concorre anche il marcato arcaismo della mise en page dell’edizione del 1525, nella
quale i caratteri inchiostrati si fanno tarli che rosicano le pagine. Che nell’anno di
pubblicazione delle Prose bembiane potesse comparire un prodotto così attardato dal
punto di vista linguistico e ortografico, simile più a un incunabolo che a quanto veni-
va stampato in quegli anni, è fatto difficilmente giustificabile per il Doni. Le premure
di ordine filologico che stanno alla base dell’operato del Gualteruzzi non contano e,
in ogni caso, non contribuiscono a spiegare la sciatteria di queste novelle così poco
66 Vd. in proposito le convincenti osservazioni di C
ARRARA 2005, pp. 79-86. Sul fronte più pret- tamente doniano, oltre al recente contributo di BONAZZI 2007b, cfr. le valide e ancor oggi rilevanti os- servazioni di MASI 1998, pp. 968-973, che correttamente avvicina il Doni alle teorie vasariane all’interno della più ampia disputa (e soppesazione) tra antichi e moderni.
67 Aspetto sottolineato anche da Q
UONDAM 1983, nota 22 p. 625: «Il tema della memoria affidata al marmo, al metallo e alla carta, costituisce uno dei τόποι di più intensa connotazione classicistica, un segno forte – e diffusissimo – del suo rapporto con il tempo e la storia». Poco oltre, nota 24 p. 626, lo stesso studioso sottolinea come il libro tipografico «assicuri un indice di sopravvivenza straordinaria- mente più alto [...] rispetto a quello del manoscritto», a riprova della coscienza dell’avvenuta frattura nella civiltà umanistica con l’introduzione del libro a stampa. Ma si osservi, più in generale, come il topos della durata delle opere letterarie affrontato in ambe le pagine sia di lunghissima durata, e come parta almeno da Petrarca.
68 Su tale edizione (Novellino 1525) si vedano G
UIDO BIAGI, Introduzione. Storia esterna del testo del Novellino, in Novelle antiche 1880, pp. VII-CCVI, specie pp. CXXXVII-CLIV (e XVII-XIX per il passo doniano in esame), la telegrafica scheda del curatore ALBERTO CONTE in Novellino 2001, specie pp. 267-268 e quella, più ampia, di S[ERENA]F[ORNASIERO] per Vincenzio Borghini 2002, scheda 5.3.1 pp. 193-195. Cfr. anche infra, capitolo IV.II.3.
attraenti: quasi che, per queste ragioni e per una spiccata, e non occultabile arretra-
tezza culturale, la raccolta – e con essa altre opere affini – fosse in certa misura cor-
responsabile del proprio oblio.
69Il che, ovviamente, non è un bene secondo i parame-
tri di un ‘oggidiano’ come il Doni. Dalle Librarie e da altre opere traspare la viva co-
scienza di godere di un grande privilegio, quello di vivere in uno dei momenti più fe-
lici della storia, nel quale si è finalmente raggiunto il culmine delle conoscenze e del-
le tecniche; di appartenere, detto con altre parole, alla modernità, a un momento e a
un luogo centrale del mondo letterario ed editoriale.
70Vi si legge del resto, e a più
riprese, la coscienza di aver realizzato «un sol libro, nuovo volume del nome de
gl’autori della nostra lingua» (A, c. 18v), che funge da canone della lingua volgare
cinquecentesca. Alle spalle di tale attitudine vi è, naturalmente, un sentimento condi-
viso da numerosi altri uomini di lettere di quegli anni, di cui si trova esplicita men-
zione, tra le molte altre, nelle pagine di un testo cardine della cultura cinquecentesca,
le già citate Vite del Vasari: nel Proemio della terza parte si afferma esplicitamente
che l’epoca moderna ha raggiunto la «somma perfezzione» nelle arti, e ha portato a
maturazione pressoché completa i semi deposti dagli artisti delle età precedenti.
7169 Sembra inseribile in questa medesima linea anche la breve scheda dedicata a un ‘minore’ come
«FEDERIGO FULIGNO», ovvero a Federico Frezzi, autore del Quadriregio: «E’ ci sarebbe de’ libri che havrebbono bisogno di luce, libri che sono dispersi, alcuni che son goffi, altri che non si trovono, mol- ti che non son degni d’esser nominati; mi sa male ora che, vedendone un solo in una canonica, non potei a pena legger questo titolo. Il quadriregio in terza rima» (A, c. 20v, B, c. 21r, T, p. 49, pari a DONI 1972, p. 106). A quanto pare, la laconicità del Doni è dovuta sì a una sostanziale carenza di in- formazioni sull’uomo e sull’opera, ma anche a una irrimediabile periferia delle edizioni di questo te- sto, di fattura legata, anche in questo caso, agli standard tipografici del primo Cinquecento. Su questo versante, in mancanza di uno studio bibliografico aggiornato, rimando alle osservazioni sparse di FI- LIPPINI 1906-1908, di ROTONDI 1917, e di CORBO 1985: i tre studi sono sostanzialmente concordi nel segnalare la povertà e la scorrettezza delle edizioni del poema frezziano; unica eccezione, e di rilievo, è l’edizione studiata da VAN DER SMAN 1989.
70 Numerosi altri luoghi doniani sono allegabili in proposito; significativa, per quel che riguarda il
versante delle arti, è la lettera a Gasparo Romanelli posta in apertura al commento doniano al Bur- chiello edito nel 1553: «Magnifico messer Gasparo, la nostra età è di quelle rare che sieno state mai vedute, e pare all’opere che si veggano che la tenga il principato. La Pittura, per la virtù di molti spirti rari, ha posto l’insegna nella più alta rocca che la ponesse mai verbi gratia Raffael da Urbino, Andrea del Sarto e mille altri, e a’ nostri giorni Michelagnolo, Titiano e infiniti stupori della Natura; e la Scol- tura similmente per Michelagnolo è salita al cielo, e per Giovanni Agnolo [da Montorsoli, n.d.r.]. Veggasi l’opere, e giudichisi. Chi passò mai Benvenuto [Cellini, n.d.r.] della sua professione? Chi ar- riva all’architetture del Buonarruoti? Nascerà egli mai un altro Lion d’Arezzo [Leoni, n.d.r.]? Ma pas- siamo la parte (di questi intelletti divini) della scoltura, pittura e disegno: venitevene alle lettere. I teo- logi moderni sono stupendissimi, i legisti e i medici; il Friggimelica fa lume a tutta la nostra età; e brevemente, il mio signore, insino a i giovani d’anni più tosto acerbi che altrimenti fanno quelle prove nelle virtù che solevano i ben maturi huomini già fare, e più [...]» (BURCHIELLO -DONI 1553, p. 10, ora accessibile anche in BURCHIELLO -DONI 2013, pp. 9-10). Sulla stessa scia, si tenga a mente anche un più noto passo dei Marmi, contenuto nel dialogo tra Academici Peregrini e Fiorentini e l’Aurora michelangiolesca in apertura della terza parte: vd. DONI 1928, II, pp. 15-28, specie pp. 22-24.
71 «Veramente grande augumento fecero nelle arti, nella architettura, pittura e scultura quelli eccel-
lenti maestri che noi abbiamo descritti sin qui, nella seconda parte delle Vite, aggiugnendo alle cose de’ primi regola, ordine, misura, disegno e materia, se non in tutto perfettamente, tanto almanco vicino al vero, che i terzi di chi noi ragioneremo da qui avanti, poterono mediante quel lume sollevarsi e con- dursi a la somma perfezzione, dove abbiam le cose moderne di maggior pregio e più celebrate»: così