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La ‘forma’ del catalogo

I cataloghi risultano essere luoghi poetici particolarmente disponibili, per natura, ad accogliere al loro interno l’aggiornamento398, proprio perché la struttura

altamente formalizzata e tradizionale consente di mantenere il ‘contenitore’ intatto e di preservare lo scheletro e l’impianto catalogico pur nell’aggiunta di nuovi items o nella modifica di quelli pre-esistenti, ‘nascondendo’ – in modo più o meno consapevole – ai fruitori adattamenti e trasformazioni399. Un lungo periodo di

aggiornamento e un’operazione di ripensamento continuo danno quindi vita ad una struttura altamente levigata e formalizzata, senza che per questo motivo occorra parlare di unica mente ordinatrice: in questo capitolo si cercherà pertanto di passare in rassegna, sottoponendolo ad analisi puntuale, il catalogo delle eroine nel suo complesso, con i suoi elementi formali e strutturali più evidenti.

I nomi propri

Se è vero che abbondanza di nomi propri e forma catalogica sono spesso associati400 e che, proprio in virtù del ruolo chiave giocato dall’antroponimo401, esso

acquista un rilievo anche formale evidente, un breve paragrafo sarà dedicato all’analisi delle posizioni metriche che i nomi propri delle eroine occupano nel catalogo e al rapporto che essi instaurano con il resto del verso. Anche dal punto di

397 Cf. Buck 1979, 55-57, Sergent 1994 e, di recente, Debiasi 2010, 285 n. 219, che cita in proposito anche l’oscura notizia di Hellanic. FGrHist 4 F 42.

398 Cf. Butterworth 1986, 40-42.

399 Cf. Powell 1978, 255 e Rutherford 2000, 81-96. 400 Cf. Perceau 2002, 133s.

vista più strettamente poetico e compositivo, infatti, la rilevanza degli antroponimi salta agli occhi: su un totale di quindici eroine, due di esse (Antiope ed Alcmena) vedono il loro antroponimo collocarsi immediatamente prima della cesura pentemimere, una prima della cesura del terzo trocheo (Ifimedeia), due ancora immediatamente dopo la pausa (Tiro e Però, dopo cesura pentemimere), e il nome di Epicasta trova posto in fine di verso, quindi sempre in posizione di rilievo. Degna di nota è poi la costruzione dei due esametri in cui compaiono tre nomi femminili uno dopo l’altro: composti alla stessa maniera, in entrambi i tre antroponimi si collocano ciascuno in una posizione marcata, perché il primo è a inizio verso (Fedra e Maira), il secondo prima della cesura (pentemimera: Procri e Climene) e il terzo in fine esametro (Arianna ed Erifile). Restano infine tre eroine il cui nome si trova prima di una cesura secondaria, quella tritemimere (Megara, Clori e Leda), mentre ad essere maggiormente evidenziato, dal punto di vista del ritmo è in due casi il verbo contestuale εἷδον e in un caso il nome del padre, ovvero Creonte. A proposito dei nomi di padri e figli, va poi aggiunto che non sono solo gli antroponimi femminili ad essere posti in rilievo, ma anche tutte le denominazioni dei personaggi maschili che intorno alle eroine ruotano, a conferma del fatto che – come si vedrà meglio in seguito – spesso la figura femminile serve da spunto per dipanare vicende e glorie di un mondo eroico maschile. Salmoneo e Creteo, per esempio, padre e sposo di Tiro, si trovano entrambi prima della cesura (del terzo trocheo per Salmoneo, pentemimere per Creteo), Pelia e Neleo, di lei figli, sono uno dopo cesura pentemimere e l’altro in fine verso, Edipo, che è nel contempo figlio e marito, si trova prima della cesura del terzo trocheo (v. 271), Anfione, padre di Clori, subito dopo la cesura pentemimere, mentre Castore e Polluce incorniciano il loro esametro occupandone l’inizio e la fine, così come fanno Oto ed Efialte pochi versi dopo.

La fattura dei versi catalogici si dimostra insomma, anche sotto questo aspetto, molto raffinata e variata402.

