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Pre messe metodologiche

Fatta chiarezza sulle domande che si vogliono porre al canto XI dell’Odissea e sugli scopi che si intendono raggiungere in questo lavoro, è opportuno ora dichiarare anche con quale approccio ci si volgerà all’analisi e sulla base di quali assunti metodologici. Specialmente nello studio dell’epos arcaico, infatti, è necessaria, come giustamente afferma Nannini (2010, 4) «una sempre più complessa dichiarazione del proprio ‘credo’, poiché quasi nessuna parola è ingenua per un omerista, e ogni asserzione è comprensibile solo alla luce di

69 Cf., per un approfondimento in proposito, inf ra pp. 201ss. 70 Si vedano le considerazioni conclusive, inf ra pp. 302s.

preliminari dichiarazioni, argomentabili in modo più o meno fondato, ma di certo quasi mai incontestabili».

Questa tesi di dottorato nasce a partire dalla consapevolezza dell’ineliminabile e connaturata stratigrafia dei poemi omerici, stratigrafia che si articola su almeno tre piani, quello episodico testuale, quello linguistico e quello delle credenze e delle istituzioni descritte71. La conformazione multipla dell’epos,

unita ad una serie di altre constatazioni72, rende a mio parere evidente il fatto che

l’Iliade e l’Odissea che noi leggiamo oggi si sono formate all’interno di una cultura essenzialmente fondata sull’oralità, e quindi si sono sviluppate tramite un’elaborazione orale e con una prima fruizione orale73. Il contenuto di questa

poesia era essenzialmente ‘tradizionale’74: «in una cultura orale – infatti – la poesia

epica rappresentava la forma e il canale di insegnamento, diffusione e trasmissione di quanto aveva rilevanza sociale» 75 ; di conseguenza, proprio in quanto

tradizionale, esso era anche continuamente aggiornato, riadattato e riplasmato a seconda e in accordo con i mutamenti della società stessa e anche con il tipo di uditorio76. L’aggiornamento, tra l’altro, non agiva solo su un piano meramente

istituzionale o etico, ma coinvolgeva anche l’architettura stessa dei racconti77,

continuamente corretta e limata.

Ora, ad un certo punto, tale processo di continua revisione e questa plasmabilità della materia cantata andarono innegabilmente incontro ad un graduale irrigidimento; è possibile che ciò abbia coinciso con un importante cambiamento di mentalità, con un nuovo sguardo e con la nascita di una nuova attitudine nei confronti del passato, trattato ormai con occhi distaccati, come un mondo differente da quello della contemporaneità, preso a modello, sì, ma proprio perché altro78. L’interruzione dell’aggiornamento culturale e contenutistico sarà

71 Cf., e.g., Cerri 2006c, 16 e 24 e Nannini 2010, 5. 72 Cf. Ercolani 2006, 67s.

73 Cf. anche Calame 1988, 29s.

74 L’impiego di questo aggettivo non è in verità privo di rischi di banalizzazione; per una migliore definizione dell’accezione con cui qui lo si utilizza cf. inf ra n. 85.

75 Ercolani 2006, 69.

76 Uno degli esempi più paradigmatici del processo di aggiornamento è ben messo in luce da Cerri 1986, tramite l’analisi del trattamento del cadavere del nemico ucciso in battaglia lungo tutta l’Iliade. 77 Cf. Nannini 2010, 5.

78 Cf. Vetta 2001, 44s. Sul ruolo chiave giocato dall’VIII secolo a.C., ad esempio, nel percorso di progressiva costituzione dell’etnicità greca si vedano le riflessioni di Hall 1997, 57s. e Finkelberg 2005, 161-176; il VI secolo a.C., d’altra parte, rappresenta ancora un altro momento cruciale, caratterizzato dal passaggio da una self definition della grecità di natura aggregativa (che è anche quella rispecchiata nei poemi) ad una su base oppositiva (cf. Hall 1997, 39s.). È innegabile che

stata la prima a sopraggiungere, visto che si fanno sempre più rari, nell’epos, i riferimenti a pratiche e realia successivi al VII secolo a.C.; ad essa sarà poi seguita anche una stabilizzazione progressiva della linea degli episodi, fino ad una situazione finale di VI secolo a.C., con la definitiva ‘vittoria’ di Iliade e Odissea, prima soltanto due linee narrative tra le tante, sul resto delle produzioni epiche, con la ‘creazione’ di Omero e, infine, con la consacrazione dei due poemi all’interno delle Panatenee e dei loro agoni rapsodici.

