• Non ci sono risultati.

Eroine beotiche Antiope

Od. XI 260-265 260 τὴν δὲ μέτ᾽ Ἀντιόπην ἴδον, Ἀσωποἶο θύγατρα, ἣ δὴ καὶ Διὸς εὔχετ᾽ ἐν ἀγκοίνῃσιν ἰαῦσαι, καί ῥ᾽ ἔτεκεν δύο παἶδ᾽, Ἀμφίονά τε Ζ῅θόν τε, οἳ πρὦτοι Θήβης ἕδος ἔκτισαν ἑπταπύλοιο πύργωσάν τ᾽, ἐπεὶ οὐ μὲν ἀπύργωτόν γ᾽ ἐδύναντο 265 ναιέμεν εὐρύχορον Θήβην, κρατερώ περ ἐόντε.

Dopo l’incontro con Tiro, decisivo, come si è visto, per impostare il ‘marchio’ del catalogo, si apre una ‘parentesi’ che si può ben definire tebano-beotica. Suggerito con buone probabilità dalla menzione dell’importante stirpe eolide, che aveva la sua culla di origine proprio in Beozia, questo approfondimento tebano

275 Anche Hurst (1988, 10-19) rileva la forte presenza di Poseidone all'interno del catalogo delle eroine e la mette in relazione con la società feace, ma l'interpretazione complessiva risulta del tutto differente, e non es ente da bizzarria; secondo lo studioso, infatti, il racconto di Odisseo metterebbe in evidenza l'inferiorità di Poseidone rispetto a Zeus e contribuirebbe quindi, in maniera molto sottile, a lanciare ai Feaci un preciso messaggio oratorio: «vous êtes de la lignée de mon adversaire (<); ramenez-moi à Ithaque et vous agirez dans le sens d'un dieu plus fort que Poséidon (<)» (15).

offerto dalle quattro eroine che seguono (Antiope, Alcmena, Megara ed Epicasta) sembra quasi voler delineare un quadro esaustivo e tradizionale delle principali leggende che ruotavano attorno ad un centro che, visto il fiorire della sua mitologia, doveva rappresentare un punto di riferimento culturale e storico imprescindibile per i Greci di epoca arcaica. Le leggende presupposte dalle quattro eroine, infatti, come si vedrà, rappresentano proprio i momenti salienti del mito tebano e sono materia conosciutissima e celebratissima, impossibile da ignorare all’interno di un catalogo mitico che voglia prendere in considerazione la regione beotica. Tra l’altro, degno di interesse sarà anche vedere come queste quattro figure, e soprattutto i loro figli e padri, si siano spesso rapportate in maniera conflittuale o perlomeno dialettica rispetto ai membri della stirpe eolide, con cui condividevano parte del territorio.

La prima di esse è Antiope: della sua storia – che è immaginata, allo stesso modo di Tiro, come narrata dall’eroina stessa in un dialogo con Odisseo (cf. εὔχετ᾽ al v. 261) – sono citati alcuni particolari salienti, la discendenza paterna dal fiume Asopo, l’unione con Zeus, i due figli Anfione e Zeto e la loro fondazione e fortificazione della città di Tebe. La paternità fluviale di Antiope è nelle fonti mitografiche alternativa a quella di Nitteo, re di Tebe276, alla quale però non si

contrappone in maniera forte, dal momento che entrambe – l’Asopo è fiume beotico – vanno nella direzione di una netta collocazione beotica del personaggio277.

Analizzando il passo omerico in chiave etnico-geografica, giova notare come, all'interno della tradizione mitografica, un popolo specifico venga più volte e in modi tra loro diversi presentato come ostile alla stirpe e alla città di Antiope, ovvero il popolo dei Flegi. La Biblioteca dello pseudo-Apollodoro (l.c.) tramanda infatti che i due fratelli Nitteo e Lico, ovvero il padre e lo zio di Antiope secondo questa versione della storia, si trovavano a Tebe dopo essere fuggiti dall’Eubea a

276 Antiope è figlia del fium e Asopo secondo Asius fr. 1 B. e A.R. I 735, mentre è figlia di Nitteo nella tragedia euripidea dell’Antiope (cf. frr. 179-227 K.), Apollod. III 5, 5, schol. A.R. IV 1090, Hyg. Fab. 7 e 8. Le fonti successive ad Omero forniscono anche ulteriori particolari della vicenda: l’eroina sarebbe stata cacciata dal padre Nitteo a causa della sua unione con Zeus, si sarebbe rifugiata a Sicione presso Epopeo, poi sarebbe stata ricondotta a Tebe dal fratello del padre, Lico, per poi fuggire dalla città e ritrovare finalmente i due figli che era stata costretta ad abbandonare; Anfione e Zeto, quindi, avrebbero dato a Lico la morte e poi edificato le mura della città; cf. anche Nic. Dam. FGrHist. 90 F 7, Paus. I 38, 9, II 6, 2s.

