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Lo statuto della prevenzione personale

LE GARANZIE DI RIFERIMENTO: LO STATUTO DELLA PREVENZIONE

2. Lo statuto della prevenzione personale

2.1. Un problema preliminare: il fondamento del diritto della prevenzione

La questione del rapporto tra misure di prevenzione ante delictum e Costituzione si è posta fin dall’entrata in vigore della Carta fondamentale21; tali misure, infatti, ereditate dall’ordinamento previgente, non trovano un espresso riconoscimento da parte della Costituzione, e il silenzio al riguardo è stato variamente interpretato in dottrina.

La prima questione che si è posta, infatti, è stata proprio quella di individuare un fondamento del potere preventivo; secondo alcuni commentatori, infatti, il silenzio della Carta fondamentale andrebbe interpretato come rigetto, da parte della stessa, delle misure di prevenzione

ante delictum. In particolare, il fatto che la Costituzione consideri, all’art. 25, c.

3, le misure di sicurezza ma non quelle di prevenzione andrebbe inteso come segno del fatto che queste ultime – in particolare quelle personali - sono incompatibili con i principi costituzionali22.

21 In effetti, è stata al centro di due tra le prime pronunce della neo istituita Corte costituzionale: C. Cost., sent. 23 giugno 1956, n. 2, pres. red. De Nicola e C. Cost., sent. 3 luglio 1956, n. 11, pres. red. De Nicola.

22 Tale tesi è espressa da L. ELIA, Libertà personale e misure di prevenzione, Milano, Giuffrè, 1962, in particolare pp. 8-9; G. CORSO, Profili costituzionali delle misure di prevenzione: aspetti

teorici e prospettive di riforma, in G. Fiandaca – S. Costantino, La legge antimafia tre anni dopo. Bilancio di un’esperienza applicativa, Milano, FrancoAngeli, 1986, pp. 139-140. Nel senso della

totale inammissibilità della prevenzione personale – ma non anche di quella patrimoniale, ritenuta legittima ed efficace – si veda altresì L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del

Tale lettura si articola in una serie di passaggi logici consequenziali: innanzitutto, si muove dalla premessa per cui le misure di prevenzione personali costituirebbero limitazioni, con portata afflittiva, del diritto alla libertà personale di cui all’art. 13 Cost.; tale norma, tuttavia, andrebbe letta come “vuota nei fini”, ossia come volta a disciplinare unicamente le modalità con cui può essere legittimamente limitato il diritto da essa previsto. Le finalità legittime per cui questo può essere limitato, quindi, sarebbero da rinvenirsi in altre disposizioni costituzionali e, segnatamente, negli artt. 25, 30 e 32 Cost.: dunque, la libertà personale potrebbe essere limitata – a scopi afflittivo-punitivi – solo per mezzo delle pene e delle misure di sicurezza di cui all’art. 25, c. 2 e 3 Cost.23.

Sulla base di queste premesse, dunque, risulta evidente la totale incompatibilità con la Costituzione di misure di prevenzione ante o praeter

delictum, in quanto non coerenti con gli schemi delineati dai due commi

dell’art. 25, che presuppongono in ogni caso un legame con una figura di reato24.

garantismo penale, IX ed., Roma-Bari, LaTerza, 2008, p. 824. Infine, per un adesione più

recente a tale approccio, espresso nell’ambito del recente convegno sul tema svoltosi presso l’Università degli Studi di Milano nell’ottobre 2016, G. BALBI, Le misure di prevenzione

personali, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 2, 2017, pp. 523-525.

23 L. ELIA, Le misure di prevenzione fra l’art. 13 e l’art. 25 della Costituzione, in Giur. cost., 1964, pp. 938 ss.; la tesi per cui “gli «scopi» e gli «interessi» per i quali il legislatore possa disciplinare le libertà inviolabili degli artt. 13, 14, 15 e 21 Cost. debbano essere soltanto quelli nominati in Costituzione e da questa esaurientemente tipizzati” è criticata da V. ANGIOLINI,

Riserva di giurisdizione e libertà costituzionali, Padova, Cedam, 1992, pp. 49 ss.; secondo

l’illustre A., infatti, sono gli organi detentori del potere politico quelli “normalmente padroni degli «scopi» o degli «interessi» da coltivare”, rimanendo solo vincolati “«in negativo» a non contraddire o tradire le regole ed i principi costituzionali, piuttosto che a garantirne una pedissequa esecuzione”.

