• Non ci sono risultati.

Esordio, evoluzione e sintomi dell’Alzheimer

LE MALATTIE DELLA VECCHIAIA

4.2. Esordio, evoluzione e sintomi dell’Alzheimer

In letteratura ci sono dei racconti interessanti sui mutamenti che accompagnano il manifestarsi di una malattia con descrizioni piene di dettagli per aspetti trascurati della vita, per la rottura di sintonia con le piccole cose, per il mutamento del malato nel tempo. Un esempio in questo senso ci viene proposto da Nicholas Sparks nel romanzo Le pagine della nostra vita in cui lo scrittore descrive il manifestarsi della malattia di Alzheimer con queste parole: «…col senno di poi la cosa sembra ovvia,

ma sulle prime pensai che le sue smemoratezze fossero comprensibili e nient’affatto eccezionali. Dimenticava dove aveva messo le chiavi, ma capita a tutti. Dimenticava il nome di qualche conoscente, ma non degli amici e delle persone a noi più vicine. A volte sbagliava la data sugli assegni, ma non vi davo peso, semplici errori che si commettono quando si pensa ad altro. Fu quando si manifestarono episodi più allarmanti che cominciai a sospettare il peggio. Un ferro da stiro nel freezer, la biancheria nel lavapiatti, dei libri nel forno. Il giorno in cui la trovai nella sua auto a tre isolati di distanza, china in singhiozzi sul volante perché non trovava la via di casa, mi spaventai davvero. E si spaventò anche lei perché quando bussai al finestrino si voltò e disse: “O Dio, che cosa mi succede? Per favore aiutami”. Mi si annodò lo stomaco ma non osai pensare al peggio. La settimana seguente il nostro medico la sottopose ad una serie d’esami. Non ci capivo nulla e non ci capisco nulla nemmeno adesso, probabilmente perché non voglio capire. Poi il dottor Barnwell la visitò a lungo e le disse di ritornare il giorno seguente. La accompagnai. Fu l’attesa

Francesco Nicola Gaspa

Il corpo, la vecchiaia, la malattia: uno sguardo antropologico sull’Alzheimer

Dottorato di ricerca in Antropologia, Storia medioevale, Filologia e Letterature del

Mediterraneo occidentale in relazione alla Sardegna

Università degli Studi di Sassari

151

più lunga della mia vita. Sfogliai giornali senza leggerli e cercai di risolvere quiz che non m’interessavano. Alla fine il medico fece entrare anche me nel suo studio e m’invitò a sedere posandomi una mano rassicurante sulla spalla. Ma rammento chiaramente che tremavo. Mi dispiace dovervelo dire, cominciò il dottor Barnwell, ma sembra che la signora sia al primo stadio dell’Alzheimer. Il mio cervello si svuotò di colpo e riuscivo solo a vedere la luce della lampada sopra le nostre teste, mentre rimbombava l’eco di quelle parole: il primo stadio dell’Alzheimer …. È una malattia desolata, vuota e arida come il deserto. Un ladro di cuori e di anime e di memorie. Non sapevo che dirle mentre lei singhiozzava sul mio petto e la strinsi a me cullandola…»408.

La sintomatologia della malattia di Alzheimer inizia impercettibilmente, silenziosamente, subdolamente. È come un banco di nebbia che si solleva leggero, evanescente, impalpabile per poi addensarsi, avvolgere e annullare ogni cosa. Questo è il motivo per il quale spesso la diagnosi iniziale è di difficoltà estrema ed, inoltre, il malato non può dare un valido aiuto. L’esordio è per lo più caratterizzato da un lento e graduale deterioramento della memoria, il paziente ha difficoltà a ricordare, soprattutto i fatti recenti, a risolvere problemi quotidiani, a rispondere adeguatamente agli stimoli ambientali. Presenta una facile distraibilità e un minimo disorientamento temporale. La persona malata ha un deficit nelle abilità visuo-spaziali in conseguenza del quale l’orientamento diventa difettoso e non è più in grado di descrivere, ad esempio, la strada da percorrere per andare da un posto all’altro. Con il peggioramento di queste abilità si evidenzia una sempre più accentuata difficoltà a copiare forme geometriche semplici. Il malato non riesce a trovare le parole idonee per un discorso coerente che, pertanto, risulta frammentato, incerto, pur in presenza di una relativa conservazione della capacità di comprensione. Lo stesso fenomeno si verifica per quanto riguarda la scrittura. Subentra ansia, depressione, negazione della malattia, difficoltà nel portare a termine il lavoro quotidiano, aggravando così ulteriormente le proprie capacità cognitive e diminuendo le possibilità a svolgere le

Francesco Nicola Gaspa

Il corpo, la vecchiaia, la malattia: uno sguardo antropologico sull’Alzheimer

Dottorato di ricerca in Antropologia, Storia medioevale, Filologia e Letterature del

Mediterraneo occidentale in relazione alla Sardegna

Università degli Studi di Sassari

152

più banali attività quotidiane. Si ha così una grave compromissione della vita di relazione. In questo stadio sono ancora assenti le alterazioni motorie.

