52: 52; COSTAMAGNA 2001, p. 227 nota 51; BÉGUIN -COSTAMAGNA 2003, nota 11 p. 15; HEGENER 2008, pp. 342-434; MARC BORMAND in VIATTE 2011, pp. 284-287; VOSSILLA 2010-2012, p. 98). Vi si può anche relazionare, come proposto da MIDDELDORF 1932, specie pp. 485-488, e da M[ARCO] C[OLLARETA] in Palazzo Vecchio 1980, scheda 567 pp. 287-288, un tela di Alessandro Allori ora al Prado a Madrid. Non è agevole dire, a fronte di tale discrepanza, quale sia il pezzo effettivamente con- segnato a Carlo V: se alcuni hanno supposto, anche in tempi recenti, un doppio dono all’Imperatore (BARKAN 1999, pp. 299 e 301), altri hanno pensato a un banale errore da parte dell’autore del Memo- riale (così, ad esempio, MASI 2006, nota 6 p. 223).
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non ha paragone lo suo Orfeo: si allude qui alla famosa scultura omonima, conservata ancor oggi – pur dopo numerosi spostamenti – nel cortile di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, per la quale era stata originariamente pensata, assieme al basamento ideato per essa dallo stesso Bandinelli e rea- lizzato da Benedetto da Rovezzano. Commissionata da Giulio de’ Medici, fu realizzata da Baccio at- torno al 1519 dopo lunghe contrattazioni; il Vasari, pur lodandone il risultato finale, non mancò di cri- ticare la scelta poco felice di collocare il testo su di un piedistallo troppo alto, tale da ingombrare la prospettiva del cortile interno del palazzo (cfr. VASARI 1966-1986,V, pp. 244-245). Sul quale Orfeo, dopo HEIKAMP 1966, p. 54-55, e dopo il dettagliato contributo di LANGEDIJK 1976, vd. MASSINELLI 1991, pp. 57-60, assieme al punto di CAGLIOTI 2000, I, pp. 104-105, 147-149 e passim. Il Doni elo- giava la scultura anche nelle pagine del Disegno: «Poi nel partir voi andrete a vedere il palazzo de’ Medici, che v’è un Orfeo figura di marmo di man del Bandinello bellissimo [...]» (DONI 1549, c. 49r, passo su cui vd. HEGENER 2008, p. 478).
134 la Francia gli concede i gigli: il privilegio di poter aggiungere i gigli di Francia all’arme di fa-
miglia era stato concesso ai Bandinelli in ragione del legame di Giovambattista Bandinelli – precoce- mente trasferitosi oltralpe e ramo d’origine dei Bandinelli di Tolosa sopra citati – con la corte di Fran- cesco I, secondo quando viene detto nel Memoriale: «[Giovambattista] ottenne dal re Francesco per bene merito del suo servire, proccurandolo poi ancora io, di aggiungere a l’arme nostra (la quale era in campo giallo bardato la palla azzurra col cavaliere di argento, come hanno i nostri Bandinelli di Siena e di Francia, e come si vede da’ sigilli o armi de’ mia passati, alla quale, fatto io cavaliere di Santo Ia- copo, aggiunsi la croce), ottenne, dico, di potere aggiungere i gigli, come appare per il privilegio del re Francesco appresso di me [...]» (COLASANTI 1904, p. 420, pariBAROCCHI 1971-1977, II, p. 1368).
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La Spagna, la Francia ... lo provvisionano: l’inciso è rilevante diagnosi della fortuna concessa al Bandinelli a livello europeo, in ragione anche della formazione – qui taciuta – presso la corte papale romana nei primi trent’anni del Cinquecento; tale fama, del resto, sarebbe stata sottolineata anni più tardi dal Vasari, che avrebbe trovato un fondamentale sostegno in ciò nella diffusione tramite incisioni e stampe sciolte delle invenzioni bandinelliane (cfr. VASARI 1966-1986,V, p. 245, assieme alle osser- vazioni di VOSSILLA 1997, p. 256 e di PIERGUIDI 2013, pp. 203-204). È noto, del resto, come lo stesso Bandinelli facesse mostra della propria dimestichezza con corti e signori al di fuori dei confini fioren- tini, non senza spregiare di rincalzo la realtà fiorentina: così peraltro risulta dalla lettera del 2 gennaio 1540 a Cosimo I, nella quale, a fine di sollecitare il suo interesse, ricordava la lusinghiera proposta di partire alla volta dell’Inghilterra per realizzare il sepolcro di Enrico VIII, affare conclusosi però ma- lamente: «Anchora el Re chontinovo mi fa solescitare ch’i’ vadia a servirlo, che lo promesi, perché l’animo mio era diliberato mai più lavorare in chotesta tera, per le ’ngiurie e vergognie che m’àno fa- to» (cit. da WALDMAN 2004, doc. 308 pp. 185-186, da leggere alla luce delle riflessioni di VOSSILLA 1997, pp. 258 e 261, di VOSSILLA 2010-2012, pp. 65-66, e del recentissimo contributo di GENTILINI - MOZZATI 2012, cui rimando per un punto sulla questione e per la bibliografia precedente).