24 Oltre agli autori già citati, in tal senso si muove anche la scuola bolognese; si veda in particolare F. BRICOLA, Forme di tutela «ante-delictum» e profili costituzionali della prevenzione, in AA. VV., Le misure di prevenzione, atti del convegno “Enrico de Nicola” (Alghero, 26-28 aprile 1974), Giuffrè, Milano, 1975, p. 74. L’illustre A., però, a differenza di Leopoldo Elia, ritiene che la Costituzione contenga norme idonee a giustificare un intervento preventivo, la cui “linee programmatiche […] sono fissate fagli artt. 2, 3 cpv, 38, 30, 32 Cost. In tale quadro –

Questa ricostruzione, pur autorevolmente sostenuta in dottrina, non è stata accolta dalla Corte costituzionale, che ha ammesso fin dalle sue prime pronunce la compatibilità generale tra forme di limitazione della libertà personale con scopo afflittivo-preventivo anche al di fuori del campo delimitato dall’art. 25 Cost.25; il problema, dunque, diviene quello di individuare il fondamento costituzionale di tali misure.

La questione, peraltro, presenta ulteriori profili di complessità, in quanto non è certo che le stesse incidano effettivamente sulla libertà personale e non, invece, su quella di circolazione; la questione non è meramente teorica, stante il diverso grado di tutela accordato ai due diritti rispettivamente dagli artt. 13 e 16 Cost. La questione non è priva di rilevanza neanche rispetto al fondamento giustificativo delle misure di prevenzione: se l’art. 13, infatti, tace sulle finalità rispetto alle quali è legittimo addivenire ad una limitazione della libertà dallo stesso garantita, l’art. 16 indica

prosegue Bricola – la prevenzione non è più direttamente rivolta ad impedire il crimine ma è rivolta a garantire precise istanze del singolo e indirettamente a rimuovere le cause del reato. Da un lato la prevenzione cessa così di essere, come è attualmente, un comodo alibi attraverso il quale lo stato si sottrae ai suoi compiti sociali e di riforma; dall’altro il collegamento tra prevenzione e difesa sociale acquista una diversa dimensione, dovendosi la seconda locuzione assumere non più in un significato tale da connotare la difesa dello Stato come entità distinta dai singoli cittadini, ovvero la difesa della società tramite l’emarginazione di alcuni suoi membri, bensì la difesa della comunità sociale attraverso l’integrazione in essa di soggetti, portati per cause diverse a rimanerne estraniati”. In senso analogo M. PAVARINI, Le fattispecie soggettive di pericolosità nelle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423 e

31 maggio 1965, n. 575, in Aa. Vv., Le misure di prevenzione, atti del convegno “Enrico de

Nicola” (Alghero, 26-28 aprile 1974), Giuffrè, Milano, 1975, pp. 313-314; ID., Il “socialmente

pericoloso” nell’attività di prevenzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975, p. 450. Questa idea si

muove – se la si inserisce nell’ottica del tradeoff sicurezza-libertà di cui abbiamo delineato i tratti nel cap. I – nella direzione di un innalzamento della ‘frontiera’; il concetto di sicurezza cui si fa riferimento Bricola, infatti, è pur sempre quello della difesa da pericoli, ma da raggiungersi attraverso politiche sociali inclusive, attraverso forme di “prevenzione positiva”. Come abbiamo già evidenziato, però, tale teoria, che sembra la più adeguata nel medio-lungo periodo, presenta dei limiti rispetto al breve periodo, che impone di gestire la pericolosità degli individui nell’immediato. Questa la prospettiva espressa da E. GALLO,

Misure di prevenzione, cit., pp. 3-4.

25 Il riferimento è alle già cit. sent. n. 2 e n. 11 del 1956; si veda però anche C. Cost., sent. 5 maggio 1959, n. 27, pres. Azzariti, red. Petrocelli.

espressamente come legittime “le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”.

È evidente che ricondurre la prevenzione personale all’art. 16, invece che all’art. 13, consentirebbe di individuare nei “motivi di sicurezza” il fondamento legittimo della limitazione al diritto; si aprirebbe, tuttavia, il problema di ricondurre misure certamente individuali e concrete quali le misure di prevenzione all’ipotesi di “limitazioni che la legge stabilisce in via generale”. La strada tentata, in questo senso, è stata quella di interpretare la locuzione “in via generale” nel senso di richiedere una previsione generale ed astratta che preveda e disciplini i presupposti e le modalità attraverso cui possono essere disposte le limitazioni concrete al diritto; di fatto, attraverso tale interpretazione, il requisito in parola finisce per trasformarsi in una specificazione della riserva di legge e del principio di uguaglianza.

