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LA VECCHIAIA E L’ALZHEIMER

3.2. Interpretare la vecchiaia

Come analizzare la vecchiaia? Chi può proporre risposte adeguate sui diversi piani del sapere? Le stesse domande si possono riformulare sull’adolescenza, sulla maturità, sulla giovinezza o sulla fanciullezza. Il concetto di vecchiaia non è assoluto e indefinito. Antropologi, sociologi, psicologi e geriatri hanno cercato di interpretarlo e di precisarlo seguendo criteri differenti, anzi molto spesso contrastanti. L’antropologo che indaga mondi socio-culturali differenti che ogni gruppo umano ha elaborato scopre che in molte società altre ed anche in comunità tradizionali alcuni fatti sociali, come l’invecchiamento, debbano essere osservati e decodificati secondo quel modello dell’ambivalenza che respinge significati univoci e definitivi. Pertanto, per la loro irriducibile diversità, è doverosa la scelta di punti di vista relativistici nel lavoro di contestualizzazione culturale. Bisognerebbe rinunciare al punto di vista etnocentrico, quale procedura epistemologica preliminare, che traspare nelle ricorrenti tentazioni generalizzanti proprie della cultura strettamente scientifico- positivista.

L’età involutiva o vecchiaia è caratterizzata da profonde modificazioni che, però, non interrompono, come quelle patologiche, la continuità di significato dell’esistenza, ma

377 Dahlke, R., Malattia, linguaggio dell'anima. Significato, interpretazione e possibilità delle malattie, Roma, Edizioni Mediterranee, 1996, p. 306.

Francesco Nicola Gaspa

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caratterizzano lentamente, progressivamente e, in modo particolare, la personalità, sia in sé che nel suo adattamento all’ambiente. Ancora ben poco conosciamo circa l’inizio, l’intensità e la qualità di tali modificazioni, la gradualità del loro instaurarsi, la portata delle reciproche interazioni, intese nella loro globalità bio-psico-sociale. Il punto di riferimento sostanziale dovrebbe essere lo scorrere del tempo. Tuttavia si sa che, nell’invecchiamento, il rapporto tra bios e cronos non è poi così diretto. In realtà non possiamo sapere quando invecchierà un dato uomo e quanto, come e in quali aspetti della vita. Ad esempio, un sessantenne può vivere come un giovane e un altro, alla stessa età, essere già eccessivamente vecchio378.

Pertanto, per studiare la vecchiaia possiamo adottare diverse angolazioni. Ad esempio, prendere in considerazione le testimonianze di colui che sperimenta il suo essere vecchio, negli innumerevoli modi in cui lo sperimenta oppure possiamo rimandare a tutti quegli studiosi che si interessano al problema. Quindi, appare evidente che ogni precisazione fenomenologica circa il sentirsi vecchio, l’apparire vecchio, l’essere divenuto vecchio è destinata a rimanere ambigua ed insoddisfacente. L’esperienza stessa dell’invecchiamento implica sempre delle modificazioni con cui l’individuo tende ad un nuovo adattamento che può anche rivelarsi più valido. Ad esempio, sappiamo che nell’uomo la stessa creatività, questa grande dimensione vitale, può erompere proprio in tarda età ed esprimersi alla massima espressione. In uno studio sulla psicologia degli anziani379 è stato rilevato che esistono molti miti e fraintendimenti sul concetto di normalità della vecchiaia. In realtà, si riscontra una grande eterogeneità nelle modificazioni legate all’età, con molte persone che mantengono elevati livelli di funzionamento sino ad età assai avanzata.

378 Callieri, B., Sulle dimensioni antropologiche dell’invecchiamento. Tra involuzione e creatività, in Dentoni A., (a cura di) Corpo e psiche, Foggia, Bastoni, 1998.

379 Carman, M.B., The psychology of normal aging, in «The Psichiatric clinical of North America», 1997, n. 20, pp. 15-24.

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Per molto tempo la gerontologia ha condiviso, rafforzato e perpetuato la tradizionale visione della “vecchiaia come catastrofe, vecchiaia come deserto” 380. Da una prospettiva esclusivamente biologica la vecchiaia è un deterioramento progressivo e naturale, più o meno marcato, a seconda del soggetto. Nello stesso tempo, però, si verifica una contemporanea crescita psico-sociale delle capacità strategiche, della riflessione, della saggezza e della affettività che sembrerebbe svolgere una funzione molto importante nell’instaurarsi dei processi di compensazione381. Anche la psicoanalisi rimarca come nella vecchiaia aumenti la propensione a narrare, a costruire storie, utilizzando il materiale che si ha a disposizione per ottenere versioni nuove delle storie e privilegiare il punto di vista affettivo.

