La riforma del 1990 ha tentato, come visto, di valorizzare e potenziare la tipizzazione legislativa del fatto di abuso di ufficio per contenere il sindacato del giudice penale in materie riservate alla discrezionalità politica della Pubblica Amministrazione.
Propositi che, però, sebbene perseguiti dal legislatore non appaiono del tutto soddisfacenti, none essendo riusciti ad offrire una maggiore tipizzazione della norma, al fine di realizzare una fattispecie effettivamente determinata (261).
260 Cass. pen., Sez. VI, 19 novembre 2009, n. 44501, in Ced, rv. 245007. 261 Rimane irrisolto, secondo certa dottrina, il problema della c.d.
“supplenza giudiziaria”, fenomeno che ha costituito l’effetto della indeterminatezza, vaghezza delle numerose fattispecie ora confluite nell’attuale delitto di abuso di ufficio. R. RAMPIONI, Op. cit., Torino, 1993, p.
110. La condotta criminosa dell’abuso di ufficio consta di una formula sufficientemente ampia tale da ricomprendere, oltre alla figura dell’abuso generico di potere, anche le vecchie condotte di “distrazione” e di “presa di privato interesse”; formula ancora più estesa rispetto al passato in quanto facente riferimento a tutte quelle condotte che si concretizzano in un uso
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Per quanto a noi interessa appare, altresì, problematica l’individuazione della esatta natura dei rinvii operati dall’art. 323 c.p., ovvero se si sia in presenza di una norma penale in bianco oppure di una norma integrata da elementi normativi (giuridici), soluzione che prende le mosse dalla corretta qualificazione in termini di elemento attinente al precetto o al fatto, nelle forme, appunto, di elemento normativo.
In estrema sintesi, secondo un criterio autorevolmente proposto, inerisce al “precetto” la norma che individua gli elementi del fatto in ragione del loro significato basilare, mentre completa il “fatto” la disposizione che contribuisce alla selezione dei dati fattuali rispondenti a quel significato, senza arricchire di ulteriori elementi la regola comportamentale sanzionata (262).
Sulla base di tale considerazione, conformemente alla corrente dottrinale che riteniamo di accogliere (263), preferiamo
considerare gli elementi in commento come elementi attinenti al “fatto”, alla stregua di elementi normativi. Cosa sia abuso di ufficio e quale sia la regola di condotta la cui trasgressione risulta sanzionata lo si evince dalla lettura dell’art. 323 c.p., disposizione che appare, già alla lettera, perfettamente dotata di senso (264).
deviato o distorto dei poteri funzionali e che pongono in pericolo il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.
262Se la disposizione mutasse, cambierebbero le situazioni di fatto alle
quali si applica la norma incriminatrice, ma non il “senso” della disposizione incriminatrice. D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano,
1976, p. 241 e ss.
263 O. DI GIOVINE, Concessione edilizia illegittima e abuso di ufficio, in Foro
it., 2000, p. 148.
264 Le leggi o i regolamenti non dicono cosa sia il reato di abuso di
ufficio ma aiutano alla comprensione di quando il reato possa dirsi integrato. Per approfondimenti si veda G. LICCI, Abuso di ufficio. Analisi di un enunciato
normativo, in Scritti in onore di Marcello Gallo. Scritti degli allievi, Torino, 2004, p.
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Da ciò il problema della eventuale indeterminatezza della legge o del regolamento richiamato dalla fattispecie incriminatrice. Ci siamo già interrogati (v. retro Capitolo 2, § 6) sulla problematica relativa alla necessità di assoggettare gli elementi normativi al principio costituzionale di determinatezza, avendo evidenziato, in tale frangente, come il più recente orientamento giurisprudenziale del giudice delle leggi (265) abbia
ritenuto irrealizzabile solo il sindacato diretto delle disposizioni normative di origine amministrativa, lasciando “libero” il controllo di legittimità, anche in relazione a queste ultime, quando siano oggetto di richiamo a completamento del contenuto precettivo della norma primaria.
In tal modo si evita che solo una parte dell’art. 323 c.p. sia coperta dalla garanzia costituzionale e che la restante parte sia lasciato alle regole in vigore nei diversi rami del diritto cui fa parte la disposizione richiamata.
Potremmo essere indotti a credere che la fattispecie di cui all’art. 323 c.p. sia precisa per il solo fatto di pretendere che vi sia una violazione di legge o di regolamento, a prescindere dalla precisione delle fonti richiamate. Il che non è; posto che la norma incriminatrice richiede la violazione della norma richiamata è necessario che quest’ultima stabilisca “precise” direttive di condotta.
L’abuso di ufficio, presentandosi come una figura “residuale” e di “chiusura”, posta al confine con fenomeni di illiceità meramente amministrativa, comporta che spetti al legislatore, in definitiva, tracciare nettamente il confine incerto con l’area destinata alla discrezionalità della pubblica amministrazione mediante quello che potremmo definire come “eccesso di dettaglio” o “eccesso di tipizzazione” non in grado,
S. CANESTRARI – A. MANNA – M. PAPA, Trattato di diritto penale. Parte Speciale,
II, I delitti contro la pubblica amministrazione, Torino, 2008, p. 317.
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ancora oggi, di risolvere tutte le problematiche connesse al rispetto del principio di determinatezza.
Un’apertura verso un sindacato di discrezionalità, limitato da un riferimento a puntuali disposizioni normative, con la dovuta attenzione a non creare irragionevoli disparità tra le fonti appare, comunque, auspicabile, (266).
Si dovrebbe allora ritenere che il richiamo alla violazione di norme di legge o di regolamento postuli un giudizio fondato su regole di condotta che siano almeno relativamente determinate, con la conseguenza che i processi di abuso d’ufficio dovrebbero disputarsi spesso sul contenuto delle regole.
Si tratta di una prospettiva gravida di potenziali difformità sistematiche, essendo chiaro che il grado di tassatività delle
prescrizioni normative, nei diversi settori dell'attività
amministrativa, può risultare variabile per ragioni del tutto occasionali. Così, potrebbe capitare che in alcuni settori la “vetustà” della disciplina ignori il richiamo a regole elastiche, mentre in altri settori, coinvolti in recenti opere di riforma legislativa, si profilino parametri normativi elastici sulla cui base precaria, proprio in quanto in continua evoluzione, si pongono forti problematiche di determinatezza.
266 Risultato che potrebbe ottenersi, ad esempio, utilizzando una
formula che riproponga il concetto di abuso nei seguenti termini: “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, abusa dei propri poteri, in violazione di specifiche disposizioni di legge o di regolamento o che attuano norme di legge o di regolamento. A. VALLINI, Op. cit., Napoli, 2011, p. 375.
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APITOLOIII
I
NOSSERVANZA DEI PROVVEDIMENTI DELL’
AUTORITÀSommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. L’art. 650 c.p. e la
determinatezza: le ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, di ordine pubblico e di igiene.