Anche questa non pare essere la strada seguita dalla giurisprudenza costituzionale, che tende a ricondurre le misure di prevenzione personali alla tutela dell’art. 13, individuando quale fondamento della stessa il “principio di prevenzione e sicurezza sociale”26; tale principio si ricava, secondo la Corte, dalla lettura combinata di un complesso di norme costituzionali che impongono allo Stato di garantire la sicurezza dei cittadini anche attraverso la prevenzione del crimine, oltre che attraverso la repressione successiva27.

26 C. Cost., sent. 5 maggio 1959, n. 27, pres. Azzariti, red. Petrocelli, che afferma la legittimità delle misure di prevenzione in quanto “sono informate al principio di prevenzione e di sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire”.

27 C. Cost., sent. 5 maggio 1959, n. 27, pres. Azzariti, red. Petrocelli, individua a fondamento del principio i richiami alla sicurezza come causa di limitazione dei diritti, anche in assenza di provvedimenti dell’autorità giudiziaria, contenuti negli artt. 13, 16 e 17 Cost.; in sede di commento alle successive sentenze n. 23 e 68 del 1964, però, L. ELIA, Le misure di prevenzione

tra l’art. 13 e l’art. 25 della Costituzione, cit., p. 953, contesta questa affermazione di principio;

coerentemente con l’impostazione adottata dall’illustre A., per cui le misure di prevenzione personali non troverebbero copertura costituzionale, egli giunge comunque ad ammetterne

In dottrina si è proposta anche una differente strada, talvolta accolta anche dalla stessa Corte costituzionale, volta a riconoscere le somiglianze tra misure di prevenzione e misure di sicurezza, per cui entrambe sarebbero “due species di un unico genus”28; dunque, secondo questa ricostruzione, anche le misure di prevenzione troverebbero il loro fondamento e il loro limite nella disciplina dell’art. 25, c. 3, Cost29.

Quale che sia il fondamento, in ogni caso, la compatibilità tra misure di prevenzione, anche personali, e Costituzione è oggi riconosciuta anche

la legittimità “ma deve essere ben chiaro che siamo [sic] l’eccezione e non la regola, che versiamo in una situazione di pericolo pubblico (sia pure di non breve durata), dal quale minacciata la vita della nazione”. Ci sembra significativo che l’A., richiamando sul punto l’art. 15 CEDU, riconosca uno spazio a strumenti che egli ritiene incostituzionali in base a ragioni emergenziali, fissando i limiti degli stessi nel riconoscimento del loro carattere eccezionale. Per una critica su questa tesi si veda F. BRICOLA, Forme di tutela «ante-delictum», cit., p. 73.

28 La tesi è autorevolmente sostenuta da P. NUVOLONE, Misure di prevenzione e misure di

sicurezza(voce), in Enc. dir., XXVI vol., Milano, Giuffrè, 1976, §1: “la prevenzione post-delictum

si distingue da quella ante-delictum unicamente sotto un profilo: presupposto delle misure è l’accertamento di un reato. Sotto ogni altro aspetto, non vi può essere differenziazione concettuale: in quanto tende a impedire futuri crimini, infatti, la prevenzione è sempre

ante-delictum”; in senso analogo anche G. AMATO, Sub all’art. 13, cit., pp. 49-51 e, in precedenza, G. SABATINI, Misure di prevenzione nei confronti di persone pericolose per la sicurezza e la moralità

pubblica, in Noviss. dig. it., vol. X, 1964, p. 723. È stata accolta dalla Corte costituzionale in

sent. 16 dicembre 1980, n. 177, pres. Amadei, red. Malagugini, §4, in cui si ritrova il virgolettato nel testo; più di recente, C. Cost., sent. 6 dicembre 2013, n. 291, pres. Silvestri, red. Frigo, §6. La tesi della comunanza funzionale tra misure di sicurezza e misure di prevenzione è ancora diffusa in dottrina, sia in chiave di analisi del sistema – in tal senso, D. PULITANÒ, Misure di prevenzione e problema della prevenzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, fasc. 2, pp. 641-642 – sia in chiave di proposte de iure condendo – al riguardo, A. MANNA, La natura

giuridica delle misure di prevenzione tra diritto amministrativo e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, fasc. 2, pp. 1079-1080 –.