Gli epiteti delle eroine

Quando le eroine vengono qualificate per la prima volta come gruppo, i termini usati sembrano essere significativi, anche perché sono i medesimi con cui il segmento si chiude, secondo lo schema della ringkomposition, al v. 329: ὅσσαι ἀριστήων ἄλοχοι ἔσαν ἠδὲ θύγατρες. Illuminante, come è già stato sottolineato in precedenza, risulta in particolare l’impiego dei termini di relazione parentale

«figlie» e «mogli»403, che contribuisce a legare e a rendere strettamente dipendente

la situazione femminile di celebrità al κλέος del padre o del marito404. Spesso, del

resto, è stato affermato che la situazione giuridica femminile nella Grecia arcaica prevedeva, per la fanciulla, un semplice passaggio, al crescere d’età, dalla tutela del padre a quella del marito: ella restava sempre sotto la responsabilità di individui di sesso maschile che tra l’altro, essendo tra loro spesso di pari età e

status sociale, la impiegavano come oggetto di un patto economico e sociale405. Alla

morte del marito, inoltre, come ben esemplificato dalla situazione a Itaca, le donne venivano collocate sotto la tutela dei figli maggiorenni.

Le descrizioni che affollano il catalogo delle eroine, in effetti, non disattendono questo quadro: le ‘imprese’ che hanno reso celebri queste donne e degne di essere cantate riguardano interamente le sfere del matrimonio e della maternità, e il lessico impiegato per qualificarle e presentarle all’uditorio sembra coprire più o meno l’intero inventario dei termini relazionali e parentali che una donna poteva instaurare406. Tiro è ἔκγονος di padre illustre e γυνή di marito

altrettanto nobile; diviene amante di Poseidone e genera (τέκε) figli importanti; ella è definita in realtà anche βασίλεια ma il termine è puramente onorifico407;

Antiope è θυγάτηρ di Asopo, si unisce in amore a Zeus e partorisce (ἔτεκεν) due figli celebri; Alcmena è ἄκοιτις di Anfitrione, si unisce a Zeus e genera (γείνατο) un figlio nobilissimo; Megara è θυγάτηρ di padre regale, e sposa di Eracle (azione definita, come sempre nella lingua greca, dalla forma passiva del verbo ἔχω408);

Epicasta è madre (μήτηρ) e nello stesso tempo sposa (γημαμένη, ancora al medio)

403 Cf. Lyons 1997, 8-10.

404 Cf. per esempio il ragionamento di Vernant (2004, 37s.): se, infatti, i riti di passaggio maschili sono volti prettamente all'ingresso nel mondo militare (prove di forza, sopportazione, cacce, ecc.), parallelamente quelli femminili sono indirizzati alla preparazione dell'unione coniugale. Il matrimonio risulta dunque, a livello sociale, per la fanciulla, l’equivalente di ciò che per il maschio è la guerra, ovvero appare come l’attività più caratterizzant e e più tipica. Cf. anche Mossè 1983, 15. 405 Si vedano a tal proposito le espressioni usate da Andromaca nei confronti di Ettore in Il. VI 429s. 406 Specialmente se, come giustamente premette Chantraine (1946-1947), lingua e società sono strettamente connesse e si riflettono l’una nell’altra, soprattutto nella fase più arcaica della grecità. Cf., per osservazioni simili a proposito del Catalogo delle donne, anche Rutherford 2000, 83.

407 βασίλεια non è una titolatura ufficiale, al contrario del maschile, come dimostra il fatto che ha formazioni varie nei vari dialetti: cf. DELG 166s. Nell’Odissea compare come attributo di Penelope e Arete, ma anche di Nausicaa, fornendo in qualche m odo conferma del fatto che non sia un vero e proprio titolo regale giuridico e convenzionale, ma conferisca un gener ico prestigio alla donna in quanto, appunto, legata da parentela ad un βασιλεύς.

