Per individuare delle probabili risposte alle questioni precedentemente sollevate è necessario operare un’analisi diacronica della storia militare di Padova. Ciò al fine di evidenziare le differenti modalità in cui la città visse l’esperienza della guerra. Come più avanti esplicitato, è possibile segmentare tale esperienza in tre momenti tra i quali intercorrono dei fatti che possono a ragione essere ritenuti di cesura, quantomeno in vista degli sviluppi storici che essi comportarono. Il primo è quello in parte già analizzato relativo ai circa due secoli di totale autonomia della Venetia che vanno dall’inizio del IV secolo a.C. (momento in cui il confronto/scontro con i popoli celtici si fa particolarmente intenso) al 225 a.C., anno in cui i Veneti entrano in guerra accanto a Roma. Da questo momento si può indicativamente segnare l’inizio di un secondo momento storico, quello del foedus con Roma (forse da far risalire al decennio precedente862. Tale momento è a sua volta
suddivisibile in due periodi, quello delle guerre cisalpine (contro i Galli, contro Cartagine e poi ancora contro i Galli) e quello successivo alla pacificazione della Cisalpina, durante il quale ha inizio il processo di romanizzazione del Venetorum angulus. Ultimo momento di cesura può a ragione essere considerato quello della provincializzazione della Gallia Cisalpina, che, come più avanti illustrato, è da rimandarsi con un certo margine di sicurezza all’ultimo decennio del II secolo a.C. Da questo radicale cambiamento istituzionale pare aprirsi una nuova fase nell’esperienza militare per la popolazione di Padova e della Venetia che non manca di ripercuotersi sulla società.
IV secolo – 225 a.C. Lotte tra Cisalpini.
Si è più sopra ponderato sulle modalità secondo le quali dovettero affrontarsi sul campo gli eserciti della Cisalpina, Patavini inclusi, ma non sulle occasioni in cui tali confronti armati possano essersi verificati. A fronte dell’ampia latènizzazione culturale della Venetia è evidente che gli incontri tra Veneti e Celti furono ben lungi da una continua e totale ostilità tra ἔθνη. Ciò non deve tuttavia portare a ritenere esauriente nemmeno un quadro in cui i Galli Transalpini giunsero e si stabilirono in Cisalpina in una totale e pacifica commistione con i popoli precedentemente stabilitivisi, né che da allora siano mancati gli scontri tra le differenti realtà culturali e politiche della regione. Da un
862 Vd. LURASCHI 1979, p. 5, nota 4 che è favorevole all’ipotesi che l’alleanza con Roma risalga ai primi incontri
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lato la completa cacciata di Etruschi e Umbri di cui parlano le fonti appare mitigata (a sud del Po863) dall’evidente acculturazione in senso italico dei popoli che ad essi, o meglio alle loro classi
dirigenti, si sostituirono864. Dall’altro l’entità delle migrazioni dei popoli dell’Europa centrale nel
mondo antico non sono mai descritte dalle fonti come un fatto pacifico e di scarso impatto sulle regioni interessate. A tal proposito può essere utile osservare le informazioni pervenute riguardo le altre migrazioni celtiche note.
Agli inizi del terzo secolo un’invasione “improvvisa e violenta”865 di tribù celtiche provenienti
dall’Europa centro-orientale travolge i Balcani866. Ben note sono la caduta della Macedonia, con
l’uccisione del re Tolomeo Cerauno, ed il saccheggio del santuario di Delfi sotto le armi dei Τιτῆνες ἀφ᾽ ἑσπέρου867. La loro fu una migrazione tanto intensa che, nonostante la sconfitta
infertagli da parte di Antigono Gonata a Lisimachia, le tre tribù di superstiti poterono attraversare l’Ellesponto e fondare una propria ‘nazione’ nel cuore dell’Anatolia. Pausania attribuisce alla spedizione iniziale dei Galli che terrorizzarono il mondo greco più di 170.000 uomini in armi868.
Celebre è anche l’episodio dell’imponente migrazione di Elvezi che costituì il casus belli abilmente sfruttato da Cesare per avviare la propria campagna di conquista della Gallia Comata. A Bibracte nel 58 a.C. il generale giulio dovette impiegare sei legioni per avere ragione di quello che egli stesso indica come una moltitudine di 368.000 migranti, 92.000 dei quali atti alle armi869.
