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Un «giardino» per «gl’autori della nostra lingua». Le Librarie di Anton Francesco Doni

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Academic year: 2021

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(1)

Scuola Normale Superiore

Classe di Lettere e filosofia

Tesi di perfezionamento

in Discipline filologiche e linguistiche moderne

Un «giardino» per «gl’autori della nostra lingua».

Le Librarie di Anton Francesco Doni

Relatore: ch.ma prof.ssa Lina Bolzoni

Candidato: Carlo Alberto Girotto

(2)
(3)

INDICE

Indice

p. 3

Ringraziamenti

p. 7

Sigle adottate e avvertenze editoriali

p. 9

INTRODUZIONE

p. 11

0.

I

. Preliminari: una prima giustificazione

p. 11

0.

II

. Ulteriori giustificazioni e una prima rassegna bibliografica

p. 16

0.

III

. Cosa sono dunque le «Librarie»? Prime ipotesi di lavoro

p. 24

0.

IV

. La storia, il testo, il contesto editoriale veneziano

p. 31

CAPITOLO

I. Profilo delle edizioni delle «Librarie»: caratteristiche,

evolu-zione diacronica, documentaevolu-zione inedita, esercizi di bibliografia

te-stuale

p. 41

I.

I

. Le «Librarie» del Doni: un profilo ‘esterno’ delle edizioni

cinquecen-tesche

p. 41

I.

I

.1. La «Libraria» nella prima edizione giolitina (A)

p. 41

I.

I

.2. La «Libraria» nella seconda edizione giolitina (B)

p. 56

I.

I

.3. La «Seconda libraria» edita dal Marcolini (C)

p. 64

I.

I

.4. La seconda edizione della «Seconda libraria» (D)

p. 70

I.

I

.5. L’edizione giolitina del 1557-1558 (T)

p. 72

I.

I

.6. L’edizione espurgata del 1580 (S)

p. 78

I.

II

. Percorsi paralleli e vicoli chiusi

p. 85

I.

II

.1. Qualche pista di indagine

p. 85

I.

II

.2. Una lettera inedita del Doni a Baccio Bandinelli, e

conseguen-ze sulle «Librarie»

p. 86

I.

II

.3. Interessi otto- e novecenteschi per le «Librarie», e un’edizione

mancata

p. 109

I.

III

. Esercizi di bibliografia testuale

p. 111

I.

III

.1. Opportunità di scandagli bibliografici

p. 111

I.

III

.2. Le due edizioni giolitine A e B

p. 111

I.

III

.3. Un caso eclatante in C

p. 113

I.

III

.4. La riemissione nel 1577 di C e le varianti di data in T

p. 116

CAPITOLO

II. Il genere (bio)bibliografico e le «Librarie» doniane: debiti,

crediti, novità

p. 119

(4)

II.

I

.1.

Al crocevia

p. 119

II.

I

.2.

Biografia e bibliografia

p. 126

II.

I

.3. Conrad Gesner e la sua «Bibliotheca universalis»

p. 130

II.

I

.4. Verso le prime storie letterarie italiane

p. 135

II.

I

.5. Inventari e cataloghi librari

p. 141

II.

II

.

Il Doni bibliografo?

p. 148

II.

II

.1. Criteri e propositi

p. 148

II.

II

.2. «Tutti i libri stampati vulgari»

p. 153

II.

II

.3. Libri veri e inventati, bibliografie reali e fittizie

p. 160

II.

II

.4. Un modello per il futuro?

p. 166

CAPITOLO

III. Riflessi biografici e letterari: specole per la vicenda

intellet-tuale di Anton Francesco Doni

p. 177

III.

I

. Le «Librarie», ovvero quasi un decennio di biografia doniana

p.

177

III.

I

.1. Fratelli coltelli

p. 177

III.

I

.2. Lodovico Domenichi

p. 180

III.

I

.3. Pietro Aretino

p. 198

III.

I

.4. Due convitati di pietra

p. 208

III.

II

. Il mulino delle scritture: paratesti, reimpieghi, contesti

p. 214

III.

II

.1.

Giustificazioni per le riscritture

p. 214

III.

II

.2. Il sistema delle dediche e la rete amicale

p. 217

III.

II

.3. Le dediche di reimpiego

p. 228

III.

II

.4. Altri riusi e altri reimpieghi testuali

p. 260

III.

III

. Trame e orditi: lettura sintomatica delle «Librarie»

p. 275

III.

III

.1.

Amicizie e accademie, presenze e assenze: alla base del

ca-none

p. 275

III.

III

.2. Canone e canoni, militanza e disimpegno

p. 290

III.

III

.3. «Darò di penna alle mie opere»: l’autobibliografia del Doni

p. 300

III.

III

.4. La maschera accademica

p. 305

CAPITOLO

IV. Novelle e altre forme narrative brevi nelle «Librarie»:

fortu-na, storia e geografie

p. 319

IV.

I

.

Storia (e fortuna) del Doni novellista nelle «Librarie»

p. 319

IV.

I

.1.

Alla ricerca delle novelle doniane

p. 319

IV.

I

.2. Le sillogi a stampa: dal Poggiali al Gamba (con escursioni

fi-no al 1853)

p. 323

IV.

I

.3. La raccolta curata da Salvatore Bongi (1852) e altre raccolte

ottocentesche

p. 330

IV.

I

.4. Dalla silloge Petraglione agli studi più recenti

p. 333

IV.

II

. Le narrazioni brevi tra «Prima» e «Seconda libraria»

p. 338

IV.

II

.1.

Forme e statuti plurimi della novella

p. 338

IV.

II

.2. Cinque novelle apparentemente ‘nuove’

p. 341

IV.

II

.3. Recuperi novellistici propri e altrui: dal secondo libro delle

«Lettere»

p. 348

IV.

II

.4. Altri recuperi novellistici: dalle «Prose antiche»

p. 359

IV.

II

.5. Il picchio del Pulci e le «mutazioni» dell’arcidiavolo

Belfa-gor

p. 366

IV.

II

.6. Altri serbatoî narrativi: i «Detti piacevoli» e gli

«Apoftem-mi» erasmiani

p. 382

(5)

CAPITOLO

V. Nel ‘giardino’ delle «Librarie»

p. 399

V.0. Preliminari

p. 399

V.

I

. Proposte di identificazioni (A)

p. 402

V.

I

.1. Lettura e identificazione della parte prima, cc. 4v-43v

p. 402

V.

I

.2. Lettura e identificazione della parte seconda (traduzioni), cc.

44r-46v

p. 439

V.

I

.3. Lettura e identificazione della parte terza (umanità e belles

let-tres), cc. 47r-49r

p. 460

V.

I

.4. Lettura e identificazione della parte quarta («opere racolte

in-sieme tradotte»), cc. 49v-51r

p. 487

V.

I

.5. Lettura e identificazione della parte quinta (tavola generale),

cc. 51v-62r

p. 499

V.

I

.6. Lettura e identificazione della parte quinta, appendice (libri di

ricami), c. 62v

p. 573

V.

I

.7. Lettura e identificazione della parte sesta (libri per musica), cc.

63r-66v

p. 578

V.

II

. Le successive edizioni B e T: modifiche e aggiornamenti

p. 596

V.

II

.0. Preliminari

p. 596

V.

II

.1. Le aggiunte e gli interventi di B

p. 596

V.

II

.2. Le aggiunte e gli interventi di T

p. 612

V.

III

. Titoli veri, finti, falsi: lettura desultoria della «Seconda libraria»

(C, D e T, secondo trattato)

p. 634

V.

III

.1. Scartafacci e invenzioni

p. 634

V.

III

.2. «I cicalatori che io ho veduto a penna»

p. 636

V.

IV

.3. Sul crinale tra vero e falso: il «Rinaldo ardito», presunto

poema ariostesco (e qualche coda)

p. 644

V.

IV

.4. Ancora su bibliografie d’invenzione, allusività e canoni

pa-ralleli

p. 656

CAPITOLO

VI. Le «Librarie» dei lettori: censura, postillatori, pratiche di

let-tura

p. 661

VI.

I

. Fortuna delle «Librarie» tra Cinque e Seicento

p. 661

VI.

I

.1. Schegge di lettura

p. 661

VI.

I

.2. Dalla prima «Libraria» all’Indice dei libri proibiti?

p. 663

VI.

I

.3. Ancora sull’edizione Salicato della «Libraria»

p. 666

VI.

II

. Le «Librarie» dei lettori

p. 675

VI.

II

.1. Esemplari postillati delle «Librarie»

p. 675

VI.

II

.1. Schede per una mappa: usi e letture delle «Librarie»

p. 678

VI.