277 Cf. anche il fr. 181 M.-W. del Catalogo delle donne, che così introduce l’ἠ οἵη relativo ad Antiope: ἠ οἵην Ὑρίη Βοιωτίη ἔτρεφε κούρην.

causa dell’omicidio di Flegia; Scarpi (1996, 554s.), nel suo commento al passo, sottolinea come tale riferimento all’Eubea gli sembri piuttosto fuori luogo nel medesimo contesto di Flegia, il quale era per tradizione detto re di Orcomeno: lo studioso avanza pertanto l’ipotesi o che vi sia stata una corruzione testuale, oppure che Eubea fosse anche il nome di una località beotica; non va comunque dimenticato quanto sostenuto da diversi studiosi a proposito della κοινή "pan- beotica" e dello stretto contatto che Eubea e Beozia dovevano intrattenere nella cosiddetta età oscura278. Ad ogni modo, quello che importa, ai fini della presente

analisi, è l’ostilità che sembra emergere tra Nitteo e Lico, da una parte, e Flegia e il suo popolo dall’altra. Ebbene, un’inimicizia di questo genere ricompare anche in una diversa fonte, differente anche per tradizione mitica, ovvero Pherecyd. FGrHist. 3 F 41b-e: la fortificazione della città di Tebe ad opera dei due figli di Antiope – dato evidenziato anche dal récit mitico della Nekyia – è motivata proprio dal timore che i Flegi, comandati dal re Eurimaco, possano devastarla, cosa che poi effettivamente accade alla morte dei due fratelli 279 . Sia nella generazione

immediatamente anteriore a quella di Antiope, sia nella generazione immediatamente successiva, quella dei suoi figli, sembra pertanto essere sottolineato un forte contrasto etnico con siffatta popolazione.

I Flegi ed il loro eponimo Flegia sono un popolo che si può classificare come facente parte del gruppo etnico dei Minii280, e quindi, in senso più largo, degli

eolidi: essi sono legati in particolare alla città di Orcomeno da una parte281 e alla

regione tessalica dall’altra, molto probabilmente perché Beozia e Tessaglia erano considerate in epoca pre-arcaica come un’unica entità 282. Le fonti mitiche

tramandano su di loro, oltre alle informazioni di tipo geografico ed etnico, aneddoti che ne mostrano le tradizionali caratteristiche di empietà, come la distruzione del tempio di Apollo a Pilo – si noti, territorio eolide – e di bellicosità (già in Il. XIII 302 sono definiti infatti Φλεγύας μεγαλήτορας)283. Anche dalla

278 Cf. Sergent 1994, 365-384.

279 Il fr. 41b è ricavato proprio dallo scolio MV al v. 264 della Nekyia, dunque messo esplicitamente in connessione con la menzione odissiaca delle mura di Tebe. La stessa notizia è ripresa anche da Eust. ad Il. XIII 301 p. 933, 10-15.

280 Cf. Kirsten 1941, 265s. e Kiechle 1963, 26s.

281 È stato ipotizzato che la roccaforte dei Flegi fosse l’omerica città di Arne – oggi Gla – collocata appunto, secondo il catalogo delle navi, nel territorio controllato da Orcomeno, cf. Hope Simpson - Lazenby 1970, 38s.

282 Cf. Nilsson 1932, 100-140.

283 Cf. h.Ap. 278-280; Paus. IX 36, 3 e X 34, 2; Hsch. φ 587 S., schol. T Il. XIII 302, Eust. ad Il . XIII 301 p. 933, 10-15.

genealogia dell’eponimo eroe Flegia sembra emergere una matrice eolide e minia284: Pausania (IX 34-36) racconta infatti che in principio era Andreo, figlio del

fiume Peneo, a governare il territorio di Orcomeno; ad Andreo successe poi il figlio Eteocle e, durante il regno di quest’ultimo, si stabilì nella regione anche Almo figlio di Sisifo eolide, al quale venne concessa una piccola parte di territorio. Alla morte di Eteocle senza eredi, però, tutto il regno passò nelle mani di Almo. Da Almo nacquero poi due figlie, Crise e Crisogeneia: la prima si unì ad Ares e partorì Flegia, che fondò, con altri fuoriusciti da Orcomeno, una città nelle immediate vicinanze, mentre la seconda figlia sposò Poseidone e gli generò Crise, continuatore del regno su Orcomeno e poi padre di Minia285.