29 F. CONSULICH, Le misure di prevenzione tra Costituzione e Convenzione, in Leg. pen. online, 18 marzo 2019, p. 21, evidenzia come anche “misure di prevenzione e pene sono contenute in un medesimo genus, quello delle misure afflittive di controllo sociale, ma solo le pene prevedono un’afflizione funzionale alla punizione di un fatto”; nello stesso senso ID., La sanzione

senza precetto Verso un congedo delle misure di prevenzione dalla materia penale?, in disCrimen, 1

ottobre 2019, p. 7; contra, si vedano C. FIORE – S. FIORE, Diritto penale, cit., p. 762; F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, X ed., Milano, Wolters Kluwer, 2017, 862, che sostengono la natura punitiva, piuttosto che preventiva, delle misure di prevenzione che si fondano su comportamenti costituenti reato, pur non accertato.

dalla dottrina maggioritaria; alcuni autori, poi, evidenziano come una negazione in toto del sistema si presenti come una petizione di principio ormai anti-storica, che nega la realtà di fatto; tali strumenti, infatti, paiono istituti ormai irrinunciabili del nostro ordinamento, rispetto ai quali sembra più proficua una critica puntuale dei singoli aspetti problematici, piuttosto che un atteggiamento di totale chiusura, forse più nobile in linea di principio, ma certamente meno efficace nel dialogo con legislatore e giudici volto a massimizzare le garanzie per i singoli30.

2.2. Lo statuto costituzionale della prevenzione personale

Si pone, quindi, il problema di individuare lo statuto garantistico della prevenzione personale, e, per farlo, è necessario preliminarmente delineare la natura di tali misure.

Si tende ad escludere che le misure di prevenzione siano riconducibili alla categoria delle pene e delle misure di sicurezza, in quanto tali istituti si fondano sul legame tra reazione statuale e una previa condotta umana qualificabile come “reato”31; rispetto alle misure di sicurezza, vi è

30 In tal senso, da ultimo, M. PELISSERO, La tutela della libertà personale al di fuori del diritto

penale. Misure di prevenzione, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2020, fasc. 3, p. 377, che definisce

“poco realistica” la prospettiva di chiusura totale al sistema preventivo; in senso analogo, Id., I destinatari della prevenzione praeter delictum: la pericolosità da prevenire e la pericolosità da

punire, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, fasc. 2, p. 442. Già G.AMATO, Sub art. 13, cit., p. 49 parlava di “radicalismo, sempre più irreale” con riferimento alla ipotesi di ritenere prive le misure di prevenzione prive di fondamento costituzionale. M. CERESA-GASTALDO, Misure di

prevenzione e pericolosità sociale: l’incolmabile deficit di legalità della giurisdizione senza fatto, in Dir. pen. cont., 3 dicembre 2015, pp. 2-3, invece, pur dubitando della loro reale necessità sul

piano pratico, ne mette in evidenza l’indispensabilità politica, per cui “nessun partito politico, oggi, prenderebbe seriamente in considerazione proposte di modifica dell’assetto normativo che non fossero nel segno del potenziamento del mezzo”; il medesimo autore, peraltro, ritiene che la prevenzione sia “destinat[a] a divenire mezzo ordinario di contrasto dei fenomeni criminali”.

31 G. DELITALA, Diritto penale (voce), in Enc. dir., vol. XII, 1964, p. 1096, affermava che “tanto la pena quanto le misure di sicurezza sono sanzioni penali perché tanto l’una quanto l’altra costituiscono mezzi di lotta contro il reato”; le misure di prevenzione, al contrario, costituirebbero una forma di “diritto penale al limite”, come sostenuto da M. PELISSERO, I

certamente il presupposto comune della pericolosità sociale, ma secondo certa dottrina tale elemento non sarebbe sufficiente ad accomunare misure di sicurezza e misure di prevenzione32. La pericolosità post delictum e quella ante o praeter delictum, infatti, non sarebbero del tutto assimilabili: la prima troverebbe in ogni caso un referente concreto nella sua manifestazione sotto forma di reato già commesso ed accertato in sede penale, mentre la seconda dovrebbe accontentarsi di un referente oggettivo assai più vago e sfumato33.

Questa distinzione non è del tutto pacifica, in quanto, come già accennato, tanto in dottrina quanto nella giurisprudenza costituzionale, si rinvengono frequenti paragoni tra misure di prevenzione e misure di sicurezza, al punto che si è affermato che i due istituti rappresenterebbero “due species di un unico genus”34. Da questa assimilazione non si potrebbe ricavare una totale equiparazione dello statuto garantistico: la giurisprudenza della Consulta, infatti, ogniqualvolta ha operato comparazioni tra le due categorie, lo ha fatto sulla base di un’attenta analisi

destinatari della prevenzione praeter delictum, cit., p. 442; l’A. riprende in tale sede quanto

sostenuto in ID., Contrasto al terrorismo internazionale e il diritto penale al limite, in Aa. Vv.,

Terrorismo internazionale. Politiche della sicurezza. Diritti fondamentali, in Quest. Giust., 2016,

fasc. speciale, pp. 100-101, ove il concetto era stato elaborato ed utilizzato non tanto in relazione alla prevenzione personale quanto con riguardo alle scelte incriminatorie del legislatore antiterrorismo. Analogamente, T. PADOVANI, Misure di sicurezza e misure di

prevenzione, Pisa, Pisa University Press, 2015, p. 7, il quale afferma esplicitamente che

“quando si parla di misure di sicurezza ci si riferisce […] ad un tipo di sanzione criminale intesa in senso lato […]. Le misure di prevenzione viceversa non appartengono formalmente al novero delle sanzioni criminali, ma in realtà a loro volta si collocano in una sorta di

continuum mobile rispetto all’area delle misure di sicurezza”.

