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Le misure di contrasto

UNO SGUARDO AL PASSATO

2. Le misure di contrasto

2.1. Le misure “di polizia”: la legge n. 152/1975

2.1.1. L’ampliamento dei poteri della polizia e le disposizioni incidenti sul processo penale

Il primo strumento posto in essere dall’ordinamento contro il terrorismo politico – oltre alla costituzione dell’Ispettorato per l’azione contro il terrorismo e del Nucleo speciale di polizia giudiziaria dei carabinieri, quest’ultimo al comando del generale Carlo Alberto dalla Chiesa15 – è stato quello di stampo amministrativo-poliziesco, rivolto più al contrasto della violenza di piazza che all’associazionismo criminale16. Con la legge n. 152/1975, nota come legge Reale dal nome dell’allora Ministro della Giustizia, infatti, il legislatore introdusse un generale irrigidimento della disciplina processuale e penitenziaria nonché un ampliamento dei poteri

14 A. BARAVELLI, Per una storia della risposta penale al terrorismo italiano, cit., p. 84.

15 Entrambi i reparti sono stati sciolti nel 1978, nella convinzione che con la cattura dei vertici delle Brigate rosse, tra cui Renato Curcio, e il seguente processo di Torino, il fenomeno del terrorismo di sinistra fosse ormai prossimo alla sconfitta; si veda A. SPATARO, Ne valeva la

pena, cit., p. 141, il quale comunque evidenzia come foriera di conseguenze positive la

destrutturazione di tali organismi, che aveva così consentito di gestire le indagini in modo più agile e decentrato, riducendo gli ostacoli burocratici.

16 A. BARAVELLI, Per una storia della risposta penale al terrorismo italiano, cit., p. 75; A. SPATARO,

Ne valeva la pena, cit., p. 142, esclude che tale provvedimento possa essere qualificato come

“legislazione dell’emergenza”, in quanto “risaliva a un periodo in cui il terrorismo non si era ancora manifestato nella sue forme più cruente: si trattava di una normativa che cercava di fronteggiare soprattutto gli effetti delle manifestazioni violente di piazza dei primi anni Settanta. Era, dunque, una legge sull’ordine pubblico, non sul terrorismo: proprio per questo fu poco utilizzata per contrastare questo fenomeno”. Nello stesso senso L. FERRAJOLI, Diritto

e ragione, cit., p. 855, secondo cui “fu la polizia, e non certo la magistratura, l’apparato

istituzionale privilegiato in quegli anni dal sistema politico nella lotta alla criminalità e al terrorismo”..

della polizia17; si è parlato, con riguardo a quel periodo, di “militarizzazione delle risposte dello Stato contro il terrorismo”18.

Non è qui necessario né opportuno fare un’analisi completa di tutti gli articoli di cui si compone la legge Reale, ma cerchiamo di individuarne le linee di fondo, per concentrare l’attenzione sulle norme che sono più rilevanti ai nostri fini, ossia gli artt. 18 e 19, con cui si incide sul sistema di prevenzione per i “sovversivi” e non solo.

La legge tende ad ampliare i poteri della polizia, prevedendo una disciplina che concede una maggiore facoltà di operare il fermo giudiziario (art. 3), di operare perquisizioni sulla persona o sul veicolo al fine di ricercare eventuali armi (art. 4), nonché prevedendo un sostanziale ampliamento della causa di giustificazione di cui all’art. 53 c.p. (art. 14)19; a tale ultimo riguardo, l’uso legittimo delle armi viene ampliato, rispetto alla configurazione originaria che lo vedeva limitato alla “necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’autorità”, introducendo una giustificazione volta a consentire l’uso delle armi a fini di prevenzione di determinati reati.

A queste disposizioni si affiancano poi alcune norme specificamente volte a disciplinare i processi a carico degli appartenenti alla “forza pubblica”, nel caso siano accusati di reati “per fatti compiuti in servizio e relativi all’uso delle armi” (artt. 27 ss.), con previsione della possibilità per gli stessi di farsi assistere, a loro scelta, dall’Avvocatura dello Stato.

17 Definita “uno degli eventi più significativi dell’ultimo anno di produzione legislativa in Italia” da U. ALLEGRETTI, Legge sull’ordine pubblico e libertà costituzionali, in Riv. trim. dir. pubb., 1976, p. 473, che pure ricorda come il 1975 sia stato un anno ricchissimo di riforme storiche come quella del diritto di famiglia o dell’ordinamento penitenziario, la legge in esame è stata qualificata come il primo “pacchetto sicurezza” della storia repubblicana da T. PADOVANI,

Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 238.

