• Non ci sono risultati.

L’espansione degli scambi internazionali e il nuovo mercato europeo

CAPITOLO II – IL MIRACOLO ECONOMICO E IL SISTEMA NAZIONALE D’INNOVAZIONE

2.1 Traiettorie storico-economiche della crescita in Europa e in Italia nei primi decenni del Secondo Dopoguerra

2.1.1 L’espansione degli scambi internazionali e il nuovo mercato europeo

La letteratura sulla storia economica dell’Italia nella Golden Age è generalmente concorde sul fatto che la rapida espansione della domanda aggregata fu uno dei motori della crescita del PIL e del cambiamento strutturale insieme al mantenimento prolungato di una bilancia commerciale positiva, spostata nettamente verso l’export149

Kindelberger, Lamfalussy e Stein attribuirono all’espansione veloce delle esportazioni il ruolo di fattore trainante dell’economia italiana negli anni ’50 con un sensibile aumento dei volumi delle vendite grazie alla crescita della domanda estera. Le conseguenze indirette dell’espansione della domanda di beni, secondo questi autori, si tradussero in un’immediata espansione dell’occupazione interna ed una crescita dei salari dovuti all’incremento della produttività delle imprese150.

Un vero e proprio circolo virtuoso, come teorizzato successivamente da Beckerman151, che avrebbe permesso ad uno stato di non trovarsi in difficoltà nelle

bilancia dei pagamenti e, allo stesso tempo, raggiungere elevati livelli di produttività e volumi di produzione industriale. Effettivamente questa versione era sostenuta anche da precedenti studi che ponevano le esportazioni al centro delle dinamiche della crescita, tra cui quelli di Nicholas Kaldor e J.A. Mirrless, che concentrò la sua analisi sui tassi di crescita diversi dei vari paesi nel periodo storico successivo alla Seconda Guerra Mondiale evidenziando una stretta correlazione tra tasso di crescita della produzione manifatturiera e crescita del reddito pro capite in condizioni di elevati scambi commerciali152.

149 J. Cohen, G. Federico, The Growth of the Italian Economy, 1820-1960, cit., pp. 17-30.

150 C.P. Kindelberger, Europe’s postwar growth, Harvard University Press, Cambridge, 1967, pp. 71-

82; A. Lamfalussy, The United Kingdom and the Six, Macmillan, London, 1964, pp. 43-52; R.M. Commercio estero e sviluppo economico in Italia, Etas Kompass, Milano, 1968. pp. 67-71.

151 W. Beckerman, Projecting Europe’s Growth, in «The Economic Journal», n. 58, 1982, pp. 912–925.

152 N. Kaldor, J.A. Mirrlees, A New Model of Economic Growth, in «The Review of Economic Studies»,

64 Boltho sostiene, invece, che le esportazioni italiane beneficiarono di un tasso di cambio favorevole grazie al quale sarebbero state più competitive sul piano internazionale rispetto ad altri Paesi153. Tale livello di competitività, come

sottolineato da Grilli et al., era strettamente connessa all'andamento fortunato delle ragioni di scambio internazionali, che dava all'economia italiana la possibilità di acquisire materie prime e semilavorati a costi reali decrescenti154.

La liberalizzazione di commerci internazionali accelerò fino a determinare un tasso di crescita delle esportazioni superiore a quello del PIL e un aumento degli investimenti che si concentrarono soprattutto sui macchinari e i beni intermedi industriali, garantendo un sorpasso sull’accumulazione di capitale nell’agricoltura e nell’edilizia155.

Tabella 3 – Livello di apertura delle economie nazionali (Paesi CEE) (exp + imp/gdp)

BELGIO FRANCIA GERMANIA ITALIA

1951 75,38 32,42 22,7 21,89 1952 69,39 28,12 23,17 20,49 1953 65,93 26,05 23,79 20,46 1954 67,88 26,89 27,2 19,9 1955 73,8 26,5 29,03 20,19 1956 80,56 25,3 31,2 21,6 1957 79,06 25,22 33,86 23,84 1958 72,31 24,13 32,46 21,48 1959 73,48 24,91 33,64 21,74 1960 78,48 26,92 35,24 25,8 1961 80,5 26,21 33,63 26,05

153 A. Boltho, Convergence, competitiveness, and the exchange rate, in N. Crafts, G. Toniolo, Economic

Growth in Europe Since 1945, cit., pp. 107-130.

154 E. Grilli, J.A. Kregel, P. Savona, Ragioni dì scambio e crescita economica in Italia, in «Moneta e

credito», n. 4, 1982, pp. 401-412.

