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Un esempio positivo di bilanciamento tra istanze securitarie e tutela dei diritti? diritti?

UNO SGUARDO AL PASSATO

3. Un esempio positivo di bilanciamento tra istanze securitarie e tutela dei diritti? diritti?

3.1. La giurisprudenza della Corte costituzionale

Dopo aver sinteticamente delineato i profili più significativi della legislazione emergenziale degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, proviamo quindi a darne un giudizio alla luce dei principi che abbiamo enucleato nel primo capitolo. In particolare, si tratta di valutare se il bilanciamento compiuto dal legislatore dell’epoca tra tutela dei diritti individuali – ed in particolare del diritto alla libertà personale – ed istanze di contrasto al terrorismo eversivo sia o meno conforme ai principi costituzionali.

Un primo aspetto da segnalare riguarda il fatto che l’attenzione della Corte costituzionale non è stata richiamata tanto sulle norme di diritto penale sostanziale, quanto su quelle di diritto processuale – in particolare, sulle modifiche agli istituti della carcerazione preventiva e della liberazione condizionale – nonché sul tema delle misure di prevenzione86. Rispetto al diritto penale sostanziale, infatti, si registrano solo due pronunce, sul tema dei vincoli al bilanciamento tra circostanze di cui all’art. 1, c. 3, d.l. n. 625/1979, nella versione risultante dalle modifiche apportate in sede di conversione87. Peraltro, in tali occasioni, le censure poste sotto il profilo della

85 Art. 13 l. 29 maggio 1982, n. 304.

86 G. NEPPI MODONA, La giurisprudenza costituzionale italiana in tema di leggi di emergenza, cit., p. 86, peraltro, evidenzia come la scarsità di interventi della Corte costituzionale sulla legislazione dell’emergenza sia stata probabilmente motivata, oltre che per il fatto che la legislazione successiva avrebbe modificato o abrogato “gli aspetti più illiberali della legislazione di emergenza”, dalla natura temporanea di vari istituti.

87 Si tratta delle sentenze Corte cost., 7 febbraio 1985, n. 38, pres. Elia, red. Gallo e 3 luglio 1985, n. 194, pres. Roehrssen, rel Gallo.

ragionevolezza sono state superate dalla Consulta operando un’interpretazione della norma censurata diversa da quella proposta dal giudice a quo, e, di conseguenza, aggirando il problema88.

La sentenza più rilevante sulla legislazione dell’emergenza, però, è certamente la già citata sent. n. 15 del 198289: in quell’occasione, infatti, alla Corte era stato chiesto di pronunciarsi sul prolungamento dei termini di carcerazione preventiva disposto dall’art. 10 del d.l. n. 625/1979, censurato in particolare sotto il profilo della ragionevolezza.

La sentenza è particolarmente interessante, ai nostri fini, in quanto la Corte opera un giudizio che si muove chiaramente nell’ottica del bilanciamento dei diritti, se pur non esplicitato: la Consulta, infatti, opera un giudizio in tre passaggi che rispecchia la struttura del controllo di proporzionalità. Innanzitutto, individua gli interessi che la legislazione censurata mirava a soddisfare: da un lato “l’esigenza della tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica” e, dall’altro, la necessità di rimediare alle “obiettive difficoltà degli accertamenti”90. Si tratta, a giudizio della Corte, di esigenze di primaria importanza, in relazione ad un fenomeno quale il terrorismo, “caratterizzato, non tanto, o non solo, dal disegno di abbattere le istituzioni democratiche come concezione, quanto dalla effettiva pratica della violenza come metodo di lotta politica”91; mediante queste affermazioni, la Corte delinea gli interessi tutelati dalla normativa in esame: la sicurezza dello Stato e l’incolumità pubblica.

Individuato il fine legittimo perseguito dalla norma censurata, poi, i giudici delle leggi passano ad esaminare la ragionevolezza del bilanciamento

88 Si vedano G. DE VERO, Concorso di circostanze eterogenne ed attentato per finalità di terrorismo o

di eversione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, pp. 1294 ss e G. NEPPI MODONA, La giurisprudenza

costituzionale italiana in tema di leggi di emergenza, cit., p. 88.

