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Esigenze di tutela e rispetto del principio di determinatezza.

20439, in Guida dir., 2007, f. 24, p. 68; Cass. pen., Sez. VI, 5 marzo 2001, n. 16230, in Cass. pen. 2002, p. 1388.

169 Contra M.ROMANO, Op. cit., Milano, 2008, p. 149. Secondo l’Autore la

norma non ha nulla a che vedere con l’eventuale inosservanza di doveri di esclusività del servizio, senza contare che una reazione sensata a questo genere di irregolarità sembrerebbe da trovare nei limiti di illeciti disciplinari o amministrativi in genere.

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Tra i problemi che la clausola “abusivamente” pone sul tappeto, quello che, più di ogni altro, interessa, è verificare se, con tale espressione, si intenda fare rinvio all’assenza dei requisiti, fissati dalla disciplina extrapenale di riferimento, alla ricorrenza dei quali è condizionato il possesso dell’abilitazione e se tale rinvio permetta di costruire la fattispecie, di cui all’art. 348 c.p., come norma penale in bianco o se a tale clausola debba attribuirsi la

valenza di elemento normativo del fatto, costruito

negativamente.

Secondo un primo orientamento, la disposizione in commento costituirebbe una norma penale in bianco, in quanto contenente un implicito rinvio ad altre norme che disciplinano le diverse professioni richiedendo, per il loro esercizio, una speciale abilitazione (170). Letta in tal senso, il collegamento con la

normativa extrapenale può essere inteso come completamento del precetto contenuto nell’art. 348 c.p.: sarebbe il richiamo delle condizioni riportate dalle singole discipline ad indicare quando, in loro assenza, l’esercizio della professione debba considerarsi “abusivo” (171).

A causa del carattere di norma penale in bianco, l’art. 348 c.p. è stato tacciato, più volte, di incostituzionalità, con riferimento agli artt. 25 e 27 Cost., ritenendo che il rinvio alle disposizioni disciplinanti le diverse professioni rendesse la

170 G.FIANDACA E.MUSCO, Op. cit., Bologna, 2002, p. 308; E.CONTIERI,

Op. cit., Milano, 1966, p. 607; S. RICCIO, voce Professione (esercizio abusivo di

una), in Noviss. dig. it., vol. XIV, Torino, 1957, p. 11. Per la giurisprudenza si

veda Cass. pen., Sez. VI, 10 novembre 2009, n. 47028, in Ced Cass. pen., 2009, rv. 245305;Cass. pen., Sez. VI, 11 aprile 2001, n. 27853, in Ragiufarm, 2002, p. 71.

171 M.MANTOVANI, L’esercizio di un’attività non autorizzata, Torino, 2003,

p. 92. In tale prospettiva, le discipline amministrative in commento svolgerebbero precisamente quella funzione di completamento, o di vero e proprio riempimento esclusivo del nucleo precettivo dell’art. 348 c.p., che corrisponde alla sua ricostruzione sub specie di norma penale in bianco.

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norma incompleta e, quindi, in contrasto con il principio di riserva di legge e di determinatezza.

La problematica è stata superata, una volta per tutte, dalla Corte Costituzionale la quale, recependo un orientamento accolto sia dalla Corte di Cassazione (172) che dello stesso giudice

delle leggi (173), ha ritenuto infondata la questione di legittimità

costituzionale dell'art. 348 c.p., “nella parte in cui tale norma penale

verrebbe integrata da una disposizione di natura esclusivamente regolamentare e priva di un adeguato grado di determinatezza (nella specie, art. 16 r.d. n. 274 del 1929 riguardante i limiti all'esercizio della professione di geometra), in riferimento agli art. 25 e 27 Cost.”. Il

giudice delle leggi ritiene che il fatto che lo Stato prescriva, in funzione di tutela di interessi generali, una speciale abilitazione per l’esercizio di una professione, è un fenomeno che non si discosta da quell’ampia gamma di situazioni in cui i provvedimenti di natura abilitativa od autorizzatoria incidono su posizioni soggettive qualificate, determinando l’applicabilità di sanzioni penali nelle ipotesi in cui i limiti propri di quelle posizioni soggettive non siano stati rispettati.

