Appare verosimile la proposta di Sisani di collocare l’istituzione della provincia di Cisalpina all’ultimo decennio del II secolo a.C.914 Secondo lo studioso, che a sua volta adotta la tesi già
formulata da Cassola915, la provincializzazione sarebbe da connettersi con la situazione di crisi
innescata dai movimenti migratori di Cimbri e Teutoni. Nello specifico, secondo Sisani, pur in mancanza di prove certe, nel 102 a.C., al momento della discesa dei Cimbri in Cisalpina la provincia era già stata costituita “forse proprio al fine di contrastare, tramite la creazione di un assetto amministrativo decentrato a carattere stabile, tale temuta eventualità”916. Si è di seguito
913 E’ interessante notare come secondo il racconto di Livio (Liv. 22, 48) a Canne la cavalleria di alleati italici venne
mandata a scontrarsi direttamente con la potente cavalleria numidica. Non è difficile vedere gli esperti cavalieri veneti coinvolti con un ruolo non marginale in uno scontro tra truppe montate tanto delicato per gli esiti della battaglia, cui gli italici seppero tenere testa fino all’arrivo della cavalleria pesante cartaginese che aveva sbaragliato l’ala destra romana.
914 SISANI c.s., pp. 9-13. I termini cronologici sarebbero offerti dall’informazione di Strabone, mutuata da Artemidoro
e quindi da datare attorno al 100 a.C., riguardo la posizione del confine giuridico-istituzionale tra Gallia Cisalpina e
Italia sul fiume Esino (Strab. 5, 1, 3; 5, 4, 1-2) e dall’attestazione nella lex agraria epigrafica del 111 a.C. (CIL 1,
585) di una terra Italia da considerarsi come mera espressione geografica in quanto al momento della stesura mancava ancora di un confine istituzionalizzato dell’Italia a nord.
915 SISANI c.s., p. 12; CASSOLA 1991, p. 40.
916 SISANI c.s., p. 13. Ciò secondo l’autore spiegherebbe l’anomalia della creazione di una provincia che si può
definire ‘transitoria’ e ‘contingente’, in quanto costituita “in un territorio da tempo assoggettato e a lungo percepito come parte integrante dell’Italia” e rapidamente soppressa dopo appena sessant’anni (SISANI c.s., p. 13).
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tentato di osservare se esistano dati che rivelino se a tale mutamento istituzionale conseguisse un’innovazione nelle norme di reclutamento e nella partecipazione alle vicende militari di Roma. Le fonti sembrano in effetti mostrare il riemergere di una sensibile partecipazione di soldati della Venetia (tra i quali vanno inclusi ovviamente i Patavini) ai fatti militari che coinvolgono Roma a partire dai primi anni del I secolo a.C. Tra le poche testimonianze è ben nota quella delle ghiande missili verosimilmente portate da frombolieri opitergini al comando di Pompeo Strabone ad Ascoli, nell’assedio alla roccaforte dei socii ribelli dell’89 a.C. Essa richiama direttamente il passo liviano relativo al sacrificio dei soldati opitergini del cesariano Gaio Antonio nel 49 a.C., unica esplicita attestazione di ausiliari veneti917. Dal periodo a cavallo tra II e I secolo potrebbe inoltre
giungere la controversa iscrizione del miles Gavis Raupatnis, da Este, che attesterebbe la figura di un Veneto, forse addirittura un Patavino918, che all’alba della provincializzazione della Venetia,
probabilmente impegnato nel combattere gli incursori germanici, desidera marcare la propria condizione di soldato romano/romanizzato (ausiliare o legionario)919. Vi si aggiungono le altre
attestazioni analizzate, meno esplicite ma verosimilmente altrettanto pertinenti. Si tratta dei sopra citati casi di ampi reclutamenti di Transpadani attuati dai differenti viri militares negli anni della definitiva crisi della Repubblica920. Le fonti letterarie non esplicitano che tra questi soldati vi siano
Veneti (non ve n’è bisogno in quanto la Venetia è ormai parte integrante della ‘romanità’ in senso lato) ma è indubbio che uno dei più importanti bacini di reclutamento nella Cisalpina fosse il
Venetorum angulus, e all’interno di questi la ‘ἀρίστη’921 Patavium. Come sopra elencato, nel caso
del centro antenoreo esistono inoltre alcuni dati epigrafici che potrebbero attestare la presenza di soldati patavini al termine della loro carriera sotto le insegne di Roma: si tratta delle iscrizioni di probabile origo patavina del centurione Minucio Lorario, del tribuno Tito Manio, e dei veterani Caio Canio e Pactumeio Feroce922. Altra testimonianza proviene dall’osservazione di Buchi
secondo il quale assieme all’appoggio di buona parte dei Transpadani Cesare poteva forse
917 Vd. supra. Una più indiretta attestazione sarebbe quella di Cic. fam. 2, 17, 7 dove si parla del possibile utilizzo di alarii Transpadani durante la guerra partica del 50 a.C. Tra questi avrebbero militato probabilmente anche Veneti,
benché non con il ruolo di cavalleria di prima scelta come quella di due secoli precedente. Da notare che in Liv,
perioch. 110 gli opitergini di Gaio Antonio sono detti Transpadani, Caesaris auxiliares. 918 Vd. supra. per la proposta di LEJEUNE 1972.
