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Inquadramento storico

UNO SGUARDO AL PASSATO

1. Inquadramento storico

Tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso l’Italia è stata attraversata da un’ondata di violenza di stampo terroristico a matrice ideologico-politica, che ha destato il primo grande periodo emergenziale della storia repubblicana1. Si tratta di un fenomeno complesso, oggetto di approfondimenti storici, sociologici, politologici e giuridici che non è possibile né necessario qui richiamare in modo completo.

Tuttavia, bisogna considerare che una della caratteristica specifiche della disciplina antiterroristica consiste nel fatto di essere una disciplina “di reazione”: il sistema emergenziale di contrasto al terrorismo – allora come

1 L. STORTONI, Diritti dell’uomo ed emergenza: (l’eredità de)gli anni di piombo, in S. Moccia, Diritti

oggi – si sviluppa in risposta ad uno o più specifici episodi concreti, con lo specifico intento di evitarne la reiterazione2. A differenza di altri settori del diritto punitivo, quindi, la reazione statuale al terrorismo si connota come strumento per gestire una situazione di rischio specifico e concreto, storicamente determinato; pertanto, non è possibile comprenderne appieno gli sviluppi, né valutarla criticamente, senza inquadrarla nel contesto storico, politico e sociale, in cui è maturata.

Rinunciamo fin da subito a qualsiasi pretesa di indagare il problema delle cause che portarono, in quel periodo, all’estremizzazione della lotta politica fino al ricorso alla violenza, per concentrarci sulle relazioni esistenti tra contesto sociale, singoli episodi terroristici, e reazione del potere statuale. Come detto, nel corso degli anni ’70 si assiste, soprattutto nel nord Italia, allo sviluppo di movimenti politici estremisti, tanto di estrema sinistra (Brigate rosse, Prima linea, Autonomia operaia organizzata, per citare solo i più noti) quanto di stampo neofascista (Squadre azione Mussolini, Ordine nuovo, Ordine nero, Nuclei armati rivoluzionari, Terza posizione, ecc.). Obiettivo dichiarato di queste formazioni è la destabilizzazione dello Stato mediante il ricorso alla violenza, ma le finalità ultime sono differenti: i movimenti di sinistra aspirano a provocare l’insurrezione armata del proletariato e l’instaurazione di un regime comunista; quelli di estrema destra, a creare disordine al fine di giustificare la reazione “dura” delle istituzioni e favorire, così, l’instaurazione di un regime autoritario che ponga definitivamente fine ai disordini che si trascinano dal finire degli anni Sessanta.

Se, quindi, il mezzo comune dei due terrorismi nazionali è identificabile nel ricorso alla violenza, i metodi operativi concretamente impiegati divergono radicalmente: il terrorismo nero, infatti, nell’attuare la c.d. strategia della tensione con la complicità di settori deviati degli apparati

2 Il “carattere emergenzialista” della normativa di contrasto al terrorismo ne costituisce il suo “principale difetto”, secondo A. PICCI, Terrorismo (profili criminologici e giuridici) (voce), in Dig.

di sicurezza dello Stato opera principalmente mediante attentati di tipo dinamitardo, rivolti a provocare il maggior numero possibile di vittime al fine di generare instabilità3. Tale modalità di azione, inaugurata con la strage di Piazza Fontana del 1969, si protrae almeno fino alla metà degli anni ’80, passando per le stragi di Gioia Tauro (1970), della questura di Milano (1973), dell’Italicus e di piazza della Loggia (1973), della stazione di Bologna (1980) e, infine, del treno Napoli-Milano (1984), provocando un numero di morti superiore al centinaio e diverse centinaia di feriti4.

Il modus operandi delle organizzazioni terroristiche riconducibili alla sinistra extra-parlamentare, invece, è differente; composto da un elevato numero di aderenti, raggruppati in moltissime unità diverse accomunate dall’intento di provocare l’instaurazione di un regime comunista, il “partito armato” ha conosciuto diverse fasi di azione, che si collegano all’attività della sinistra parlamentare5. Ad una prima fase, definita di “propaganda armata” (1970-1974), in cui l’obiettivo è il danneggiamento dei beni degli imprenditori per catturare i consensi della massa operaia, corrisponde, infatti, sul piano

3 A questa strategia, poi, si affiancavano altre operazioni volte a facilitare la trasformazione dell’Italia in regime autoritario di destra: dall’organizzazione di strutture segrete, come la famosa loggia massonica P2 di Licio Gelli, alla progettazione di colpi di Stato, come quello tentato nel 1970 ad opera del principe Borghese. Queste attività, pur rappresentando certamente un profilo di estremo interesse del fenomeno riconducibile alla strategia della tensione, forse anche più pericoloso per la tenuta dell’ordinamento democratico degli attentati dinamitardi, non ci sembrano riconducibili al concetto di terrorismo: manca, infatti, quell’elemento di pubblicità che è alla base dell’idea stessa di terrorismo nella sua accezione più elementare di “crimine rivolto a spargere terrore”. Non ci occupiamo, pertanto, di essi, né delle relazioni tra attività terroristica di destra e questo tipo di operazioni, che ci porterebbero fuori strada sull’analisi dei fenomeni di c.d. “terrorismo di Stato”.