Proprio gli Elvezi si erano resi partecipi, pochi decenni prima dello scontro con Cesare, di quello sconvolgente fenomeno che fu la migrazione di Cimbri, Teutoni e popoli ad essi alleati negli ultimi anni del I secolo a.C. Zecchini osserva come Cimbri e Teutoni furono sempre indicati dalla storiografia pre-cesariana come Galli, furono guidati da un Boiorix ed un Gaesorix (nomi evidentemente di origine celtica, il primo dei quali forse riferentisi al re dei Boi dell’attuale Boemia) e videro ingrossare le proprie fila lungo la strada da numerosi gruppi di individui
863 A nord del fiume infatti la scomparsa degli Etruschi è palesata dalla completa celtizzazione dell’area occupata dai
Cenomani.
864 Riguardo il prevalere dei Galli sugli Etruschi padani a partire dal V secolo a.C. un riferimento generale in TORELLI
1986, pp. 67-68; CAMPOREALE 20113, pp. 96-97. Cfr. HOLLIDAY 1994, p. 27 che vede attestazioni iconografiche
delle lotte tra Galli e felsinesi nelle stele funerarie dei notabili della città, in modalità che richiamano da vicino gli affini esemplari di stele patavine (cfr. supra). Cfr. tra le fonti Polyb. 2, 17; Liv. 5, 17; 33-49; Plut. Cam. 16.
865 ZECCHINI 2009, p. 56.
866 Sulla spedizione dei Celti nei Balcani la fonte principale è Paus. 10, 19-23. Cfr. il rapido resoconto con bibliografia
di riferimento in ZECCHINI 2009, pp. 55 e sgg.
867 Callim., Del. 174. 868 Paus. 10, 19, 9.
869 Tutta la vicenda relativa alla migrazione degli Elvezi è raccolta principalmente in Caes. Gall. 1, 2-30. Vd.
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provenienti dal contesto celto-germanico dell’Europa centrale (tra cui la tribù elvetica dei Tigurini)870. Ciò ha portato lo studioso a ritenere che la migrazione di Cimbri e Teutoni possa
essere ritenuta a tutti gli effetti un fenomeno affine a quelle altrimenti note per il mondo celtico871.
Non c’è bisogno di soffermarsi particolarmente sull’impatto che tali migrazioni ebbero quanto a potenziale militare, considerato che ad Arausio inflissero a Roma la sconfitta più onerosa dai tempi di Canne. Le cifre, pur enfatizzate, di morti e prigionieri nelle vittorie romane di Aquae Sextiae e dei Campi Raudii lasciano intuire la portata di tale migrazione (sull’ordine di un centinaio di migliaia tra morti e prigionieri)872. Secondo Zecchini a rendere tanto pericolose tali popolazioni in
movimento non erano tanto le capacità belliche ed il gran numero, quanto “la caratteristica di questi barbari, quella di migranti con donne e bambini al seguito, che conferiva loro una determinazione e un’aggressività a cui i Romani [e gli altri popoli mediterranei] non erano abituati”873.
A fronte di una situazione che a causa nei nuovi giunti dovette risultare critica in molteplici occasioni, le fonti letterarie più volte insistono sulla situazione di ricorrente belligeranza tra Veneti e vicini Galli. Come sopra osservato, tanto il passo liviano su Padova, quanto quello di Polibio (autore che appare svincolato dal repertorio ideologico che legava Roma ai Veneti), attestano una situazione di reale ostilità con almeno una parte dei vicini stranieri che ben si accorda con la rapida adesione dei Veneti alla causa romana nel 225 a.C. e che si paleserebbe nella rievocazione del tema della celtomachia di alcune stele patavine di II secolo a.C.874 Il medesimo quadro appare
confermato dall’ampia diffusione di offerte di carattere militare in territorio veneto concentrate in massima parte in questi secoli875. Nello specifico si può osservare come molte di tali offerte si
combinino con una sensibile presenza di deposizioni di armi lungo tutto il corso della valle del Piave876. La presenza stessa del fiume potrebbe rivelare come tali attestazioni non costituiscano un
870 Una sintesi completa in ZECCHINI 2009, pp. 79-91 con bibliografia di riferimento.
871 ZECCHINI 2009, pp. 81-82. La stessa migrazione implicò ulteriori spinte migratorie nel mondo celtico che si
concretizzarono, ad esempio, nei reiterati attacchi dei Galli Scordisci alla provincia di Macedonia nel 113 a.C. dovuti alle pressioni esercitate su di essi dagli invasori celto-germani negli anni immediatamente precedenti (Strab. 7, 2, 2).
872 Per Aquae Sextiae vd. Plut. Marc. 21, 4; Liv. perioch. 68; Oros. hist. 5, 16, 12. Per i Campi Raudii vd. Liv. Perioch.