In un breve ma noto racconto del 1949 intitolato “La morte”, Italo Svevo narra la storia di due anziani coniugi che hanno accompagnato alla stazione i loro due figli e sono rimasti soli382. Il marito Roberto vede “molto vecchia la moglie”, lui che era tanto più vecchio di lei. Per consolarla e distrarla egli comincia a narrare tutto il loro passato, quello che altrove Svevo chiamerà “L’avvenire dei ricordi”, con parole che spiegano in modo abbastanza chiaro una parte della condizione psicologica dell’invecchiamento. Così racconta Svevo: «…ne avevamo parlato molte altre volte

ma il passato è sempre nuovo. Come la vita procede esso si muta perché risalgono a galla delle parti che parevano sprofondate nell’oblio mentre altre scompaiono perché poco importanti. Il presente dirige il passato come un direttore d’orchestra i suoi suonatori. Gli occorrono questi o quei suoni, non altri. E perciò il passato sembra ora tanto lungo ed ora tanto breve. Risuona o ammutolisce. Nel presente riverbera solo quella parte che è richiamata per illuminarlo o per offuscarlo. Poi si ricorderà con intensità piuttosto il ricordo dolce e il rimpianto che il nuovo avvenimento…»383.

380 Gutman, D., Reclaimed Powers, New York, Basic Books, 1987, pp. 2-7.

381 Butler, R.N., Gleason, H.P., (a cura di), Productive Aging, New York, Springer Verlag , 1985, p. 7. 382 Svevo, I., La morte , in “Corto viaggio sentimentale e altri racconti inediti”, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1949, p. 56.

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Soltanto negli ultimi anni i gerontologi hanno ammesso che le precedenti considerazioni sulla vecchiaia, quale catastrofico declino insito nella natura umana, si basavano su ricerche effettuate su persone anziane malate. Su questo punto, come nel 1971 faceva rilevare il National Institute of Mental Health, molte delle idee prevalenti e dei fatti sulla vecchiaia e gli anziani derivano da studi condotti su malati e persone ospitate in case di riposo384. Pertanto, alcuni gerontologihanno cominciato a chiedersi se quello che si ritiene il crinale più doloroso non possa essere, invece, altrettanto importante quanto il lungo periodo dell’infanzia e della maturità.

Molte ricerche, seppur originariamente intese a valutare il grado del supposto decadimento programmato dalla natura, hanno messo in rilievo un aspetto forte e vitale di questo periodo dell’esistenza. Quelle condotte dal National Institute of

Mental Health effettuate sulle stesse persone in periodi diversi della vita, hanno dimostrato che le prestazioni dei soggetti, rilevate a distanza di dieci anni, non erano affatto peggiorate. I ricercatori che hanno effettuato l’indagine riferiscono che «…il

modello di decadimento delle capacità cognitive generalmente associato alla tarda età non era né esteso né consistente. Per lo più le diminuzioni del livello di funzionamento erano piccole e statisticamente non significative. In alcuni test non si evidenziava alcun segno di decadimento. In pochi altri si osservava un notevole miglioramento del funzionamento…»385. Altre indagini hanno ugualmente confermato che test ripetuti a distanza di dieci anni su gruppi d’ottantenni non mostravano il decadimento che generalmente ci si aspetterebbe. Questo dato sta a significare come la gran parte della perdita cognitiva dopo i sessanta anni, intrinseca al processo di invecchiamento, sia provocata in realtà da altre cause. Tutte queste ricerche condotte sulle stesse persone, in periodi diversi della vita, provano che il comportamento umano organizzato, l’attività finalizzata e complessa, la trama degli stretti legami sociali, i rapporti al di fuori della famiglia, determinano la differenza

384 National Institute of Mental Health, Introducttion to the Study of Human Aging, Rockville, Maryland, 1971, p. 17.

385 Groneck, S., Patterson, R.D., Human Aging: An Eleven-Year Biomedical and Behavioral Study, U.S. Public Health Service Monograph, Washington, Government Printing Office, D.C.1971, p. 59 ss.

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fra una vecchiaia piena ed attiva ed il subire passivamente l’esaurimento fisiologico dell’età. L‘estrema variabilità rilevata in tarda età dimostra che il divenire della personalità modella il divenire della terza età in modo unico “se non soccombiamo, nella stagnazione o nella negazione, alla profezia che si autorealizza della vecchiaia come decadimento e disperazione” 386.

In questo modo, l’ostinato aggrapparsi alla giovinezza e il negare l’età, il vedere l’invecchiamento come la più crudele delle imposizioni tiranniche nella dolorosa impotenza con cui lo si patisce, portano alla stagnazione mentale ed emozionale. A questo riguardo Robert Kastenbaum ha affermato che «…l’’incapacità di adattarsi

alle condizioni mutevoli a sua volta porta a quelle proverbiali esistenze di quieta disperazione che invece avrebbero potuto fiorire in età avanzata…»387. Soltanto pochi psicologi, in tarda età, hanno affermato che i problemi sono in agguato se cerchiamo di vivere il “meriggio della vita secondo la mappa del mattino”, poiché la parabola della vita non è governata dagli stessi principi che reggono la prima.