18 G. NEPPI MODONA, La giurisprudenza costituzionale italiana in tema di leggi di emergenza contro

il terrorismo, la mafia e la criminalità organizzata, in T. Groppi (a cura di), Democrazia e terrorismo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006, p. 84.

19 Sulle prime due modifiche, si veda l’ampia trattazione di U. ALLEGRETTI, Legge sull’ordine

pubblico e libertà costituzionali, cit. , pp. 476 ss., che ne evidenziava tutti i limiti sul piano della

Oltre a questi aspetti volti a favorire l’operato della polizia, la legge prevede il divieto di libertà provvisoria in relazione ad alcuni reati particolarmente gravi, subordinando, in ogni caso, la concessione della stessa alla non pericolosità del soggetto (art. 1); a questo, si associa la trattazione prioritaria dei processi in cui vi sia il rischio di inutile decorso dei termini di custodia preventiva (art. 2): evidente l’intento di non rischiare che l’imputato possa tornare in libertà prima della sentenza definitiva. Nello stesso senso si orientano le disposizioni volte a prevedere il rito direttissimo in una serie di ipotesi legate a reati tipici della violenza di piazza (artt. 17 e 26) Si prevede, inoltre, una sospensione della prescrizione nel caso di latitanza dell’imputato e durante i periodi inattività processuale forzata riconducibile all’imputato stesso (art. 16)20.

2.1.2. L’introduzione delle misure di prevenzione per i “sovversivi”: le nuove fattispecie di pericolosità qualificata

Quello configurato dalla legge Reale, dunque, è un impianto repressivo ampio e variegato, al cui interno si inserisce la previsione delle misure di prevenzione per effetto degli artt. 18 e 1921. Per comprendere

20 L’ampliamento dei poteri di polizia, così come l’intervento volto a restringere la possibilità di ottenere la libertà provvisoria per gli accusati di fatti di terrorismo, non si sono fermati alla legge Reale; anche il d.l. 625/1979, su cui ci soffermeremo a breve, contiene norme in tal senso. Per un inquadramento generale si veda M. CHIAVARIO, Premessa, in Aa. Vv., D.L.

15/12/1979, n. 625, conv. con modificazioni in l. 6.2.1980, n. 15. Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica. Commenti articolo per articolo, in Leg. pen., 1980,

pp. 26 ss. Possiamo segnalare, peraltro, come alcune di tali disposizioni siano state ritenute inutili dagli stessi soggetti che, all’epoca, si occupavano concretamente delle indagini in materia di reati terroristici; si veda, ad esempio, quanto affermato da A. SPATARO, Ne valeva

la pena, cit., p. 143, a proposito della possibilità di perquisizioni di blocchi di edifici prevista

dall’art. 9, d.l. 625/1979: “nessun serio investigatore potrebbe preferire uno strumento di questo genere al paziente lavoro di osservazione e pedinamento indispensabile nelle indagini contro ogni tipo di criminalità organizzata”.

21 D. PETRINI, La prevenzione inutile. Illegittimità delle misure praeter delictum, Napoli, Jovene, 1996, p. 207, però, evidenzia come proprio la varietà e la scarsa organicità dell’intervento legislative sia frutto della “discutibilissima tecnica legislativa di intervenire a macchia di

l’effetto della l. Reale sull’impianto delle misure di prevenzione in vigore nel 1975, però, è necessario fornire un sintetico quadro di queste ultime22.

Lasciate in eredità all’ordinamento repubblicano dalla legislazione previgente, le misure di prevenzione si caratterizzavano all’epoca per un regime differenziato articolato su una legge ‘fondamentale’ (l. 27 dicembre 1956, n. 1423) ed una ‘speciale’ (l. 31 maggio 1965, n. 575). La struttura portante era contenuta nella l. 27 dicembre 1956, n. 1423, emanata dopo le prime sentenze della Corte costituzionale che avevano ritenuto legittimo il perseguimento di finalità preventiva anche con strumenti diversi dalla pena, purché associato ad un livello minimo di garanzie che il t.u.l.p.s. non rispettava23.

Per evitare l’incostituzionalità dell’intero sistema, il legislatore, dunque, era intervenuto con la l. n. 1423/1956, con cui aveva diviso le misure di prevenzione in due blocchi, affidando all’autorità giudiziaria l’applicazione di quelle maggiormente incisive sulle libertà individuali e lasciando all’amministrazione la possibilità di applicare solamente quelle più blande24. Sul piano dei presupposti applicativi, poi, la legge del 1956 all’art. 1 identificava cinque fattispecie di pericolosità, inquadrabili in due categorie

leopardo”.