408 La lingua greca è solita esprimer e, per quanto riguarda il lessico del matrimonio, con la forma attiva di un verbo (per es. γαμέω, ζεύγνυμι, νυ μφεύω, ὀπύιω) l’azione dell’uomo, mentre con la forma media o passiva dello stesso l’attività della donna.

di Edipo; Clori è κούρη di Anfione, sposata da Neleo e madre (τέκε) di numerosi ed illustri figli; Leda è παράκοιτις di Tindaro e genitrice (γείνατο) dei celebri gemelli; Ifimedea è παράκοιτις di Aloeo, si unisce a Poseidone e genera (τέκε) altri due figli gloriosi; Arianna è κούρη di Minosse e presa (ancora una volta la forma attiva è prerogativa maschile) da Teseo; Erifile, infine, ha avuto come colpa infamante quella di barattare oro in cambio del proprio marito (φίλου ἀνδρός).

Come si può notare, i termini usati sono coerenti tra loro, e spesso si ripetono, in quanto appartenenti a famiglie lessicali ricorrenti, come quella *gen- *gon-*gn; i verbi sono sempre usati con il sistema dell’attivo-passivo in relazione ai sessi. Se, inoltre, tra i termini appena analizzati si isolano i veri e propri epiteti dedicati alle eroine, ovvero gli «aggettivi, nomi o espressioni che si legano al nome proprio senza nessun tramite grammaticale o sintattico», ne emerge una riflessione analoga e ancora più specifica: gli epiteti delle eroine sono infatti in grandissima parte espressione di relazioni parentali, in misura minore espressione di bellezza fisica, e solo in un caso isolato, quello di Erifile, si esce da tale classificazione.

Tiro è εὐπατέρεια, epiteto generico che appare prettamente femminile (è detto, infatti, anche di Elena in Il. VI 292 e Od. XXII 227), evidenziando in modo inequivocabile la dipendenza della donna dal padre; Antiope è Ἀσωποἶο θυγάτηρ, Alcmena Ἀμφιτρύωνος ἄκοιτις, Megara è ancora Κρείοντος ὑπερθύμοιο θυγάτηρ, in una coppia dove, significativamente, è il padre Creonte a ricevere un epiteto e non lei; Epicasta è καλή, epiteto generico, e Clori è περικαλλής; Leda è Τυνδαρέου παράκοιτις, Ifimedea Ἀλω῅ος παράκοιτις409; Arianna è nuovamente

definita καλή, mentre Erifile è στυγερή, che, unico caso di tutto l’elenco, ha un’innegabile caratura dispregiativa.

Un sistema di designazione molto simile, tra l’altro, lo si può trovare anche all’interno del Catalogo delle navi: in Il. II 513-515, per esempio, si parla di come Ares, con l’inganno, riuscì ad unirsi ad Astioche, e non si può fare a meno di notare che il verbo usato, παρελέξατο, è lo stesso del segmento su Tiro (v. 242); in Il. II 658-660, ancora, quando il soggetto è Astiocheia compagna di Eracle, è usato, per indicare lo spostamento della donna dalla terra natale a quella dello sposo, lo stesso verbo che la Nekyia usa per Teseo e Arianna, ovvero ἄγω; i vv. 714s., inoltre, menzionano Alcesti in qualità di madre di Eumelo, e la celebrano per la sua bellezza, superiore a quella di tutte le altre figlie di Pelia, così come insiste sulla bellezza femminile anche il cantore della Nekyia ai vv. 280s. a proposito di Clori; altri esempi di questo genere seguono poi, nel resto del canto II, ai vv. 728 (Rene madre di Medonte), 742-744 (Ippodamia madre di Polipete), e 820s. (nascita di