172 Ci si riferisce a Cass. pen., Sez. Un., 29 novembre 1958, in Giust. pen.,

1959, II, p. 1165, con la quale si stabilì che la norma, lungi dall’essere in contrasto con lo spirito e con la lettera della Costituzione, trovava in essa ampia ed incondizionata conferma laddove si stabiliva, all’art. 33, l’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio professionale; abilitazione tanto più necessaria per l’esercizio delle professioni sanitarie in generale e per quella del medico chirurgo in particolare, in quanto la salute è costituzionalmente tutelata come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, nell’art. 32.

173 Corte Cost., 13 giugno 1983, n. 169, in Cass. pen., 1983, p. 1927, con la

quale venne dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale della norma e dell’art. 1, del D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), sollevata denunciando l’elencazione in modo troppo generico delle attività riservate agli iscritti all’albo, il cui compimento da parte dei non iscritti avrebbe comportato la responsabilità penale per il reato di esercizio abusivo della professione.

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Ma se la condotta non abilitata ben può essere ritenuta illecita in quanto tale, essendo a tal fine sufficiente il contenuto prescrittivo offerto dal precetto penale, non v’è ragione di dubitare che l’art. 348 c.p. descriva una fattispecie perfetta in tutti i suoi connotati tipizzanti. La Corte conclude che il provvedimento abilitativo non integra, in sé per sé, un elemento che positivamente si iscrive nella struttura della fattispecie, la quale, dunque, non potrebbe vivere senza di esso, ma rappresenta, al contrario, il presupposto che “in negativo” condiziona la capacità giuridica del soggetto in ordine all’esercizio di quella specifica professione (174).

Tale impostazione, quindi, nega che si possa parlare di norma penale in bianco: se le norme penali in bianco, si afferma, sono quelle in sé incomplete, che attendono la loro integrazione da altra fonte che, riempiendola, contribuisce, in termini astratti e generali, a formare il tipo di illecito, è altrettanto vero che l’art. 348 c.p. è una norma conclusa, con tanto di precetto e sanzione (175).

Secondo i sostenitori di questa tesi, sarebbe preferibile evidenziare come la norma possieda, tra i suoi elementi essenziali, la mancanza della speciale abilitazione richiesta, mancanza che rappresenta un elemento del fatto costruito

174Corte Cost., 27 aprile 1993, n. 199, in Foro it., 1994, I, p. 2980. Non vi è

ragione per dubitare, secondo tale impostazione, che anche l’art. 348 c.p. descriva una fattispecie perfetta in tutti i suoi connotati tipizzanti, senza doversi necessariamente evocare, quale ulteriore elemento descrittivo del fatto, l’esatta natura, il contenuto ed i limiti dello specifico provvedimento con il quale una determinata persona è abilitata ad esercitare una certa professione.

175 Non tutto il contenuto della fattispecie è rinviato alla disposizione

extrapenale, perché il nucleo-base della condotta, consistente nell’esercizio della professione, può essere definito anche sulla base del linguaggio comune. Solo l’abusività di questo esercizio, ha un contenuto integralmente rinviato alle disposizioni extrapenali. Così A.PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte

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negativamente. In altre parole, la disciplina amministrativa della

professione, non contribuisce a formare il reato, ma solo a fungere da criterio di riferimento per determinare l’abuso (176).

La tesi in commento ha l’indubbio pregio di minimizzare i problemi di armonizzabilità tra le singole fonti delle discipline professionali con il principio di riserva di legge, in quanto si reputa l’art. 348 c.p. come norma perfettamente completa.

