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L’antropologia medica contemporanea in Europa

Negli ultimi trent’anni del secolo scorso, l’“antropologia medica”, dopo aver avuto un notevole sviluppo negli Stati Uniti, si è diffusa anche in Europa. Tuttavia, non tutti gli studiosi europei concordano sull’adozione dell’espressione “antropologia medica”; però, essa è oggi diffusa in campo accademico internazionale. Ad esempio, in Francia è prevalsa a lungo la definizione di “antropologia della malattia”195, mentre di recente alcuni studiosi hanno proposto di ridefinire questo settore come “antropologia della cura”196.

Dopo gli Stati Uniti, il paese in cui l’“antropologia medica” ha avuto maggiore sviluppo è stata la Gran Bretagna. La disciplina è stata oggetto di dibattito al Congresso annuale dell’Associazione degli Antropologi Sociali (A.S.A.) tenutosi all’Università di Kent nel 1972. Infatti, fu in quell’occasione che l’antropologa Meyer Fortes organizzò un’apposita seduta. I risultati del dibattito furono pubblicati nel 1976 in un volume dal titolo Antropologia e medicina sociale197. La studiosa Rose Mary Firth indicò le società preindustriali incontaminate e socialmente isolate

192 Singer, M., Reinventing medical anthropology: toward a critical realignement, in «Social Science and Medicine», vol. 30, n. 2, 1990, p. 183.

193 Pappas, G., Some implications for the study of the doctor-patient interaction: power, structure and agency in the works of Howard Waitzkin and Arthur Kleinman, in «Social Science and Medicine», vol. 30, n. 2, 1990, pp. 199-204.

194 Ivi, pp. 179-187.

195 Augè, M., L’anthropologie de la maladie, in «L’Homme. Revue francaise d’anthropologie», vol. XXVI (1-2), 1986, pp. 81-90.

196 Saillant, F., Gagnon E., Présentation.Vers une antropologie des soins?, in «Anthropologie et Sociéttés», vol. 23, n. 2, 1999, pp. 5-14.

197 Loudon, G.B., “Preface” in «Social Anthropology and Medicine», ed. J.B. Loudon, V-VIII. London, Academic Press, 1976.

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quale principale settore d’interesse per gli antropologi medici inglesi198. Inoltre, nella stessa circostanza, vennero poste le premesse per fondare nel 1976 la Società di Antropologia Medica Britannica. Gli antropologi medici nel Regno Unito, seguendo il suggerimento della Firth, evitarono, almeno per un certo periodo, la ricerca applicata alla biomedicina199. L’antropologia medica britannica allargò il suo campo di studi soltanto qualche anno più tardi200.

L’antropologo inglese che si è occupato delle problematiche relative alla biomedicina è stato Ronald Frankenberg, il quale ha dato l’avvio ad una riflessione critica nei confronti dell’antropologia medica interpretativa201, facendo osservare come l’approccio antropologico all’esperienza di malattia vissuta dal malato (illness) sia fondamentalmente clinico. Infatti, secondo lui, questo metodo di studio non metterebbe in discussione i processi di costruzione storica delle categorie biomediche di “malattia”. Inoltre, gli antropologi medici interpretativi si limiterebbero ad analizzare l’esperienza individuale del malato intesa come il luogo nel quale gli eventi prendono forma e sono comunicati attraverso la narrazione202.

Un’altra antropologa inglese Jenny Littlewood ha condotto delle ricerche sul campo sulle cure infermieristiche, sottolineando come queste siano caratterizzate da una complessa “gestione dell’ambiguità”. La studiosa intende con questo termine non soltanto la capacità di fronteggiare la costante incertezza insita nelle pratiche di cura, ma anche la gestione di quegli spazi di confine in cui si sovrappongono i ruoli istituzionali degli operatori sanitari. In quest’ottica, secondo l’antropologa, lo

198 Firth, R.,M., “Social Anthropology and Medicine-A personal Perspective”, in «Social science and medicine», vol. 12, 1978, p. 244.

199 Kaufert, L., Kaufert, J.M., “Alternative courses of develpment: Medical Anthropology in Britain and North America, in «Social science and medicine», vol. 12, 1978, pp. 255-261.