II

.3. Aggiornare e integrare le «Librarie»

p. 686

IN GUISA DI CONCLUSIONE

p. 715

APPENDICI

p. 717

Appendice prima. Descrizioni bibliografiche

p. 719

Appendice seconda. Documentazione edita, rara e inedita

p. 765

(6)

Appendice quarta. Tavole comparative per l’evoluzione della prima

«Li-braria»

p. 793

REGESTO BIBLIOGRAFICO

p. 823

FIGURE

p. 917

INDICI

Indice dei manoscritti

p. 963

Indice dei possessori degli esemplari delle «Librarie»

p. 965

Indice delle figure

p. 967

(7)

RINGRAZIAMENTI

In limine, vorrei esprimere un ringraziamento verso quanti hanno contribuito con suggerimenti e consigli al

(lento) progredire di questa tesi: ricordo qui Simonetta Adorni Braccesi, Ilaria Andreoli, Alessandro Benassi, Monica Berté, Andrea Bocchi, Danielle Boillet, Fabrizio Bondi, †Giovanna Bosco, Ida Caiazza, Chiara Cal-legari, Eliana Carrara, Clizia Carminati, Chiara Cassiani, Nicola Catelli, Marco Cavarzere, Paola Cosentino, Giuseppe Crimi, Luca D’Onghia, Maria Cristina Figorilli, Chiara Frugoni, Enrico Garavelli, Shanti Graheli, Matteo Lefèvre, Cristiano Lorenzi, Salvatore Lo Re, Monica Lupetti, Paolo Marini, Serena Pezzini, Federica Pich, Jacomien Prins, Paolo Procaccioli, Claudia Quaranta, Matteo Residori, Emilio Russo, Anna Siekiera, Claudia Tarallo, Andrea Torre, Martyna Urbaniak, Roberto Valandro. Ho avuto proficui scambi di opinione con Giordano Castellani, che sta curando una nuova edizione moderna delle Librarie in servizio della Fonda-zione Pietro Bembo: a lui va la mia riconoscenza per il cordiale scambio di idee. Ancora una volta, mi occor-re esplicitaoccor-re il debito, gradito come pochi, che intrattengo con Elizabeth Cropper e con Charles Dempsey, cui devo occasioni che spero di non aver sprecato.

Un ricordo particolare, in apertura di queste pagine che più di altre sanno di libri, va alle biblioteche che conservano gli esemplari e le edizioni che ho avuto modo di esaminare nel corso del tempo. È difficile dire quanto l’abnegazione e la cortesia del personale di questi istituti abbia contribuito alla compilazione di queste pagine; è molto più facile, per contro, osservare come le ferite imposte dall’inciviltà degli ultimi anni minac-cino questi luoghi. Ricordo dunque con gratitudine il personale della Biblioteca civica ‘Angelo Mai’ di Ber-gamo, della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, della Biblioteca Apostolica Vaticana presso la Città del Vaticano, della Biblioteca Nazionale Centrale e della Biblioteca Marucelliana di Firenze, della Nationabiliotheket (National Library of Finland) di Helsinki, della Biblioteca Statale di Lucca, della Bibliote-ca AngeliBibliote-ca e della BiblioteBibliote-ca Nazionale Centrale di Roma, della Folger Shakespeare Library di Washington, D.C. Devo viva riconoscenza al personale della Biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa, roccaforte che è stata la base di partenza e di arrivo di molte indagini; aggiungo la Bibliothèque Nationale de France, la Bibliothèque Mazarine e soprattutto la mirabile Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi, che hanno messo a dispo-sizione una straordinaria messe di documenti, talora irreperibili in Italia. Ringrazio di vivo cuore anche Jean-Christophe Gero ed Eva Rothkirch (Staatsbibliothek di Berlino), Claudia Giobbio (Biblioteca Angelica di Roma), Mika Hakkarainen (Nationalbiliotheket di Helsinki), Marina Litrico (Archivio Storico Civico e Bi-blioteca Trivulziana, Milano), Mariella Magliani (BiBi-blioteca Civica di Padova), Anne Meyers DeVine (Har-grett Rare Book and Manuscript Library, University of Georgia, Athens, USA), Nicoletta Rivolta (Museo del Risorgimento, Milano), Flaviano Rossetto (Biblioteca comunale di Monselice) e Helga Tichy (Bayerische Staatsbibliothek, München), che hanno prontamente risposto ad alcuni miei quesiti bibliografici. Rivolgo dunque un vivo e anzi doveroso ringraziamento a quanti lavorano quotidianamente in biblioteche e archivi per preservare la memoria di quello che siamo stati, nella speranza, e ciò vale soprattutto per gli istituti italia-ni, che vengano tempi migliori.

A tal proposito, una volta di più, rivolgo un pensiero di particolare vicinanza alla Biblioteca Universitaria di Pisa e al suo personale tutto: posso dire che in questo istituto, oggi dimidiato delle sue facoltà, è nato l’embrione di queste pagine, ed ad esso sono legato anche per quella che, dal 29 maggio 2012 in poi, qualcu-no potrebbe chiamare una tendenziosa partigianeria. Quale che sia l’esito della grottesca – se qualcu-non addirittura ridicola – chiusura del Palazzo della Sapienza, l’auspicio è che nessun volume di quella Biblioteca vada ‘per-so’ per strada e che tutto rimanga per chi, in futuro, vorrà consultare quel ricco patrimonio. Anzi, che molte delle opere citate dal Doni nelle sue Librarie siano conservate proprio nella Biblioteca Universitaria di Pisa significa, almeno per chi scrive, che la realtà delle biblioteche non coincide con il famigerato «peso dei libri» di cui qualcuno, con scarsa lungimiranza o con sottile mistificazione, ha parlato nei mesi scorsi. L’augurio, sentito come pochi, è di poter tornare a sfogliare quei volumi, in un giorno che spero non lontano.

Ricordo anche quanti mi sono stati vicini nella stesura di queste pagine: Michele Bagno, Marta Borgo, Federica Caneparo, Mariella e Jean-Noël Colin, Jacqueline Colin, Laura De Fuccia, Luisa Giari Sich, Davide Gobbo, Liliana Grassi, Alexandra Hoare, Marie Lezowski, Julie Mainka, Giulia Manasse, Jessica N. Richard-son, Enrico Tatasciore, Stefano Ugolini. Sono grato a Giovanni Parenzan, ai suoi conversari e alle sue do-mande. A loro aggiungo mia madre, mio nonno Carmelo e mia sorella Valentina; ricordo anche la memoria di mio padre Paolo, multifariam multisque modis.

(8)
(9)

SIGLE ADOTTATE E AVVERTENZE EDITORIALI

In alcuni luoghi ritroverai alhora quando significa ‘tunc’ scritto con l’apostrafo: in questo modo all’hora legge

alhora, et alcun altre simil minutie le quali si lassano al

giuditio incorrotto del prudente lettore, ricordandogli il vulgato proverbio: «Non omnia possumus omnes», over, secondo l’autorità della Scrittura, «In multi deficimus omnes»; perché in vero, per quanto conosco, sarebbe ne-cessario che i correttori delle stampe havessero gli occhi d’Argo.

SCHÖNER 1554, cc. LLL3v

Nel corpo del presente contributo, si farà ricorso alle seguenti sigle per riferirsi alle edizioni cinquecentesche del-le Librarie doniane:

A ANTON FRANCESCO DONI, La libraria, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1550

B ANTON FRANCESCO DONI, La libraria, [seconda ed.], Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1550

C ANTON FRANCESCO DONI, La seconda libraria, Venezia, [Francesco Marcolini], 1551

D ANTON FRANCESCO DONI, La seconda libraria, Venezia, [Francesco Marcolini], 1555

T ANTON FRANCESCO DONI, La libraria, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1557-1558

S ANTON FRANCESCO DONI, La libraria, Venezia, Altobello Salicato, 1580

Salvo esplicita menzione, nel citare da manoscritti e da testi documentari ricorro a criteri di moderato ammoder-namento: distinguo u da v, sciolgo le abbreviazioni tra parentesi tonde, piego sull’uso odierno l’uso di maiuscole e di maiuscole e della punteggiatura; mantengo invece scrizioni come ti / tti per zi / zzi. Le integrazioni su lacuna sono segnalate tra parentesi uncinate (‹ ›), mentre le mende materiali non sanabili sono segnalate tra parentesi quadrate con tre puntini di sospensione ([...]). I rari casi di lacune che creano problemi testuali sono indicate con le consuete cruces (†...†). Eventuali peculiarità sono segnalate da un ‘sic’ posto tra parentesi quadre. In linea con quanto prescritto da Arrigo Castellani, la seconda persona singolare del presente del verso ‘essere’ è trascritta con

sè (cfr. CASTELLANI 2009a). Ove necessario, ogni trascrizione è seguita da un ridotto apparato, al quale è delegata la notizia delle scelte editoriali operate. Ogni esplicitazione da parte di chi scrive è segnalata con un ‘n.d.r.’.

