La problematica relativa al principio di determinatezza ci porta, ora, ad approfondire l’elemento sul quale più di ogni altro, si pongono le esigenze di determinatezza, ovvero l’“enunciato normativo”.
Con il termine “enunciato”, intendiamo, in linea di prima
approssimazione, l’espressione linguistica in forma
grammaticalmente compiuta (65). Di conseguenza, è enunciato
sia l’espressione “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito”, sia qualsiasi altra espressione priva di significato, posto che le caratteristiche essenziali dell’enunciato sono solo quelle di essere un insieme di segni grafici od uditivi e di essere una espressione grammaticalmente compiuta, ovvero organizzata secondo le leggi della grammatica che appartengono ad una determinata lingua (66).
L’aggettivo “normativo” ci porta a considerare solo gli enunciati che siano dotati di significato capace di operare nel mondo del diritto e che, avendo carattere precettivo, siano diretti ad ottenere comportamenti umani. Gli enunciati, infatti, possono avere lo scopo di informare la realtà o di influire sul comportamento altrui; mentre la prima funzione è tipica degli enunciati c.d. asseverativi, la seconda è propria degli enunciati
normativi, oggetto specifico del nostro studio. Appare evidente
come anche l’enunciato asseverativo, in definitiva, sia in grado
65 G. TARELLO, Diritto, enunciati, usi; studi in materia di metateoria del
diritto, Bologna, 1974, p. 143.
66 F. PALAZZO, Op. cit., Padova, 1979, p. 320. Ovviamente occorre
precisare che l’organizzazione di un insieme di segni linguistici in forma grammaticalmente e sintatticamente compiuta presuppone pur sempre che quei segni siano assunti ciascuno nel suo significato linguistico, essendo impossibile utilizzare le leggi della grammatica e della sintassi su segni considerati semplicemente quali puri frammenti di realtà sensibile.
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di influire sul comportamento altrui e come l’enunciato normativo non possa fare a meno di indicare la realtà.
Per poter efficacemente influire sul comportamento altrui è necessario che l’enunciato normativo indichi il comportamento vietato o comandato, nonché il fatto cui si riferisce, ed è a questo punto che sorgono i problemi di determinatezza, anche nel caso in cui si tratti di c.d. “norma discrezionale”, ovvero priva di fattispecie (67), posto che anche in siffatto frangente è sempre
necessario che il soggetto chiamato a dare applicazione alla norma individui i fatti cui vada applicata la conseguenza giuridica.
Se intendiamo parlare di enunciato normativo, quale oggetto di determinatezza, dobbiamo fare riferimento a tre elementi essenziali che detto enunciato deve possedere: a) la “formula”, ovvero l’insieme dei segni linguistici organizzati in maniera grammaticalmente e sintatticamente corretta; b) il “fine”, ovvero lo scopo pratico che la norma mira a conseguire; c) la “fattispecie”, ovvero l’indicazione del fatto e delle conseguenze giuridiche che costituisce, in ultima analisi, il risultato dell’interpretazione.
La dottrina ha analizzato il rapporto intercorrente tra lo scopo della norma e la fattispecie, rapporto che può portare ad una reciproca strumentalità oppure ad una reciproca tensione dialettica.
Da un lato, infatti, la fattispecie costituisce uno strumento per il perseguimento di un determinato scopo giuridico, quest’ultimo individuabile anche attraverso l’interpretazione della fattispecie ma, al tempo stesso, l’individuazione della fattispecie è condizionata dallo scopo perseguito dalla norma (68).
67 F.PALAZZO, Op. cit., Padova, 1979, p. 323.
68 U. SCARPELLI, voce Semantica giuridica, in Noviss. dig. it., vol. XVI,
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Sul punto, in particolare per quanto riguarda lo scopo della norma, possiamo domandarci se questo debba essere inteso in senso oggettivo o soggettivo. Mentre la concezione oggettiva dello scopo tenta di adeguare il diritto alla realtà attuale (69),
salvo, poi, domandarsi se il richiamo allo scopo oggettivo comporti l’attribuzione alla legge di scopi diversi da quello storico nel caso in cui emergano altre fonti disciplinanti una determinata materia, come la Costituzione o altre fonti “prodotte” dalla realtà sociale e dal costume (70), la concezione soggettiva individua lo scopo non tanto dall’enunciato normativo,
quanto dai lavori preparatori della legge, senza attingere a fonti di difficile individuazione, con la conseguenza che, in quest’ultima ipotesi, i problemi di determinatezza sarebbero minori (71).