200 Hunter, S., “Historical perspectives on the development of health systems modeling in Medical Anthropology”, in «Social Science and Medicine», vol. 21, 1985, p. 1298.

201 Frankeberg, R., “Functionalism and after? Theory and developments in social science applied to the health field”, in «International journal of health service», vol. 43, 1974, pp. 411-427.

202 Frankenberg, R., Medical Anthropology and Development: A theoretical perspective, in «Social Science and Medicine», vol. 14, 1980, pp. 197-207.

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sviluppo di un’“abilità” di mediazione nel risolvere i problemi è legata al sapere e alle competenze assistenziali di tutte quelle figure presenti sulla scena della cura203. In Francia, l’“antropologia della salute” si è affermata in tempi abbastanza recenti. Attualmente è suddivisa in diversi settori d’analisi, talora in competizione fra di loro. Fra i vari antropologi che si sono occupati della malattia François Laplantine si è distinto per la ricchezza e la varietà della metodologia adottata. L’innovazione più interessante da lui introdotta consiste nell’accostare fra loro la biomedicina e l’approccio alla malattia attraverso il testo letterario204. Infatti, secondo lo studioso, le confessioni degli scrittori affetti da varie patologie costituirebbero un mezzo privilegiato per la conoscenza delle rappresentazioni della malattia. Sulla base di questa esperienza, Laplantine è del parere che, così come esiste una teoria della malattia e della salute, esisterebbe anche una “percezione diversa dell’ammalare e del guarire”. Cause e rimedi vengono analizzati non con lo sguardo della biomedicina, ma attraverso le percezioni che i medici, i malati, i letterati, i guaritori e i religiosi hanno della malattia e della guarigione. Questi sguardi differenti dimostrerebbero, secondo l’antropologo, la parzialità dello schema biomedico dominante e chiamerebbero in causa quelle rappresentazioni poetiche, magiche e religiose che avrebbero un ruolo fondamentale nella formazione di un immaginario della malattia e della salute205.

Nel linguaggio comune, i termini terapia e cura si sovrappongono e s’identificano. Alcuni antropologi francesi fanno una netta distinzione fra tali termini. Ad esempio, Francine Saillant, nel lavoro Présentation Vers une antropologie des soins? pubblicato nel 1999, scrive che se la “terapia” riguarda il trattamento specifico di una malattia, il concetto di “cura” può anche non avere alcuna relazione con le problematiche mediche. Quindi, secondo l’antropologa, la cura rientra nell’esperienza complessiva dei rapporti umani e dello scambio sociale e «… le cure

203 Littlewood, J., Care and ambiguity: towards a concept of nursing, in Holden, Littlewood, 1991, pp. 170-178.

204 Laplantine, F., Antropologia della malattia, Firenze, Sansoni, 1988. 205 Ivi, p. 142.

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si estendono ben al di là di quella dimensione della “salute” alla quale esse sono spesso collegate…»206.

Anche in Francia, come in Gran Bretagna, l’antropologia medica statunitense degli anni ’80 è stata oggetto di critiche da parte di numerosi antropologi. Secondo Andreas Zempléni, l’antropologia medica ha dedicato eccessiva attenzione alla malattia come oggetto primo del discorso e la sua suddivisione in disease, illness e

sickness è eccessivamente riduttiva. Infatti, secondo lo studioso, il problema di una definizione adeguata della malattia è ben più complesso207. A tale proposito, Zempléni riporta l’esempio delle popolazioni Wolof e Lébou del Senegal per le quali esistono quattro fondamentali categorie d’interpretazione per individuare il “percorso di spiegazione del male”208.