Enea da Afrodite ed Anchise). In tutti questi segmenti del Catalogo delle navi domina il verbo τίκτω, con il quale ogni madre è messa in relazione con la celebre prole – così come nella Nekyia – e raramente vengono omessi i nomi del marito della donna o di suo padre, esattamente con le stesse movenze con cui ciò accade in Od. XI. Si noti, inoltre, ancora un altro tipo di somiglianza strutturale, ovvero quella che si può instaurare tra catalogo delle eroine e il fr. 1 B. (= schol. T Il. XV 336) del Carmen naupactium, che doveva avere come soggetto elementi femminili. Il procedere catalogico sembra infatti il medesimo, tipicamente paratattico e giustappositivo: il frammento recita τὴν δὲ μεθ᾽ ὁπλοτάτην Ἐριώπην ἐξονόμαζεν, / Ἀλκιμάχην δὲ πατήρ τε καὶ Ἄδμητος καλέεσκεν, e la dizione non risulta dissimile dal modo di presentare le eroine dell’Odissea, che spesso ha appunto come incipit τὴν δὲ μετ’ (cf. i vv. 260, 266, 305 di Od. XI), un verbo introduttivo che pertiene all’ambito della percezione sensoriale (nella Nekyia si tratta di «vedere» le donne, nel fr. del Carmen naupactium di «nominarle») e, a partire dal verso successivo, un resoconto per accenni della vicenda personale della fanciulla. Anche nel Carmen naupactium, inoltre, il nome dell’eroina occupa il posto immediatamente successivo alla cesura pentemimere.

Il confronto tra queste tre declinazioni poetiche e catalogiche del tema della genealogia a partire dall’elemento femminile mostra insomma l’alta convenzionalità della forma e permette di meglio evidenziare i caratteri peculiari di questo tipo di produzione.

Se, per esempio, si confronta la percentuale di epiteti parentali femminili con l’insieme degli epiteti assegnati ai personaggi maschili che intervengono e sono citati nel catalogo delle eroine, risulta evidente come nella maggior parte dei casi per le donne, invece che epiteti descriventi azioni o attività, siano scelti epiteti che ne qualifichino la loro relazione parentale rispetto ad un uomo, mentre per gli uomini siano molto più frequenti epiteti eroizzanti, tali da lodare generiche imprese gloriose e solo più raramente relazioni parentali. Parry, a proposito degli epiteti delle donne, notava infatti giustamente come, in generale, il sistema fosse meno esteso e vario di quello maschile, per una evidente ragione di ruolo minore410. È però ancor più significativo che la gamma di epiteti impiegata sia

ristretta e lessicalmente limitata alla famiglia anche in uno spazio, come il catalogo della Nekyia, che è interamente focalizzato sulle donne: ciò sembra confermare quindi una visione omerica della donna essenzialmente imperniata sulla famiglia e sulla subordinazione giuridica nei confronti dell’elemento maschile. Se è vero infatti che, secondo la teoria formulare ‘parryiana’ gli epiteti esornanti, anche nei

casi in cui sembrerebbero ben adattarsi alla situazione di un singolo personaggio, non forniscono informazioni esclusivamente legate a quella figura, e quindi la scelta di quell’aggettivo non è fatta su base semantica ma su base metrica411, è

altrettanto vero che anche questi epiteti, seppur non caratterizzanti, hanno una loro funzione semantica, quella appunto, nel caso per esempio di personaggi maschili, di ammantarli di un generico senso di nobiltà e grandeur, di esprimere l’eroicità della figura, o anche di manifestare con una parola le qualità essenziali di quel guerriero, nel suo essere appunto combattente e ἄριστος412. Anche nel caso delle

donne della Nekyia, quindi, si può affermare che il patrimonio tradizionale degli epiteti a loro riservati comunichi qualcosa sul loro essere, collettivamente, eroine, e ponga quindi il loro carattere aristocratico in strettissima e necessaria relazione con la collocazione famigliare in un οἷκος prima gestito da un padre, poi da un marito, e da ultimo dai figli413. Anche se, nel corso del tempo, fu essenzialmente la forma

metrica a guidare le scelte aggettivali che si accompagnano ai nomi di donna nella Nekyia, dunque, non può essere considerato un puro caso il fatto che la grande maggioranza di questi aggettivi abbia a che fare con la famiglia, né che l’unica eroina a possedere un epiteto negativo sia Erifile, eolide argiva414: pur in un

contesto di epiteti ornamentali femminili, dunque, un certo tipo di marchio semantico, anche se di tipo generale, sembra poter essere rilevato.