89 Corte cost., sent. 14 gennaio 1982, n. 15, pres. red. Elia.

90 §4 del considerato in diritto.

operato dal legislatore; è in questa fase, quindi, che entra in gioco il contesto emergenziale. La Corte, infatti, ritiene che la situazione emergenziale legittimi “misure insolite”, che, dunque, incidono più significativamente sul diritto alla libertà personale rispetto a quelle che sono costituzionalmente compatibili in un momento di normalità92.

Tuttavia, anche l’emergenza conosce dei limiti e non legittima una totale discrezionalità del legislatore nel determinare le misure più adeguate a fronteggiarla; il primo limite deriva dalla natura stessa del fenomeno emergenziale, intrinsecamente transeunte: le misure eccezionali che si giustificano in base ad essa, dunque, “perdono legittimità, se ingiustificatamente protratte nel tempo”93. Il secondo limite, invece, è connesso alla natura dell’istituto in esame – la carcerazione preventiva – e del diritto inciso dalla stessa, ossia la libertà personale. La Corte, infatti, afferma:

Va poi osservato che, pur in regime di emergenza, non si giustificherebbe un troppo rilevante prolungamento dei termini di scadenza della carcerazione preventiva, tale da condurre verso una sostanziale vanificazione della garanzia.94

Da tale passaggio si evince chiaramente che la Corte ritiene che vi sia un ‘nucleo duro’ della garanzie che non possa essere intaccato, neanche in contesti emergenziali. Dunque, la Corte individua un ‘contro-limite’ al potere statale che non è logicamente connesso alla natura emergenziale del contesto, ma deriva dal criterio valoriale per cui, in nessun caso, un diritto fondamentale può essere limitato fino al punto di renderlo sostanzialmente inoperante.

Così inquadrata la questione, la Consulta conclude per la legittimità

92 Come abbiamo sopra evidenziato, la Corte costituzionale giunge perfino ad individuare un “preciso ed indeclinabile dovere” di Parlamento e Governo a fronte di una situazione emergenziale (§5 del considerato in diritto).

93 §7 del considerato in diritto.

della norma oggetto di rimessione; e nello stesso si esprime in numerose altre sentenze relative alla legislazione emergenziale95.

La Corte, poi, è stata chiamata a pronunciarsi anche con riguardo alle misure di prevenzione introdotte con la legge Reale, e lo ha fatto in particolare con la già citata sentenza n. 177 del 198096. In questo caso, almeno a prima vista, il giudizio non è stato di ragionevolezza-proporzionalità dell’intervento preventivo: la censura che veniva mossa alle fattispecie di pericolosità concerneva la carenza di legalità delle stesse. Il giudice a quo, infatti, aveva individuato nelle locuzioni “proclivi a delinquere” (art. 1, n. 3, l. n. 1423/1956) e “atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato” (art. 18, n. 1, l. n. 152/1975) dei presupposti indeterminati e, dunque, non in grado di garantire il rispetto del principio di legalità.

La Corte, quindi, riconosce l’importanza delle garanzie offerte dal principio di legalità e dalla riserva di giurisdizione, ma ritiene che sia soltanto il concetto di “proclivi a delinquere” ad essere a tal punto indeterminato da non consentire una predeterminazione ex ante della confini della fattispecie entro cui il giudice deve operare il suo giudizio. Al contrario, con riguardo alla fattispecie di pericolosità introdotta dalla legge Reale, la sentenza afferma che

è difficile negare che le fattispecie descritte dall'art. 18, n. 1, della legge n. 152 del 1975 abbiano i necessari requisiti di determinatezza. Gli atti preparatori, infatti sono riferiti ad una pluralità di figure di reato tassativamente indicate, sottolineandosi in tal modo l'accennato carattere strumentale dell'atto preparatorio medesimo, sottolineatura ulteriormente ribadita con l'inciso

95 Si veda, ad esempio, la sentt. 6 aprile 1976, n. 87, pres. Rossi, red. Astuti, in cui la Corte ritiene non in contrasto con l’art. 3 – oltre che con altre garanzie costituzionali – la disciplina di favore posta dagli artt. 27, 28 e 29 della legge Reale per i reati commessi in servizio da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, di polizia giudiziaria o da militari in servizio di pubblica sicurezza.