Criteri analoghi sono stati seguiti nel citare da testi disponibili solamente in edizioni antiche, con l’unica dif-ferenza che, in tal caso, si è provveduto al tacito scioglimento delle eventuali abbreviazioni. Criteri editoriali par-ticolari, sostanzialmente più conservativi, sono stati impiegati per i testi editi nell’Appendice prima e nell’Appendice seconda: rimando senz’altro alle brevi note introduttive poste come introibo alle due singole se-zioni per ulteriori chiarimenti.

Per quel che riguarda il testo delle edizioni del Doni, qualora ci si riferisca a edizioni antiche, seguo i criteri editoriali appena enunciati, con eventuali rimandi alle edizioni recenti attualmente disponibili. Più in particolare, per quel che riguarda le Librarie doniane, il testo tratto dalle edizioni cinquecentesche è sempre seguìto da un rimando all’edizione curata da Vanni Bramanti (DONI 1972); quando esso si sia rivelato necessario, un apparato testuale positivo dà conto delle varianti esistenti tra le singole edizioni, ricorrendo alle sigle testé enunciate.

In caso di trascrizioni diplomatiche, per lo più derivate da edizioni cinquecentesche, le porzioni testuali sono segnalate tra virgolette a caporale, con scrupolosa trascrizione dei testi. Una barra verticale indica un a-capo; due barre verticali separate da uno spazio indicano un intervallo senza caratteri tipografici pari o superiore a un cen-timetro.

(10)
(11)

INTRODUZIONE

«Togli del legno, e fanne uno tu»

GIORGIO VASARI, [Vita di] Filippo Brunelleschi

0.

I

. Preliminari: una prima giustificazione

La presente introduzione si apre con un’osservazione, per così dire, di servizio:

sem-bra opportuno cioè presentare i motivi che hanno spinto ad affrontare in questa sede

l’opera che, tra gli studiosi del pieno Cinquecento e più in particolare di Anton

Fran-cesco Doni, passa sotto nome di Libraria o, più correttamente, di Librarie, e in certa

misura fornire una prima giustificazione a questo stesso lavoro, che non presenta una

nuova edizione del testo ma che si propone di verificare quanto, a vario titolo, ruota

attorno ad esso.

Sembra corretto iniziare, anzitutto, con una constatazione di base: che cioè

un’indagine quale quella che qui si vuol presentare si spiega, oggi, in virtù dei

nume-rosi contributi che sul Doni sono stati pubblicati nell’ultimo quarto di secolo, a

parti-re dalla fondamentale e ancora insostituita indagine bibliografica di Cecilia Ricottini

Marsili-Libelli, pubblicata per Sansoni nel 1960. Forti di tale contributo, si sono

ori-ginati negli anni numerosi altri studi, soprattutto nel panorama dedicato al

Rinasci-mento in ambito italiano, cui va di pari passo la pubblicazione antologica di alcuni

suoi scritti entro importanti collane di classici letterari, quali quelle della UTET di

Torino e della Ricciardi di Raffaele Mattioli.

1

Animate da intenti e da metodi

1 Oltre a R

ICOTTINI MARSILI LIBELLI 1960, ricordo qui la parte doniana edita in ARETINO -DONI 1966, pp. 377-609 (questa edizione, curata da Giuseppe Guido Ferrero, era stata pubblicata origina-riamente nel 1962, per i tipi della medesima casa editrice: cfr. ARETINO -DONI 1962, pp. 375-609) e quella reperibile in ARETINO -DONI 1976, pp. 569-984, a cura di Carlo Cordié, con porzioni testuali derivate dalla Zucca (pp. 597-674), dalla Moral filosofia (pp. 675-686), dai Marmi (pp. 687-926) e dai Mondi (pp. 927-971). Da menzionare anche, per generosità di approccio, gli excerpta editi in B AROC-CHI 1971-1977, I, pp. 554-591 (brani dal Disegno); II, pp. 1196-1197 e 1905-1910 (due brani ricavati dalle Lettere); III, pp. 2469-2481, 2785-2792, 2892-2903, 3162-3176 e 3321-3357 (brani rispettiva-mente dalle Pitture, dalla Nuova opinione sopra le imprese amorose e militari, dai Mondi e dalle Vil-le). La prima silloge fu edita nella collana dei ‘Classici italiani’ di UTET, mentre la seconda e la terza comparvero tra i volumi della prestigiosa collana ‘Letteratura italiana’ di Ricciardi.

(12)

renti, tali pubblicazioni ebbero in ogni caso il merito di re-immettere in circolazione

gli scritti doniani, permettendo, se non una lettura organica, per lo meno una nuova

riflessione su di essi. Non è dunque un caso che, a partire dagli anni Settanta del

se-colo scorso, le entrate bibliografiche dedicate al Doni siano aumentate sensibilmente,

con apporti degni in molti casi di adeguato rilievo.

2

Accanto alla riedizione antologica degli scritti del Fiorentino, due iniziative

edito-riali di questo medesimo periodo meritano almeno un cenno: la prima è la riproposta

in anastatica del Disegno doniano, per cura e con una valida introduzione di Mario

Pepe,

3

mentre la seconda è l’edizione della Libraria – questo il titolo, al singolare,

sul frontespizio – pubblicata da Vanni Bramanti per i tipi di Longanesi.

4

Se la prima

ha avuto il merito di portare congrua attenzione sul fronte, spesso trascurato, del

ruo-lo del Doni nel quadro della scrittura d’arte del pieno Cinquecento, la seconda

edi-zione – di cui si dirà anche in seguito – ha reso accessibile a un vasto pubblico un

te-sto apparentemente paradossale, che tuttavia, come si cercherà di mostrare, si rivela

di qualche peso per rileggere una larga stagione del pieno Rinascimento italiano.

Tale maggiore disponibilità di testi del Doni va di pari passo a una parabola

ascendente della sua fortuna critica. A ciò hanno contribuito in maniera decisiva gli

2 Mi limiterò a citare in questa sede, pur all’interno di ottiche e di interessi differenti, gli studi di

OSSOLA 1971, specie pp. 188-189 e 269-270, e di SCARPA 1979, assieme al contributo di DELFINO 1979, nato a margine della citata antologia curata da Carlo Cordiè. Una menzione particolare meritano anche i contributi del Cordié testé citato, legati alla sua attività di antologizzatore per Ricciardi cui già si è fatto cenno poco sopra: vd. CORDIÉ 1970a, CORDIÉ 1970b e CORDIÉ 1970c.

3 Cfr. D

ONI 1970; lo studioso aveva pubblicato qualche anno prima un breve contributo in rivista, centrato su di una presunta opera perduta del Doni di cui si avrebbe notizia dal Disegno (PEPE 1966; ma su questo saggio cfr. anche le note di MASI 2008, p. 4 nota 6). In anni più recenti, a ribadire la fe-deltà verso il Doni teorico d’arte, lo stesso studioso ha letto il medesimo Disegno doniano su di una prospettiva diacronica: cfr. lo studio, di rado intercettato dalla critica, di PEPE 1998, centrato sulla Di-ceria a Giovann’Angelo da Montorsoli che compare al termine delle Lettere doniane del 1547, sorta di preludio al Disegno giolitino. Occorrerebbe anzi una più puntuale messa a punto su tempi e occasioni di composizione di quest’ultimo scritto, a partire da una di carattere storico, se cioè ad esso vada rap-portato il dialogo «de delineatione» che qualche anno fa è stato segnalato come prima voce – ad oggi mai confermata – della bibliografia doniana, in una stampa genovese che risalirebbe addirittura al 1541: cfr. in merito CARTAREGIA 1998, scheda 23 p. 26, ove – sulla scia della Biographie universelle des musiciens di F.J. Fétis e un successivo ingresso di N. Giuliani – si registra, appunto, un’opera dal titolo di Dialoghi tre: uno della fortuna e infelicità di Cesare, altro de delineatione, terzo della musi-ca, stampata a quanto pare da Antonio Bellone nel 1541 e di cui tuttavia, come osserva anche A RMEL-LINI 2012, p. 331 e nota 2, non sono noti esemplari. Per l’intanto, in attesa di ulteriori scavi, sul Dise-gno si veda CARRARA 2005, pp. 79-83.

4 Alludo a D

ONI 1972, sulla quale edizione è utile la pur breve recensione di SCRIVANO 1973. Lo studioso aveva già indagato alcuni aspetti della prosa doniana qualche anno prima, riportando all’attenzione degli studiosi una versione prima non nota degli Humori: cfr. BRAMANTI 1970. Non è trascurabile, in questa vivace ripresa degli studi sul Doni, la pioneristica riproposizione per opera di Alessandra del Fante degli Spiriti folletti e dei Numeri, due scritti ‘minori’ che illuminano in ogni caso interessi non secondari nella biografia intellettuale del Nostro: si vedano, rispettivamente, l’edizione fornita DEL FANTE 1976 e quella, con corredo di anastatica, edita in DONI 1981. Servirà ricordare, a riprova dell’interesse suscitato per la Libraria doniana, anche l’utile per quanto ineffabile ristampa anastatica dell’edizione Salicato (S) pubblicata per i tipi della casa editrice Arnaldo Forni nel 1979 (DONI 1979), nella quale peraltro non si indica su quale esemplare – che risulta per inciso mutilo, mancando le due cc. finali – si è avviata la riproduzione.