68; Oros. hist. 5, 16, 21; Flor. epit. 1, 38, 14
873 ZECCHINI 2009, p. 82. La medesima considerazione fu portata anche da Cesare a Vesontio (Caes. Gall. 1, 51, 2-
3).
874 Vd. supra.
875 Cfr. MALNATI, MANZELLI 2015, pp. 44-45 per cui la presenza di guerrieri nei santuari veneti uno stato di
perenne belligeranza almeno da V-IV secolo a.C.
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fatto del tutto dovuto ad aleatorietà. Da un lato la valle plavense costituì nel tempo un importante vettore di spostamenti attraverso la frontiera tra mondo alpino e mondo veneto di pianura, che, nel mettere in costante confronto (non necessariamente pacifico) popolazioni differenti “doveva affidare al ruolo militare una maggiore considerazione sociale”877. Dall’altro, la sua natura di
importantissima direttrice commerciale la rendeva un obbiettivo estremamente sensibile per saccheggi e scorrerie da parte di banditi o dei popoli nemici. In tale ottica avrebbe senso interpretare le evidenze archeologiche come il segno di una reale militarizzazione del fiume da parte delle comunità che ebbero interesse a presidiare la regione al fine di garantire l’efficienza dei traffici ivi veicolati878.
Non è chiaro di che entità furono gli scontri che coinvolsero le singole comunità cisalpine di volta in volta in lotta tra loro prima dell’avvento di Roma. Le poche informazioni al riguardo sono l’ingente quantità di uomini in armi che si possono immaginare attivi nelle varie popolazioni879 e
le tracce di un costante stato di ostilità. Il primo aspetto apre la possibilità che la pianura padana abbia conosciuto più di uno scontro aperto tra cospicui contingenti, anche di decine di migliaia di uomini, affrontatisi nella medesima battaglia (similmente a quanto scaturito dalle altre migrazioni di popoli celtici o celto-germanici nel mondo mediterraneo). Nel contempo la longevità del conflitto (ovviamente non da intendersi come unico e costante conflitto tra due soggetti: Veneti- Celti), la dimensione prettamente regionale, limitata cioè ad un ridotto territorio, su cui tale conflitto fu combattuto, nonché l’assenza di attestazioni letterarie di grandi battaglie campali combattute prima dell’avvento dei Romani880 portano ad attribuire alle lotte tra Patavini e propri
nemici una natura più ‘dispersiva’. A conciliare tali elementi può andare la ricostruzione di uno
877 MALNATI 2008, p. 154, nota 20. Cfr. RIGHI 2001, che, a partire dalle consistenti deposizioni di armi dal luogo
di culto celtico di Monte Sorantri e dai presunti corredi tombali di guerrieri da Amaro, ritiene si possa ipotizzare l’esistenza in Carnia centrale di un gruppo a forte connotazione militare di matrice latèniana che raggiunge almeno la fine del II secolo a.C. Non è difficile pensare che tale gruppo abbia costituito, almeno in certi momenti, una minaccia per i ricchi traffici che percorrevano la via del Piave per raggiungere il cuore della Venetia o il mare.
878 Traffici che dovevano includere le due più importanti materie offerte dalle miniere del Norico: ferro e oro.Ben
note alle fonti antiche erano l’oro dei Taurisci (Strab. 4, 6, 12; Polyb. 34, 10-14) e la qualità delle spade del Norico (Hor. carm. 1, 16, 5-12; Ov. met. 14, 712; Plin. N. H. 34, 41). E’ lecito interrogarsi se vi fu una correlazione tra l’afflusso di ferro (grezzo o forgiato) dal Norico alla Venetia e l’utilizzo attestato nella regione di spade ed elmi La Tène in ferro.
879 Vd. supra le ipotesi di BANDELLI 1999a per cui i principali popoli gallici dell’Italia settentrionale (Insubri, Boi
e Senoni) potrebbero aver contato all’inizio del conflitto con Roma del 225 a.C. su circa 50.000 armati a ‘nazione’. Per avere un’idea estremamente generica sull’entità delle loro forze all’arrivo in Cisalpina si confronti con l’imponenza dei numeri relativi alle altre migrazioni celtiche note dalle fonti antiche.