136 Nel disegno senza paragone ... il gran Buonarroto: il giudizio sulle capacità grafiche del Ban-
dinelli – base tutta fiorentina per le attività artistiche allegate poco oltre – trova riscontro in numerose fonti antiche, a partire naturalmente dal Vasari: «il suo disegnare – al che si vede che egli più che ad altro attese – fu tale e di tanta bontà che supera ogni suo difetto di natura, e lo fa conoscere per uomo raro di quest’arte» (così in VASARI 1966-1986,V, p. 276); ed è rilevante sotto questo aspetto, pur nella sua brevità, il giudizio dato nella sua autobiografia da Raffaello da Montelupo, che parla del Bandinel- li come di «schultore di buona fama, masimo nel disegnare» (cito da WALDMAN 2004, doc. 92 p. 43). Lo stesso Bandinelli trovava in ciò un motivo di vanto esplicito nelle pagine del Memoriale: «Tutto il mio intento era nel disegniare e nel quale, al giudizio di Michelagniolo, de’ nostri principi e de’ mi- gliori, tanto prevalsi» (così in COLASANTI 1905, p. 433, pari a BAROCCHI 1971-1977, II, p. 1395); e del resto, anche Benvenuto Cellini ritraeva un Bandinelli tutto intento a difendere le proprie capacità
pittura; buon matematico, buon poeta, buono istorico, non ignaro nelle sacre carte, lo sanno
le fiorentine compagnie che tante volte l’hanno udito; intelligente della lingua latina, della
spagnola, della franzese,
137ne’ motti arguto e pieno di sale,
138lo sa l’Etrusco, e Benedetto
Varchi;
139di cuore nobile, non meno che di sangue, non meno pronto delle mani che nella
di disegnatore: in presenza di Cosimo I, durante una baruffa con l’orefice, avrebbe detto: «Ahi, cattiva linguaccia, o dove lasci tu ’l mio disegno?» (CELLINI 1996, p. 654). Vd. anche, più di recente, HEI- KAMP 1966, p. 55 e passim; WARD 1981, passim; il rilevante contributo di WEIL-GARRIS 1981;BAR- KAN 1999, pp. 272, ove si rilegge acutamente un giudizio di Galileo Galilei su Baccio disegnatore, e pp. 304-319; BÉGUIN -COSTAMAGNA 2003, p. 11; VOSSILLA 2010-2012, pp. 69-70, e PIERGUIDI 2013, pp. 202-203. Non sono noti, salvo errore, espliciti giudizi michelangioleschi sulle capacità di disegno di Baccio, salvo quelli ricordati nel Memoriale: «[...] le mia opere, le quali erano lodate da Michela- gniolo, come confessò al Cardinale di S.a Maria in Portico, come si vede per un suo detto mandatomi dallo stesso cardinale, e per lettere scritteci, sì come dagli altri intelligenti», e soprattutto: «Tutto il mio intento era nel disegniare e nel quale, al giudizio di Michelagniolo, de’ nostri principi e de’ mi- gliori, tanto prevalsi» (COLASANTI 1904, rispettivamente pp. 425 e 433, pari aBAROCCHI 1971-1977, II, pp. 1375 e 1395, su cui vd. anche PIERGUIDI 2013, pp. 206-208). Si consideri, in ogni caso, che il rapporti con l’artista di Caprese non erano idilliaci («gli portava odio», a detta di VASARI 1966-1986, V, p. 250; ma vd. anche pp. 241-242); e che il desiderio di superare Michelangelo nel disegno e in tut- te le altre prove d’artista era fatto noto a tutti, stigmatizzato tra l’altro da Pietro Aretino in una lettera dell’ottobre del 1545 indirizzata proprio al Bandinelli, nella quale il Divino lo rimproverava di poca sollecitudine: «[...] Ma ella è sì di natura vostra la ingratitudine, che lo sperare tal piccola cosa è di più stoltizia, che la di voi prosonzione allora che si arrischia con temeraria fantasticaria di voler superare Michel Agnolo» (ARETINO 1999, lettera 378 p. 334). Si noti per inciso che, più che quella michelan- giolesca, si tende oggi a sottolineare piuttosto la componente leonardesca del disegno bandinelliano, in ragione della frequentazione giovanile della bottega di Giovanfrancesco Rustici: cfr. HEGENER 2010.
