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Il quadro istituzionale internazionale: la nascita e i primi decenni della CEE

CAPITOLO II – IL MIRACOLO ECONOMICO E IL SISTEMA NAZIONALE D’INNOVAZIONE

2.1 Traiettorie storico-economiche della crescita in Europa e in Italia nei primi decenni del Secondo Dopoguerra

2.1.3 Il quadro istituzionale internazionale: la nascita e i primi decenni della CEE

Il quadro istituzionale internazionale ebbe non poco rilievo nella fase di crescita straordinaria che si verificò in Italia durante gli anni ’50 e ’60. La massima espressione istituzionale del sistema fu la Comunità Economica Europea (CEE). Quando si parla della CEE e dei vantaggi in termini economici che essa ha garantito ai suoi paesi membri è necessario considerare il suo sbocco ideale dal punto vista economico e istituzionale ossia il Mercato Comune. Lo stimolo alla creazione di un’unione doganale che facilitasse lo scambio di beni e conoscenze continentale così vasta va ricercato nella situazione creatasi successivamente al secondo conflitto mondiale182. Lo sforzo bellico, la situazione dissestata dei centri

nevralgici della produzione industriale e degli snodi infrastrutturali, il nuovo assetto politico a livello mondiale diviso in due poli dominanti hanno contribuito in modo decisivo alla nascita di una nuova entità istituzionale sovranazionale che garantisse stabilità e facilitasse la cooperazione fra gli stati nazionali del Vecchio Continente.

Perché si è giunti alla costituzione di una Comunità Economica Europea? Esistono due dottrine principali che hanno provato a spiegare come si è giunti a tale sintesi istituzionale: la dottrina ortodossa e quella federalista. Nel primo caso,

182 B. Olivi, S. Santaniello R. Storia dell’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 2005; U. Triulzi, Le

79 la spiegazione politica prende le mosse dal sistema dei due blocchi consolidatosi negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale e dalla crescente importanza delle organizzazioni internazionali nel regolare la vita degli Stati nazionali. Ad esempio la NATO, le Nazioni Unite (UN) e il GATT (General Agreement on Trade Tariffs) erano diventate le organizzazioni-arbitro delle controversie internazionali in campo politico, militare ed economico. In questo senso la teoria prevede un’integrazione costante tra le parti che necessitano di sottoporre sempre più settori economici, amministrativi e politici all’arbitrato e alla mediazione delle organizzazioni sovranazionali come la CEE e l’Unione Europea. Così la burocrazia europea si è sostituita nel tempo a quella delle singole nazioni ed è diventata il motore della produzione normativa e regolamentare da declinare poi internamente. Questo ha portato non solo benefici, nei termini precedentemente descritti, ma ha anche fatto sorgere alcuni dei problemi che le istituzioni comunitarie si ritrovano oggi a dover affrontare. Uno dei più rilevanti è il trasferimento di responsabilità (accountability) dalle istituzioni statali a quelle europee che ha causato un vero e proprio cortocircuito tra apparati politici, burocratici e sentimento dell’elettorato verso tali categorie183.

La teoria ortodossa non sembra comunque in grado di rispondere in modo esaustivo alla domanda posta. La Commissione Europea e il Parlamento sono infatti diventati preponderanti solamente in un secondo momento. A lungo essi sono stati meri strumenti assoggettati alle relazioni di forza dei paesi membri, senza diventare governo e legislatore di uno super-Stato integrato. È altresì chiaro, a posteriori, che il processo di integrazione non è riuscito a dissolvere gli stati nazione né ad erodere o sostituire i principi su cui essi si fondano184.

183 D. Acemoglu et al., The Rise of Europe: Atlantic Trade, Institutional Change and Economic Growth, in

«American Economic Review», vol. 95, n.3, 2005, pp. 546-579.

80 La seconda teoria si rifà alla ricerca storica di Walter Lipgens185 che

considera fondamentale il lavoro di pressione svolto dai numerosi movimenti e organizzazioni federaliste che si erano formati durante la resistenza presso le numerose formazioni non-comuniste presenti nei paesi occupati. In Italia il riferimento principale della corrente federalista riporta alle idee di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, ma anche a quelle di Luigi Einaudi che fu tra i primi sostenitori della causa. Non a caso, lo stesso Spinelli ritiene fondamentale l’influenza di Einaudi sulla propria visione dell’Europa unita.