880 E’ interessante osservare come a Padova si tenesse alto il ricordo di uno scontro, quale quello con Cleonimo, che
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scenario in cui a più rari scontri di ingente portata (soprattutto nel primo periodo di stravolgimento degli equilibri politici della pianura a causa del susseguirsi di ondate migratorie di invasori) si alternava una situazione di conflitto più fluido e di piccola scala, fatto di incursioni finalizzate non all’occupazione del territorio ma alla raccolta di bottino, o all’istaurazione di una supremazia nella zona. Ad una situazione cioè di reale belligeranza costante che tuttavia sarebbe stata non solo sostenibile per le comunità cisalpine (si tenga presente che le singole città, così come i singoli clan che componevano le principali tribù celtiche, dovettero spesso agire autonomamente), ma addirittura endemica al loro stesso sistema economico e culturale. Molteplici erano i motivi che rendevano proficuo l’esercizio dell’attività militare con costanza quantomeno stagionale. Era necessario mantenere presidi in armi lungo le principali direttrici commerciali nei periodi di più attiva affluenza di merci; nel contempo un’attività di saccheggio dei beni fluiti o prodotti nei territori limitrofi poteva garantire una quasi altrettanto valida voce di entrata per la comunità. Lo stesso svolgimento dell’attività di mercenariato che sembra potersi riscontrare in tutta la pianura dovette costituire una fonte di circolazione di beni e di sostentamento delle comunità che la praticavano. A tali vantaggi economici ne vanno inoltre aggiunti altri di carattere più strettamente socio-culturale, laddove, come appare testimoniato dalle evidenze iconografiche (in primis le stele di notabili patavini caratterizzantisi come guerrieri), è assai probabile che nella Venetia (come nella Cisalpina celtica) la guerra costituisse un fattore nobilitante almeno fino alla fine del III secolo a.C.La guerra fu una realtà concreta nella vita della Padova preromana, ma lo fu su una scala proporzionale all’orizzonte esclusivamente regionale dei suoi interessi. Essa dovette consistere in frequenti incursioni e saccheggi (da parte dei Patavini o ai loro danni), cui poterono forse conseguire alcune occupazioni di limitate porzioni di territorio, per un limitato periodo. Di tali eventi bellici su scala ‘ridotta’ la spedizione lacedemone del 302 a.C. dovette costituire solo la più sensazionale ed ‘esotica’.
Da notare che tale ‘costante belligeranza’ va intesa come condizione che interessò solo alcune comunità, e solo limitatamente a un certo arco di tempo. E’ plausibile ad esempio che i Cenomani abbiano sottratto coercitivamente il veronese ai Veneti, salvo poi mutare l’ostilità iniziale in un rapporto di vicinanza tale che nel momento dell’avanzata romana decisero di schierarsi contro gli altri popoli celti. In quest’ottica non è da dimenticare che i Veneti non costituirono certo un unico soggetto coeso e univocamente coordinato per tutto questo periodo. Quella che a fine III secolo
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a.C. dovette essere un’unione di comunità coordinate da una ‘dominante’ (Padova881), non si
presentava così nei secoli precedenti. E’ verosimile che in più occasioni i principali centri veneti si siano scontrati, magari contando sull’appoggio stesso dei Galli limitrofi, come le ostilità tra città venete ancora vive nel II secolo a.C. sembrano confermare.
225 – fine II secolo a.C. Il foedus con Roma.
Una significativa cesura appare quella segnata dal momento in cui fu stipulato il patto di alleanza con Roma in risposta alla coalizione formatasi tra Galli cisalpini e Gesati d’Oltralpe. Ciò che le fonti permettono di osservare riguardo tale nuova condizione non è certo sufficiente per comprendere la vera natura del patto ma offre molteplici informazioni utili a strutturare delle ipotesi di carattere generale. A partire dal 225 a.C. la Venetia (che ormai, almeno sul piano internazionale, pare corrispondere ad un unico soggetto in grado di agire univocamente in caso di necessità882) si trova collocata all’interno di un contesto politico ben più ampio della sola
Cisalpina, dovendo confrontarsi non solo con Transalpini o altri popoli della penisola, ma in un secondo momento anche con le operazioni di una grande potenza mediterranea quale Cartagine. Le fonti testimoniano innanzitutto che l’accordo stretto con Roma presuppose l’intervento armato dei Veneti contro il nemico comune. Si tratta tuttavia di un vincolo che, confrontato con quello dei socii della penisola, risulta richiedere al popolo antenoreo un coinvolgimento assai meno oneroso, suggerendo di fatto un differente rapporto di alleanza tra questi e l’Urbe. I Veneti infatti partecipano alle azioni del 225 a.C. con un contingente verosimilmente di non molto superiore a 10000 uomini883, tenuti ai confini del proprio territorio al fine minacciare le retrovie delle tribù
boiche che si spingessero a sud. Si tratta di un contributo enormemente inferiore rispetto a quello messo in campo dagli alleati italici di Roma, che sono chiamati a schierare per Roma forze fino a sette volte superiori a quelle venete884. Il silenzio della storiografia antica durante il seguente
881 Sul ruolo che Padova dovette nella stipulazione del foedus del 225 a.C. vd. SARTORI 1981, pp. 103 e sgg. 882 Un soggetto che a questa altezza appare coordinato, se non addirittura guidato, da Padova – vd. supra. 883 Cfr. supra le ipotesi di BANDELLI 1999 al riguardo.