(13)

studi di Giorgio Masi: a partire da un pioneristico saggio del 1988, è stato possibile

rivedere la figura e l’opera del Fiorentino sotto una lente ad un tempo scevra da

pre-giudizi e meno sfuocata, in grado di dare adeguato risalto ai problemi connessi alla

sua variegata produzione letteraria. Successivamente a questo contributo, gli ulteriori

scandagli offerti da Masi hanno permesso di affrontare numerosi altri aspetti degli

scritti del Doni, prendendo in esame le diverse stagioni della sua biografia letteraria,

riflettendo sulle forme di autopromozione editoriale e indagando il ruolo delle

illu-strazioni all’interno delle sue edizioni.

5

Ai contributi di Masi si sono proficuamente

affiancate nel corso degli anni le indagini di altri studiosi, in particolare di Lina

Bol-zoni e di Paolo Cherchi, che hanno portato l’attenzione sui frequenti casi di

riscrittu-ra (nelle sue differenti declinazioni di plagio, acquisizione attiva di scritti altrui,

ap-proccio che si traduce in galante citazione) che coinvolgono a vario titolo testi

donia-ni, assieme ad altri contributi che hanno posto l’accento sul ruolo del Doni entro sedi

tipografiche nevralgiche del pieno Cinquecento.

6

Le recenti edizioni di opere

donia-ne, a partire dagli Humori e della Sentenze, dai Mondi e dagli Inferni, dalla Moral

fi-losofia e dalla Zucca (queste ultime edite entrambe nella prestigiosa collana dei

‘No-vellieri italiani’ di Salerno editrice), e delle Pitture e delle Nuove pitture,

7

hanno reso

disponibili numerosi testi di difficile accesso, bardati di un commento che riesce,

fi-nalmente, a chiarire alcuni nodi non irrilevanti – a partire da quelli linguistici – delle

testure del Doni.

La convenienza di uno sguardo nuovo sulla variegata produzione letteraria del

Doni sembra, del resto, trovare una ulteriore ragione d’essere alla luce dei pur

nume-rosi contributi comparsi a partire dal nuovo secolo: a quelli editi in rivista, in volumi

miscellanei e in atti di convegni, e alle monografie sul Doni,

8

si dovrà aggiungere un

5

Cfr. in proposito lo studio di MASI 1988, capitale su più fronti, cui si possono aggiungere, oltre a quelli che si citeranno infra, i saggi di MASI 1989, MASI 1990, MASI 1997 e MASI 1999b.

6 Fermando per ora la rassegna alla soglia della fine del secolo scorso e tralasciando le numerose

questioni sottese a tali studi, mi limito a ricordare qui i contributi di CHERCHI 1987, BOLZONI 1995, pp. 203-209, CHERCHI 1995, CHERCHI 1998, specie pp. 143-165. Sul fronte editoriale, sono importanti le note di QUONDAM 1980, specialmente pp. 99-104, e diQUONDAM 1983, pp. 622-631, mentre su quello storico-artistico si veda anche la nota di CARLONI -GRASSO 1992.Raggiunge risultati che sem-brano più modesti la monografia, espressamente centrata sul Doni, di CANDELA 1993, che ricorre a griglie interpretative non sempre stringenti, a partire da quella – fin troppo ospitale – di ‘manierismo’ come sinonimo di condizione esistenziale.

7 Si vedano, in ordine, le edizioni degli Humori e delle Sentenze per cura rispettiva di Vincenza

Gi-ri e di Giorgio Masi (DONI 1988); il dittico Mondi-Inferni per cura di Patrizia Pellizzari (DONI 1994; ma, come è noto, dei soli Inferni è disponibile anche l’edizione curata da Francesco Sberlati per i tipi della Commissione dei testi di lingua di Bologna: DONI 1998a); i Moral filosofia e della Zucca edite rispettivamente da Patrizia Pellizzari e da Elena Pierazzo (DONI 2002 e DONI 2003a); le Pitture e le Nuove pitture, entrambe a cura di Sonia Maffei (DONI 2004b e DONI 2006).

8

Mi limito qui a ricordare il contributo di RIVOLETTI 2003, che prende in esame la tematica del tem-po nelle opere del Nostro, cui si può aggiungere anche il volume di RIZZARELLI 2007; importanti anche le pagine dedicate al Doni nei contributi di Maria Cristina Figorilli (vd. in particolare FIGORILLI 2008,

(14)

fondamentale volume del 2008, curato da Giorgio Masi, che contiene gli atti di un

seminario tenutosi a Pisa nel 2002 e interamente dedicato al Doni.

9

Al contempo

ideale esito di questa rinnovata stagione di ricerche e punto di partenza per nuove

in-dagini, il fondamentale volume ha permesso di verificare la vivacità e la rilevanza

delle pagine del Doni nel campo della letteratura cinquecentesca, proponendo una

specola ben più vasta di quella che a lui si era concessa nelle precedenti stagioni

del-la critica. A più riprese, all’interno di questi atti, è emersa l’opportunità di un

son-daggio anche sulle opere per le quali ancora mancano edizioni critiche: con Giorgio

Masi, al quale si deve un ponderato intervento sulla situazione editoriale delle opere

doniane, si potrà sottolineare come numerosi siano ancora i margini di lavoro su

ope-re che, per quanto edite in tempi ope-relativamente ope-recenti, ancora abbisognano di

«qual-che aggiustamento di tiro».

10

Non è dunque un caso che, tra i sostanziosi contributi

che compongono il volume testé citato ne figuri, tra gli altri, uno di Antonio Sorella

interamente centrato sulle Librarie: in esso, sulla scia di motivati riscontri di

caratte-re documentario, si segnala tra l’altro la convenienza di ulteriori indagini,

special-mente sul fronte biografico – le edizioni delle Librarie sono, al pari di altri scritti

do-niani, specchio di una travagliata e complessa rete di rapporti – e su quello più

pro-priamente bibliografico.

11

In tempi più recenti, con altri strumenti ma con adeguate risultanze, Patrizia

Pelliz-zari ha poi proseguito la ricerca con esiti particolarmente felici, ribadendo tra l’altro

quanto convenga riflettere su queste pagine all’interno di una prospettiva più ampia,

che tenga conto anche dei numerosi addentellati letterari connessi alle Librarie.

12

L’interesse per la bizzosa bibliografia del Doni emerge anche nel più recente

che dedica alle pp. 99-104 osservazioni assai lucide anche sulle Librarie, e FIGORILLI 2011, specie pp. 337-357). Validi contributi, afferenti a fronti assai diversi, sono venuti anche dagli studi di VALORI 2000, STEENBERGEN 2007,di JOSSA 2008a, di CARAPEZZA 2011, specie pp. 255-293, e di RODDA 2013. Cen-trati sull’esperienza esegetica del Doni commentatore del Burchiello sono i due contributi di MASI 2002a e MASI 2002b. Notevole, per quel che concerne la fortuna del Doni fuori dai confini italiani, è il saggio di LASTRAIOLI 2008, che indaga un caso di fagocitamento di passi scelti dei Marmi entro i malnoti Di-scours académiques florentins di Estienne Du Tronchet, ambasciatore del re di Francia in terra italiana attorno agli anni Settanta del Cinquecento. Ricordo qui anche la recente edizione in italiano e in inglese, ad uso dei bibliofili, del solo Dialogo della stampa per le cure di David Brancaleone: cfr. DONI 2003b.

9 Vd. Soma di libri 2008. Il volume, che è da considerare allo stesso tempo punto di approdo e

ba-se per nuove ricerche sulle opere doniane, ha avuto valide recensioni da parte di ORLANDI 2009 e di CRIMI 2010, cui mi permetto di aggiungere anche GIROTTO 2011b.

10 Cfr. M

ASI 2008, p. 20, donde cito; si vedano pure le riflessioni alle pp. 21-24, 29-30.

11 Cfr. S

ORELLA 2008. Non sarà inutile ricordare che un contributo sulle Librarie, di cui si dirà partitamente anche infra, era stato pubblicato nel 2006 in una rivista di difficile reperibilità da parte dell’ispanista Matteo Lefèvre, saggio a vario titolo commendabile e ora accessibile in volume (LEFÈVRE 2012). E di riferimento, in ragione dell’alta qualità del risultato, è il saggio – di rado fruito dagli studiosi, di HAAR 1998c, ad opera di uno studioso, James Haar, che con rara competenza ha dato ragione di una parte per solito trascurata delle Librarie. Altro contributo rilevante, ma forse più discu-tibile, è quello di BRADBURY 2009, sul quale occorrerà tornare partitamente nelle pagine che seguono.