22 Una sintetica ma completa ed aggiornata trattazione dell’evoluzione del sistema preventivo si rinviene in F. BASILE, Manuale delle misure di prevenzione. Profili sostanziali, Torino, Giappichelli, 2020, pp. 9 ss.; per una esposizione più approfondita si veda, invece, E. STANIG, L’evoluzione storica delle misure di prevenzione, in F. Fiorentin (a cura di), Misure di

prevenzione personali e patrimoniali, Torino, Giappichelli, 2018, pp. 9 ss.

23 Le sentenze del 1956 saranno oggetto di analisi infra, cap. III, par. 2.

24 Sulle modifiche apportate al sistema preventivo dalla l. n. 1423/1956 si veda T. PADOVANI,

Misure di sicurezza e misure di prevenzione, Pisa, Pisa University Press, 2015, p. 234, che

qualifica la giurisdizionalizzazione delle misure in questione come “un semplice spolverino dell’attività di polizia, che in precedenza veniva gestita autonomamente; la ragione della critica risiede nel fatto che la persistente incertezza dei presupposti applicativi impediva, nei fatti, un reale accertamento giurisdizionale e dunque spostava l’arbitrio dall’autorità pubblica a quella giudiziaria, senza eliminarlo. Il punto è particolarmente rilevante, perché evidenzia […] il legame che deve necessariamente sussistere tra giurisdizione e precisione-tassatività dei presupposti applicativi delle misure.

generali: da un lato, soggetti in condizioni di marginalità sociale non autori di condotte riconducibili all’area penale25; dall’altro, soggetti che si collocavano in un’area contigua alla penalità in senso stretto26.

In seguito, con la l. 31 maggio 1965, n. 575, il legislatore per la prima volta introduce norme specificamente volte a contrastare la criminalità di stampo mafioso, in particolare attraverso un sistema preventivo più rigido applicabile “agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose”27. Con tale

25 Il riferimento è alle categorie di cui all’art. 1, nn. 1) e 5), della l. n. 1423/1956, che prevedono la diffida per “oziosi e vagabondi abituali, validi al lavoro” nonché per “coloro che svolgono abitualmente altre attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume”. La distinzione si ritrova in P. NUVOLONE, Legalità e prevenzione, in Giur. cost., 1964, p. 198, il quale, tuttavia, inserisce i “proclivi a delinquere” all’interno della categoria dei soggetti inquadrati in fattispecie “nettamente preventive”; si veda alla nota seguente, invece, quanto sostiene T. PADOVANI, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 233, rispetto alla natura prototipica di tale definizione come fattispecie di sospetto.

26 Si tratta delle categorie di soggetti riconducibili alle ipotesi di cui all’art. 1, nn. 2), 3), 4) della l. n. 1423/1956, che si riferivano a: “2) coloro che sono abitualmente e notoriamente dediti a traffici illeciti; 3) coloro che, per la condotta e il tenore di vita, debba ritenersi che vivano abitualmente anche in parte, con il provento di delitti o con il favoreggiamento o che, per le manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere; 4) coloro che, per il loro comportamento siano ritenuti dediti a favorire o sfruttare la prostituzione o la tratta delle donne o la corruzione dei minori, ad esercitare il contrabbando, ovvero ad esercitare il traffico illecito di sostanze tossiche o stupefacenti o ad agevolare dolosamente l'uso”. T.PADOVANI, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, p. 233, poi, evidenzia come la categoria dei “proclivi a delinquere” abbia rappresentato la prima ipotesi di fattispecie di pericolosità connessa alla commissione di atti preparatori di reati, in quanto solo questi ultimi potevano essere ritenuti “manifestazioni” esteriori di tale atteggiamento interiore. È bene ricordare, comunque, che la categoria è stata espunta dall’ordinamento dalla Corte costituzionale, con la sent. 16 dicembre 1980, n. 177, Pres. Amadei, Red. Malagugini.