919 Cfr. supra. BANDELLI c.s.
920 Cfr. supra per le legioni arruolate in Tranpadania. Per quanto riguarda la Cisalpina come “insostituibile base di
reclutamento delle milizie legionare” negli anni delle guerre civili (BUCHI 1999, p. 307) vd. Caes. Gall. 1, 10, 3; 2, 2, 1-2; 5, 24, 4; 6, 1; 7, 1, 1; Civ. 3, 87, 4.
921 Vd. supra sulla denominazione straboniana.
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specificamente contare “su un certo seguito o per lo meno su un punto di riferimento propagandistico anche in ambito padovano”923. Così sarebbe infatti da interpretare la notizia di
Cicerone di un Clodius Patavinus che fece da punto di riferimento dell’ambiente filocesariano in città924. Interessante osservare che nel 43 a.C. Padova, assieme agli altri Transpadani, appare
invece opporsi fermamente ad Antonio schierandosi dalla parte della coalizione tra forze senatorie e Ottaviano925.
Rispetto alle contenute attestazioni relative al secolo precedente, appare chiaro che nel I secolo a.C. una ben più ampia porzione della popolazione della Venetia propria venne coinvolta nelle generali mobilitazioni di soldati operate da Roma. E’ possibile che il cambiamento sia legato all’estensione a tutta la popolazione della Cisalpina, e non solo alle colonie ed altre civitates di particolare statuto che già vi erano sottoposti926, della ‘formula togatorum’. A tale formula
dovevano essere tenuti i socii italici almeno dal 225 a.C.927 ma non, a tutto il 111 a.C., l’ethne dei
Veneti928.Tale ‘matricola militare’ è stata interpretata come l’obbligo di fornitura a Roma da parte
delle comunità alleate dell’elenco degli iuniores coscrivibili929 su cui l’Urbe potesse contare in
momento di necessità930. Essa caricava gli auxilia italici di un’essenzialità per l’esercito romano
che pochi degli auxilia exterarum natiorum possedettero in periodo repubblicano931. Al riguardo
923 BUCHI 1999, p. 311.
924 Cic. Att. 12, 44, 3, su cui anche SARTORI 1981, pp. 124-125; CAPOZZA 1987, pp. 29-30.
925 Cic. Phil., 10, 5, 10; 12, 4, 9-10; su cui CRESCI 2015, p. 52; BUCHI 1999, p. 312; SARTORI 1981, pp. 125-126.
Cfr. le osservazioni sopra riportate di CRESCI 2015 riguardo il rapporto intessuto da Antonio ed Ottaviano con i differenti ceti della Transpadana.
926 SISANI c.s., pp. 6-7. Vd. Liv. 27, 10, 2-8 sul fatto che la formula togatorum fosse estesa alle colonie cisalpine (tra
cui Ariminum, Placetia, Cremona) già nel 209 a.C.
927 Così ILARI 1974, p. 79. Il 225 a.C. è l’anno in cui Roma richiede agli alleati i censimenti degli iuniores atti alle
armi, ossia i togati. Ilari vede una corrispondenza tra la definizione polibiana ἐν ταῖς ἡλικίαις e le liviane tabulae
iuniorum – vd. Polyb. 2, 23-24; Liv. perioch. 20; Oros. comm. 4, 13 – e quindi il 225 a.C. come data di nascita del
meccanismo presente nella lex agraria epigrafica.