12 Alludo ai due contributi gemelli, e fondanti, di P

(15)

to in proposito, quello di Giordano Castellani, che funge da ulteriore messa a punto

sulla questione delle Librarie e da introibo a una nuova edizione del testo.

13

A tutti

questi interventi, è opportuno aggiungere i saggi raccolti in due recenti volumi curati

da Giovanna Rizzarelli, che propongono una articolata specola su numerosi versanti

della biografia letteraria doniana.

14

Da tutti questi esercizi di lettura, emerge con

sempre maggior chiarezza l’esigenza di allargare lo sguardo e di considerare la

pro-duzione del Doni su di una prospettiva più ampia, che ponga in relazione le sue

pagi-ne con altri autori a lui vicini, per età o per tempra, e che tenga conto anche del

pro-gredire degli studi nei rispettivi campi: significative acquisizioni, in proposito, sono

venute nel campo della textual bibliography, come pure considerazioni di rilievo

so-no emerse dallo studio sui riusi di legni e matrici xilografici che compaioso-no nelle

opere del Fiorentino.

15

A partire da questo quadro sommariamente delineato, una messa a punto sulle

Li-brarie doniane risulta insomma non del tutto inutile: per comprendere intanto quale

sia la peculiarità di questo grappolo di opere nel quadro delle opere del Doni, e per

intendere poi quali siano gli apporti – letterari, biografici, bibliografici – che possono

venire da uno studio su di esse, nel campo di studi prettamente doniano e in quello

13

Cfr. il recentissimo CASTELLANI 2012, sul quale si avrà occasione di tornare nei capitolo che se-guono. La nuova edizione verrà edita sotto gli auspici della Fondazione Pietro Bembo, per i tipi di Guanda editore. Conviene subito dire, come pure si cercherà di argomentare in seguito, che non è in-tenzione di chi scrive, con l’occasione di queste pagine, fornire una nuova edizione del testo: pare vi-va, piuttosto, l’esigenza di contribuire con una lettura diffusa dei problemi sottesi alle Librarie e di inserirli in un quadro che, se non organico, possa almeno dar conto in maniera avvertita delle numero-se questioni legate alle pagine doniane.

14 Cfr. i due volumi miscellanei Marmi 2012 e Dissonanze concordi 2013, e i saggi in essi

conte-nuto. Le occasioni dei due volumi nascono a margine di un più ampio progetto sostenuto dalla Comu-nità europea all’interno dell’ERC Starting Independent Researcher Grant – 7th

Framework, intitolato «AFD. Archivio di testi e fonti digitale dell’opera di A.F. Doni · Anton Francesco Doni - Multimedia Archive of Texts and Sources», coordinato da Giovanna Rizzarelli, e figurano come atti di due conve-gni di studi tenutisi entrambi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa: il primo svoltosi il 14 e 15 gennaio 2010 e intitolato «Mangiar libri e inghiottir scritture». I Marmi di Anton Francesco Doni: la storia, i generi, le arti, il secondo tra il 14 e 15 maggio 2012 e intitolato Dissonanze concordi. Temi, questioni e personaggi intorno ad Anton Francesco Doni. Nel secondo volume, più in particolare, è importante il saggio di COPPENS 2013, che affronta la Libraria e le molteplici sollecitazioni esistenti dietro la tradizione bio-bibliografica sottesa alle pagine del Doni: su di esso si tornerà in seguito.

15 Per quel che riguarda il primo versante, è d’obbligo rimandare ai contributi di Elena Pierazzo

che ha reperito valida documentazione per quel che riguarda la storia editoriale della Zucca: cfr. l’esaustivo saggio di PIERAZZO 1999 e la Nota al testo da lei compilata in DONI 2003a, II, pp. 833-884, specie pp. 836-845; la stessa studiosa ha fornito inoltre importanti documenti a proposito delle Pitture edite dal Doni nel 1564, di cui esistono due differenti emissioni (cfr. PIERAZZO 2008, specie pp. 273-277). Si vedano pure le osservazioni del rilevante saggio di PELLIZZARI 2002, specie pp. 180-182 per quel che riguarda le varianti testuali reperibili nella princeps della Moral filosofia, e, più di recente, il contributo di ORTOLANO 2010, del quale tuttavia occorre lamentare la sostanziale ignoranza dei principali contributi critici sul Doni dell’ultimo cinquantennio. Rilevanti sul fronte delle vicende che hanno interessato le xilografie presenti nelle opere doniane sono gli studi di Giovanna Rizzarelli (RIZZARELLI 2007, RIZZARELLI 2008, RIZZARELLI 2009, RIZZARELLI 2012), assieme a quelli di G A-RAVELLI 2002c, e di MASI 2007a, da porre in continuità a GENTILI 1980, che per primo ha posto il problema della ricca iconografia delle edizioni marcoliniane, e a STEFANINI 1992.

(16)

più ampio della realtà letteraria cinquecentesca. Una tale ipotesi di lettura, che

sem-bra del resto sostenibile alla luce del proposito di Giordano Castellani, cui già si è

fatto cenno, di fornire una nuova edizione dell’opera, non pare azzardata, alla luce

soprattutto delle acquisizioni degli ultimi anni, e pare anzi auspicabile per poter

illu-minare un rivolo, per larghe campate ancora tutto da esplorare, a vario titolo

merite-vole di scavi e di indagini.

0.

II. Ulteriori giustificazioni e una prima rassegna bibliografica

Alle osservazioni appena formulate se ne devono necessariamente aggiungere anche

alcune altre, immediatamente conseguenti. Anzitutto un primo rilievo: una rassegna,

anche solo sommaria, della critica più recente sul Doni e sulle sue opere dà conto

immediatamente della difficoltà di gestire e di inquadrare gli ormai numerosi

contri-buti usciti negli ultimi anni. L’ampia disponibilità di studi sul Nostro si spiega, come

già si è accennato, con l’ormai acquisita rilevanza del suo profilo nel campo del

Ri-nascimento italiano, e con l’ormai piana constatazione della sua centralità nel quadro

editoriale cinquecentesco, oltre che della sua frequente vicinanza – talora inattesa –

con altre personalità della vita culturale e politica del ventennio centrale del secolo.

Ciò detto, nel caso in cui si volesse assolvere a una piena comprensione della sua

figura e dei suoi scritti, non si potrà tacere una qualche difficoltà iniziale.

16

Anche a

un abbordaggio sommario dei suoi scritti, ci si trova di fronte a numerose questioni

che rendono malagevole una lettura schietta e disinteressata delle sue pagine. Anche

sfogliando quelle delle Librarie, accade spesso di trovarsi di fronte a un coagulo di

istanze assai diverse, a fronte del quale è difficile sceverare gli elementi primari,

tan-to da renderla, come è statan-to osservatan-to, un’opera «più consultata che letta».

17

La

me-scidanza dei generi e degli umori, tipica delle pagine del Doni e ben messa in luce da

Giorgio Masi già nel 1988,

18

procede di pari passo con l’attenzione verso l’eleganza

del prodotto editoriale – aspetto che si accentua soprattutto nelle edizioni stampate in

collaborazione con il tipografo forlivese Francesco Marcolini –, o verso la ricerca di

un tono lepido e faceto, senza che in molti casi si riesca a venire a capo

dell’occasione agente del testo in esame. La coscienza di questa pluralità di aspetti

entro l’opera doniana è, con ogni probabilità, una delle acquisizioni più significative

della critica del secondo dopoguerra sul poligrafo fiorentino: ma quale che sia il testo

16

Nelle pagine che seguono faccio aggio su alcuni spunti già formulati in GIROTTO i.c.s.

17 Così S

CRIVANO 1973, p. 396.

18 Cfr. M

(17)

su cui ci si sofferma, colpisce l’intenso e fattivo riferimento a una realtà

profonda-mente immersa in quello che, allora, era il presente. Il Doni rimanda spesso a

perso-ne, a eventi, a fatti di cronaca, talora a questioni assai minute che oggi risultano solo

in parte decifrabili: così avviene per i Marmi, all’interno dei quali, in maniera

struttu-rale, la quotidianità fa una vivace irruzione tra le pieghe di un dialogo, e così avviene

anche all’interno di alcune pagine delle Lettere, ove, con termine che può risultare

anacronistico, i faits divers sono assai frequenti.