65 1962 80,22 24,89 33,27 26,26 1963 82,72 25,01 33,97 26,91 1964 85,13 25,63 34,37 26,12 1965 85 25,76 35,61 27,2 1966 86,22 26,48 36,41 28,63 1967 85,02 26,19 37 28,81 1968 90,65 26,57 38,69 29,57 1969 97,28 28,74 40,26 31,5 1970 101,28 31,08 40,41 32,78 1971 98,91 31,76 39,74 33,16 1972 98,64 32,39 39,23 34,62 1973 98,94961 34,28 40,77 36,82

Fonte: rielaborazione su dati Penn World Tables, Mark 5.6. In giallo sono evidenziati gli anni a partire dalla costituzione della CEE.

Tenendo in considerazione la portata degli scambi internazionali, Gomellini argomenta che l’Italia adottò nel dopoguerra un modello di sviluppo fondato su due principali pilastri fondamentali: l’adesione al Piano Marshall e il processo di inserimento nelle istituzioni europee156. Entrambi i momenti segnarono il

definitivo abbandono del vincolo autarchico e la decisa apertura agli scambi commerciali con l’estero. Nel corso degli anni cinquanta questo modello si affermò attraversando diverse fasi intermedie, segnate da numerose tappe cruciali come l’adesione all’Unione Europea dei Pagamenti (19 settembre del 1950), la rimozione delle barriere quantitative agli scambi (processo che si articola in più momenti lungo il decennio e che ha nell’unione doganale interna alla CEE il passaggio definitivo all’abolizione dei contingentamenti delle merci), l’adesione alla CEE

156 M. Gomellini, Il commercio estero dell’Italia negli anni sessanta: specializzazione internazionale e

tecnologia, cit., pp. 23-26. Sul punto si veda anche l’approfondimento di Strangio, D., La rinascita economica dell'Europa. Dall'European Recovery program all'integrazione economica europea e alla Banca europea per gli investimenti, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011, pp. 3-5.

66 (ratificata con la firma del Trattato di Roma nel marzo del 1957) e l’unione doganale di cui si parlerà nel dettaglio successivamente157. In particolare

quest’ultima, l’unione doganale, si rivelò un successo politico ed economico. Essa prevedeva nella prima fase una riduzione delle tariffe del 30%, nei successivi quattro anni del 60% e fino all’abolizione completa nella terza e ultima fase. Tutti i sussidi e le tasse applicate alle esportazioni e le entrate derivanti dai dazi sulle importazioni vennero aboliti entro la fine della prima fase. Nonostante tra il 1958 e il 1960 le trattative relative al commercio interno del Mercato Comune furono difficili, i tagli alle tariffe vennero effettuati prima del calendario previsto. Verso dicembre 1960 le riduzioni ammontavano già al 30%, mentre alla fine del 1963 era stato concordato un ulteriore abbassamento del 60%. Nel 1961, invece, si giunse alla rimozione di tutte le quote sulle importazioni in modo da limitare progressivamente tutte le restrizioni quantitative sulle importazioni imposte dai membri della CEE che vennero infine abolite158.

Oltre alle esportazioni l’apertura dei mercati ebbe altri effetti positivi sull’economia italiana come testimoniato anche dall’analisi del Gruppo IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), che racchiudeva alcune delle maggiori imprese per dimensioni: “L’entrata in vigore del Trattato della CEE e le conseguenti prime riduzioni dei dazi doganali al 1° gennaio 1959 tendono ad acuire i problemi posti dal processo d’integrazione delle economie dei sei paesi. Tuttavia, il semplice fatto dell’apertura di un mercato comune con la prospettiva di una più vasta capacità d’acquisto è da ritenere rappresenti obiettivamente uno stimolo agli investimenti e costituisca quindi un elemento positivo che contrasta i fattori di tendenziale ristagno. D’altronde l’entrata in vigore del trattato della CEE che ha un valore anche di carattere psicologico, insieme con le più facili condizioni creditizie conseguenti alla maggiore liquidità dei mercati finanziari od a specifiche

157 Ivi, pp. 7-8.

158 M. Dedman, The Origin and Development of the European Union. 1945-2008. A History of European

67 misure di governo (con l’eccezione della Francia che, a motivo della persistente pressione inflazionistica e delle note difficoltà negli scambi con l’estero, ha dovuto ricorrere a misure restrittive), ha favorito nei paesi dell’Europa Occidentale una ripresa degli investimenti”159.