"obiettivamente rilevanti", che richiama non solo e non tanto il dato, ovvio, della rilevanza esterna dell'atto quanto la sua significatività rispetto al fine delittuoso perseguito dall'agente. Infine, gli atti preparatori devono essere finalizzati al sovvertimento dell'ordinamento dello Stato e della sussistenza di questo requisito dovrà darsi la prova nel caso concreto97.

Se è vero, dunque, che il giudizio di costituzionalità della Corte non è espressamente incentrato sul bilanciamento tra diritti e interessi contrastanti, occorre però considerare alcuni aspetti della motivazione che ci consentono di ricondurre, almeno in parte, la decisione della Corte a tale logica. In particolare, la Corte non si occupa di individuare l’interesse perseguito tramite le misure di prevenzione, né di valutarne la legittimità, ma solo in quanto ciò costituiva all’epoca un principio ormai recepito, al punto da non essere posto in dubbio neanche dal giudice rimettente98.

Il giudizio di legalità, dunque, altro non è che il primo passaggio del giudizio di bilanciamento, ossia la verifica circa la sussistenza di un’adeguata base legale che giustifichi l’interferenza nel diritto stesso; la Corte, poi, non spinge il suo giudizio ai passaggi ulteriori del sindacato di proporzionalità che abbiamo enucleato nel primo capitolo, ma, in quell’occasione, tale controllo non le era neanche stato richiesto99.

97 §9 del considerato in diritto; sul punto si veda però l’osservazione critica di M. BRANCA, In

tema di fattispecie penale e riserva di legge, in Giur. Cost., 1980, pp. 1548-1549, il quale osserva

come in realtà la Corte finisca per ritenere soddisfatto il principio di legalità a fronte di una fattispecie non contenuta in alcuna fonte di diritto scritto, ma i cui presupposti si ricavano unicamente dal “sistema nel suo complesso”.

98 Si veda, al riguardo, il §2 del considerato in diritto, ove si richiama il precedente di cui alla sent. 5 maggio 1959, n. 27, pres. Azzariti, red. Petrocelli; in tale occasione, infatti, la Corte aveva affermato la legittimità del sistema delle misure di prevenzione nel suo complesso in quanto “informate al principio di prevenzione e di sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico

svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire”.

99 Dovendo individuare la fonte costituzionale del principio di legalità, la Corte ritiene che esso operi in ogni caso, “li si ancori all’art. 13 ovvero all’art. 25, terzo comma, Cost.” (§4 del

Nel complesso, comunque, si può dire che la Corte costituzionale abbia ritenuto compatibile con le garanzie fondamentali la legislazione emergenziale; non altrettanto si può dire della dottrina, su cui ora ci soffermiamo.

3.2. Il giudizio della dottrina

In dottrina si registrano, infatti, voci assai critiche su numerosi aspetti della legislazione dell’emergenza: fin dai primi interventi relativi alla legge Reale – in una fase in cui ancora l’emergenza era incipiente – si è affermato che essa rappresentasse “una delle leggi più infelici che – in materia tanto delicata – abbia espresso il Parlamento italiano”100. Più di recente, si è parlato al riguardo di “legge liberticida”101, e, rispetto alla sua efficacia si è detto che “il bilancio di quella legislazione fu in ogni modo fallimentare”102.

Le ragioni a sostegno di questa visione assai negative sono ben compendiate da Ferrajoli, il quale individua nella legislazione di questa prima fase pre-emergenziale, che va dal 1974 al 1978, una forma di “diritto speciale di polizia”. Il fatto che il legislatore sia intervenuto per “andare incontro alla richiesta di «mani libere» a più riprese avanza in quegli anni dai vertici degli apparati polizieschi” avrebbe portato ad innovazioni solo nel senso di allargare i poteri della polizia, marginalizzando l’intervento della

considerato in diritto); è evidente che il bilanciamento tra interessi è più evidente se si ragiona in ottica di art. 13, in quanto l’art. 25, c. 3, Cost. è formulato nei termini di principio generale, più che di garanzia individuale. Sul punto, però, torneremo nel cap. III.

100 P. PETTA, Le nuove norme per la repressione e la prevenzione di attività eversive (legge 22 maggio

1975, n. 152), in Giur. cost., 1975, p. 2851.