19

Che in molti casi vi sia una forte

componente di occasionalità, secondo l’esempio e il magistero del già citato Aretino,

è indubbio, come è indubbio che a scopi affini a quelli aretiniani il Doni guardasse

nel costruire i propri volumi. Ma laddove l’Aretino sapeva sfruttare all’occasione

an-che la scrittura pasquinesca, mettendo a profitto la vivacità e, soprattutto, la velocità

di scrittura e di diffusione che si confacevano a tale genere,

20

il Doni sembra non

co-noscere questo registro scrittorio, in ragione, probabilmente, della quasi esclusiva

19

Si veda, ad esempio, il dossier raccolto da PELLIZZARI 2004b, a proposito di un fatto di cronaca trasposto in una delle prime lettere doniane. Ma si osservi come anche nelle pagini liminari della Se-conda libraria siano rinvenibili allusioni a episodi effettivamente accaduti, per i quali si trova riscon-tro anche in altra documentazione; così per la lista di episodi segnalati nella lettera A i lettori che apre

C, cc. 8r-10v: 9v-10r, ove si snocciola una lista di fatti legati, a quanto pare, alle stesse vicende

bio-grafiche del Doni: «Ricordo come a’ dì tanti, in sabato, fu morto il duca Alessandro. A’ dì tanti in sa-bato, venne Arno in Firenze la prima volta; item la seconda volta che fece tanto danno, fu in sabato. In sabato rovinò la Costa di San Giorgio [...]. Questo sarà proprio un libro da trovarvi ogni cosa dentro, ogni materia fantastica accaduta, come fu la polvere che rovinò la casa da Ghisilieri a Bologna; il Tur-co, quando gl’andava sopra la corda; i bei rubamenti del Pretino, et altre cose rare [...]». Citati come excerptum di un futuro libro doniano, una sorta di zibaldone-libro di famiglia, gli eventi qui richiamati sono, in effetti, ben identificabili: Costa San Giorgio a Firenze smottò il 12 novembre del 1547 (cfr. BUONSIGNORI 2000, p. 25: e, stando a uno strumento di base quale CAPPELLI 1998, p. 75, il giorno in esame era un sabato); due grandi piene dell’Arno sono registrate per i giorni di 13 agosto e, appunto, il 12 novembre 1547 (cfr. BIAGI 1906, pp. 82-84 e Cronaca fiorentina 2000, pp. 69-70 e 72-73; per la prima delle due piene, che gli storici ricordano come disastrosa, cfr. anche CAVINA 1969, pp. 91-100, che ricorda anche le testimonianze coeve), in entrambi i casi, appunto, di sabato; con il crollo bolo-gnese si intende quello della casa dei Ghislieri, correttamente identificato da PELLIZZARI 2000b, p. 497, con quello avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 marzo 1547, cui il Doni allude anche in altre cir-costanze; il «Turco» qui citato allude al personaggio omonimo – un acrobata che camminava sulla corda – che, nel maggio del 1547, in ragione del grande accorrere di personaggi sul prato antistante i chiostri di Santa Maria Novella, interruppe una sessione dell’Accademia Fiorentina: di tale fatterello si trova menzione negli Atti dell’Accademia stessa (Firenze, Biblioteca Marucelliana, ms. B III 52, c. 43r), oltre che in una testimonianza diaristica dell’epoca: «A’ dì 7 maggio 1547. Venne in Firenze un Turco giocolatore, che faceva cose maravigliose. Fece attaccare un canapo al secondo grado de’ merli del campanile, che passando sopra Arno traforava una casa [...]. Cominciò a salire sul canapo, né mai si vide che in alcun luogo pendesse; ma camminava sicuramente come in terra [...]. Di poi andò nei chiostri di S. Maria Novella, e quivi giocò, ma voleva un paolo da ciascuno [...]» (vd. BIAGI 1906, pp. 81-82, assieme a BRYCE 1995, p. 86 e nota 25; una versione appena diversa in Cronaca fiorentina 2000, pp. 66-67). Non so dar notizia, per contro, dei «rubamenti del Pretino», forse identificabile con quel «Pretino da Lucca, che fu così sottil ladro», di cui si trova menzione nella Nuova opinione fioren-tina con descrizione di una sua – probabilmente fantasiosa – impresa con «un grimaldello in mezzo alle chiave con tali parole attorno: HOC PERAGET» (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Nuove Accessioni 267, c. 87r).

20 Vd. a tal proposito le osservazioni di B

OILLET 2005, cui si aggiungano le dense pagine di P RO-CACCIOLI 2006a, centrate sulla «funzione pubblica» di demonstrator dell’Aretino; ma sul magistero aretiniano nella formazione del Doni, specialmente sul fronte della celerità di scrittura, si ricorra anco-ra a MASI 1988, pp. 38-39.

(18)

pertinenza dello strumento all’Aretino. Non gli è invece sconosciuta l’accorta

costru-zione del libro a stampa, secondo una linea che già l’autore della Cortigiana aveva

saputo usare a proprio vantaggio: nel caso del Doni, il discorso vale, in particolare,

per alcuni elementi paratestuali che – come è stato ben dimostrato in studi recenti –

hanno ruolo tutt’altro che accessorio, e soprattutto per la soglia della dedica, che

mi-rava in molti casi a riscontri di tipo «finanziario-alimentare».

21

Una volta ricordati questi elementi, si manifesta, una volta di più, l’opportunità di

un giudizio elastico nella valutazione delle opere doniane, e in particolare delle

Li-brarie, opportunità che pare poi confermata qualora si consideri l’evoluzione dei

giudizi ad esse assegnati nel corso del tempo. Un aspetto che emerge con chiarezza

quando si intenda costeggiare la bibliografia dedicata al grappolo delle opere del

Do-ni è, per l’appunto, la non infrequente oscillazione dei giudizi su di esse, o meglio, la

compresenza di giudizi di segno talora opposto da parte degli studiosi. Se, ad

esem-pio, alcune pagine delle Librarie hanno goduto di qualche fortuna in sede editoriale e

critica – è il caso, ad esempio, di un famoso e paradossale excerptum, la lettera «A

coloro che non leggono» posta in apertura della Seconda libraria, variamente

ripro-posta nel corso degli anni –,

22

altre, per converso, hanno spesso dato luogo a

defini-zioni sbrigative, talora spazientite, seguendo linee di lettura orientate in direzione

univoca. La constatazione di una difficile presa degli scritti doniani (e la talora

con-seguente disponibilità da parte della critica a una lettura ‘semplificante’, riduttiva o

comunque facilmente risolta entro etichette di comodo sin troppo larghe o letture che

tendono ad appiattire biografia e scrittura),

23

si esplica nel caso delle Librarie in una

21

Per quel che compete l’Aretino e la costruzione del libro vd. le recenti osservazioni di G ENOVE-SE 2009, specie pp. 63-84, centrate sulle strategie che sottostanno al genere editoriale del ‘libro di let-tere’, da leggere assieme a GENOVESE 2002, specie pp. 232-247; per quel che concerne la funzione delle dediche entro le opere doniane vd. ora PAOLI 2009, in particolare pp. 251-265, cui si aggiunga anche quanto osservato da RIZZARELLI 2007, pp. 45-55: ma di tale questione si parlerà anche infra. Ho preso in prestito l’espressione virgolettata da MASI 1997, p. 281.

22 La rinnovata fortuna di questa pagine sembra iniziare con A

RETINO -DONI 1966, pp. 426-430; alla nota n.n. p. 426, il curatore definisce il testo come una «tirata dispettosa e bizzarra contro l’arte dello scrivere», che non va distinta da un più generale «tedio più ansioso ed amaro [...] dei giorni che si ripetono uguali, della vita che è un fare e rifare sempre le stesse inutili cose»; di qui la successiva fortuna critica di quella pagina, spesso citata da critici e lettori appassionati, a partire per lo meno dai cenni di QUONDAM 1983, specie pp. 628-629. Andrà segnalato che della gustosa paginetta esiste an-che un’edizione in plaquette edita in soli 12 esemplari per cura di Alessandro Zanella (DONI 2005: a quanto risulta dal motore di ricerca dell’Associazione italiana bibliotecari (www.aib.it), si tratterebbe di un «testo composto e stampato con torchio a mano [...] per il corso di composizione e stampa tenuto da Alessandro Zanella. Legatura in cartoncino rosso marezzato e beige». Quattro esemplari sono at-tualmente rintracciabili tramiti i principali motori di ricerca: Gorizia, Biblioteca Isontina; Trieste, Bi-blioteca civica ‘Attilio Hortis’; Verona, BiBi-blioteca civica.). Verso di essa, in ragione anche di una vi-vace vena antipedantesca, si indirizza l’attenzione anche di lettori non specialisti: ho notizia in propo-sito, senza averlo potuto vedere, del contributo di BALBIS 2009.