Gli uomini di fronte alla malattia si pongono degli interrogativi che vanno oltre la diagnosi formulata dal medico. Tali domande sono in stretta relazione con la richiesta di senso che la malattia sollecita. Marc Augé e Claudine Herzlich, nel lavoro Il senso del male pubblicato nel 1986, analizzano questa richiesta di senso che segna per la persona una passaggio verso un “cambiamento di stato”209. Secondo Augè la natura paradossale della malattia è costituita dall’essere “il più individuale e, nello stesso tempo, il più sociale degli eventi”. Questo dipende sia dal fatto che un certo numero d’istituzioni si fanno carico della malattia nelle sue diverse fasi di evoluzione, ma anche perché gli schemi di pensiero che permettono di individuarla, di darle un nome e di curarla, sono soprattutto sociali. A tale riguardo egli afferma: «…non esistono società in cui la malattia non abbia una dimensione sociale e da

questo punto di vista la malattia, che è anche una realtà più individuale e intima, ci offre un esempio concreto di legame intellettuale fra la percezione individuale e il

206 Saillant, F., Gagnon E., Présentation.Vers une antropologie des soins?, in «Anthropologie et Sociéttés», vol. 23, n. 2, 1999, p. 5.

207 Zempléni, A., La maladie et ses causes, in «Ethnographiel», n. 96-97, 1985, pp. 13-44.

208 Zempléni, A., La thérapie traditionelle des troubles mentaux chez les Wolof et les Lébou (Sénégal), in «Social Science and Medicine», vol. 3, 1969, pp. 191-205.

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simbolismo sociale…»210. Per Marc Augè, Claudine Herzlich, Francoise Héritier, Nicole Sindzingre e Jeanne Pierret la malattia ha spesso il valore di un richiamo all’ordine sociale. Secondo questi antropologi il contenuto sociale d’ogni definizione della malattia è più facilmente individuabile in quei sistemi medici che implicano uno stretto legame tra nosologia e ordine sociale. Per tale motivo essi ritengono che una stessa logica sia alla base dell’“ordine biologico e ordine sociale”. Pertanto, ogni società adotta termini di valutazione applicabili sia al corpo individuale che alle istituzioni sociali211. Francoise Héritier, nel suo lavoro Maschile e femminile. Il

pensiero della differenza pubblicato nel 1996, riporta un esempio in tal senso. La nota antropologa scrive che presso i Samo dell’Alto Volta, le rappresentazioni della sterilità rinviano a tre ordini di considerazioni in cui il mondo, il corpo individuale e quello sociale sono strettamente collegati. In particolare, la studiosa sottolinea che la sterilità, considerata una imperfezione femminile, delinea sempre qualcosa sul rapporto tra i sessi rinviando alla sfera delle regole di condotta che governano una società212.

Sempre in relazione al risvolto sociale della malattia Didier Fassin sostiene che quest’ultima deve essere liberata dal riduzionismo biologico che la considera una realtà oggettivamente iscritta nel corpo del paziente. Egli ritiene che la malattia dovrebbe essere inquadrata in una realtà sociale che mette in questione gli stessi rapporti di potere che essa contribuisce a rendere visibili, mostrando in che modo l’ordine sociale si esprime nell’ordine corporeo. Questo fatto, secondo lo studioso, evidenzierebbe le ineguaglianze nell’accesso alle risorse di cura e le stesse prospettive di vita. I rapporti di potere insiti nella realtà sociale dei processi di

210 Augé, M., L’anthropologie de la maladie, in «L’Homme. Revue française d’anthropologie», 97- 98, vol. XXVI (1-2), 1986, p. 82.

211 Augé, M., Herzlich, H.C., Il senso del male, Milano, Il Saggiatore, 1986, pp. 38.

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malattia e guarigione, si concretizzano nei diversi livelli dell’azione sociale, coinvolgendo figure e istituzioni diverse213.

George Devereux, antropologo, psichiatria e psicologo, ha condotto un’interessante analisi sulla dimensione corporea nei rapporti di conoscenza fra il soggetto e l’oggetto dell’osservazione scientifica. Sulla base di questo studio, egli ha concluso che attraverso il corpo e le sue emozioni è possibile rendere più efficace il metodo di “osservazione” dell’altro. Inoltre, nella sua opera Dall’angoscia al metodo nelle

scienze del comportamento pubblicato nel 1967, Devereux sottolinea come le rigide regole metodologiche della scienza medica, basate sull’osservazione oggettivante degli uomini e del loro comportamento, siano in realtà vere e proprie difese contro l’angoscia che nasce nel rapporto conoscitivo con l’altro214.