4 C. ass. Bologna, sent. 9 gennaio 2021, Cavallini ed altri, p. 100, in Sist. pen., 12 gennaio 2021.

5 La suddivisione in fasi si rinviene in M. LAUDI, Terrorismo (dir. interno) (voce), in Enc. dir., vol. XLIV, 1992, §2, ma si veda anche la voce Brigate rosse, in Dizionario di Storia, treccani.it; per il parallelo tra le fasi in cui si sviluppa il terrorismo e l’attività della sinistra istituzionale, si veda invece L. STORTONI, Diritti dell’uomo ed emergenza, cit. pp. 31-39, nonché la suddivisione adottata da A. BARAVELLI, Per una storia della risposta penale al terrorismo

politico, un periodo di tolleranza, in cui l’azione tanto della politica quanto della magistratura è orientata ad una “democratizzazione” del diritto penale6. Nella seconda metà degli anni Settanta, però, cambia la strategia e le Brigate rosse iniziano la fase di vera e propria lotta allo Stato, che si protrae fino agli anni Ottanta; questa fase conosce il periodo di massima intensità nel biennio 1978-1980, inaugurato dal rapimento di Aldo Moro e dalla sua successiva uccisione, il 9 maggio 19787.

Dopo il 1974, cambia anche il tipo di risposta istituzionale: inizialmente, l’attività legislativa – oggi giudicata insufficiente8 – si concentra sull’estensione delle misure di prevenzione già previste per i mafiosi anche ai “sovversivi” e ai soggetti sospettati di partecipare ad attività di stampo neofascista, mediante l’introduzione di un “diritto speciale di polizia”9 (l. 22 maggio 1975, n. 152, c.d. legge Reale).

A partire dal 1978, dopo il processo di Torino al nucleo storico delle Brigate rosse, si incomincia ad intervenire anche con provvedimenti inerenti il diritto penale in senso stretto, inaugurando la stagione del c.d. “diritto penale politico eccezionale”10. La prima risposta, in reazione al sequestro di Aldo Moro, consiste nell’introduzione del reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione (art. 289-bis c.p., introdotto dall’art. 2, d.l. 21 marzo 1978, conv. con modificazioni l. 18 maggio 1978, n. 191); ma il cuore della legislazione emergenziale arriva con la disciplina della c.d. legge Cossiga (d.l. 15 dicembre 1979, conv. con modificazioni l. 6 febbraio 1980),

6 L. STORTONI, Diritti dell’uomo ed emergenza, cit., p. 31-32; A. PICCI, Terrorismo (profili

criminologici e giuridici), cit., p. 827.

7 M. LAUDI, Terrorismo (dir. interno), cit., §2.

8 A. BARAVELLI, Per una storia della risposta penale al terrorismo italiano, cit., pp. 76-77.

9 U. NAZZARO, Il diritto penale del nemico tra delitto di associazione politica e misure di contrasto al

terrorismo internazionale, Accademia Pontaniana, Napoli, 2016, p. 115

10 Ibidem; l’A. rinvia a L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, IX ed., Roma-Bari, LaTerza, 2008, p. 856, che usa la qualifica “speciale”; si è preferita la scelta terminologica di Nazzaro perché più aderente alla categoria dell’eccezione, su cui ci siamo soffermati nel cap. I, alla cui luce è opportuno analizzare la disciplina in questione.

che introduce un sistema articolato di strumenti specificamente volti alla repressione del fenomeno terroristico – prima fra tutti, l’introduzione dell’art. 270-bis nel codice penale – anche attraverso la creazione di istituti premiali, destinati a spezzare il vincolo tra appartenenti alle organizzazioni terroristiche. Proprio questi ultimi strumenti, poi, sono stati ulteriormente rafforzati e arricchiti da due successivi interventi normativi (l 29 maggio 1982, n. 304 e l. 18 febbraio 1987, n. 34), adottati in una fase in cui il fenomeno terroristico andava esaurendosi.