Anche i sostenitori della tesi ora accennata affermano, comunque, che, sebbene l’art. 348 c.p. non costituisca una norma penale in bianco e non presenti alcuna problematica sotto il profilo della determinatezza, è innegabile che la verifica del carattere abusivo dell’esercizio della professione sia difficoltosa, soprattutto nei casi in cui la normativa che disciplina la particolare professione non indichi con sufficiente certezza gli atti e le attività che possano dirsi “tipici”, ovvero propri di quella particolare professione (177).

In realtà, la teoria da ultimo esposta non è andata esente da critica: si è sostenuto, infatti, che spesso le discipline professionali non contengono indicazioni sufficientemente precise circa le caratteristiche degli atti che possono definirsi “professionali” (178). Di conseguenza, se si vuole che l’elemento

normativo della mancanza di abilitazione provveda non solo a

176 M.ROMANO, Op. cit., Milano, 2008, p. 145.

177 Anche a voler negare che la fattispecie in esame possa considerarsi

come norma penale in bianco, è indiscutibile che un ruolo determinante è affidato proprio alle disposizioni extrapenali che stabiliscono le condizioni, oggettive e soggettive, in difetto delle quali non è consentito l’esercizio di determinate professioni per le quali è richiesta una particolare abilitazione dello Stato. Si tratta, ancora una volta, del fenomeno dell’eterointegrazione, caratterizzato dalla effettiva compenetrazione fra precetto penale e fonte normativa subordinata. Per approfondimenti si rimanda a A. STRATA,

Osservazioni a Cass. pen., sez. VI, 26 febbraio 2009, n. 11044, in Cass. pen., 2010, 02,

p. 574.

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concretizzare le note di abusività della singola condotta professionale, ma anche a definire quali siano gli atti tipici della professione, continuano i sostenitori della critica, si finisce per attribuire all’elemento normativo una funzione di integrazione vera e propria della fattispecie, il che si pone decisamente in contraddizione con la natura di elemento normativo.

Nonostante il tentativo, operato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, di salvare la norma dalle accuse di incostituzionalità, l’orientamento dominante dei giudici di legittimità continua a considerare l’art. 348 c.p. una norma penale in bianco, che presuppone l’esistenza di norme giuridiche diverse, che qualificano una determinata attività professionale, prescrivono una speciale abilitazione dello Stato ed impongono l’iscrizione in uno specifico albo, venendo in tal modo a configurare le c.d. “professioni protette”: al giudice è precluso di colmare le eventuali lacune, di normative disciplinanti le professioni incomplete o addirittura assenti, con la prescrizione di regole astratte e generali (179).

Come evidenziato dalla dottrina, il richiamo effettuato dal Legislatore, all’interno dell’art. 348 c.p., ad alcuni provvedimenti di natura amministrativa, come le abilitazioni dello Stato, circoscrive di molto i dubbi relativi ad una possibile violazione del principio di riserva di legge, posto che l’abilitazione, nel caso in cui fosse disciplinata da una fonte secondaria, integrerebbe, solo dal punto di vista “tecnico”, elemento di fatto già

179 Cass. pen., Sez. VI, 29 maggio 1996, n. 2076, in Studium Juris, 1996, p.

1303; Cass. pen., Sez. VI, 3 aprile 1995, n. 9089, in Dir. pen. proc., 1996, p. 595. L’evoluzione scientifica e tecnologica determinano sovente la possibilità che nuove attività professionali non riescano ad essere incasellate nelle professioni ufficialmente consolidate, ma ciò non può essere motivo per una dilatazione degli ambiti delle categorie professionali, riconosciute, fino a ricomprendere, nella riserva loro spettante, attività soltanto analoghe, complementari, parallele o ausiliarie rispetto alle professioni protette.

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contemplato dalla legge che configura il reato, non incidendo affatto sulla completezza del precetto penale (180).

3. Esercizio abusivo della professione e compimento di atti