Talvolta, la malattia viene diagnosticata in seguito all’insorgenza di uno stato confusionale acuto in concomitanza con un intervento chirurgico, un lieve trauma cranico, un episodio febbrile, l’assunzione di determinati farmaci. A questo segue una fase intermedia con un disorientamento temporale più accentuato, deficit di memoria moderato-grave che interferisce ulteriormente con le normali attività quotidiane. Si presenta un chiaro disturbo del linguaggio, con l’incapacità del paziente di portare a termine richieste più o meno complesse, anche se non sempre è facile capire se tali richieste siano state dimenticate oppure non siano state comprese. Tutti questi disturbi diventano più evidenti man mano che la malattia progredisce. Infatti, in seguito compare un’incapacità totale a formulare frasi complete e ben poco di ciò che è scritto o detto viene interpretato correttamente. A volte è presente ecolalia, una drammatica ripetizione d’ogni frase udita, oppure si arriva al silenzio della parola, all’incapacità di riconoscere gli oggetti più familiari, ad alterazioni comportamentali quali deliri, allucinazioni, vagabondaggio.

Inoltre, si verifica un progressivo impoverimento di altre funzioni, quali la prassia, le cui alterazioni insorgono quando il declino cognitivo è di gravità moderata. Infatti, il malato dimentica progressivamente l’uso degli oggetti comuni, come ad esempio il rasoio che non viene appoggiato correttamente sul volto, la chiave che viene inserita con difficoltà nella serratura. Il malato non è in grado di usare le stoviglie, risultando, alla fine, inalterato solo lo svolgimento delle azioni automatiche e abituali, fino a raggiungere quelle forme avanzate d’incapacità motoria, “aprassia ideo-motoria”, in cui i test d’azione, su comando, non possono più essere eseguiti409. Nel 28-29% dei pazienti sono stati riportati segni extra-piramidali, simili a quelli presenti nel morbo di Parkinson, dovuti ad un aumento del tono muscolare e dei tempi di reazione e di movimento causati dal processo degenerativo. Tra questi ultimi, il rallentamento di

Francesco Nicola Gaspa

Il corpo, la vecchiaia, la malattia: uno sguardo antropologico sull’Alzheimer

Dottorato di ricerca in Antropologia, Storia medioevale, Filologia e Letterature del

Mediterraneo occidentale in relazione alla Sardegna

Università degli Studi di Sassari

153

tutti i movimenti volontari e la rigidità si verificano più frequentemente, mentre il tremore è molto più raro. In un paziente con demenza media, il disturbo della deambulazione più comunemente osservato è un’andatura cauta e lenta dovuta ad un tentativo di dare una risposta efficace ad un’instabilità reale o supposta. Nelle fasi più avanzate può essere presente un’andatura di tipo frontale con piccoli passi strascicati, disequilibrio, difficoltà ad iniziare la marcia. I pazienti che, già nelle fasi precoci di malattia, manifestano questi disturbi extra-piramidali sembrano avere un danno cognitivo più grave e rapido, fatto che potrebbe indurre a catalogarli come un gruppo distinto sia dal punto di vista clinico che neuropatologico. Secondo alcuni, la presenza di modesti sintomi extrapiramidali in persone anziane sarebbe associata ad un rischio più alto di sviluppare la demenza di Alzheimer. Inoltre, si è constatato che pazienti con questa patologia sono particolarmente predisposti a sviluppare il parkinsonismo da farmaci. Il verificarsi di una serie di contrazioni e rilasciamenti rapidi di alcuni muscoli viene considerato come un sintomo tardivo di demenza. D’altro canto questo può essere presente anche nelle prime fasi ed essere associato a un più rapido deterioramento intellettivo.