928 LO CASCIO 1994b e SISANI 2015 sul fatto che il termine terra Italia della lex agraria epigrafica non
comprendesse gli indigeni cisalpini.
929 Sulla formula togatorum restano validi gli studi di ILARI 1974, pp. 57-83 e LO CASCIO 1994b. LO CASCIO
1994bsi interroga se “ex formula togatorum” significhi “in base all’elenco dei coscrivibili”, un elenco, cioè, che corrisponderebbe alle romane tabulae iuniorum (vd. Liv. 24, 18, 7) .
930 Vd. LO CASCIO 1994b, pp. 323-324 per cui “a Roma interessava conoscere il numero complessivo di coloro che
erano in età militare, e cioè il numero massimo di coloro che potevano essere reclutati in una situazione di emergenza, e quale che fosse il criterio con il quale veniva effettuato, in condizioni normali, in ciascuna comunità il censimento. Era su questo numero massimo che veniva rapportato l’ammontare di truppe da richiedere, che doveva essere, in situazioni di normalità, ovviamente assai minore e dipendente, in qualche modo, dalla necessità di costituire unità, coorti più turme, formate ognuna da milites provenienti da una medesima comunità: ciò che aveva per conseguenza che la prestazione delle reclute da parte delle varie comunità dovesse essere effettuata secondo un criterio di rotazione”. Sulla coscrizione delle reclute vd. ILARI 1974, pp. 84 e sgg.
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si segnala l’analisi articolata già da Ilari riguardo il mantenimento almeno parziale delle strutture locali per l’applicazione della formula. Secondo l’autore “sotto il profilo dell’amministrazione militare fu accolto […] il medesimo principio sperimentato per l’amministrazione civile; l’utilizzazione, attraverso un’autonomia più o meno sottoposta al controllo romano, delle strutture locali per l’amministrazione dell’Italia. Così gli ordinamenti militari degli alleati, alcuni dei quali avevano una struttura censitaria analoga a quella degli ordinamenti romani, non furono soppressi, ma conservati al solo scopo di consentire il reclutamento, e l’organizzazione dei rispettivi contingenti da inviare all’esercito romano. Questi contingenti non erano delle semplici unità di marcia, destinate cioè a sciogliersi una volta giunte al luogo di radunata dell’esercito al quale erano destinate, ma vere e proprie unità tattiche e amministrative, sia pure inquadrate in unità a livello legionario (alae) poste al comando di ufficiali superiori romani (praefecti socium)”932
Come già accennato, le fonti appaiono quindi confermare che alla mutata condizione istituzionale della regione conseguì un mutamento sul piano del reclutamento militare. La perdita della condizione di alleato ufficialmente paritario (se di perdita si può parlare, quando tutto fa pensare che l’inserimento dei Veneti nell’orizzonte romano fosse in ogni modo ambito da buona parte del ceto dirigente locale), la nascita dell’esercito professionale, il conferimento della cittadinanza latina ai Transpadani nel 89 a.C., unitamente alle pressoché costanti condizioni di emergenza che Roma vivrà dalla discesa dei Cimbri e dei Teutoni in Italia alla battaglia di Azio, dovettero allargare sensibilmente in Venetia il numero di individui che tornarono ad impugnare le armi; per coscrizione obbligatoria dettata da clausole specifiche o per personale intenzione. L’aumentare degli uomini in armi, provenienti in larga parte dai ceti meno abbienti che ora potevano vedere nella professione del soldato una fonte di sostentamento, dovette comportare sensibili cambiamenti negli equilibri sociali. Così nel I secolo a.C., diversamente da quanto accadeva ai tempi dei nobili antenati dei Pediani scesi ad affiancare i Romani a Nola, a combattere per Roma giungono fanti, attestati quantomeno in qualità di frombolieri o altri tipi di unità da schermaglia, provenienti dalle fasce medio basse della popolazione. E’ infatti in questi decenni che si osserva come le masse dei Transpadani ambiscano a veder riconosciuto un proprio peso politico, che infervora la causa
Transpadanorum e punta inevitabilmente all’acquisizione del plenum ius933. Una volta che sono
chiamati a combattere in quantità rilevante, i componenti delle classi subalterne delle comunità
932 ILARI 1974, p. 22, nota 35.
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della Venetia cominciano ad esigere una contropartita sul piano sociale934. La necessità di attingere
ai bassi ceti delle colonie latine fittizie transpadane negli anni delle guerre civili comportò l’abbandono del dialogo ‘tra élites’ degli anni del foedus ed una nuova presa di coscienza del proprio ruolo dei ceti subalterni, tra i quali possono essere riconosciuti anche i vernae vicentini935.