Con gli anni Ottanta, infatti, è maturata “l’evidenza del fallimento politico del terrorismo rosso”, che ha portato alla sua crisi e al superamento della lotta armata come mezzo di azione politica. Anche in seguito, infatti, si sono avuti episodi riconducibili all’azione di gruppi estremistici di sinistra, tanto negli anni Ottanta (omicidio Tarantelli, nel 1985 e Ruffilli nel 1988), quanto sul finire degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio (assassinio D’Antona nel 1999 e Biagi nel 2002, ad opera delle “nuove Brigate rosse”); tuttavia, la minaccia terroristica di stampo comunista non ha mai più assunto le dimensioni e la portata che ha avuto nel biennio 1978-198011.

Sull’influsso esercitato dal sistema di law enforcement nella sconfitta del terrorismo rosso ci riserviamo di tornare in conclusione al capitolo, quando proveremo a valutare la legittimità della disciplina predisposta al riguardo. Prima di passare ad analizzare tale disciplina, però, un’ultima nota: il terrorismo politico degli anni Settanta-Ottanta è stato un fenomeno non solo italiano, in quanto in vari Paesi europei e non solo si profilavano

11 Si veda nuovamente la voce Brigate rosse, in Dizionario di Storia, treccani.it; M. LAUDI,

Terrorismo (dir. interno), cit., §2, concorda riguardo all’esaurimento della minaccia terroristica

di sinistra con il finire degli anni Ottanta (“è certo che una fase del terrorismo rosso, quella più pericolosa […], può considerarsi, agli inizi degli anni Novanta, definitivamente chiusa”). Non altrettanto si poteva dire, all’epoca, del terrorismo neofascista: per ragioni tanto legate alla struttura e al modus operandi di tali organizzazioni estremistiche quanto per la minore determinazione della reazione istituzionale rispetto alla minaccia da esse rappresentata, infatti, ancora nel 1992 si poteva sostenere che esse conservassero “un potenziale assai alto di pericolosità per le istituzioni democratiche”.

minacce analoghe, legate all’area di estrema sinistra (Rote Armee Fraktion e

Revolutionäre Zellen nella Repubblica federale tedesca; Esercito rosso in

Giapponese; Weather Underground negli USA) o a movimenti nazionalisti indipendentisti, come l’ETA in Spagna e l’IRA in Irlanda. È noto che tra le varie organizzazioni siano intercorse varie forme di relazioni, sia nel senso della diffusione di idee comuni che tramite attività di cooperazione concreta12.

Il discorso è ancora più complesso e articolato per quanto riguarda il terrorismo nero, rispetto al quale è noto ormai da tempo l’inserimento della organizzazione denominata Gladio, di natura militare segreta, all’interno della più ampia struttura Stay behind, nel cui contesto si inserivano le operazioni delle singole organizzazioni nazionali operanti nei vari paesi atlantici13.

Nonostante la rilevante connessione internazionale tra le varie organizzazioni terroristiche ed eversive, però, queste sono state affrontate a livello nazionale, senza l’introduzione di forme di cooperazione ulteriori rispetto ai classici strumenti del diritto internazionale. Inoltre, l’Italia è stata tra i primi paesi ad introdurre istituti specificamente volti al contrasto del terrorismo, e questo ha comportato l’impossibilità, tanto per il legislatore

12 A. SPATARO, Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. 38, fa riferimento a documenti – ritrovati nel covo di brigatisti italiani – frutto di apprendimento in un campo di addestramento dell’ETA collocato nel sud della Francia.

13 Si veda la voce Strategia della tensione, in Dizionario di storia, treccani.it; si veda anche la dettagliata ricostruzione del contesto storico operata in C. ass. Bologna, sent. 9 gennaio 2021,

Cavallini ed altri, p. 99-131, in Sist. pen., 12 gennaio 2021; in particolare, a pp. 129-130, i giudici

bolognesi affermano che “il contesto degli “anni di piombo” può essere quindi raffigurato secondo uno schema geometrico costituito da tre cerchi concentrici”, di cui il minore era costituito dall’attività ideativa e organizzative delle cellule; quello intermedio comprendeva “l’attività e il modo globale dell’eversione di stampo terroristico” e, infine, “il terzo cerchio, quello più esterno, si identifica nella cornice piduista, intimamente integrata in una prospettiva politica atlantista”. In numerosi altri passaggi della sentenza, poi, vengono dettagliatamente descritti i rapporti tra la galassia eversiva di destra e varie organizzazioni internazionali, statali e non.

quanto per gli operatori, di confrontarsi con esperienze analoghe di paesi esteri14.