Nelle fasi più avanzate possono comparire attacchi epilettici con casi d’incuria della persona. Con il trascorrere del tempo il malato si avvia così ad un lento declino fino a raggiungere uno stadio terminale in cui si ha completa perdita delle abilità cognitive. Il linguaggio diventa totalmente incomprensibile e, infine, il malato riesce solo a gridare o a ridere oppure resta in silenzio410. Anche in questa fase, sono presenti bradicinesia, crisi epilettiche, un rapido succedersi di contrazioni e rilasciamenti di muscoli volontari, aggressività e vagabondaggio. L’abilità di scrittura, la lettura, la denominazione, l’autonomia funzionale vengono completamente meno. La valutazione di questi deficit assume una particolare rilevanza sia come riferimento diagnostico sia per valutare la fase della malattia411. Le variazioni del peso corporeo, per cause molteplici, si verificano in circa il 30% dei casi. Infatti, da un lato vi è

410 Ivi, p. 22.

411 Panisset, M., Roudier, M., Saxton, J., Boller, F., Severe Impairment Battery. A neuropsycological test for severely demented patients, in «Archiw Neurology», v. 51, 1994, pp. 41-45.

Francesco Nicola Gaspa

Il corpo, la vecchiaia, la malattia: uno sguardo antropologico sull’Alzheimer

Dottorato di ricerca in Antropologia, Storia medioevale, Filologia e Letterature del

Mediterraneo occidentale in relazione alla Sardegna

Università degli Studi di Sassari

154

un’alterata accettazione del cibo, dovuta a problemi comportamentali che disturbano l’alimentazione; dall’altro vi è una disfunzione nel gusto, nell’olfatto e una degenerazione delle aree centrali deputate alla regolazione dell’appetito. In certi casi, si riscontra una certa perdita del peso412. Infine, si arriva a una perdita totale dell’autosufficienza per lavarsi, vestirsi e alimentarsi e all’incontinenza delle urine e delle feci413. Nelle fasi finali della malattia, la capacità di mantenere la stazione eretta e di camminare viene meno. Sopraggiunge la perdita completa dei movimenti spontanei degli arti inferiori. Il paziente rimane forzatamente a letto, deve essere nutrito e lavato e diventa completamente inabile con incapacità a parlare, nutrirsi e muoversi. Solo occasionalmente qualche abilità cognitiva complessa, ad esempio nei giochi o nel riuscire a suonare uno strumento musicale, può essere conservata a lungo nel decorso della malattia. Tale aspetto può essere di particolare importanza poiché è proprio attraverso tali abilità residue che è possibile stimolare un certo recupero motorio e intellettivo.

La sopravvivenza del paziente con malattia di Alzheimer è di circa 8-10 anni a partire dal momento in cui viene diagnosticata, con una netta riduzione dell’aspettativa di vita rispetto al soggetto in buona salute. La morte si verifica più precocemente se coesistono ipertensione, deliri, cadute frequenti e problemi comportamentali. Generalmente è dovuta a infezioni dell’apparato respiratorio e/o urinario. La velocità di progressione della malattia nei singoli pazienti è difficile da prevedere e da documentare poichè non è ancora possibile “misurare” in vivo la degenerazione delle cellule nervose alla quale è associata la demenza. Essa può essere valutata per mezzo di test neuro-psicologici sequenziali che, tuttavia, quando i

deficit cognitivi diventano gravi, perdono la loro sensibilità diagnostica nei confronti di un’ulteriore progressione della demenza. Ad esempio, prendendo in considerazione il Mini Mental State Examination (MMSE), si può constatare un declino valutabile intorno ai due o tre punti l’anno. Tuttavia, la velocità del

412 Lecchi, M., Storia clinica della malattia di Alzheimer, Medico e paziente, 1997, p. 24. 413 Trabucchi, M., Le demenze , Milano, Utet, 2000, p. 208.

Francesco Nicola Gaspa

Il corpo, la vecchiaia, la malattia: uno sguardo antropologico sull’Alzheimer

Dottorato di ricerca in Antropologia, Storia medioevale, Filologia e Letterature del

Mediterraneo occidentale in relazione alla Sardegna

Università degli Studi di Sassari

155

deterioramento nel singolo paziente non può essere predetta con precisione, data l’estrema variabilità individuale. Nella maggior parte dei casi, negli stadi iniziali della malattia, tale progressione è lenta, mentre ha un andamento più rapido in quelli gravi. Questo fatto consente una più precisa valutazione del ritmo di progressione della malattia. Tuttavia, si è stabilito che in numerosi casi la rapidità del deterioramento è maggiore in presenza di deliri, agitazione, disturbi del sonno, segni extrapiramidali, afasia, aprassia e agnosia pronunciate.