23 A questi rischi allude, in modo che appare corretto, una riflessione di A

NDREA GAREFFI che compare in Cinquecento capriccioso e irregolare 1999, sezione Dibattito, pp. 175-194: 180-181, a

(19)

rassegna delle definizioni assegnate ad esse. Perché, all’invito a circoscrivere la

natu-ra delle pagine in esame, emergono non poche occasioni di indugio. Il giudizio più

diffuso, sul quale si tornerà partitamente in seguito, è quello di un oggetto che ha sì

alla base un intento di carattere bibliografico (e ciò vale soprattutto per quel che

con-cerne la prima Libraria, che mostra un più marcato legame con la Bibliotheca

uni-versalis di Conrad Gesner, edita a Zurigo nel 1545), ma che raccoglie al proprio

in-terno anche schegge del tutto estranee a tale genere: divagazioni e riflessioni

estrava-ganti, novelle, attacchi personali. Che c’entra tutto ciò, si sono chiesti in molti, con

un repertorio bibliografico?

L’impaccio, a dire il vero, è di lunga durata, e può essere utile, quando non

gusto-so, ripercorrere i fiori più profumati del mazzetto, peraltro corpogusto-so, delle esternazioni

formulate nel corso dei decenni. Esemplari sono i casi di due studiosi fiorentini,

at-tenti al recupero storiografico della Firenze del pieno Rinascimento, che con la

testi-monianza del Doni ebbero spesso a che fare: alludo ai fratelli Anton Maria e Salvino

Salvini, eruditi che con le loro ricerche documentarie apportarono nuova linfa allo

studio sulla civiltà letteraria fiorentina. L’episodio, per quanto minuto, appare

istrut-tivo per intendere come alle indicazioni delle Librarie si prestasse congrua attenzione

in sede di ricerca letteraria e storiografica. In un esemplare dell’Istoria degli scrittori

fiorentini del gesuita fiorentino Giulio Negri, stampato a Ferrara nel 1722 e ora

con-servato presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze, sono trascritte, di mano di

An-ton Francesco Gori, le postille che i due fratelli AnAn-ton Maria e Salvino apposero a

una propria copia della medesima opera, a quanto pare ora irreperibile.

24

All’interno

delle pagine dedicate allo stesso Doni, l’attenzione dei Salvini si concentra sulle

pre-sunte opere inedite del Fiorentino registrate dal Negri: a p. 58, il gesuita segnalava

proposito, per l’appunto, del Doni. Mi pare che su questo fronte si possano inserire numerosi contribu-ti dedicacontribu-ti al Doni che, in vario modo, diluiscono la specificità delle sue pagine e, per altri versi, ten-dono a creare ponti poco sostenibili o comunque non stringenti, indulgendo addirittura alla tentazione – cui mi sembra ceda talora anche CASTELLANI 2012 – di una facile ricaduta biografica per molte del-le esternazioni del Fiorentino. Di tutto ciò, nei limiti di una urbana discussione, si darà conto neldel-le pa-gine che seguono.

24 Alludo al ms. A 305 della Biblioteca Marucelliana di Firenze, ad oggi ancora poco esplorato; le

notizie sul Doni di cui si dirà si localizzano alle pp. 57-58, mentre quelle sul Gelli alle pp. 247-248. Come risulta dalla nota ms. apposta dal Gori (Firenze 1691 - ivi 1757) al recto della prima guardia po-steriore del ms., tali annotazioni, datate al dodici dicembre del 1753, derivano da un originale posse-duto già dai fratelli Salvini e corredato da loro postille; in ragione degli estremi di nascita e di morte dei due, esse si collocano al più tardi agli anni Quaranta del Settecento, essendo morto Anton Maria nel 1729 e Salvino nel 1751. È lecito credere in ogni caso che, con tutta probabilità, le postille copiate dal Gori vadano ricondotte quasi esclusivamente ad Anton Maria, noto anche tra i contemporanei per la sua frequente propensione a punteggiare manoscritti e volumi a stampa con appunti e postille, talora di grande interesse. Per quel che riguarda Anton Maria, è ora di riferimento il punto di PAOLI 2005, da leggere, per quel che riguarda la vicenda dei manoscritti salviniani, assieme a BARTOLETTI 2009; per qualche cenno su alcuni suoi interessi ariosteschi e doniani sia lecito rinviare a GIROTTO 2011a, pp. 105-116, e a GIROTTO 2013, pp. 411-413.

(20)

infatti: «Le vite di tutti gli scrittori, lasciatine però alcuni, la maldicenza ed ignoranza

de’ quali detesta, come nella sua Libreria», traendo l’indicazione dalle pagine

limi-nari delle varie edizioni della prima Libraria.

25

Uno dei due Salvini avrebbe annotato

polemicamente: «dove sono queste vite?». A segnare ad un tempo la scarsa capacità

del Negri di valutare la qualità delle proprie fonti, e il dubbio a fronte delle pagine

più creative (e talora anche di quelle più sfacciatamente autopromozionali) delle

Li-brarie, i Salvini avrebbero apposto altre annotazioni di questo tenore: emblematiche,

nella loro secchezza, un paio di note apposte in corrispondenza del profilo dedicato a

Giovan Battista Gelli. In esso il Negri registrava un’opera del calzaiuolo fiorentino

non altrimenti documentata se non per la menzione che ne viene fatta, per l’appunto,

nella Seconda libraria: «Un’opera della tranquillità dello stato fiorentino, si cita da

Anton Francesco Doni» (p. 248). A margine di questa entrata, uno dei due Salvini

aveva commentato con un lapidario «Favole». Altrettanto lapidario il commento

po-sto in corrispondenza della medesima pagina: laddove il gesuita segnalava «Tre

le-zioni dell’anima, ricordate da Anton Francesco Doni nella sua Libreria» (p. 248),

viene aggiunto a margine, ancora una volta, un eloquente «Favole».

26

Un buon quarto di secolo più tardi, il Tiraboschi, che fu notoriamente tra i primi

ad avviare un recupero storico della figura del Doni, si espresse in termini affini: a

suo modo di vedere, le Librarie avrebbero potuto essere un valido strumento

biblio-grafico, e a scriverlo era, occorre appena dirlo, studioso interessato alla ricostruzione

delle vicende culturali della Penisola dalle Origini al pieno Seicento. Ma alla bontà

dell’idea faceva ostacolo una insanabile, e poco apprezzabile per il Tiraboschi,

ricer-ca di un tono faceto che contraddistingue l’intera opera doniana e che, per quel che

compete le Librarie, distraeva da una più sistematica sul quadro letterario

contempo-raneo al Fiorentino:

[...] Insieme col Doni perirono quasi tutte l’opere da lui pubblicate, delle quali assai poche n’ebbe che dopo la morte di esso venissero ristampate; e poco danno n’avrebbero avute le lettere se esse non fos-sero mai venute alla luce. Le due Librerie, delle cui edizioni da lui medesimo fatte si veggano le dili-genti osservazioni di Apostolo Zeno, sarebbero le più utili tra esse se il Doni ci avesse data una esatta contezza de’ libri stampati e degl’inediti e de’ loro autori. Ma egli o non fa che accennare le cose, o si

25 Cfr. il passo contenuto in A, c. 3r, pari a B, c. 3r, e T, p. 13 (= D

ONI 1972, p. 63): «[...] promet-tendovi le vite di tutti gli auttori volgari, i quali dai Pellegrini nell’Academia tuttavia si compongano e scrivono, così de’ morti come de’ vivi».

26 Cfr. le indicazioni fornite dal Doni in C, c. 63r, e D, pp. 91-92 (= D

ONI 1972, p. 330). Per singo-lare coincidenza, anni più tardi il canonico Domenico Moreni, anch’egli appassionato ricognitore di testimonianze sulla Firenze cosimiana, avrebbe fatto ricorso alla testimonianza doniana per dar conto della produzione del Gelli, non senza rilevare, in ogni caso, la difficile giustificazione del testo che a lui assegnava il Doni: «GELLI Gio. Battista, fiorentino. Della tranquillità dello stato di Firenze. Il Do-ni nella sua Seconda libreria pag. 63 fa menzione di questa operetta MS., ma dubito che ella sia una delle sue solite invenzioni» (MORENI 1805, I, p. 418). Sul luogo cfr. anche UGOLINI 1898, pp. 147-148, assieme agli altri studiosi da lui richiamati.

(21)

stende in inutili ciancie; ed or loda ed or biasima, senza che possa intendersi se ei parli da senno ovve-ro per giuoco [...].27

Consimili difficoltà di collocamento delle Librarie si incontrano già nelle parole

di chi, nel pieno Ottocento, più contribuì con ricerche sistematiche a una nuova

mes-sa a punto sulle opere del Doni, e cioè dello studioso lucchese Salvatore Bongi e ai

suoi ancor oggi imprescindibili contributi.