Un altro paese europeo in cui l’antropologia medica si è affermata è la Germania. In passato, nella Repubblica Federale Tedesca, e in precedenza in quella Democratica, l’antropologia culturale è stata suddivisa in due settori: da un lato quello riguardante lo studio della popolazione tedesca (Volkskunde) e dall’altro, è stata considerata come etnologia delle popolazioni nel mondo (Voelkerkunde). Questa suddivisione fu adottata allo scopo di evitare il termine antropologia, poiché rinviava all’antropologia fisica, un termine impiegato dal nazismo per sostenere il suo programma razziale. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, l’antropologia fisica ha perso questa connotazione negativa per essere riabilitata prima nella Germania Orientale e, molto tempo dopo, nella Repubblica Federale. L’antropologia medica iniziò a diffondersi nella Repubblica Federale tedesca verso la fine degli anni ’60 del secolo scorso, periodo in cui Joachim Sterly ha fondato la società di Etnomedicina (Arbeitsgemeinschaft Ethnomedizin)215. Inoltre, l’Istituto d’Igiene Tropicale e Salute Pubblica all’Università di Heidelberg ha pubblicato per un certo periodo la rivista

213 Fassin, D., “Entre politiques du vivant et politiques de la vie. Pour une anthropologie de la santé”, in «Anthropologie et societés», 24, 2000, pp. 95-116.

214 Devereux, G., Dall’angoscia al metodo nelle scienze del comportamento, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1984.

215 Pfeiderer, B., Bichman, W., “Germany”, in «Medical Anthropology Quarterly», o.s.,17(4), 1986, pp. 89,90.

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intitolata «Etnomedicina». Inoltre, la stessa Università e quella di Amburgo hanno istituito un corso di antropologia medica e un dottorato di ricerca. Come in altri paesi europei, anche in Germania, alcuni antropologi hanno avanzato delle critiche nei confronti dell’antropologia medica di Harvard. Ad esempio l’antropologa tedesca Hilde Strahl ha messo in evidenza i limiti dei modelli interpretativi nell’approccio alla malattia. Questa critica nasce da una sua ricerca condotta in Tanzania dove la studiosa aveva rilevato un forte aumento della pressione sanguigna tra la popolazione. Tale fenomeno viene imputato ad un processo d’incorporazione della sofferenza sociale216.

L’interesse per l’antropologia medica si è sviluppato anche in altri paesi europei come il Belgio, la Scandinavia e l’Olanda217. Nei Paesi Bassi, ad esempio, Els van Dongen e Riekje Elema, hanno condotto degli studi sulla professione infermieristica. Nel nursing, secondo le due studiose, “l’arte di toccare” è estremamente importante. Infatti, il “tocco” riveste un significato sia tecnico che emozionale inestricabilmente intrecciati; esso non è mai esclusivamente una competenza tecnica, ma è anche un contatto emozionale che penetra nella sfera dell’intimità218.

Altri studiosi olandesi hanno condotto delle ricerche sull’antropologia dei processi terapeutici e dei dispositivi d’efficacia. Attraverso questi studi, essi hanno constatato che la somministrazione e l’assunzione di un farmaco è un momento chiave della pratica terapeutica biomedica. Secondo il loro parere, l’efficacia di un farmaco non riguarda soltanto i processi biochimici che la sua assunzione attiva nel corpo umano, ma anche la dimensione sociale e simbolica, proprio perché “per definizione i

216 Strahl, H., Cultural interpretations of an emergine health problem: blood pressare in Dar es Salama, Tanzania, in «Anthropology and Medicine», vol. 10, n. 3, 2003, pp. 309-324.

217 Devisch, R., “Belgium”, in «Medical Anthropology Quarterly», o.s.17(4), 1986, pp. 87-89

Heggenhougen, K., “Scandinavia”, in «Medical Anthropology Quaterly», o.s.,17(4), 1986, pp. 94,95.

Streefland, P., “The Netherlands”, in «Medical Anthropology Quaterly», o.s.,17(4), 1986, p. 91.

218 Van Dongen, E., Elema, R., The art of touching: the culture of ‘body work’ in nursing, in «Anthropology and medicine», vol. 8, 2-3, 2001, pp. 85-96.

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medicinali sono sostanze dotate della capacità di mutare le condizioni di un organismo vivente”219.