884 Liv. 2, 24 (per uno schema preciso dei contingenti vd. ILARI 1974, p. 65). Vi si possono paragonare solo i contributi
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conflitto annibalico ha portato gli studiosi a parlare addirittura di una ‘neutralità’ dei Veneti885.
Non stupirebbe tuttavia se il comportamento del popolo dei ‘Signori dei cavalli’ fosse rimasto coerente al decennio precedente, ed essi avessero impiegato esclusivamente contingenti dislocati ai propri confini in posizione difensiva, curando la propria tutela territoriale prima che quella di Roma, che pure rimaneva un alleato fondamentale886.
La testimonianza sopra analizzata di una partecipazione di contingenti veneti a Canne e a Nola offerta da Silio Italico887 non è da considerarsi in contrasto con quella di un soccorso a Roma
contro Annibale ed alleati ufficialmente concretizzatosi solo in azioni difensive o offensive a corto raggio simili a quella del 225 a.C. Come ipotizzato da Braccesi888 parallelamente all’azione
ufficiale potrebbe essersi sviluppato un tipo di iniziativa su scala ‘famigliare’ rintracciabile nel catalogo degli alleati e nel racconto del giovane Pediano dei Punica. Come sopra riportato, se l’episodio in sé è frutto della più canonica epica di Silio Italico, patavino di origine, è probabile che costui tragga radici da una tradizione cittadina relativa alla partecipazione di contingenti patavini nei grandi scontri del conflitto annibalico. In tal senso la presenza di nobili locali a Canne o a Nola, appoggiati da un seguito personale eccessivamente ridotto per essere apprezzato dalla storiografia, sarebbe stata tramandata con orgoglio dalle famiglie dell’alta società patavina per numerose generazioni889. Ciò, unitamente al rapporto di confidenzialità che Silio esplicita tra
Pediano e Marcello, richiama le ipotesi sopra menzionate riguardo la possibile istaurazione di clientele tra comandanti romani, Claudi Marcelli in primis, e le élites cisalpine890. In un’ottica di
legame diretto tra gruppi di Veneti, probabilmente uniti da vincoli di tipo familiare e ‘clientelare’, e comandanti romani, si potrebbe ipotizzare che Padova abbia partecipato al conflitto annibalico prevalentemente attraverso rapporti di tipo ‘infra-nazionale’, coordinati dall’azione di singoli mediante legami strutturatisi indipendentemente dal foedus vero e proprio. Si configurerebbe così una situazione in cui, a fronte di un patto che ufficialmente prevedeva la possibilità dei Veneti di tutelare nel modo ad essi più confacente i propri interessi politici, pur in un’ottica di supporto a
potenziale demografico o ad una consimile (ma forse ingiustificata) condizione istituzionale. Secondo SARTORI 1981, p. 104 buona parte di questi uomini dovettero essere patavini.
885 CAPOZZA 1987, p. 16.
886 Vd. anche ILARI 1974, pp. 67-68. 887 Vd. supra.
888 BRACCESI 1997, pp. 78-79. Cfr. supra.
889 CAPUIS 20093, p. 265 pensa ad una “trasposizione poetica della presenza di un contingente di iuventus patavina
tra le file romane”.
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Roma, si sviluppò una partecipazione ‘ufficiosa’ e diretta di soldati patavini agli scontri svoltisi nel meridione della penisola. Molteplici erano d’altro canto le concause che potevano spingere a tale partecipazione: la ricerca di ventura o prestigio da parte di individui più o meno nobili insoddisfatti (o esclusi) dalla propria condizione sociale891; un diretto legame di patronato di alcuni
individui di spicco, unitamente alle loro famiglie e relative ‘clientele’, con uomini di potere romani892; o addirittura una genuina adesione alla causa romana, alternativa politica che certo
doveva apparire a molti Veneti preferibile ai Galli o al temuto generale africano; d’altro canto tale alternativa sarebbe stata a breve bene accolta da svariati ambienti della comunità patavina che iniziarono precocemente ad ‘autoromanizzarsi’.
Al termine del conflitto annibalico, riconquistata da parte di Roma la Cisalpina insorta, ad un