Nell’ambito di questo arco cronologico che va, presumibilmente, da un VIII secolo in cui comincia il ‘congelamento’ della materia ad un VI secolo che vede i due poemi ormai ‘monumentali’, difficile e rischioso è precisare ogni ulteriore dettaglio: ciò che si può fare, al massimo, è un elenco di osservazioni che poggiano su quel poco che di certo si sa del periodo. Il fatto, per esempio, che Teagene da Reggio, nel 530-520 a.C., sia responsabile di un’esegesi allegorica dell’Iliade, implica per quell’epoca un testo in qualche modo fissato79; all’altro capo della storia del

testo, inoltre, ovvero in età ellenistica, giunge alla biblioteca di Alessandria un testo già uniformato, con pochissime e minute varianti, cosa che comporta una stabilizzazione già a monte delle edizioni κατὰ πόλεις80. Le tappe e le scansioni

precise sono impossibili da determinare: ci sarà stato, con buona probabilità, un lento processo di passaggio da una figura di aedo-creatore all’interno di ciascuna, differente, performance (come quelle dipinte dai poemi stessi), ad un cantore- esecutore di un testo sempre più autorevole in se stesso81. Va poi ricordato, in

questo contesto, il ruolo – messo in rilievo da Nagy82 – che anche la semplice

performance ripetuta poteva avere nel processo di fissazione: ogni composizione nell’atto della recitazione diveniva probabilmente sempre meno libera mano a mano che il ‘testo’ si diffondeva, e si accresceva la pan ellenicità, intesa come introduzione e contrazione al tempo stesso di dettagli epicorici. I testi, ad ogni modo, saranno andati fissandosi non attraverso una sola modalità, ma grazie ad un parallelo e reciproco interscambio di mnemotecnica da una parte e scrittura dall’altra, senza dimenticare la possibilità di parziali testi orali dettati e trascritti. All’interno di questo mutamento, uno degli ultimi anelli della catena potrebbe in effetti essere stata la cosiddetta ‘redazione pisistratea’, ovvero una sorta di ciascuno di questi due momenti abbia potuto apportare al processo di fissazione dell’epos un contributo decisivo.

79 Cf. Cassio 2002. 80 Cf. Ferrari 2001, 40. 81 Cf. Nannini 2010, 22.

‘edizione’ ateniese prodottasi sotto Pisistrato o sotto i suoi figli83: le fonti in merito

sono però tutte decisamente tarde; quella più vicina in ordine di tempo è l’accenno dell’Ipparco pseudo-platonico (228b-c), che però parla semplicemente dell’uso, impostosi sotto il tiranno, della recitazione panatenaica a partire dal punto di interruzione del rapsodo precedente. Se anche, ad ogni modo, alla corte pisistratide si venne costituendo uno dei tanti testi omerici di riferimento, essendo esso appunto soltanto uno degli ultimi stadi della fissazione generale dell’epica iliadica ed odissiaca, è difficile pensare – come invece spesso si sostiene – che i responsabili di una simile operazione abbiano potuto inserire mutamenti sostanziali o cospicui segni di atenocentrismo84.

Quello che qui importa ribadire, in conclusione, è il fatto che, proprio in virtù di questa sostanziale impossibilità a definire con certezza o su solide basi filologiche il processo di formazione dell’epos arrivato fino a noi, appare poco proficuo indagarne ulteriormente il ‘come’, e non resta invece che rivolgersi al ‘cosa’, ovvero al prodotto finito, alla sua «poesia», per usare le parole di Cerri (2010, 24). Fermo restando il modello ermeneutico del «libro tradizionale»85,

insomma, che impedisce di pensare ad Iliade e Odissea come a prodotti di una sola mente creatrice con ben precisi intenti poetici, come sarebbe invece nel caso di

83 La bibliografia in merito è ovviamente sterminata. Basterà pertanto, in questa sede, accennare in maniera generica ad alcuni tra gli orientamenti più diffusi tra la critica. Propensa ad immaginare una vera e propria redazione scritta ed integrale in epoca pisistratea, poi divenuta testo canonico diffusosi in breve tempo in tutto il mondo greco è per es empio West 2000 (e cf. anche Ercolani 2006, sp. 92-94, con bibliografia); Sealey 1957 pensava ad un intervento pisistrateo solo in materia di ordinamento dei canti, ma non di contenuto; Ferrari 2001, invece, basandosi sul fatto che le fonti antiche non ne fanno mai menzione, esclude la possibilità che un qualunque tipo di redazione pisistratea possa essere esistita ed ammette solamente l'istituzione di una regola panatenaica nell'ambito delle gare rapsodiche (questa, sì, testimoniata già ab antiquo, cf. Pl. Hipparch. 228b-c, Ael.