27 La legge non definisce le “associazioni mafiose”, generando così un vulnus di legalità particolarmente intenso, denunciato fin da subito dalla dottrina, raddoppiato dal fatto di essere applicabile in presenza di meri “indizi”; si veda al riguardo T. PADOVANI, Misure di

sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 235; E.GALLO, Misure di prevenzione (voce), in Enc.

giur., vol. XXII, 1996, p. 13, evidenzia come solo con l’introduzione di “una definizione

normativa, buona o mediocre che sia” all’interno dell’art. 461-bis c.p. le censure di carenza di tassatività del concetto di “associazione mafiosa” possono ritenersi superate. Sul piano della disciplina, si prevede all’art. 2 la possibilità di applicare le misure della sorveglianza speciale e del divieto o dell’obbligo di soggiorno anche senza previa diffida del questore (progressione prevista in via generale dalla l. n. 1423/1956), e si associano alla misura di

legge, quindi, si introduce la distinzione tra soggetti “a pericolosità generica” e soggetti “a pericolosità qualificata”, che permane ancora oggi28.

Su questo sistema di “asimmetria univoca”, si innesta quindi la riforma del 197529. La legge in questione opera due interventi, uno di portata generale ed uno specificamente rivolto al fenomeno terroristico, pur non qualificato espressamente come tale: da un lato, infatti, con l’art. 19, la legge Reale estende il regime previsto dalla l. n. 575/1965 per la criminalità organizzata all’intero sistema delle misure di prevenzione relativo ai “soggetti parapenali”30. Dall’altro, con l’art. 18, configura quattro nuove ipotesi di “pericolosità qualificata”: la norma prevede che la disciplina della l. 575/1965, ossia quella che aveva introdotto le misure di prevenzione antimafia, si applichi a coloro che:

1) operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice; 2) abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente;

3) compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell'articolo 1 della citata legge n. 645 del 1952, in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza;

4) fuori dei casi indicati nei numeri precedenti, siano stati condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n.

prevenzione applicata alcuni effetti interdittivi quali il divieto di ottenere il porto d’armi o la licenza per il commercio di materie esplodenti (art. 8).

28 F. BASILE, Manuale delle misure di prevenzione, cit., p. 16.

29 Il virgolettato è di T. PADOVANI, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 237.

30 L’art. 19, primo c., della l. Reale, nella sua versione originale, recitava: “Le disposizioni di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche alle persone indicate nell'articolo 1, numeri 2), 3) e 4) della legge 27 dicembre 1956, n. 1423”.

895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato nel precedente n. 1)31.

Come è stato osservato fin dai primi commenti, la norma è particolarmente interessante perché connotata da “una insolita «trasparenza» nella formulazione di alcune fattispecie soggettive”, che lascia emergere come attraverso lo strumento preventivo si voglia essenzialmente controllare il dissenso politico32.

La legge, dunque, individua come destinatario-tipo della prevenzione due categorie di soggetti: la prima – definita dalla fattispecie di cui ai nn. 1 e 4 – riconducibile all’“extraparlamentare di sinistra, meglio, quel certo tipo di militante della sinistra non istituzionale che in quel preciso momento storico ideologicamente viene designato come il tipo del

sovversivo”33; la seconda – definita dalle fattispecie di cui ai nn. 2 e 3 – individuabile in “quell’inverso che la politica dei c.d. «opposti estremismi» ideologicamente propone quale «antipode» all’estraparlamentare di sinistra:

il militante nelle organizzazioni eversive di destra”34.

31 I cc. 2 e 3 della norma in esame recitavano: “Le disposizioni di cui al precedente comma si applicano altresì agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori. È finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo a cui sono destinati”. P. NUVOLONE, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., §13, evidenzia come si tratti di disposizione ridondante, in quanto delinea la posizione di soggetti certamente concorrenti, e dunque rispetto ai quali possono operare direttamente le fattispecie di pericolosità.

32 M. PAVARINI, Il «socialmente pericoloso» nell’attività di prevenzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975, p. 448. Questa considerazione ci sembra particolarmente in linea con quanto detto in apertura di capitolo: la normativa antiterrorismo si connota per una particolare aderenza alla realtà concreta in cui si colloca (si veda supra, pp. 126-127).

33 M. PAVARINI, Il «socialmente pericoloso» nell’attività di prevenzione, cit., p. 449; al riguardo, però, D. PETRINI, La prevenzione inutile, cit., p. 208, nt. 88, evidenzia come la fattispecie di cui al n. 4 configuri “un’ipotesi di pericolosità post delictum, mischiata, per così dire, a misure preventive in senso stretto”.

34 M. PAVARINI, Il «socialmente pericoloso» nell’attività di prevenzione, cit., p. 449, che ipotizza anche l’introduzione di riferimenti al terrore nero “per strappare, in fase di approvazione

Con riguardo a quest’ultima categoria, in particolare, la legge Reale si colloca in un solco di continuità e di rafforzamento dei precetti contenuti nella precedente l. n. 645 del 1952, c.d. legge Scelba, con cui già si criminalizzavano gli atti diretti a ricostituire il partito fascista35; le norme del 1975, da questo punto di vista, quindi, sono state giudicate da alcuni ridondanti, in quanto strumenti adeguati allo scopo erano già contenuti nella legge Scelba36.