Per quanto riguarda invece i dettagli relativi all’attività fortificatrice dei due figli di Antiope, occorre soffermarsi un istante anche sul problema della cosiddetta doppia fondazione di Tebe. È necessario infatti specificare che dall’insieme delle fonti emergono due distinti momenti di fondazione per la città di Tebe, che Ferecide per primo sembra essersi sforzato di inserire all’interno di un’unica catena cronologica: l’uno è quello dell’edificazione delle mura ad opera dei due gemelli Anfione e Zeto, mentre l’altro è quello, su base oracolare, di Cadmo, giunto a Tebe in qualità di ‘colono’ dopo varie peregrinazioni. A tal proposito sono state avanzate differenti ipotesi; Vian (1963, 69-65), seguito in parte da Brillante286 (1980,

330-333), pensa ad una fondazione ad opera di Cadmo e, in seguito, ad una fortificazione ulteriore ad opera di popolazioni beotiche, e non tebane, istallatesi momentaneamente al governo del paese. Berman (2004, 1-22), invece, sostiene che le due versioni corrispondano a due contesti esecutivi differenti, e quindi a due pubblici diversi, l’uno, quello legato alla fondazione ‘autoctona’ dei gemelli, composto dal popolo indigeno, che abitava la regione probabilmente già dall’epoca micenea, e l’altro, quello connesso alla fondazione in stile ‘colonico’ di Cadmo, successivo e installatosi in loco da regioni orientali287. Moggi e Osanna, infine (2010,

246-248), pensano ad una versione, quella dei g emelli, di stampo più locale e ‘sponsorizzata’ dai Beoti della Parasopiade, a fianco di una, quella di Cadmo, maggiormente diffusasi a livello panellenico e di origine più strettamente tebana. Il

284 Contra, in favore di un ’identità ionica dei Minii, solo tardivamente associati ad Eolo a causa del dialetto parlato in Beozia e Tessaglia, Nilsson 1932, 153-159.

285 Cf. l'interpretazione in chiave trifunzionalista di questo brano offerta da Vian 1960, 213 -224. 286 Lo studioso italiano cita, a conferma del suo assunto secondo il quale il mito rispecchierebbe in maniera molto fedele gli avvenimenti storici, la pres enza in Tebe, dimostrata dagli scavi archeologici, di due Kadmeia, cosa che confermerebbe la doppia fortificazione/fondazione della città attestata dalle fonti mitografiche.

fatto che nell’epos omerico sia citata soltanto la prima delle due fondazioni – si noti, nella Nekyia, il πρὦτοι del v. 263 – potrebbe in effetti confermare tale ricostruzione e la maggiore antichità della vicenda di Anfione e Zeto288, personaggi mitici,

insieme alla loro madre, appartenenti al patrimonio delle popolazioni autoctone della regione, al pari del bellicoso popolo dei Flegi.

Un’ultima notazione è necessaria a proposito di Anfione e della punizione ultraterrena a cui – secondo il poema della Miniade – egli è sottoposto: il fr. 3 B. (=Paus. IX 5, 8-9) tramanda infatti che nell’Ade sono descritti come puniti Anfione e Tamiri, ma nessun'altra fonte sembra contenere un simile particolare. La punizione per ὕβρις, infatti, è tradizionalmente prerogativa della moglie di Anfione, ovvero Niobe; solo Pausania e Igino, in due modi differenti, narrano di un atto di superbia anche da parte del marito: il Periegeta, prima di accennare alla Miniade, spiega infatti che Anfione, insieme alla sposa Niobe, schernì Latona e i suoi figli, deridendola del fatto di aver avuto solo due figli, mentre il favolista latino (fab. 9) racconta che egli cercò di impadronirsi del tempio di Apollo. Apollodoro (III 5, 6) inoltre, nel raccontare il mito di Niobe, aggiunge, citando la poetessa Telesilla (PMG 721) che anche Anfione ‒ qui presumibilmente il marito della colpevole, e non il figlio289 ‒ fu colpito dalle frecce di Apollo e Artemide. La

colpa, dunque, sembra in tutti e tre i casi rivolta contro la sfera divina apollinea, ma dato il silenzio delle altre fonti, non se ne possono trarre ulteriori conclusioni290.