VH 13, 14, D.L. I 57, Paus. VII 26, 13). Altrettanto polemico in proposito, con ampia bibliografia, è

Condello (2007, 495s.). Cerri (per es. in Gostoli 2005), in maniera equilibrata, immagina dal canto suo un doppio canale di fissazione, sia per progressive copie per iscritto, sia per via mnemonica e orale (cf. anche Calame 1988): nel primo dei due sistemi, la redazione pisistratea potrà essere stata, tra le altre, uno degli ultimi anelli della catena; certa deve però essere mantenuta l'impossibilità dell'esistenza di un testo unico e fissato già in età arcaica.

84 I pochi passi indiscutibilmente atenocentrici si possono ben spiegare anche con il semplice influsso delle Panateee come occasione ormai privilegiata di recitazione e prestigio.

85 L’etichetta risale a Gilbert Murray ed è stata di recente riportata in auge da Cerri (cf., e.g., 2006c, 24s.): «nel libro tradizionale una determinata cultura vede il proprio strumento pedagogico primario, un punto di riferimento canonico: per questo lo conserva attraverso i secoli ma, nel conservarlo, lo amplia e lo ristruttura senza posa, per mantenerlo sempre adeguato alle proprie esigenze, necessariamente mutevoli con il passare del tempo».

un’Eneide o di una Divina Commedia86, ci si volgerà insomma a scandagliarne

comunque significati, architetture, funzionalità e logic he interne87.

La sfida di ogni capitolo dedicato a ciascuna lista è appunto questa: ricercare i meccanismi sottesi alla selezione catalogica ed, eventualmente, al termine delle tre analisi, riunire le osservazioni per ricostruire un’interpretazione globale del canto.

Od. XI e récits mitici

Un altro genere di precisazioni è poi reso necessario dalla specificità della Nekyia: i contenuti dei cataloghi di Od. XI sono infatti di tipo essenzialmente mitologico, nel senso che trattano di vicende antiche considerate come parte integrante del passato dei Greci che tali vicende ascoltavano. Claude Calame, di

86 Questo è uno – tra i tanti – dei motivi che impediscono di condividere l’ipotesi dell’oral dictated

text integrale come unico canale di fissazione dell’epos omerico (idea formulata per la prima volta

da Lord 1953 e riproposta, tra gli altri, di recente da Ferrari 2001; altra bibliografia in Ercolani 2006, 101 n. 19). L’altissimo livello di elaborazione delle formule omeriche mostra del resto come non fosse necessaria ai cantori alcuna registrazione scritta; lo studio linguistico compiut o da Leumann (1950), ha inoltre mostrato come nell’epos coabitino fianco a fianco forme linguistiche che appartengono ad un cosiddetto «model» di uso linguistico e altre che ne rappresentano una «copy» male interpretata, rendendo impossibile l’idea che ent rambe siano state elaborate dalla stessa mente. E’ probabile, in effetti, che la sostanza della teoria dell’o.d.t. sia nata dalla convinzione, dura a morire, che in una società scrittura e oralità non possano coesistere né interferire l’una con l’altra (cf. Ercolani 2006, 90s.), convinzione, però, oggi nient’affatto condivisibile, anche sulla base di numerosi dati etnografici comparativi, raccolti in particolare da Finnegan (1977, 52 -87).

87 Una presa di distanza metodologica è necessaria però anche rispetto alla corrente di studi che si può definire narratologica e che ha visto i suoi esponenti di maggior spicco all’interno della scuola olandese (prima fra tutti Irene de Jong con i suoi due lavori del 1987 e del 2001). Benché anche in questa sede si sia dichiarato di voler indagare il prodotto ultimo della catena di elaborazione aedica, infatti, non si può ignorare ciò che è stato a monte di esso, ovvero la sua formazione su base essenzialmente collettiva e progressiva. La ricerca di stampo narratologico – è vero – aiuta ad apprezzare fenomeni retorici ad ampio spettro come quello delle cosiddette if not situations, ma ricercare in modo più specifico fini rispondenze di tipo lessicale o narratologico tra punti lontani di un poema o addirittura tra Iliade da una parte e Odissea dall’altra è operazione che dimentica che, molto probabilmente, chi fruiva della recitazione di un segmento s entiva solo quello o al massimo i più immediati dintorni di esso; era pertanto incapace ed impossibilitato ad instaurare relazion i di senso o di forma ad un livello che solo la lettura consentirebbe di fare. Pubblico e cantore, però, condividevano tutto il bagaglio delle storie tradizionali, e, da un certo punto dell’evoluzione epica in poi, anche il quadro narrativo dei due poemi, ch e era in f ieri ma si stabilizzava progressivamente: mentre ascoltavano un segmento odissiaco, dunque, erano comunque in grado di inserirlo all’interno della trama, di comprendere omissioni ed aggiunte rispetto ad altre tradizioni mitiche, di apprezzare ampliamenti e deviazioni, di percepire enfasi o ripetizioni su larga scala.