La ricerca finora condotta non ha ancora chiarito se fattori genetici possano influenzare negativamente la progressione della malattia. Ci si chiede da tempo se quei casi in cui l’Alzheimer compare prima dei 60 anni presentino un quadro clinico e patologico differente da quelli in cui si manifestano più tardivamente. Inizialmente sembrava si potesse correlare un esordio precoce con un declino più rapido, ma recenti ricerche non hanno convalidato questo legame. Probabilmente la malattia sembra progredire più rapidamente nei pazienti giovani a causa del contrasto tra le aspettative sociali e la demenza in questa fascia d’età. Generalmente, l’Alzheimer “classico”, quando i deficit cognitivi diventano gravi, si contraddistingue per un decorso prevedibile che inizia con difficoltà nell’apprendimento di nuove informazioni. Tuttavia, esistono anche casi con un esordio atipico caratterizzati da

deficit isolati del linguaggio, dalla perdita delle capacità visuo-spaziali, da emiparesi e da aprassia.

La diagnosi clinica in questi casi è più problematica e soltanto un’eventuale evoluzione verso la demenza è in grado di confermare la diagnosi414. Nei malati in cui si verifica un peggioramento improvviso e inspiegabile dello stato cognitivo è doveroso fare un riesame molto accurato. Questo è dovuto al fatto che, spesso, un peggioramento improvviso può essere imputato ad uno stato confusionale acuto provocato da un’infezione, da un fatto ischemico, da un’aritmia, da un edema

414 White, H., et al., Weight in Azheimer disease, «Jags», v. 44, 1996, pp. 265-272.

O’ Keeffe, et al, Gatt disturbance in Alzheimer disease, a clinical study, in «Age and Aging», v. 25, 1996, pp. 313-316.

Francesco Nicola Gaspa

Il corpo, la vecchiaia, la malattia: uno sguardo antropologico sull’Alzheimer

Dottorato di ricerca in Antropologia, Storia medioevale, Filologia e Letterature del

Mediterraneo occidentale in relazione alla Sardegna

Università degli Studi di Sassari

156

polmonare, da una reazione a farmaci. Generalmente, tali complicazioni sono curabili riportando il demente alla situazione antecedente il peggioramento415.

4.3. Il mondo perduto

L’aspetto più devastante della malattia di Alzheimer è che viene a mancare la memoria, intesa come registrazione d’avvenimenti, come fissazione di conoscenze, come sedimentazione e mantenimento di sapere. Quindi, viene meno l’identità della persona: il sé viene reciso. Infatti, manca il legame con il proprio essere, con le proprie radici, con i propri affetti, con il mondo e, nello stesso tempo, cade anche il senso che possiamo dare alla vita. La mancanza di memoria confina il comportamento del malato in uno spazio-tempo insignificante, c’è il distacco dal passato e dall’avvenire, dagli esseri e dalle cose. Per questo la sua perdita annulla la possibilità di organizzare la propria esistenza, di porsi in relazione col mondo, di aprirsi al futuro. Se viene a mancare l’apertura al futuro cade anche lo “slancio vitale”, la radice più profonda della persona che dà alla vita un senso, cioè un avvenire. Se il tempo vissuto è tensione e direzione verso l’avvenire, è anche tensione verso un senso o un significato che la vita reclama con forza. Nel malato di Alzheimer, non c’è più avvenire, non c’è più tensione verso un significato. Questi mutamenti sostanziali nella persona pongono degli interrogativi profondi sul senso della vita che si antepongono ai perché della malattia, alle sue cause biologiche. Forse, proprio per questo motivo, la letteratura attualmente riesce a descrivere la malattia meglio di molti trattati scientifici.

Poichè il “sé” prende forma dall’interazione con ciò che lo circonda e con il sociale, richiede la presenza di un ricordo su cui ancorare il fluire del tempo. Nel malato di Alzheimer non esiste più il “sé” poiché dissolto, non esiste più la possibilità di poter dire ieri, oggi, domani. In lui cade quell’incessante scambio d’esperienze determinate da una costante possibilità d’incontro con gli altri e con il mondo e viene a cadere, quindi, anche l’esperienza. L’unità dell’individuo, in quanto “sé”, viene garantita dal

Francesco Nicola Gaspa

Il corpo, la vecchiaia, la malattia: uno sguardo antropologico sull’Alzheimer

Dottorato di ricerca in Antropologia, Storia medioevale, Filologia e Letterature del