Secondo Cresci l’episodio di Vicenza dimostrerebbe “come il tessuto interno delle comunità venete lamentasse […] serie lacerazioni” dovute alla politica ottavianea di appoggio delle élites locali, a scapito di quegli humiliores che avevano tratto vantaggio dall’azione inclusiva di Cesare prima e Antonio poi936.
Non è chiaro a chi fosse affidata la guida, con tutti i privilegi che tale posizione comportava, di questi più ampi contingenti di soldati veneti. E’ significativo tuttavia che l’unica diretta attestazione letteraria di ausiliari della zona, quella dei già citati opitergini di Gaio Antonio, indichi come loro comandante un C. Vulteio Capitone il cui gentilizio richiama fortemente l’origine veneta937 e che, in quanto indicato da Floro come tribunus938, dev’essere appartenuto ad una
famiglia di condizione equestre939. Può essere interessante accostare a tale dato la testimonianza
del tribuno probabilmente patavino Titio Manio, a sua volta di rango equestre. In uno scenario pur del tutto privo di solide attestazioni, esistono quindi degli spunti per ritenere che parte della classe dirigente patavina (così come delle altre principali città venete) a cominciare dall’antica nobiltà dei ‘Signori dei cavalli’, sia confluita nel ceto degli equites di età romana anche mediante lo
934 Contropartita solo in parte attutita dalle retribuzioni onorifiche meritate in guerra, che anzi potrebbero aver
comportato esse stesse un’aspirazione da parte dei riceventi di un maggior peso politico all’interno della comunità, nel riconoscimento del proprio valore militare. Riguardo la possibilità di retribuzioni onorifiche ad ausiliari si segnala il caso della Turma Salluvitana (CIL 12 709; ILS 8888; ILLR 515)premiatadallo stesso Pompeo Strabone sotto cui
militarono i funditores opitergini durante la guerra sociale.
935 Vd. SARTORI 1996 che ricostruisce la storia dello studio del termine Verna e riprova la validità della tesi che vede
in essi ‘contadini-soldato’ in maggioranza di ceppo veneto opposti ai cittadini romani/romanizzati. In tal senso la
seditio registrata da Cic. fam. 11, 19 nel 43 a.C. riporterebbe un ulteriore momento di scontro tra le due componenti
della comunità vicentina, in cui ai cittadini filosenatori si opponeva una classe di vernae seguaci di un Marco Antonio in cui dovevano riconoscere il “garante” dei diritti e dei benefici derivanti dalla politica cesariana (SARTORI 1996, p. 407). Sui vernae vd. anche BUCHI 1999, p. 312. Interessante notare come in contesto completamente differente si assista a dinamiche consimili per cui Secondo Cherici il maggior peso militare delle classi basse nelle città etrusche porterà alla ricerca da parte di queste di un nuovo peso politico e alla conseguente crisi che spinse i principes di
Volsinii a chiedere l’aiuto di Roma per gestire militarmente il problema le emergenti classi urbane nel 264 a.C.
(CHERICI 1999, p. 205).
936 CRESCHI 2015, p. 53. Da notarsi che, nel decennio precedente, proprio in direzione Cesare appaiono convergere
contemporaneamente le aspettative di opulentiores e humiliores (Hirt. Gall. 8, 51).
937 MARINETTI 1988, p. 341. 938 Flor. epit. 2, 13-33.
939 Vd. supra. Da notare che un altro Voltiomno di estrazione ‘equestre’ (nel senso veneto del termine) sarebbe attestato
nella stele patavina da Levico, a conferma della diffusione di tale elemento nominale (che tuttavia non ha il carattere di nome familiare) tra personaggi di un certo grado sociale nella Venetia di età repubblicana – vd. supra.