L’aspetto che più ci interessa, però, riguarda le ipotesi di cui ai nn. 1 e 4 dell’art. 18, ossia quelle dirette a prevenire il terrorismo rosso: appare significativo il fatto che il termine “terrorismo” ancora non compaia, e si faccia riferimento alla sola finalità eversiva37. Questo aspetto è una caratteristica dell’intera legislazione emergenziale degli anni Settanta e

della legge, un atteggiamento «morbido» alla sinistra istituzionale”.

35 P. NUVOLONE, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., §13, evidenzia il vulnus al principio di legalità derivante dal ricorso esplicito all’analogia, che trasformerebbe le misure in questione in “una forma di «confino politico» con presupposti indeterminati e facilmente soggetti a decisioni arbitrarie ed emotive”.

36 M. PAVARINI, Il «socialmente pericoloso» nell’attività di prevenzione, cit., p. 449; peraltro, con riguardo a tali fattispecie preventive, ed in particolare rispetto a quella di cui al n. 2, che si fonda sul compimento di “attività analoghe” alla partecipazione ad associazioni politiche disciolte in base alla l. 654/1952, in dottrina si è anche sviluppato un acceso dibattito sulla soglia di rilevanza delle stesse. Da un lato, infatti, vi sono stati autori che hanno ritenuto necessaria una nuova condotta di “partecipazione”, con conseguente sovrapposizione tra presupposto preventivo ex art. 18, c. 1, n. 2, l. 152/1975 e reato di partecipazione ex art. 2, l. 654/1952; dall’altro, vi è un orientamento che ritiene sufficiente anche una condotta meno intensa della “partecipazione”, purché vi sia una manifestazione esteriore di adesione all’ideologia fascista. Per una maggiore analisi del dibattito ed i relativi riferimenti bibliografici, facciamo rinvio a S. SANTINI, Le misure di prevenzione personali del terrorismo in

Italia e nel Regno Unito. Spunti di riflessione per una prevenzione sostenibile, tesi di dottorato,

2018, pp. 49 ss.

37 In dottrina si tende a fare riferimento alla figura del “sovversivo”, più che a quella dell’eversione (D. PETRINI, La prevenzione inutile, cit., p. 209). A ben vedere, non pare esservi una differenza sostanziale tra i due concetti; entrambi, infatti, rimandano all’idea di rovesciamento dell’ordine statale vigente, e la differenza si attesta sulla colorazione manifesta o occulta delle modalità adottate. “Eversivo si è caricato con più forza di sfumature negative di significato, collegandosi all’idea di oscure trame organizzate contro lo Stato anche da settori facenti parte delle istituzioni stesse, oltre che da gruppi politici estremisti”, D. GAUDIERI, Quale è la differenza tra “eversivo” e “sovversivo”?, in treccani.it.

Ottanta; anche nei successivi interventi legislativi, infatti, la finalità di terrorismo rimane sempre associata a quella eversiva, con sostanziale assorbimento della prima nella seconda: questo ha consentito di superare il problema della definizione del fenomeno, problema che, come vedremo, sorge in tutta la sua complessità quando ci si confronta con il terrorismo internazionale, non eversivo38.

Rispetto alla norma in esame, invece, la principale questione che si è posta è stata quella di delineare i confini tra la fattispecie preventiva e le figure di tentativo dei vari reati da essa richiamata39: la fattispecie di cui al n. 1, infatti, richiede il compimento di “atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato”40. Il problema consiste nell’individuare uno spazio autonomo alla fattispecie preventiva, distinguendola dal tentativo dei reati richiamati, conservando al contempo una dimensione materiale alla relativa condotta; il problema, sorto con la legge Reale, ed è rimasto vivo fino al 2017, dato che l’art. 4, c. 1, lett. d), del d.lgsl. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. codice antimafia, da ora in poi cod. ant.41) presentava – prima dell’intervento di riforma al codice – la medesima formulazione42.

38 F. VIGANÒ, Terrorismo di matrice islamico-fondamentalista e art. 270-bis c.p. nella recente

esperienza giurisprudenziale, in Cass. pen., 2007, fasc. 10, p. 3954; evidenzia, al contrario,

l’esigenza di distinguere le due nozioni A. VALSECCHI, Il problema della definizione di