recente, ha evidenziato i rischi dell’etichetta terminologica di ‘mito’, sulla base del fatto che tale denominazione comporta per noi moderni un sottofondo di implicazioni che non dovevano invece essere proprie della categoria antica: mito come opposto a λόγος, mito come ‘invenzione’ ai limiti del fiabesco, mito come diverso da ‘storia’. Nulla di tutto ciò è valido se ci si volge invece all’idea che la Grecia arcaica e classica aveva del termine μύθος, il quale designa una categoria che, lungi dall’essere filosoficamente e ontologicamente astratta e generica, si concretizza in un insieme variegato di récits tradizionali, frutto dell’attività artigianale di poeti di diversa natura, relativi ad un periodo inteso appunto come παλαιός rispetto al presente della loro recitazione e descriventi sì, in molti casi, situazioni di fiction, ma non per questo completamente avulsi dalla realtà e dalle dinamiche del possibile88. Non però semplice storia condivisa, ma una storia che

serve «to comunicate meaningful messages by means of which the identities and social norms of those who took these myths as their own were articulated»89; una

storia che rappresenta l’enciclopedia di quella società, per usare una felice espressione di Havelock90. In questo lavoro, nonostante tutto, il termine ‘mito’

verrà copiosamente impiegato, soprattutto per ragioni di comodità espositiva, ma resta altamente condivisibile quanto rileva lo studioso svizzero, del quale si adotterà qui anche l’approccio di tipo pragmatico.

Ora, partendo dalla presa di coscienza che il mito, in epoca arcaica, non esiste se non è narrato in performance, fondamentali risultano, per l’analisi di esso, le considerazioni che di volta in volta si possono fare in merito al suo contesto, sia a quello più immediato e interno che a quello extra-discorsivo, e ad alle strette e necessarie relazioni che narratore, materia e pubblico intessono fra loro. Il caso specifico che noi abbiamo di fronte è quello dell’epos omerico, ovvero di una situazione comunicativa in cui si può supporre che aedo e uditorio fossero in grado di condividere un ampissimo bagaglio di storie mitiche che, per usare le parole di Malkin (2004, 55), «erano nell’aria», senza relazioni di anteriorità o posteriorità l’una con l’altra, a prescindere dal momento di f issazione di una o dell’altra in poemi poi canonizzati come Iliade e Odissea o poemi del Ciclo.

Il fatto che narratore e pubblico potessero contare su un bagaglio del tutto condiviso di trame, personaggi ed associazioni di idee, rende necessario ed estremamente utile il procedimento ermeneutico della comparazione differenziale:

88 Cf. Calame 2000, 11-14 e 42-48. 89 Finkelberg 2005, 15.

90 Cf. Havelock 1973, 54, che impiegava il termine di «enciclopedia tribale» a proposito dell’intero

a partire da diverse testimonianze più o meno coeve dello stesso mito, ciò che conta e che potrà dire qualcosa sulle condizioni di quella specifica narrazione saranno le sue differenze rispetto alle altre, le omissioni, le deviazioni, le aggiunte. Una volta rilevate queste, più che attribuirle alla specifica e cosciente volontà poetica di un singolo aedo, bisognerà chiedersi quali effetti e quali idee potessero veicolare nell’uditorio91, e, come si è già detto, guardarle in contro luce sia sullo