137 buon matematico, buon poeta ... della franzese: esistono in effetti altri attestati delle qualità in-
tellettuali e scrittorie del Bandinelli – dati peraltro anche nel Memoriale: cfr. COLASANTI 1904, p. 430- 431,BAROCCHI 1971-1977, II, pp. 1386-1387 –, anche se al momento nulla di tutto ciò sembra so- pravvivere: è significativa in proposito la ricostruzione, non esente da desiderio di autopromozione, fornita nel 1633 da Baccio il giovane e il di lui fratello Francesco in un documento stilato per provare la nobiltà della famiglia Bandinelli: «Il suddetto sig.r Cav.re Baccio Bandinelli fu nelle virtù, nella scultura, nel disegno e nelle lettere, come si vede ne’ libri da lui composti et conservati da’ detti Si- gnori, suggetto admirabile» (cfr. WALDMAN 2004, doc. 1589 pp. 872-879: 876; l’originale di questo curioso documento è conservato a Firenze, Archivio di Stato, Notarile moderno, 10521 (notaio Cosi- mo Minucci, 1633), cc. 52v-69r). Cfr. anche WAŹBIŃSKI 1987, I, pp. 60-63, che dedica congruo spa- zio alle capacità letterarie del Bandinelli.
138 ne’ motti arguto e pieno di sale: delle arguzie del Bandinelli dà prova lo stesso Doni all’interno
della seconda parte dei Marmi, mettendogli in bocca un’osservazione in elogio di Michelangelo: «[...] stetti a Carrara alcuni giorni a far quella cura. Il Cavalieri faceva apunto cavare i marmi, e dopo molte cose dette, io gli dimandai una volta quali erano stati i più bei marmi che si fossero cavati da Carrara; egli, che ha il cervello sottile, non attinse a bianchezza o bellezza di pietra, ma disse un’altra cosa. “Io credo che i più bei marmi che fusser mai cavati da Carrara sien quegli che Michel Agnolo mirabilis- simo ha lavorati nella sagrestia di San Lorenzo, e principalmente que’ due capitani sopra le sepolture”. Il cavalieri Bandinello, quando disse questo, non passò ad altra intelligenza che alle lodi di Michel Agnolo, e volle dire che, per esser uomo sì divino, aveva fatto due statue senza paragone e senza menda [...]» (DONI 1552-1553a, II, pp. 46-47, pari a DONI 1928, I, pp. 216-217).
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lo sa l’Etrusco, e Benedetto Varchi: i nomi di due degli intellettuali non sembrano, a dire il ve- ro, particolarmente pertinenti per tracciare un elogio del Bandinelli: non per Alfonso de’ Pazzi, detto l’Etrusco, «sopra ogni altro satirico» (così nel Memoriale: vd. COLASANTI 1904, p. 429, pari aBA- ROCCHI 1971-1977, II, p. 1384) che anzi si fece beffe a più riprese del Bandinelli al momento della scopertura delle sue opere (vd. i due testi editi in HEIKAMP 1964, pp. 64-65 e 66, assieme a quelli editi da WALDMAN 2004, pp. 915-916, 919-920, e, con maggiori cure, da MASI 2007, pp. 353-355, assieme alle note introduttive alle pp. 343-346 e di BARKAN 1999, p 285). E non per il Varchi, che oltre a mo- tivi personali dissidio quale l’interpretazione di un luogo di Tacito (vd. COLASANTI 1904, p. 429, pari aBAROCCHI 1971-1977, II, p. 1384, assieme ad HEIKAMP 1964, p. 59), tacque il nome di Baccio nella sua disputa sulla maggioranza delle arti del 1549, se non per fare un velenoso cenno al «difetto d’arte» del Bandinelli nella costruzione dell’Ercole e Caco, responsabile della morte di un uomo (VARCHI BORGHINI 1998, p. 48: «[...] E si vede ancora che i colossi si fanno di pezzi, o per mancamento di ma- teria, come avviene mille volte, o per difetto d’arte, come si vede nell’Ercole di Piazza, quando cadde quel pezzo con gran danno di chi v’era sotto»; il fatto è da identificare con quello descritto nella testi-