La descrizione di un castigo per Anfione all’interno della Miniade, ad ogni modo, si può spiegare o pensando alla tradizionale ostilità tra la famiglia di lui e il popolo minio, a cui in qualche modo un poema intitolato Miniade doveva essere legato, oppure, in modo più generale, alla circolazione ed alla conoscenza di tradizioni epicoriche beotiche in ambiente orcomenio: se, infatti, come si può ipotizzare, il

288 Eustazio (ad Od. XI 262 p. 1682, 50-60) sottolinea come in Omero non sia ancora presente il particolare della costruzione delle mura, da parte di Anfione, attraverso il suono della lira, in seguito divenuto tradizionale: nell’epos, del resto, non si trova accenno alcuno nemmeno alla complementarità dei due gemelli figli di Antiope, l’uno dedito alla vita contemplativa e l’altro a quella pratica. È probabile, infatti, che tale dicotomia sia stata sviluppata per la prima volta in ambito tragico, dall’Antiope euripidea, e poi da lì ripresa e trattata come allegoria da numerosi filosofi e mitografi successivi.

289 Cf. Scarpi 1996, 556 e Bastianelli 2007, 29-31.

290 Bastianelli (2007, 31), nell'affermare che «un'antichissima tradizione descriveva Anfione ugualmente reo di una qualche colpa contro gli dèi», cita a conferma anche un frammento della

Niobe di Eschilo (154a R.), in cui al v. 12 si legge, in una frase di cui il soggetto è probabilmente un

poema Miniade trattava di mitologia e vicende di carattere minio291, esso poteva con

buona probabilità contenere una versione mitica locale in cui un celebre nemico dei Flegi – e quindi più in generale dei Minii – veniva sottoposto a dura penitenza ultraterrena. Alcmena Od. XI 266-268 266 τὴν δὲ μετ᾽ Ἀλκμήνην ἴδον, Ἀμφιτρύωνος ἄκοιτιν, ἥ ῥ᾽ Ἡρακλ῅α θρασυμέμνονα θυμολέοντα γείνατ᾽ ἐν ἀγκοίνῃσι Διὸς μεγάλοιο μιγεἶσα·

Il mito della terza eroina del catalogo, anch’essa celebre per la sua unione con un dio, è presentato per soli accenni e proprio per questo si può ben affermare che sia un racconto già ben delineato in tutti i suoi particolari fin dalla prima età arcaica292. Il matrimonio tra Alcmena e Anfitrione – si noti, ancora una volta, che lo

sposalizio avviene tra un eroe e la figlia di uno zio paterno293 – l’unione della

donna con Zeus e il conseguente parto dei due gemelli, Eracle ed Ifito, compaiono infatti in tutto l’epos e la mitografia arcaici294, e, soprattutto, sono inseriti anche in

un altro segmento epico di stampo catalogico, ovvero quello che descrive le amanti di Zeus (Il. XIV 323s.).

291 A questo proposito, si veda l’appendice di questo lavoro, dal titolo Minii e Miniade, inf ra pp. 311- 319.

292 Cf. Tsagarakis 2000, 88.

293 Alceo, re di Tirinto, genera, insieme ad Astidamia, l’eroe Anfitrione il quale, in seguito alla guerra contro Pterelao ed i Teleboi di Tafo, prende in moglie la figlia del fratello del padre, Elettrione, re di Micene. Anfitrione uccide Elettrione in modo involontario e deve recarsi a Tebe per la purificazione, ottenuta da Creonte. La moglie Alcmena, però, pretende, prima di unirsi al marito, che quest’ultimo vendichi la morte dei fratelli di lei, ritornando in guerra contro i Teleboi. È proprio durante tale assenza che Zeus, invaghitosi di Alcmena, si unisce a lei. Anfitrione muore infine nella campagna di Tebe contro i Minii di Orcomeno, e Alcmena, ormai vedova, peregrina prima a Tirinto, poi ad Atene ed infine di nuovo a Tebe. Cf., per una visione d’insieme del mito, Grimal 1987, 34 e 49s. e Tavola 4.