32 In questo senso, P. PITTARO, La natura giuridica delle misure di prevenzione, in F. Fiorentin (a cura di), Misure di prevenzione personali e patrimoniali, Torino, Giappichelli, 2018, p. 155.

33 Per una approfondita analisi del tema della pericolosità e delle sue varie declinazioni si rinvia ad A. MARTINI, Essere pericolosi. Giudizi soggettivi e misure personali, Torino, Giappichelli, 2017. L’A. evidenzia come la pericolosità sia categoria che attraversa l’intero sistema penale e para-penale, essendo assunta a presupposto per l’applicazione di istituti tra loro assai eterogenei – dalle misure di prevenzione, alle misure cautelari, alle misure di sicurezza, solo per citare i principali – senza che ne venga definito il contenuto specifico.

in concreto delle caratteristiche dei due istituti e della regola che nel caso specifico era chiamata ad estendere dall’una all’altra categoria35.

La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, però, tendono a ricondurre le misure di prevenzione personali alla disciplina dell’art. 13 Cost., e dunque alle garanzie previste per la tutela della libertà personale36. A tal fine, fin dalle prime sentenze in materia, la Corte costituzionale ha elaborato una nozione di libertà personale più ampia di quella tradizionale: secondo la Consulta, infatti, l’art. 13 Cost. non garantirebbe una tutela limitata alla tradizionale dimensione del diritto all’habeas corpus; non sarebbe, in altre parole, limitato a garantire la libertà della persona da costrizioni fisiche che si sostanzino in restrizioni assimilabili alla reclusione. L’art. 13 Cost., nella lettura fornitane dalla Consulta, sarebbe volto ad apprestare le garanzie minime che devono essere riconosciute all’individuo ogni volta che lo Stato adotti nei suoi confronti una misura incisiva sui suoi diritti che comporti una “degradazione giuridica” del destinatario, assimilabile così ad una privazione della libertà personale37.

35 Si veda, al riguardo, G.P. DOLSO, Le misure di prevenzione personali nell’ordinamento

costituzionale, in F. Fiorentin (a cura di), Misure di prevenzione personali e patrimoniali, Torino, Giappichelli, 2018, pp. 80 ss. Nella maggior parte dei casi, la Corte è stata chiamata a valutare l’estendibilità alle misure di prevenzione di regole previste per le misure di sicurezza (si veda ad esempio C. Cost., sent. 2 dicembre 2013, n 291, pres. Silvestri, red. Frigo, relativa all’incostituzionalità della mancata previsione di un nuovo giudizio di pericolosità quando la misura di prevenzione debba trovare applicazione in seguito all’espiazione della pena detentiva); in alcune ipotesi, tuttavia, la Consulta ha operato anche nel senso opposto, di giudicare circa la possibilità di applicare alle misure di sicurezza regole dettate originariamente per le misure di prevenzione. È quanto avvenuto, ad esempio, in materia di pubblicità delle udienze in C. Cost., sent. 21 maggio 2014, n. 135, pres. Silvestri, red. Frigo, §3: in quella occasione, infatti, la Corte motiva ritenendo che valgano “considerazioni analoghe a quelle svolte” con la sent. n. 93 del 2010, che riguardava il medesimo principio in materia di misure di prevenzione.

36 In questo senso, A. BARBERA, I principi costituzionali della libertà personale, Milano, 1967, p. 219 ss.

37 In questo senso, C. Cost., sent. 3 luglio 1956, n. 11, pres. red. De Nicola, secondo cui l’ammonizione incide sul diritto garantito dall’art. 13 Cost. in quanto “si risolve in una sorta di degradazione giuridica in cui taluni individui, appartenenti a categorie di persone che la

Così interpretata la nozione di libertà personale, dunque, la linea di demarcazione che corre tra art. 13 e art. 16 Cost. non si colloca più su una scala quantitativa, ma in una dimensione qualitativa38. Detto altrimenti, la restrizione della libertà personale non è un quid maius rispetto alla