101 T. PADOVANI, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 238; l’espressione non è però nuova: già F. BRICOLA, Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico (a proposito

della legge 22 maggio 1975, n. 152), in F. Bricola, Politica criminale e scienza del diritto penale,

Bologna, il Mulino, 1997, p. 117 richiamava tale qualificazione.

magistratura103. “Fu in ogni caso la polizia, e non certo la magistratura, l’apparato istituzionale privilegiato in quegli anni dal sistema politico nella lotta alla criminalità e al terrorismo”104.

Bisogna tenere presente, però, il presupposto concettuale da cui muove l’Autore: egli, infatti, sostiene che “in tanto il diritto e il processo garantiscono contro l’arbitrio in quanto rappresentano tecniche esclusive ed esaustive dell’uso della forza ai fini della difesa sociale”105. È evidente, dunque, che ritenendo diritto e processo penale l’unico canale attraverso cui può esercitarsi il diritto punitivo, nessuno spazio rimane per il diritto preventivo che si manifesti come forma di coercizione delle libertà individuale, e qualsiasi intervento legislativo in tal senso non può che essere radicalmente illegittimo.

Anche critici meno estremi della legge Reale, come Franco Bricola, hanno evidenziato già nell’immediatezza della sua approvazione, numerosi punti di debolezza della stessa sotto il profilo costituzionale: sia rispetto alle deroghe processuali previste per le forze di polizia, che determina una lesione dei principi di uguaglianza, del giudice naturale e di obbligatorietà dell’azione penale; sia rispetto alle misure di prevenzione di nuova introduzione, che arrecherebbero un vulnus alla presunzione di non colpevolezza e all’esigenza di tassatività106.

Ma la critica più forte che l’illustre Autore muove alla legge in commento riguarda il fatto che con essa “viene sacrificata la libertà personale, ossia il bene primario costituzionalmente garantito, sull’altare

103 Ivi, p. 855.

104 Ibidem.

105 Ivi, p. 795.

106 F. BRICOLA, Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico, cit., p. 121; in senso analogo si esprime P. NUVOLONE, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit. §13, il quale, evidenzia come “gli art. 18 e 19 della nuova legge introducono nuovi elementi di dubbio, di perplessità, e anche di allarme, in questa già tanto discussa materia”.

dell’ordine pubblico, ossia di un concetto che, se non correttamente precisato, non ha alcuna dimensione costituzionale”107.

Bisogna evidenziare, però, come tutte queste censure – sottoposte alla Corte costituzionale – siano state da questa respinte: la Consulta, infatti, ha ritenuto costituzionalmente legittimi tanto gli artt. 27 ss. della legge n. 152/1975, quanto le fattispecie di pericolosità in materia di prevenzione. Rispetto ai primi, infatti, la Corte ha sostenuto che il fatto di ancorare la disciplina speciale alla commissione dei fatti “in servizio” fosse sufficiente a giustificare la differenziazione di disciplina, che dunque non integra una violazione dell’art. 3 Cost.108; con riferimento alle fattispecie preventive, poi, si è già detto che con la sent. 177/1980 la Corte ha salvato dalla censura di incostituzionalità per carenza di tassatività le disposizioni dell’art. 18 della legge Reale109.

Le conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale trovano riscontro anche in dottrina: si è evidenziato, infatti, che né il riferimento alle attività analoghe di cui all’art. 18, n. 2, né quello agli “atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato” o “diretti alla ricostituzione del partito fascista” sarebbero in contrasto con il principio di legalità, in quanto la fattispecie preventiva, avendo un “valore squisitamente sintomatico” presenterebbe caratteristiche diverse da quella repressiva110.

Una critica che si attesta su un diverso piano è quella che muove sul piano dell’efficacia delle misure adottate: si è evidenziato, infatti, come la legge Reale, proprio perché incentrata sull’ampliamento dei poteri della polizia e sul diritto preventivo, “non offriva ai magistrati gli strumenti giuridici necessari per istruire e condurre in porto i processi contro i reati di

107 F. BRICOLA, Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico, cit., p. 121.

108 Corte Cost., sent. 6 aprile 1976, n. 87, Pres. Rossi, Red. Astuti.

109 Si veda supra, pp. 157 ss.

natura terroristica”111; pertanto, essa è stata giudicata “assai poco utile dal punto di vista dell’efficacia nel contrasto alla lotta armata”112. In effetti, anche uno dei protagonisti dell’azione penale di contrasto al terrorismo rosso riconosce come la legge Reale fosse rivolta ad un obiettivo diverso dalla lotta al terrorismo, e dunque poco efficace al riguardo: “era […] una legge sull’ordine pubblico, non sul terrorismo: proprio per questo fu poco utilizzata per contrastare questo fenomeno”113.