sfondo della narrazione contestuale, sia su quello di un possibile scenario storico di prima ricezione della storia. Una piccola precisazione è necessaria però a proposito del grado di vicinanza storica, geografica e contestuale che le fonti di un medesimo mito devono possedere per essere messe in parallelo; in questo lavoro saranno impiegate come fonti diciamo di confronto ‘globale’ tutte quelle di epoca arcaica, ovvero i poemi del Ciclo, la produzione esiodea o pseudo-esiodea e gli Inni omerici: postulando un bagaglio comune di «miti nell’aria», infatti, è immaginabile che essi o parte di essi siano confluiti in una o nell’altra di queste tradizioni poi fissatesi. Non saranno però completamente escluse dalla comparazione anche tutte quelle forme successive di racconto del mito che vanno dalle narrazioni di Ferecide o di altri mitografi classici fino ad arrivare all’epoca alessandrina, poi a Diodoro Siculo, o addirittura a Pausania e all’erudizione mitografica della Biblioteca apollodorea. Questo genere di confronto sarà, ovviamente, un confronto di contenuti e non di forme, per via della notevole distanza concettuale che separa questi generi e queste manifestazioni letterarie le une dalle altre, ma lo si è ritenuto comunque un confronto lecito per via del carattere essenzialmente conservativo della «mainstream tradition» mitica92: esso permette comunque, al di là dei molti

riadattamenti, a determinate immagini del pensiero mitico, che pure esprimono magari significati diversi per destinatari diversi, di restare costanti; anche un autore tardo e lontano dall’epos omerico può quindi testimoniare qualcosa che già era condiviso in epoca arcaica.

Le singole storie mitiche evocate devono poi essere calate ed interpretate sia all’interno del micro-contesto narrativo della scena in sé, sia nella catena più ampia della linea odissiaca generale e sia, infine, in rapporto all’extra -testualità, ovvero come possibili testimonianze di realtà, idee, tendenze o convinzioni attive in uno o più momenti storici. Quando si dice che anche le storie narrate nei cataloghi della Nekyia possono essere lette in rapporto alla situazione in cui viveva e ragionava l’uditorio, non si intende però che in questo lavoro si guarderà al mito come ad

91 Cf. Calame stesso (2000, 83ss.) al momento di applicare le proprie nozioni sul mito all’analisi di un testo epico, ovvero il récit di Bellerofonte nel canto sesto dell’Iliade, e Malkin 2004, 56.

una fonte che tiene incastonati in sé frammenti di storia sociale, politica o territoriale greca. Questo genere di indagine ha portato anche frutti notevoli e gettato molta luce sulle fasi storiche pre-arcaiche della storia greca93, ma esula dagli

interessi della presente impostazione, anche perché non scevro da rischi di sovra- interpretazione, data la natura stratificata dell’epos e dato anche il suo ineliminabile carattere di proiezione idealizzata nonché di raffinatezza poetica. Il mito sarà invece scandagliato in qualità di specchio non della società che descrive, ma di quella in cui ha raggiunto la sua forma definitiva, ovvero del momento in cui è stato recitato e fruito. I récits mitici, infatti, come si è detto poc’anzi, esistono proprio perché cantati, perché plasmati concretamente di fronte ad un pubblico e in una serie di occasioni: se sono ‘creati’, dunque, vedono essenzialmente il loro scopo nelle circostanze in cui tale creazione è avvenuta, anche se progressivamente. Certo, non va dimenticato che il processo di produzione mitica non poteva mai essere ex novo, ma doveva comunque, più che creare, ‘aggiustare’ una tradizione calandola nelle circostanze del momento: si poteva aggiungere, omettere, ma raramente ristrutturare dalle fondamenta una storia tradizionale94.

Per questo dunque sono necessari, una volta di più, i confronti di tradizioni: per evidenziare i seppur lievi slittamenti da un récit ad un altro e cercarne poi le ragioni, oltre che a livello intra-testuale, anche in ambito storico-sociale.

Il mito che troviamo narrato in Od. XI, inoltre, è essenzialmente un mito genealogico: quasi ogni entry catalogica è infatti provvista di aneddoti, relazioni famigliari e informazioni di varia natura che contribuiscono a calare quel dato personaggio all’interno di una ben precisa rete dinastica. La genealogia è uno dei principali e più significativi sistemi che l’etnicità impiega per definirsi e riconoscersi, dunque è stata – soprattutto di recente – molto studiata da tutti coloro che intendevano comprendere meglio la natura della ‘grecità’, soprattutto nelle sue fasi più antiche, ovvero in quel delicato passaggio storico rappresentato proprio dal periodo tra l’VIII e il VI sec. a.C., fucina sostanziale dei poemi omerici così come sono giunti a noi oggi95. Nei casi in cui la narrazione di Od. XI lo consentirà,