Tabella 4 – Esportazioni quote internazionali paesi CEE (classificazione Pavitt) a valuta corrente 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 Science based ITALIA 5,2 5,4 5,7 6 5,9 5,7 6 5,6 5,5 5,7 5,8 BELGIO 2,1 2,3 3,2 3,3 2,9 2,4 2,4 2,6 2,6 2,8 2,9 GERMANIA 20,1 18,7 20,2 19,6 19,3 19,6 19,5 18,9 19,2 20,5 20,2 FRANCIA 8,8 8 7,7 7,9 8,3 8,7 8,8 8,1 8,2 8,6 8,6 Specialised suppliers ITALIA 5,2 5,3 5,7 5,8 6,5 7,1 7,8 8,2 8,5 8,7 8,2 BELGIO 2,3 2,5 2,6 2,7 3 2,8 2,7 2,8 3,1 3,1 3,4 GERMANIA 29,6 28,3 28,4 27,5 27,9 28,3 29,1 29,3 29 28,9 29,6 FRANCIA 6,4 6,6 6,7 6,9 7,2 7 7,3 7,9 8,2 8,1 8,7 Scale intensive ITALIA 5,5 5,2 5 5,6 6,5 6,5 6,5 6,8 6,4 6,1 6,4 BELGIO 9,4 9 8,6 8,9 9,4 9,3 9,1 9,1 9,7 10 8,9 GERMANIA 26,3 24,1 23,9 23,2 22,8 23,2 23,4 23,4 23,1 23 23,1 FRANCIA 12,9 11,5 11,5 10,9 11 10,7 10,7 10,2 10,1 11,1 10,7 Supply dominated ITALIA 11,9 10,7 11 11,3 11,9 12,5 12,9 14 14,4 14,4 14,4 BELGIO 10 9,1 9,3 9,8 9,6 9,7 9,4 9,5 9,6 9,5 9,6

68

GERMANIA 17,8 14,9 15,6 15,9 16,1 16,5 17,6 17,7 18,3 19 19,3

FRANCIA 14,9 12,5 12,5 12,2 12 11,5 11,2 10,8 10,4 11 11,2

Fonte: rielaborazione su dati OECD 1996

La Tabella 4 mostra le quote di esportazioni dei vari paesi membri della Comunità suddivise per tipologia di prodotto secondo la nomenclatura di Pavitt160. L’area della CEE emerge quale rilevante fattore di traino delle

esportazioni italiane di beni tradizionali e di quelle dei prodotti scale intensive. La crescita delle esportazioni science based invece, è influenzata in modo più intenso dalla domanda dei paesi diversi da quelli principali facenti parte dell’OCSE; il ruolo della domanda delle maggiori economie occidentali appare modesto per tali settori a più elevata tecnologia161.

In generale, sul piano della competitività, la buona performance dell’Italia negli anni sessanta emerge dall’incremento registrato dalla quota internazionale di export italiano, in aggregato e per tutte le categorie di Pavitt come emerge dalla Tabella 4. Nonostante ciò di può notare il divario con la Germania e la Francia nelle quote di esportazioni, in special modo per quanto concerne i beni ad alta intensità tecnologica (science based e specialised supplier). L’Italia sembrò infatti

160 Nel saggio Sectoral Patterns of Technical Change: Towards a Taxonomy and a Theory, 1984, Pavitt

propone una classificazione di diversi tipi di innovazione mettendoli in rapporto alla dimensione delle imprese e al settore in cui esse operano. Ne emergono così quattro tipologie di beni: 1) science based: sono i settori a maggiore intensità tecnologica e a maggior intensità di ricerca di base, produttori di tecnologia e di innovazioni che possono essere adottate da settori a valle; 2) specialized suppliers: sono le produzioni basate sulla diversificazione e realizzate da imprese medie o piccole caratterizzate da elevata flessibilità e forte specializzazione. Il contenuto tecnologico e innovativo proviene sia dai settori tecnologicamente a monte, sia da attività innovativa, interna all’impresa, che può derivare da una specifica attività di ricerca o da dinamiche di apprendimento; 3) scale intensive: sono i settori caratterizzati da imprese di grandi dimensioni. L’innovazione in questi settori deriva da una specifica attività di ricerca o da una conoscenza di tipo learning by doing acquisita e sviluppata anche attraverso l’acquisto di macchinari e impianti; 4) suppliers dominated: sono le produzioni che vengono definite tradizionali e includono beni di consumo finale e prodotti in cui le innovazioni derivano da elementi di design o da innovazioni di processo.

161 M. Gomellini, Il commercio estero dell’Italia negli anni sessanta: specializzazione internazionale e

69 caratterizzarsi soprattutto per la vendita oltreconfine di beni appartenenti alle categorie più tradizionali, anche se con una crescita più sensibile tra il 1961 e il 1973 dei beni a medio-alta intensità tecnologica tipici di un sistema costituito prevalentemente da imprese di piccola-media dimensione con buona capacità innovative.