294 Cf., solo restando in ambito arcaico, Il. XIX 96-133, Hes. Th. 943s. (si noti in questo contesto, che pure è catalogico ‒ si tratta dell'elenco delle donne mortali con cui si è unito Zeus ‒ la maniera molto simile, sia sintatticamente che lessicalmente, di tratteggiare per soli accenni la vicenda mitica: Ἀλκμήνη δ᾽ ἄρ᾽ ἔτικτε βίην Ἡρακληείην / μιχθεἶσ᾽ ἐν φιλότητι Διὸς νεφεληγερέταο), frr. 135, 193 (Catalogo delle donne) e 248 e 249 (Megalai Ehoiai) M.-W., Sc. (passim), Pherecyd. FGrHist. 3 F 13b, Pi. N. 10, 13-17, P. 9, 84-88 e I. 7, 5-7.

La posizione di Alcmena all’interno di questo catalogo, preceduta dalla madre dei due fondatori di Tebe e seguita dalla figlia del re della medesima città, sembra voler presentare anche la madre di Eracle come un’eroina del milieu mitologico tebano. Il legame tra le vicende del ciclo di Eracle e la città di Tebe, ad ogni modo, non è univoco, dal momento che le avventure di Eracle diventano ben presto patrimonio collettivo di tutta la Grecia e il semidio è presente, con varianti ed adattamenti, in moltissimi miti locali di città anche discretamente lontane tra loro. All’interno di un simile panorama, ad ogni modo, bisogna notare come due centri in particolare – entrambi, significativamente, già fiorenti in epoca micenea – esaltino Eracle e si approprino delle vicende a lui connesse, ovvero da una parte l’Argolide, con Tirinto, patria di Euristeo e fulcro principale delle fatiche, e dall’altra appunto Tebe, città natale di Eracle e terra d’origine anche della sua sposa Megara295. Cercare la priorità o la predominanza di uno di questi due poli

sull’altro non è operazione metodologicamente appropriata: entrambe le città, infatti, avranno parallelamente costruito intorno al celebre personaggio una peculiare rete di racconti, in un caso più incentrati sulle fatiche, e nell’altro maggiormente incentrati sul momento della nascita dell’eroe. Il fatto, ad ogni modo, che Tebe sia in effetti uno dei centri specificamente legati a questo eroe rende lecita l’ipotesi appena formulata, ovvero che Alcmena possa essere considerata, in questo catalogo di eroine, come una figura mitica beotica.

I due epiteti con cui Eracle è connotato al v. 267, θρασυμέμνονα θυμολέοντα, sono rarissimi, e, in coppia, compaiono solo qui e in Il. V 639, anche in questo secondo caso in associazione a Eracle. Visto che nel passo iliadico il figlio di Alcmena è citato, dal figlio Tlepolemo, in un contesto di rievocazione della sua presa di Troia e della sua contesa con Laomedonte, è possibile dare ragione all'ipotesi avanzata da Heubeck (2004a, 282), il quale afferma che i due termini potrebbero «derivare da una composizione precedente a lui (i.e. Eracle) dedicata». Megara Od. XI 269s. καὶ Μεγάρην, Κρείοντος ὑπερθύμοιο θύγατρα, 270 τὴν ἔχεν Ἀμφιτρύωνος υἱὸς μένος αἰὲν ἀτειρής.

Collegata all'eroina precedente da un semplice καὶ e privata ‒ unica eccezione nel gruppo delle donne del passato ‒ del consueto verbo introduttivo dalla radice *id-, l'anima di Megara sembra dipendere, all'interno della successione catalogica, strettamente dall'item a lei precedente, ovvero dalla figura di Alcmena, con la quale forma una sorta di coppia, tutta incentrata sul personaggio di Eracle, di cui il primo elemento rappresenta la madre e il secondo, appunto, la moglie. Sempre nell'ambito dell'albero genealogico della famiglia regale tebana, infatti, Megara è la figlia di Creonte, che quest'ultimo decide di dare in sposa ad Eracle nel momento in cui l'eroe trionfa nella guerra che Tebe ingaggia contro i Minii296. La

vicenda successiva, della pazzia di Eracle e della conseguente strage dei figli avuti da Megara, sembra nota già ad alcune fonti arcaiche diverse dall’epos omerico297,

ma nel passo odissiaco non sembra vi sia fatta allusione. Degno di nota resta comunque ‒ pur nell'ambito di una citazione in definitiva cursoria rispetto a quella delle altre eroine ‒ proprio il riferimento implicito alla lotta di Eracle contro il popolo di Orcomeno, premessa necessaria per le nozze di quest’ultimo con Megara, che va ad aggiungersi, sulla stessa linea, alla rivalità già precedentemente trattata tra Anfione e Zeto e il popolo eolide dei Flegi.