Vi è anche una terza teoria, che fa capo alla corrente storica di Alan Milward186, ripresa e ampliata successivamente da Martin Dedman187, secondo cui

ci furono tre ordini di benefici a guidare la scelta di una maggiore integrazione fra nazioni appartenenti alla medesima area geografica nonostante, soprattutto nelle fasi iniziali, siano richiesti sforzi amministrativi piuttosto consistenti.

In primo luogo, l’irreversibilità o, meglio, la scarsa convenienza nell’uscire dagli accordi presi. Il Trattato di Roma che costituisce la Comunità Economica Europea non fissava alcun limite temporale e non prevedeva procedure per l’eventuale fuoriuscita dei membri. La durata del patto non deve così essere ricercata in una clausola ben precisa, bensì nella garanzia che rimanendo all’interno del Trattato venga data continuità agli obiettivi e ai benefici espressi e accettati da tutti i partecipanti.

In secondo luogo, Milward indica l’esclusività. I 6 membri della CEE, infatti, erano legittimati a escludere tutti gli Stati che, facendo richiesta di entrare, non avessero rispettato i parametri e gli accordi contenuti nei trattati costitutivi. È la medesima logica di un “club” che in questo caso rappresenta una unione economica con influenze e ricadute importanti a livello internazionale. I vani

185 W. Lipgens, Documents on the History of European Integration, Walter de Gruyter, Berlino e New

York, 1985.

186 A. Milward, Economics and politics in the decision to join the EU, cit., pp. 54-59.

187 M. Dedman, The Origin and Development of the European Union. 1945-2008. A History of European

81 tentativi di ingresso della Gran Bretagna nei primi anni di vita della Comunità sono piuttosto indicativi del potere che conferisce l’esclusività ai fondatori del club.

Il terzo beneficio fu la creazione di regole nuove e innovative che potessero gestire meglio i processi economici tra tutti i membri. Ciò comportava maggiore chiarezza nei rapporti interni ed esterni all’area integrata, riducendo l’incertezza ed evitando potenziali conflitti.

La Francia fu, fra gli Stati europei188, il propulsore di questo processo

iniziale culminato nella dichiarazione del ministro degli esteri francese, Robert Schuman, presentata il 9 maggio 1950. Nel discorso tenuto a Parigi, impregnato dei principi funzionalisti di cui Jean Monnet era il maggiore esponente, si intravede il primo passo del cammino che porterà alla definizione di nuove regole per la coesistenza dei Paesi Europei e nuove forme di interdipendenza e collaborazione economica. Quest’ultima era, nella concezione dei funzionalisti, la dimensione principale entro cui realizzare le politiche di cooperazione.

L’idea alla base della CEE guardava dunque più alla necessità di un area comune in cui creare quel “larger market” che avrebbe portato benefici e benessere ai singoli stati nazionali, evitando l’insorgere di nuovi conflitti e garantendo uno stato di pace permanente. L’Italia fu il primo Paese ad aderire al Piano Schuman seguita dai paesi del Benelux e, infine, dalla Germania. Le motivazioni erano diverse: Alcide De Gasperi puntava a non rimanere indietro

188 Gli Stati Uniti ricoprirono un ruolo fondamentale per la creazione della CEE. Come scrive

Strangio (2011) «L’European Ricovery Program impose agli stati europei la cooperazione quale condizione necessaria per usufruire degli aiuti previsti […] L’Erp rappresentò una forte espressione della leadership americana (leadership che era venuta meno nel primo dopoguerra e che verosimilmente fu una delle cause dell’assenza di cooperazione, come già accennato) il cui obiettivo però andò oltre la sfera economica puntando a una ricostruzione e ad un rilancio anche politico e sociale dell’Europa».

82 rispetto ai grandi stati centrali, Francia e Germania, mentre Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi a non rimanere marginali nello scacchiere continentale189.

