliere si presenta dotato di scudo allungato, mantello e quella che appare come un lorica con corta tunica sporgente (l’arma impugnata non è riconoscibile, forse si
450 Si riconosce il nome bimembre V]oltiomno Vant---] (CIURLETTI 2014, p. 150) che in un qualche modo
richiama per assonanza il C. Vulteio Capitone comandante degli Opitergini ausiliari cesariani il cui eroico sacrificio fu tramandato da Livio (vd. supra). Sull’iscrizione cfr.Marinetti 79-91 in GAMBA et ALII 2013, pp. 79-91.
451 CIURLETTI 2014, p. 146.
452 GAMBA et ALII 2013, p. 359; CIURLETTI 2014, p. 149. 453 GAMBA et ALII 2013, p. 359, CIURLETTI 2014, p. 150. 454 CIURLETTI 2014, p. 150.
455 PROSDOCIMI, TADIOTTO 1976, p. 303; PROSDOCIMI 1976, p. 34; CHIECO BIANCHI, 1981, p. 47;
ZAMPIERI 1994, p. 52; FOGOLARI 1988, p. 103; GAMBA et ALII 2013, pp. 370-371; MALNATI 2002a, p. 132;