In effetti, a ben vedere, tale accenno ad una guerra tra Eracle e Orcomeno non rappresenta un fatto isolato, ma si inserisce all’interno di un più ampio quadro di forte rivalità tra Eracle, il padre di questi Anfitrione e in generale della loro famiglia e i popoli di matrice eolide che gravitavano intorno ad Orcomeno: se infatti lo Scudo di Eracle attribuito ad Esiodo ha come tema principale la guerra di Eracle contro Cicno, nipote di Pelia eolide, Anfitrione muore nel corso della celebre lotta ingaggiata dalla città di Tebe – coadiuvata da Eracle stesso – appunto contro Orcomeno298, e tutti i fratelli di Nestore periscono durante l'incursione che Eracle

porta a compimento contro la città di Pilo299.

Epicasta

Od. XI 271-280

296 Cf. Diod.Sic. IV 10 e Apollod. II 4, 11.

297 Cf. Paus. IX 11, 2, che menziona una trattazione di questo mito da parte sia di Paniassi (= fr. 1 B.) sia di Stesicoro (PMGF 230) e, naturalmente, la tragedia euripidea dell’Eracle, la quale, benché non possa essere censita tra le occorrenze arcaiche del mito, testimonia comunque che esso dovesse essere comunque ben noto nell’Atene del V secolo a.C.

298 Cf., e.g., Apollod. II 4, 11.

271 μητέρα τ᾽ Οἰδιπόδαο ἴδον, καλὴν Ἐπικάστην, ἣ μέγα ἔργον ἔρεξεν ἀϊδρείῃσι νόοιο γημαμένη ᾧ υἸϊ· ὁ δ᾽ ὃν πατέρ᾽ ἐξεναρίξας γ῅μεν· ἄφαρ δ᾽ ἀνάπυστα θεοὶ θέσαν ἀνθρώποισιν. 275 ἀλλ᾽ ὁ μὲν ἐν Θήβῃ πολυηράτῳ ἄλγεα πάσχων Καδμείων ἤνασσε θεὦν ὀλοὰς διὰ βουλάς· ἡ δ᾽ ἔβη εἰς ἈἹδαο πυλάρταο κρατεροἶο, ἁψαμένη βρόχον αἰπὺν ἀφ᾽ ὑψηλοἶο μελάθρου ᾧ ἄχεϊ σχομένη· τῷ δ᾽ ἄλγεα κάλλιπ᾽ ὀπίσσω 280 πολλὰ μάλ᾽, ὅσσα τε μητρὸς ἐρινύες ἐκτελέουσι.

Dalla trattazione odissiaca del mito di Edipo ed Epicasta si può immediatamente dedurre che non doveva trattarsi che di una tra le diverse possibili versioni circolanti: il fatto che gli eventi siano descritti in modo così approfondito rispetto, ad esempio, alle vicende di Anfitrione e Alcmena, lascia infatti pensare che all'uditorio fossero necessarie alcune precisazioni per poter comprendere a quale filone della tradizione si stesse facendo riferimento300. La

molteplicità delle varianti a proposito della storia del re di Tebe è del resto confermata dal variegato panorama delle fonti antiche, le quali presentano, già in età arcaica, differenze tra loro anche significative301. Da questo punto di vista,

comunque, la tradizione riportata da Iliade e Odissea sembra presentarsi in modo piuttosto uniforme: l'unica altra citazione della prima parte della saga tebana, oltre a quella della Nekyia, è in Il. XXIII 677-680, dove viene ricordato che Eurialo, figlio di Mecisteo, partecipò a Tebe ai giochi funebri indetti in occasione della morte di Edipo302. I due passi, quello iliadico e quello odissiaco, concordano nel porre Edipo

300 Cf. Burkert 1981, 31s. Anche per i due poemi epici Edipodia e Tebaide, infatti, in epoca arcaica sarà valso lo stesso principio orale di fluidità che va ipotizzato per l’epos omerico: segni di un simile stadio di indeterminatezza anche a proposito delle versioni del mito di Edipo non devono pertanto