Nella conferenza tenutasi a Messina nel giugno del 1955 tra i Ministri degli esteri della CECA questa visione progettuale dell’integrazione economica venne ribadita, ribadendo che il tempo per quella politica non era ancora arrivato e che agire in quella direzione sarebbe stata una inutile forzatura. Non a caso venne istituito un comitato, sotto la guida di Paul-Henri Spaak che valutasse la possibilità di costruire una cooperazione permanente su alcuni settori economici e un primo nucleo di mercato comune da sviluppare in modo progressivo.

Il risultato finale fu un rapporto che portò, il 25 marzo 1957, alla firma a Roma del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) e del Trattato istitutivo della Comunità europea per l’energia atomica (CEEA). Era il compimento dell’integrazione funzionale, prospettata dalla dottrina di Monnet, che rappresentava la naturale prosecuzione dell’esperienza intrapresa con la CECA.

Il Trattato CEE, a differenza di quello istitutivo della CECA, prefigurava già in origine un tipo di integrazione più ampio, non più a carattere verticale, ma orizzontale focalizzato soprattutto sugli aspetti economici e gli effetti positivi che la sua implementazione avrebbe avuto sugli stati membri. L’accordo non si limitava a dettare una serie di norme e previsioni immediatamente applicabili e armonizzabili con i sistemi giuridici dei relativi destinatari. Al contrario, stabiliva determinati obiettivi da raggiungere mediante un percorso per tappe progressive e che avrebbero dovuto condurre ad una sempre più stretta integrazione economica tra gli Stati membri190.

Gli obiettivi della CEE erano definiti dall’art. 2 dove si parlava di “uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità,

189 A.S. Milward, The European Rescue of the Nation-State, cit., pp. 79-95; B. Olivi, R. Santaniello, Storia

dell’integrazione europea, cit., pp. 65-68.

190 M. Gilbert, Surpassing Realism. The Politics of European Integrations Since 1945, Rowman &

83 un’espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni tra gli Stati che ad essa partecipano”. L’attenzione al profilo economico era assolutamente preponderante, considerando che pressoché tutti gli obiettivi avevano tale natura, eccezion fatta per alcuni, assai generico, come quello relativo alle relazioni interstatali.

Nell’art. 3 del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea si trovavano invece i passaggi fondamentali che avrebbero dovuto condurre all’integrazione economica in modo progressivo:

“Ai fini enunciati all’articolo precedente, l’azione della Comunità importa, alle condizioni e secondo il ritmo previsto dal presente Trattato: a) l’abolizione fra gli Stati membri dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative all’entrata e all’uscita delle merci, come pure di tutte le altre misure di effetto equivalente, b) l’istituzione di una tariffa doganale comune e di una politica commerciale comune nei confronti degli Stati terzi, c) l’eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, […] f) la creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune, g) l'applicazione di procedure che permettano di coordinare le politiche economiche degli Stati membri e di ovviare agli squilibri nelle loro bilance dei pagamenti […].”.

In questo quadro, nei primi dodici anni di vita della CEE gli Stati membri si adoperarono per dare vita ad un’unione doganale nell’area comunitaria. Il periodo transitorio si sarebbe dovuto con la piena realizzazione dell’unione doganale appena descritta, entro il 1969, con alcune tappe prefissate per l’abbattimento dei dazi interni. Il primo passo prevedeva una riduzione dei dazi del 30% entro la fine del 1958, per poi proseguire con un taglio del 60% (rispetto ai dazi presenti nel 1957) entro il 1962 e concludere con l’abolizione totale entro il 1969. Tutti i sussidi, le tasse e i ricavati dalle accise posti sulle esportazioni sarebbero invece stati eliminati non oltre il 1958191. Alcune difficoltà nei negoziati all’interno delle

191 M. Dedman, The Origin and Development of the European Union. 1945-2008. A History of European

84 istituzioni della CEE, provocarono uno slittamento temporale nella realizzazione delle tappe inizialmente delineate di comune accordo. Il primo passaggio fu completato verso la fine del 1960, il secondo verso la fine del 1963.

Nonostante gli aggiustamenti e gli intoppi della concertazione fra i paesi membri, il fervore per la collaborazione interstatale e la decisa spinta verso la creazione di un vero e proprio mercato consentirono di approdare ai risultati programmati entro la fine del 1968192.

2.1.5 La stagione delle istituzioni e della programmazione. Verso la fine dell’età