Dialoghi

Una peculiarità del catalogo delle eroine che salta agli occhi anche ad una prima lettura è inoltre l'abbondante presenza del discorso indiretto e, nel caso di Poseidone e Tiro, anche di quello diretto. Ben tre eroine, infatti, ovvero Tiro, Antiope ed Ifimedeia, sono esplicitamente dette parlare ad Odisseo e raccontare a voce la loro vicenda terrena, ma si può ipotizzare che tale finzione dialogica fosse sottintesa anche per tutte le altre donne incontrate, se all'inizio del catalogo Odisseo afferma che ἠδὲ ἑκάστη / ὃν γόνον ἐξαγόρευεν· ἐγὼ δ᾽ ἐρέεινον ἁπάσας (233s.). In un caso, inoltre, quello appunto di Tiro, all'interno del racconto

411 La produzione formulare che è giunta fino a noi, ad ogni modo, resta pur sempre il risultato di un lungo ed accurato lavoro di selezione e affinamento della tradizion e poetica.

412 Cf., da ultimo, Powell 2006, 33s. e, a proposito della declinazione degli epiteti all’interno dei cataloghi, Perceau 2002, 143-148, dove si parla giustamente della possibilità che gli epiteti forniscono di «affiner la presentation des choses».

413 Cf. Rutherford 2000, 86.

414 Sul peculiare trattamento riservato alla mitologia di area argiva e quindi anche ad Erifile, cf.

dell'eroina trova spazio anche la menzione diretta delle parole di Poseidon e, che si rivela all'amante e le raccomanda il silenzio. La trama enunciativa arriva in questo passo ad articolarsi su ben quattro piani: bisogna infatti ricordare che il cantore sta narrando l’avventura di Odisseo, Odisseo a sua volta sta narrando ai Feac i la sua discesa agli inferi, nel racconto di Odisseo viene riportata l’esposizione della propria storia da parte di Tiro, e all’interno di quest’ultima trova appunto posto il riferimento alle parole pronunciate dal dio. Anche in tutti gli altri items, comunque, benché non si ripeta più il caso di speeches diretti, la parola delle eroine sarà sempre in primo piano e i livelli di trasmissione del racconto si manterranno sempre tre (aedo-Odisseo-eroine).

Il fatto che, all’interno di un’enumerazione catalogica, venga inserito un discorso in forma diretta è insolito nell’ambito dei cataloghi omerici: in nessuno dei brani che possono essere definiti come ‘cataloghi’, infatti, compare un vero e proprio dialogo; vi sono sì digressioni, aneddoti e interruzioni narrative di vario tipo, ma mai un discorso diretto. Inoltre, se è vero che in diversi frammenti del Catalogo delle donne esiodeo, dove catalogo e genealogia si intrecciano, si inseriscono parole in presa diretta415, è altrettanto curioso che, come già notato da

Rutherford (2000, 87s.), non siano comunque mai le eroine stesse a parlare, ma sempre caratteri secondari all'interno di aneddoti e digressioni piuttosto ampi; la parola e il dialogo, insomma, arrivano sempre quando il narrare catalogico si è allontanato parecchio dalla presentazione primaria dell'item, durante l'approfondimento e la narrazione di piccoli e grandi episodi legati, a volte anche in modo marginale, all'eroina principale416. Il grammatico latino Diomede, come

menzionato da Rutherford (l.c.), poneva in effetti proprio il Catalogo delle donne attribuito ad Esiodo come esempio principale di uno dei tre sottogeneri dello stile enarrativum vel enuntiativum, ovvero quello dove non compare il discorso diretto; dal momento che il grammatico connotava essenzialmente tale opera come composta di genealogiae, si può pensare che, all'interno di un poema organizzato e strutturato sulla base dei rapporti dinastici, il dialogo fosse poco contemplato: ciò spiegherebbe invece l'abbondanza di dialoghi nella Nekyia, che non segue una