Ci sembra, tuttavia, che questo tipo di osservazioni si collochi in una dimensione diversa da quella della legittimità della norma, spostando il discorso sull’opportunità politica dell’introduzione o del mantenimento della stessa all’interno dell’ordinamento.

Anche sulle leggi degli anni successivi, poi, non mancano le visioni critiche: in particolare, si evidenzia come la legislazione di quegli anni sia stata frutto di una “«eccezionalità belligerante» […] in una strenua «lotta» al nemico interno”, e che da questo approccio sarebbe derivata l’eredità della emergenza permanente, estesa via via a sempre più numerosi settori114.

Non sono mancate critiche anche rispetto alla legislazione “premiale”, anche da parte dell’opinione pubblica; rimanendo sul piano della legittimità di tali normative, sono state proposte obiezioni fondate sui principi di uguaglianza, di materialità, di offensività del fatto, di necessaria proporzione della pena alla gravità del fatto e alla colpevolezza dell’autore,

111 A. BARAVELLI, Per una storia della risposta penale al terrorismo italiano, cit., pp. 76-77.

112 Ivi, p. 76, nt. 17; in senso analogo si veda anche D. PETRINI, La prevenzione inutile, cit., pp. 207-208, che evidenzia come maggior limite della legge Reale proprio “la sua scarsa efficacia, sia per l’inadeguatezza dei mezzi, sia perché l’obiettivo di fondo era più o meno consciamente sviato”. Secondo l’A., le misure di prevenzione introdotte con tale legge si sarebbero concentrate sul terrorismo rosso – che all’epoca era solo agli albori – trascurando “ben altre forme di criminalità politica: quella dei militari golpisti, delle infiltrazioni della massoneria nelle istituzioni dello stato e nei suoi apparati fondamentali, dei depistaggi dei servizi segreti sulle stragi eversive”.

113 A. SPATARO, Ne valeva la pena, cit., p. 142.

nonché di determinatezza della fattispecie penale115. A queste obiezioni, altra dottrina contrappone poi argomenti di segno opposto, evidenziando come rientri nella legittima discrezionalità del legislatore ancorare un giudizio di minor disvalore a condotte dissociative o collaborative che, come tali, rappresentano indici di minore pericolosità criminale del soggetto116.

L’aspetto su cui sembra esservi accordo anche in dottrina riguarda, però, le cause del superamento dell’epoca emergenziale legata al terrorismo rosso: la sua sconfitta politica117. Solo il riconoscimento, da parte di molti esponenti di spicco, del fallimento dell’ideologia votata alla lotta armata ha determinato la fine di un movimento che, nei suoi momenti di massima forza, poteva contare su un grande numero di adepti e rappresentava una concreta minaccia per le istituzioni democratiche; certamente, deve riconoscersi che una forte carica di delegittimazione alla lotta armata è giunta proprio dal fatto che la risposta statale, pur con tutti i limiti e le aporie evidenziate in dottrina, si è mantenuta entro i confini della reazione istituzionale, di diritto, senza cedere alla dimensione schiettamente belligerante.

115 G. FLORA, Il ravvedimento del concorrente, Padova, CEDAM, 1984, pp. 163-177.

116 Si vedano le approfondite argomentazioni di M. MADDALENA, Ravvedimento operoso, cit., §7.

117 Certamente, sotto questo aspetto, un forte impulso è venuto proprio dal fenomeno del pentitismo, a cui si è associata la capacità via via crescente delle forze dell’ordine di reagire alla minaccia terroristica individuando i componenti delle varie unità terroristiche e così disgregando l’organizzazione complessiva, come sottolinea A. SPATARO, Ne valeva la pena, cit., pp. 141-142.

CAPITOLO III

LE GARANZIE DI RIFERIMENTO: