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Tra ricerca biologica e indagine clinica

LA RICERCA E LE CURE CLINICHE: ONERI SOCIALI ED ECONOMIC

5.1. Tra ricerca biologica e indagine clinica

Dalla metà circa degli anni ’80 del secolo scorso, la biomedicina ha individuato dei geni che pare abbiano uno specifico ruolo nella malattia. Tale ruolo è stato scoperto dai meccanismi attraverso i quali si formano determinate sostanze che si depositano a livello della corteccia cerebrale. I protocolli diagnostici, abbastanza accurati, si basano su conoscenze neuro-psicologiche e sulle nuove tecnologie quali la tomografia assiale computerizzata, la tomografia ad emissione di positroni, la risonanza magnetica nucleare e l’ecografia. Si deve però rilevare che, in assenza di un modello interpretativo di insieme, il dato biologico non può venire utilizzato in sede clinica. Questo fatto appare come un paradosso della medicina contemporanea. Infatti, da un lato si verificano grandi progressi delle scienze di base e delle possibilità diagnostiche, dall’altro, tuttavia, non corrispondono risposte clinicamente efficaci. L’impossibilità di trasferire dal laboratorio al letto del malato le scoperte più recenti della ricerca, rappresenta una sconfitta che, peraltro, riguarda anche altre malattie cronico-degenerative.

Peraltro, l’introduzione di nuovi farmaci per combattere la demenza non induce a facili speranze trattandosi soltanto di minime modifiche di principi attivi già noti. Nemmeno i risultati delle ricerche sulle modificazioni delle cellule cerebrali, sviluppate soprattutto in questi ultimi anni, hanno permesso la scoperta di farmaci in grado di riparare il danno prodotto dalla malattia. Anche il trionfalismo a proposito delle nuove tecnologie, che consentono di penetrare all’interno del corpo umano, appare un po’ fuori luogo, consistendo soltanto in avanzamenti quantomeno parziali, poiché l’applicazione di queste strumentazioni non permette una diagnosi certa. Lo stesso discorso vale anche per le metodiche implementate per l’identificazione di quei meccanismi che portano al danno neuronale, in quanto non ha consentito di capire quale possa essere il nesso causale tra evento biologico ed evento clinico.

Francesco Nicola Gaspa

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Dottorato di ricerca in Antropologia, Storia medioevale, Filologia e Letterature del

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In tempi abbastanza recenti, stanno destando grandi attese i risultati che arrivano dalla neurobiologia molecolare nella speranza che possano essere applicate al malato. Si può affermare che siamo ormai alla biochimica cerebrale per spiegare le più diffuse malattie nervose quali le demenze e le sclerosi con l’adozione di un vero e proprio sistema di tecnologie molto sofisticate attraverso le quali si spera di correggere difetti genetici presenti fin dalla nascita. Si sta cercando di applicare questo tipo di tecnologia anche per difetti della memoria e per la riparazione dei circuiti nervosi danneggiati da processi degenerativi. Un altro genere di tecnologia riguarda il trapianto di neuroni in specifiche aree del cervello per i malati che soffrono del morbo di Alzheimer e per quelli del morbo di Parkinson. Naturalmente, anche se gli esperimenti sugli animali sembrerebbero promettenti, tuttavia, per quanto riguarda l’applicazione sull’uomo, siamo ancora molto lontani dall’ottenere risultati tangibili. Pertanto, ancora una volta, bisogna affidarsi alla speranza, anche se troppe volte è stata delusa.

Inoltre, un problema peculiare di tipo diagnostico è quello della variabilità clinica delle demenze all’interno della stessa malattia di Alzheimer. Questo è un problema che genera difficoltà non solo nella diagnostica differenziale, ma anche nell’interpretazione sulla fenomenologia dei sintomi cognitivi e non. In questi ultimi anni, accanto al tentativo di capire la sequenza dei fattori di rischio, i meccanismi attraverso i quali si instaura un processo morboso e la perdita dell’autosufficienza, si sono attuate ricerche sugli aspetti clinici, riuscendo in tal modo ad apportare qualche miglioramento per il paziente.

Anche per quanto riguarda la prevenzione, di cui si è sottolineata l’importanza, non si è ancora in grado di individuare i fondamenti scientifici indispensabili per poter adottare delle scelte di carattere preventivo, in quanto, come abbiamo visto, nessuna indagine sui fattori di rischio ha dato indicazioni precise463. Ad esempio, quale peso

463 Kuisisto, J., Koivisto, K., Assotiation Between Features of the Insulin Resistence Sindrome and Alzheimer Disease Independently of Apolipoprotein E4 Phenotipe: Cross Sectional Population, in «Based Study British medical Journal», n. 315, 1997, pp. 1049-1053.

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potrebbe avere lo stile di vita di una persona nell’influenzare l’insorgenza della demenza di Alzheimer. I risultati di alcune ricerche condotte su un gruppo di giapponesi residenti nelle Hawaii, sembrerebbero indicare un coinvolgimento di fattori ambientali o legati allo stile di vita. Purtroppo, nella storia naturale di questa malattia, vi sono molti fenomeni clinici non ancora spiegati che hanno bisogno di ulteriori approfondimenti. Ad esempio, non è possibile formulare ipotesi interpretative su quei fattori responsabili dei disturbi del comportamento. In questo contesto l’“atto clinico” grava pesantemente soltanto sull’operatore sanitario che, pur nell’incertezza, deve comunque intervenire, anche se con la consapevolezza che le risposte saranno purtroppo insufficienti, mancando una prospettiva preventiva oltre che terapeutica.

5.2. Oneri sociali

La malattia di Alzheimer ha un notevole impatto sociale non solo per la sua frequenza, ma anche perché è cambiato il contesto storico. In passato la famiglia e le comunità locali erano strutturate in modo tale da mitigare condizioni anche gravi di disagio e di malattia senza che al loro interno si verificassero squilibri gravi. Invece, nella società contemporanea, la presenza di un malato cronico, che necessita di un’assistenza protratta nel tempo, viene a coincidere con l’attuale crisi dei nuclei familiari e sociali. Infatti, nella società contemporanea, in cui le malattie croniche hanno fatto registrare un notevole aumento, si è sfilacciata quella rete naturale di supporto costituita dalla famiglia e dalla parentela in conseguenza del mutamento sociale dei costumi sia individuali che collettivi. Pertanto, è necessario ricercare nuove forme di convivenza sociale, fondate su ciò che resta della famiglia, su nuovi rapporti di vicinato, sulle spontanee iniziative di generosità individuale, sul contributo fondamentale dei servizi sociali, in grado di consentire all’ammalato di rimanere il più a lungo possibile nell’ambito familiare. In quest’ottica, la creazione dell’assistenza domiciliare, anche con l’aiuto delle tecnologie telematiche, rappresenta un modo innovativo per affrontare questo grave problema.

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Va peraltro segnalato che talvolta i provvedimenti legislativi sembrano non tenere nella giusta considerazione questi aspetti, se si pensa, per esempio, che si vorrebbe innalzare l’età pensionabile della donna, da sempre supporto prezioso per l’assistenza ai malati cronici, sottraendola così alle cure della famiglia. Un altro aspetto molto delicato riguarda il tipo di rapporto che s’instaura tra il malato e la sua famiglia per poter capire quali possano essere le iniziative più idonee per sostenere coloro che si prendono cura dei malati. Infatti, ad un primo sguardo, sembrerebbe di essere di fronte ad una dinamica semplice. Al contrario, vi è una serie di variabili molto complesse d’ordine sanitario, psicologico, sociale, economico che ancora non sono completamente interpretabili e che, pertanto, complicano ulteriormente ogni tipo d’intervento programmato che possa essere di una qualche efficacia464.

5.3. Oneri economici

La valutazione dei costi della malattia di Alzheimer è un problema cruciale, poiché, è proprio sul versante finanziario che, in futuro, si potrà decidere se e come intervenire sulle varie componenti che la caratterizzano. Potrebbe essere di una qualche utilità analizzare i costi della terapia di Alzheimer per ottenere qualche indicazione che possa consentire un intervento a più ampio raggio465. Purtroppo, esistono dei problemi legati al fatto che non è possibile quantificare la spesa per i farmaci in quanto non è ipotizzabile, a partire dall’attuale numero di malati, quanti di questi vengono realmente trattati.

Un altro importante elemento d’incertezza è da imputare al fatto che non tutti i malati vengono inquadrati correttamente dal punto di vista diagnostico, pertanto questa mancata conoscenza ha delle ricadute sulla prescrizione dei farmaci. Accanto a questi problemi vi sono anche le scelte del medico, nonché quel margine d’incertezza, sempre presente, sulla durata del trattamento. Infatti, a tutt’oggi non è

464 Gallagher-Thompson, D., Powers, D.V., Primary Stressors and Depressive Symptoms in Caregivers of Dementia Patients, in «Aging Mental Health», n. 1, 1997, pp. 248-255.

465 Kelly, C.A., Harvey, R.J., Kayton, H., Drag Treatment’s for Alzheimer‘s Disease, in «British Medical Journal», n. 314, 1997, pp. 693,694.

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ancora completamente stabilita la durata del trattamento farmacologico, come pure se sia opportuno iniziarlo appena compaiono i primi disturbi della cognizione. Infatti, lo sviluppo verso la demenza potrebbe non essere così scontato. Peraltro, non si sa con certezza quando è necessario interrompere la somministrazione del farmaco perché privo d’efficacia terapeutica. Inoltre, qualora il farmaco non avesse più efficacia terapeutica, quindi si ritornasse alle condizioni precedenti, non si sa se sia corretto continuare la terapia con lo stesso trattamento466.

Tutti questi problemi sono pesantemente condizionati da esigenze di politica sanitaria, in quanto vi sono costi legati alla valutazione periodica alla quale il malato deve essere sottoposto per il controllo, sia della fase della malattia, sia dei risultati terapeutici nel tempo che sono sempre accompagnati da effetti collaterali. In modo particolare esistono alcuni farmaci contro la demenza che provocano l’insorgenza di sintomatologie più o meno gravi che richiedono ulteriori terapie mirate e, pertanto, un aggravio degli oneri finanziari. A tutto questo si aggiunge la difficoltà di valutare i costi a fronte dei benefici. Infatti, non è del tutto chiaro il rapporto tra livello di

deficit cognitivo e supporto assistenziale, risultando pertanto difficile una precisa valutazione analitica dell’incidenza dei farmaci sui costi467. Bisogna ancora tenere in considerazione il fatto che con la terapia viene prolungata la vita del malato per un periodo imprecisato, provocando un aumento del consumo di risorse direttamente correlato all’allungamento della vita. È molto difficile valutare, dal punto di vista economico, l’entità delle risorse che si mettono a disposizione nel periodo di vita guadagnato. Infatti, molto dipende dalle patologie somatiche intercorrenti, dal ricorso all’ospedalizzazione o all’istituzionalizzazione, dalla presenza o meno di reale supporto da parte della famiglia. Quest’ultimo aspetto comporta un altro motivo d’incertezza sulla valutazione economica dell’assistenza familiare al malato, in

466 Burns, A., Russel, E., Page, S., New Drugs for Alzheimer’s Disease, in «British Journal Psysicology», n. 174, 1999, pp. 476-479.

467 Whitehouse, P.J., Pharmacoeconomics of Dementia, in «Alzheimer Disease association», n. 11, 1997, pp. 22-33.

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quanto il valore del tempo impegnato nell’assistenza differisce da una persona all’altra.

5.4. Quale interpretazione per l’Alzheimer

Un problema controverso e d’importanza rilevante, poiché ha delle importanti conseguenze sul piano operativo, è quello dell’inquadramento della demenza, vale a dire se debba essere considerata una vera e propria malattia. Infatti, ancora oggi, vi è chi mette in dubbio questo fatto, talora in perfetta buona fede, altre volte per negare la necessità di un sistema di protezione mirata. Soltanto in tempi recenti, alcune regioni italiane hanno riconosciuto che l’Alzheimer è una malattia peculiare che necessita d’interventi diversi da quelli adottati per una popolazione anziana genericamente non autosufficiente.

La regione Lombardia, per esempio, da alcuni anni e in seguito le regioni Emilia, Veneto, Toscana, Marche, Abruzzi ed altre, hanno elaborato progetti che prevedono reti di servizi in stretto collegamento con l’esistente sistema sanitario e socio- assistenziale. Paradossalmente, si potrebbe dire che, fino agli anni ’70 del secolo scorso, i sistemi per salvaguardare la salute della popolazione erano più appropriati di quanto non lo siano oggi per fronteggiare i numerosi problemi dei malati di Alzheimer. Infatti, difficoltà economiche, da imputare all’impennata dei costi dovuti in larga parte all’uso delle tecnologie avanzate, hanno creato grossi squilibri. Nello stesso tempo, le modificazioni organizzative, come la diminuzione dei posti letto negli ospedali, hanno reso problematico il mantenimento di un livello d’assistenza qualitativamente basso ma diffuso e non del tutto condizionato dai costi. In tempi abbastanza recenti, perlomeno in alcune regioni italiane, gli ospedali avevano un numero di dieci posti letto per mille abitanti, funzionando così come luogo d’ospitalità dove il malato era seguito per periodi più o meno lunghi. Invece, oggi, in molti paesi industrializzati la programmazione sanitaria ha fissato un parametro di quattro o cinque posti letto per mille abitanti e ha adottato una nuova modalità di pagamento delle prestazioni ospedaliere. Questo nuovo sistema, riguardante i

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ricoveri ospedalieri, basato non più sul numero di giornate di degenza ma su un sistema classificativo, è stato introdotto in Italia nel 1995. Esso individua numerose categorie diagnostiche omogenee per il consumo di risorse assistenziali e, quindi, anche per il costo, il cui il rimborso è in funzione della categoria diagnostica e non dello stato clinico del malato468.

Questa riforma, sulla base dell’esperienza compiuta in altri paesi, dove tale sistema è operante da tempo, ha destato notevoli perplessità, peraltro giustificate, poiché quanto era intuitivamente ipotizzabile si è puntualmente verificato. Infatti, tale sistema classificativo può esser utile nei casi di malattie acute, ancor più se chirurgiche e per pazienti con condizioni cliniche ben definite. Tale sistema è del tutto inadatto per i malati anziani dal momento che non si tengono conto di numerosi fattori che complicano notevolmente la loro patologia469.

A fronte di questi profondi cambiamenti nel sistema sanitario, non si è provveduto contemporaneamente ad introdurre significative iniziative per migliorare l’assistenza dei pazienti cronici, in particolare, dei malati di Alzheimer. La razionalizzazione dei servizi e le rigide compatibilità economiche, la cosiddetta “medicina amministrativa”, mal si conciliano con il bisogno d’assistenza dei malati che hanno necessità d’interventi qualificati tecnico-professionali per lunghi periodi di tempo. Non sono certamente risposte adeguate a questa sfida i tentativi di riciclare i posti letto per ammalati acuti in riabilitativi, poiché il concetto di riabilitazione di un paziente con malattia di Alzheimer è molto complesso. Esso richiede l’azione coordinata di numerose figure professionali con competenze diverse che appartengono all’area della medicina interna, neurologica, neuro-psicologica, psico- comportamentale sociale e relazionale. Significa anche intervenire con programmi

468 Vertrees, J.C., L’utilizzo dei Diagnosis Related Groups (DRG ) per l’allocazione del budget agli ospedali, DRG, progetto ricerca Terziario S.r.l., Spoleto, 1955.

469 Turner, G.F., Main, A., Carpenter, G.J., Casemix, resource use and geriatric medicine in England and Wales, in «Age&Ageing», n. 24, 1955, pp. 1-4.

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mirati nelle aree cognitive e in quelle riguardanti il comportamento470 e le abilità funzionali. Tale intervento dovrebbe basarsi su programmi di rieducazione nell’alimentazione, continenza, igiene od anche a funzioni più impegnative, nelle attività d’equilibrio e del moto, nelle dinamiche familiari e relazionali, nel controllo delle patologie somatiche e nella corretta utilizzazione dei farmaci471. Di fronte a questa problematica così complessa, il sistema sanitario dovrebbe intervenire creando nuovi apparati a rete, sia pure sperimentali, che siano realmente in grado di risolvere i diversi problemi del malato nelle varie fasi della malattia. Alcuni esperti pensano che con l’ausilio delle tecnologie molti problemi si possano risolvere. Purtroppo, quest’aspettativa non è detto che possa attuarsi in considerazione del multiforme comportamento della malattia.

5.5. L’ambito familiare e il demente

Il graduale invecchiamento della popolazione nei paesi industrializzati ha provocato importanti conseguenze sulle abitudini di vita della società contemporanea, incidendo, in modo profondo, sulle sue istituzioni, sull’economia, sui servizi sanitari, sui sistemi pensionistici. Nonostante tutto questo, le scelte di politica sanitaria, in generale, hanno sottovalutato l’esigenza di creare dei sistemi d’assistenza geriatrica472, anche se, come è noto, la demenza di Alzheimer rappresenta una vera e propria emergenza sanitaria e sociale. Poichè questa patologia ha un carattere progressivo sia sul piano clinico che funzionale, sino a portare ad una completa disabilità, comporta problemi assistenziali complessi. Questi gravano, in primo luogo, sui familiari e sugli operatori sanitari e sociali, in quanto la carenza di servizi istituzionalizzati si ripercuote negativamente su quella rete volontaria dei servizi

470 Zanetti, O., Binetti, G., Trabucchi, M., Alzheimer, malattia o nebulosa? in «La Rivista del Medico Pratico-Gerontologia», n. 43, 1991, pp. 18-21.

471 Mittelman, M.S., Ferris, S.H., A Family Intervention to Delay Nursing Home Placement of Patints with Alzheimer Disease, in «Journal Medical Association», n. 276, 1996, pp. 1725-1731.

472 Butler, R.N., Population aging and health, in «British Medical Journal», n. 315, 1997, pp. 1082- 1084.

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costituita dai familiari, dagli amici e da quelle persone che gratuitamente si impegnano nel sociale.

Per la maggior parte dei pazienti dementi, la famiglia è l’unica realtà assistenziale473, e questo ruolo così impegnativo comporta costi in termini fisici, emozionali, occupazionali e sociali474. Numerose ricerche di tipo comparativo, cioè confrontando lo stato di salute di coloro che assistono i malati di Alzheimer e coloro che non hanno quest’incombenza, hanno rilevatodelle significative differenze.Infatti, i primi soffrono soprattutto a causa dei disturbi della memoria del malato475 con ricadute negative sia sulla loro salute che sulla vita relazionale, in quanto sono soggette a crisi depressive, hanno meno interazioni sociali e un reddito inferiore rispetto al gruppo di controllo. Inoltre, si è constatato in coloro che si occupano dei malati una compromissione delle naturali difese dell’organismo a causa del loro alto grado di affaticamento e di tensione emotiva476. Nel corso dell’assistenza al malato i familiari attraversano una prima fase di adattamento, poi una di rifiuto della malattia, un’altra di coinvolgimento eccessivo, quindi, di colpa ed infine di accettazione. Si tratta di un cammino segnato dallo stress, come hanno evidenziato diversi studi, che aumenta in parallelo al deterioramento cognitivo del malato e che è superiore persino a quello dell’assistenza ad un malato terminale477.

473 Bianchetti, A., Zanetti, O., Dipartimento di ricerca clinica per la malattia di Alzheimer: una possibile risposta ai problemi della demenza, in «Psichiatria oggi», n. 4, 1991, p. 94.

474 Tompson, E., Doll, W., The burden of families coping with the mentally ill: an invisible crisis, in «Families relation», n. 31, 1982, p. 397.

475 Zarit, S., Todd, P. A, Zarit, J., Subjective Burden of Husband and Wife Caregivers; a longitudinal study, in «The gerontologist», n. 26, 1986, pp. 260-266.

476 Kiecolt-Glaser, J., Glaser, R., Shuttleworth, E., Dyer, C., Ogrocki, P., Speicher, C., Chronic stress and immunity in family caregivers of Alzheimer’s disease victims, in «Psychosomatic Medicine», n. 49, 1987, pp. 523-535.

477 Clipp, E.D., George, L.K, Dementia and cancer: a comparison of spouse caregivers (Review), in «Gerontologist», n. 33, 1993, pp. 354-357.

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