415 I frammenti che recano parole in presa diretta sono il già citato fr. 31 M.-W., nel segmento identico ai vv. della Nekyia, dove a parlare è Poseidone, il fr. 43a, in cui qualcuno (West ha ipotizzato Atena, ma cf. Arrighetti 1998, 471) pronuncia una sentenza per dirimere la contesa tra Sisifo e il padre di Mestra, il 75, in cui Scheneo bandisce la gara di corsa per dare in sposa Atalanta, il 76, dove, nell'ambito della stessa gara, Ippom ene inganna Atalanta , il 165, in cui gli dèi raccomandano Auge a Teutrante e infine il 211 M.-W., in cui viene riportato un augurio collettivo del popolo a Peleo.

presentazione ordinata genealogicamente, non mira all'esaustività dinastica come sembra facesse il Catalogo esiodeo ed è quindi più adatto ad accogliere finzioni dialogiche417. Ciò che inoltre sembra in un certo senso favorire la presenza dei

dialoghi e del discorso diretto a due è inoltre l'ambientazione infera, che ben si presta alla presentazione di 'interviste' tra colui che scende a visitare il mondo dei morti e le anime defunte. Ad esempio, un cospicuo uso del dialogo sembra riscontrarsi nella Miniade, dove, su sette frammenti giunti fino a noi, almeno uno, il fr. 7418, è testimone di uno scambio di battute tra Teseo e Piritoo, scesi nell'Ade, e

Meleagro, che chiede loro il motivo del viaggio e racconta la propria morte419; si

noti, tra l'altro, che Teseo risponde al defunto con la formula omerica τοιγὰρ ἐγώ τοι ταῦτα μάλ᾽ ἀτρεκέως καταλέξω (v. 11), che si ripresenta per ben quattro volte, benché all'imperativo, nel corso dell'XI canto dell'Odissea (ai vv. 140, 170, 370, 457). Bacchilide stesso, nel suo quinto epinicio, mantiene questo carattere proponendo il dialogo tra Eracle e Meleagro.

Sempre a proposito di settings inferi, per quanto riguarda la Nekyia dei Nostoi e la sua rassegna genealogica, non possediamo materiale sufficiente per poter affermare qualcosa di certo, anche se molte delle storie che vi trovavano posto ben si presterebbero ad ospitare piccoli dialoghi420; comprovata è invece la

cospicua presenza di dialoghi all'interno della cosiddetta 'seconda Nekyia' odissiaca (Od. XXIV 1-202), dove, esattamente come nella Nekyia primaria, chi scende agli inferi (in questo caso i Proci) pone domande alle anime in loco a proposito delle circostanze della morte e anche le anime dei morti tra loro si 'intervistano', anche se non in forma di ordinata successione catalogica e in maniera molto più estesa e narrativa (mancano infatti del tutto i cosiddetti «contextual verbs» a marcare i diversi items e a dare sostanza ritmica alla lista421). La funzione di questi dialoghi

appare primariamente quella di fornire informazioni aggiuntive sugli eventi che

417 Diomede classifica infatti Iliade ed Odissea come poemi appartenenti al genere mixtum, ovvero in parte narrativo ed in parte imitativo.

418 L’appartenenza del fr. 7 alla Miniade non è univocamente accettata, ma, nel complesso, altamente probabile: si veda meglio inf ra alle pp. 312s.

419 Anche gli altri frammenti del poema ‒ giunti per tradizione indiretta ‒ potevano ben prestarsi ad accogliere dialoghi: vi sono infatti menzionati diversi personaggi defunti e le loro morti: le anime avranno verosimilmente raccontato ciò ai due visitatori proprio tramite un botta e risposta verbale (Anfione e Tamiri, frr. 3 e 4 B., Meleagro anche nel fr. 5, Orione nel fr. 6).

420 Le vicende di Climene, Maira, Medea ed Erifile, che vi erano narrate, potrebbero essere immaginate come dei racconti ad opera delle eroine stesse, e, come è nel caso di Tiro nella Nekyia, è