Ma tra la fattispecie e lo scopo della norma può insorgere, come accennato, anche un rapporto di “tensione dialettica”; il fine della norma deriva, infatti, dalla natura precettiva dell’enunciato normativo mentre, la fattispecie, ovvero il significato cognitivo dell’enunciato normativo, è proprio anche degli enunciati asseverativi, come accennato in precedenza. Al tempo stesso, la fattispecie si pone come limite allo scopo della norma, circoscrivendo la funzionalità della norma ai fatti indicati nella stessa.
Come è stato evidenziato in dottrina, questo particolare rapporto tra fattispecie e scopo della norma si rileva non solo dal punto di vista interpretativo ma, soprattutto, sul piano della formulazione della norma in quanto, al momento della costruzione della legge penale, il legislatore può utilizzare o la
69 Per tutti si veda V. KREY, Studien zum Gesetzsvorbehalt im Strafrecht.
Eine Einfuhrung in die Problematik des Analogieverbots, Berlin, 1977, p. 183.
70 F. PALAZZO, Op. cit., Padova, 1979, p. 326.
71 W. NAUCKE, Der Nutzen der subjektiven Auslegung, in Festschrift für K.
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tecnica dell’indicazione dei fini o dell’indicazione dei fatti, questi ultimi indicati mediante l’utilizzo sia di elementi descrittivi e valutativi (72).
Si tratta di una distinzione piuttosto importante in quanto, se la norma è costruita mediante l’indicazione del fine, sebbene possa essere provvista anche di una fattispecie, assume i tratti di una disposizione “discrezionale”, la quale presenta un grado di determinatezza minore rispetto alla norma formulata mediante l’indicazione esclusiva dei fatti (73).
Il linguaggio giuridico, stante la sua importanza in termini
di determinatezza, apre le porte ad un ulteriore
approfondimento che tocca, in particolare, il soggetto destinatario della norma penale, dei termini utilizzati dal Legislatore, per il tramite della fattispecie incriminatrice, ovvero l’interprete.
Una interpretazione conforme a Costituzione presuppone che si sia in presenza di una fattispecie costituita da elementi che siano passibili di interpretazione. Può accadere, infatti, che l’interprete, davanti ad un elemento della fattispecie, si trovi di fronte ad un bivio e considerarlo un’espressione linguistica priva di significato oppure dotata di significato giuridicamente rilevante, così come può verificarsi che l’elemento della fattispecie sia dotato di una molteplicità di significati.
Non solo; i criteri per la formulazione della norma devono tenere in debita considerazione anche la conoscibilità della fattispecie. Le esigenze di conoscibilità della norma, sottese al principio di determinatezza, sebbene non sembrino in grado di costituirne il fondamento esclusivo, dovrebbero comunque ispirare la tecnica di formulazione legislativa in uno stato democratico di diritto.
72 F. PALAZZO, Op. cit., Padova, 1979, p. 330. 73 F.PALAZZO, Op. cit., Padova, 1979, p. 332.
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APITOLOII
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ORME DI ETEROINTEGRAZIONE DELLA NORMA INCRIMINATRICESommario: 1. Il precetto e gli strumenti per la sua integrazione. – 2. Le
norme penali in bianco tra riserva di legge e principio di determinatezza. – 3. La “scoperta” degli elementi normativi e la loro evoluzione nel pensiero della dottrina. – 4. Le norme definitorie (cenni). – 5. La distinzione tra norma penale in bianco ed elemento normativo. In particolare la valutazione di determinatezza come criterio per distinguere la norma penale in bianco dall’elemento normativo. – 6. Conclusioni: l’applicabilità del principio di determinatezza alle norme integratrici.