Mediterraneo occidentale in relazione alla Sardegna

Università degli Studi di Sassari

157

gruppo sociale di appartenenza. Infatti, secondo George Mead: «…la formazione di

una personalità dotata d’autocoscienza è resa possibile dall’appartenenza a tale sistema d’interazione sociale, del quale si assumono atteggiamenti, regole e norme sociali e dal quale si è socialmente controllati e motivati”. Quindi è il gruppo sociale organizzato che garantisce all’individuo la sua unità in quanto “sé”…» 416. Nonostante questo, l’esperienza del singolo acquista consapevolezza della propria specificità, assumendo così un’identità soggettiva che resiste nel tempo417. Le condizioni e le origini dell’affermazione dell’identità risiedono proprio in quelle dinamiche che plasmano il “sé”, con la sua unicità, pur strutturandosi attraverso codici comuni di interiorizzazione degli atteggiamenti della società418. La personalità individuale in quanto “sé” viene strutturata dalla comunicazione sociale simbolica. L’appartenenza al gruppo o alla comunità sociale che la produce e riproduce diventa condizione fondamentale della sua formazione, della socializzazione e dello sviluppo. L’identità viene così ad essere costituita da tanti “sé”, quanti sono gli incontri sociali ed i gruppi con i quali l’individuo viene a contatto419.

In un’altra prospettiva, che Thomas Csordas definisce come “fenomenologia culturale”420, possiamo capire, attraverso il concetto di “incorporazione”, il fondamento esistenziale ed emozionale dei processi storici, delle dinamiche sociali e delle produzioni culturali, comprese le immagini del “sé”, della persona, dell’individuo, del malessere e del benessere. Infatti, tali immagini non sono “naturali”, ma costituiscono “prodotti culturali”, costruiti sia attraverso l’incorporazione di forze esterne che forniscono strumenti per pensare la nostra stessa soggettività, sia attraverso l’oggettivazione delle proprie esperienze corporee. L’esperienza che la persona fa di sé è mediata dall’altro in un processo d’interazione costante da cui origina il senso e che permette la comunicazione intersoggettiva. In

416 Mead, G.H., Mente , Sé e società, Firenze, Giunti e Barbera, 1966, p. 160. 417 Morchio, M.G., L’ identità ritrovata , Milano, Franco Angeli, 1994, p. 26.

418 Turner, R.H., La concezione di sé nell’interazione sociale, in Sciolla, L., (a cura di), Identità. Percorsi d’analisi in sociologia, Torino, Rosenberg & Sellier, 1983, pp. 89-91.

419 Mead, G.H., Mente , Sé e società, Firenze, Giunti e Barbera, 1966, pp. 154, 160.

Francesco Nicola Gaspa

Il corpo, la vecchiaia, la malattia: uno sguardo antropologico sull’Alzheimer

Dottorato di ricerca in Antropologia, Storia medioevale, Filologia e Letterature del

Mediterraneo occidentale in relazione alla Sardegna

Università degli Studi di Sassari

158

tale contesto intersoggettivo e relazionale, basato su un complesso sistema di segni, senso soggettivo e senso oggettivo si fondono in un unico tragitto ambientale, il “decorso del noi comune”. Ognuno di noi, nella sua quotidianità, intesse una trama di rapporti con gli altri, venendo così influenzati dalle loro idee, pensieri, e comportamenti. Noi, di converso, possiamo influire sul loro mondo vitale con la nostra personalità, le nostre esperienze, i nostri atti che possono provocare negli altri delle risposte. Attraverso gli atti e lo scambio reciproco, ciascuno di noi costruisce un proprio sé, forma la propria personalità, ricerca la propria identità sociale, appare agli altri, comunica al mondo esterno segni di ciò che vuole esprimere. L’interscambio tra persona e ambiente, nella vita quotidiana, si snoda su sistemi di teorie che l’uomo si costruisce sul mondo e su se stesso al fine di agire, di cambiarsi e cambiare le cose. Si tratta di sistemi che trascendono il privato, in quanto si combinano con schemi di giudizio più generali, con sistemi collettivi di credenze e di scopi. A tale proposito, Marcel Mauss, nel saggio sulle variazioni stagionali delle società eschimesi, parla, sull’esempio di Durkheim, di “fatti sociali totali” per designare quegli elementi del sociale che condizionano la pluralità complessiva dei livelli sociali. La diversa modalità con la quale i gruppi si aggregavano durante l’estate e si disaggregavano durante l’inverno fu studiata dal punto di vista del significato totale che essa riveste sul piano sociologico. La tendenza che questi gruppi avevano a separarsi e a riunirsi,