28

Nel redigere il Catalogo delle opere

do-niane, edito prima nel 1852, in coda alla sua edizione delle novelle del Doni, e

dun-que come appendice all’edizione fanfaniana dei Marmi del 1863, lo studioso

lucche-se annotava:

Per queste due Librerie, la prima delle quali ha per soggetto i libri italiani stampati e la seconda i libri a penna, il Doni deve dirsi il primo che concepisse il pensiero di una biblioteca italiana. È però vero che in oggi queste due operette debbono piuttosto aversi care per le dicerie e per le novelle che vi sparse, che per le notizie che se ne possono ricavare; specialmente la Seconda, che si reputa composta di citazioni di autori e libri da lui bizzarramente supposti: benché neppure questa sentenza sia assolu-tamente vera, come se ne vide modernamente una prova nel ritrovamento del Rinardo Ardito dell’Ariosto, cui si era accusato il Doni di aver citato senza che fosse stato mai scritto.29

Importa sottolineare, intanto, come la scrittura divagante ripiena di «dicerie» e di

«novelle», cosa che per un Tiraboschi era un limite, diventa per il Bongi un motivo

non disprezzabile, in linea del resto con altri sporadici apprezzamenti reperibili anche

altrove.

30

A fianco del primato bibliografico facilmente concessogli, il Bongi sembra

anzi ammettere di preferire, in buona sostanza, gli specimina novellistici variamente

reperibili nelle singole edizioni; e, pur senza entrare nella disputa relativa alla

que-stione della veridicità o meno delle affermazioni reperibili nella Seconda libraria,

27 Il memorabile sbuffo di impazienza espresso dall’erudito nelle pieghe della sua Storia compare

in TIRABOSCHI 1787-1794, VII.III, pp. 1038-1044: 1043. Le «diligenti affermazioni» dello Zeno sono da identificare con le note apposte dall’erudito veneziano all’opera del Fontanini: cfr. FONTANINI -ZENO 1753, II, pp. 111-112. Sui pregiudizi e le difficoltà dal modenese nell’affrontare, anche umana-mente, figure come quella del Doni cfr. MARI 1990, pp. 213-214 nota 166.

28 Oltre alle indicazioni che si daranno nel corso di queste pagine, per quel che concerne la figura

di Salvatore Bongi (Lucca 1825 - ivi 1899) occorre ora rimandare sin d’ora agli atti del convegno luc-chese del 2000 a lui dedicato: cfr. Salvatore Bongi 2003.

29 Cito da B

ONGI 1863b, pp. 284-285; non vi sono differenze sostanziali rispetto a quanto lo stesso Bongi aveva scritto nel 1852 nell’analogo Catalogo delle opere di m. Antonfrancesco Doni, poi ag-giornato e ritoccato stilisticamente undici anni più tardi (cfr. DONI 1852, pp. LXXXI-CX, con le parole in esame alle pp. LXXXVIII-LXXXIX). Le questioni relative al Rinaldo ardito assegnato dal Doni all’Ariosto verranno affrontate infra, capitolo V. Osservazioni consimili si ritrovano anche nelle pagi-ne più tarde degli ancor oggi fondamentali Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, compilate dallo stes-so erudito lucchese nel corstes-so di prolungate ricerche: «Le due Librarie del Doni furono, come tutti sanno, i primi saggi di bibliografia italiana, e, come sempre, l’autore si mostrò, anche in questo suo lavoro, ingegno ed umore bizzarro, avendovi inscrite [sic] curiose dicerie e giudizi singolari, ed anche (ma più specialmente nella Seconda) delle novelle sue ed altrui» (BONGI 1890-1897, II, p. 39). Servirà rimandare, per quel che riguarda gli Annali giolitini, all’equilibrata lettura di NUOVO 2004.

30

Risale a quel medesimo torno d’anni – al biennio 1870-1871 – il giudizio, telegrafico ma non ir-rilevante, con il quale Francesco De Sanctis concludeva la propria parentesi sul Doni nella sua Storia della letteratura italiana: «[Pietro Aretino] aveva attorno secretari, allievi e imitatori della sua manie-ra, come il Franco, il Dolce, il Lando, il Doni e altri mestieranti. “Io vivo di kirieleison” – scrive il Doni. – “I miei libri sono scritti prima di esser composti, e letti prima di esser stampati”. La sua Libre-ria si legge ancor oggi per un certo brio e per curiose notizie» (DE SANCTIS 1997, p. 393).

(22)

segnala un caso particolarmente eloquente a sostegno, forse partigiano, del Doni. In

seguito, questi giudizi dello studioso lucchese sono stati ripresi e sviluppati anche da

altri, secondo indirizzi e direzioni di volta in volta da specificare.

31

Sintomatico di

una iterata difficoltà nel maneggiare questa opera appare anche il giudizio fornito da

un bibliografo di fine Ottocento, il livornese Diomede Bonamici, cui si deve un

pro-fittevole Catalogo di opere bibliografiche, nato dalla propria passione di erudito e di

bibliografo. A proposito della Libraria doniana e delle sue varie edizioni, il giudizio,

per quanto conciliante, non nasconde i limiti bibliografici dell’impresa dell’autore

dei Marmi:

[La Libraria] è il primo saggio di bibliografia ragionata, riguardante i libri stampati in lingua volgare, dove l’autore vi manifesta ad ogni istante le sue personali preoccupazioni, i suoi gusti, le sue abitudini e le sue antipatie. Quando si vuol possedere l’opera completa del Doni, bisogna avere anco la «Secon-da libraria», riguar«Secon-dante i libri manoscritti, opera parte di fantasia, parte fon«Secon-data sul vero, ma piena di digressioni e di bizzarria, come più o meno sono tutti i libri del Doni. [...]32

La diagnosi fornita dallo studioso livornese, come poco sopra quella del Bongi, è

sintomatica della difficoltà mostrata da molti nel dare una definizione univoca

dell’opus bibliographicum del Doni. Si entra anzi, con queste parole, nel vivo di una

complessa discussione, di cui si hanno strascichi ancor oggi: se, da un lato, alla prima

Libraria si può riconoscere non senza difficoltà un impianto bibliografico

tradiziona-le, o in qualche modo prossimo a schemi che poi sarebbero divenuti consueti, giusta

la definizione data dallo stesso Doni («scrivere tutti i nomi de gl’auttori dell’opere, et

sotto a quegli i libri che si trovavono stampati et da loro composti», ovvero «dar

31 Mi pare rilevante in proposito la scheda di Scipione Casali, primo bibliografo delle edizioni

marcoliniane (sul quale Casali, nato a S. Alberto di Romagna nel 1794 e morto a Forlì nel 1868, cfr. il valido contributo di TESEI 2009), che nelle pagine dedicate alla Seconda libraria presentava osserva-zioni in tutto in linea con quelle del Bongi: «[...] Le Librarie sono l’opera più singolare e la più utile uscita dalla penna feconda e bizzarra del Doni. Se il pensiero non è originale; poiché Corrado Gesner aveva già pubblicato fin dal 1545 in Zurigo il primo volume della sua Biblioteca universale, in cui trattò di tutte le opere allora conosciute in ebraico, in greco ed in latino: egli è però incontrastabile do-versi la preminenza ad esso in Italia per aver posto in atto pratico il concetto di una biblioteca volgare nazionale, e di un giornale letterario, che tale si può anche riguardare l’opera sua. Ei si studiò di dare qualche ordine a’ suoi Cataloghi mediante alcune tavole poste alla fine d’ambo le Librarie; ma restò tuttavia molto addietro da quella esattezza e regolarità che richieggonsi in cotali lavori [...]. La parte propriamente bibliografica fu trascurata tutt’affatto dal nostro Autore. Appena riportò i titoli delle opere ricordate, e spesso ancora o troncati o cangiati a capriccio; né mai notò veruna edizione di quel-le stampate, nè significò dove esistessero i manoscritti delquel-le inedite. Tali mancamenti voglionsi per altro condonare ad uno scrittore che s’inoltrò per una via non percorsa fino allora da altri; e che per naturale inclinazione, o astretto dai bisogni della vita, trovavasi obbligato di pubblicare le cose sue in abbozzo a mano a mano che le dettava. Non pertanto, considerati gli esposti difetti ed altri, special-mente nella seconda Libraria, non è da maravigliare se taluni reputarono quest’opera composta di au-tori e libri ideali [...]» (CASALI 1861, pp. 193-194, pari a CASALI 1953, pp. 193-194).

32 Cito da B

ONAMICI 1893, coll. 66a-b, scheda dedicata all’edizione qui siglata con S. Gli esempla-ri dell’opera doniana appartenuti al Bonamici (Livorno 1823 - ivi 1912) sono ancor oggi consultabili presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze: vd. infra, Appendice prima. Su di lui e sulla sua raccolta si veda sin d’ora l’ottima voce di GIULIO PRUNAI in DBI, XI (1969), pp. 522-523, assieme al più recente lavoro di DEL BONO 1995, specie pp. 17-68, per un più ampio profilo intellettuale.

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