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La stagione delle istituzioni e della programmazione Verso la fine dell’età dell’oro

CAPITOLO II – IL MIRACOLO ECONOMICO E IL SISTEMA NAZIONALE D’INNOVAZIONE

2.1 Traiettorie storico-economiche della crescita in Europa e in Italia nei primi decenni del Secondo Dopoguerra

2.1.5 La stagione delle istituzioni e della programmazione Verso la fine dell’età dell’oro

È già stato sottolineato come, con l’esaurirsi del miracolo economico nei primi anni ’60 e a seguito di una politica monetaria restrittiva per contrastare il crescente squilibrio nella bilancia dei pagamenti e la pressione inflazionistica, la fase di crescita sostenuta venne meno. La forte inflazione fu provocata dalla spinta salariale, la prima di siffatta portata in cinquant’anni, nel contesto di una contrazione della disoccupazione e di una ripresa della militanza sindacale fino a quel momento tenuta sotto controllo da un patto cooperativo garantito dalle istituzioni. Il mutamento della politica monetaria riuscì a fermare l’aumento dei salari e a evitare una svalutazione della lira, attenuando così il percorso di decrescita iniziato nei primi anni ’60e mantenendo ancora per un decennio il ciclo di sviluppo iniziato nel Secondo Dopoguerra, seppur in misura attenuata193. Il 1963

fu un anno importante, sostengono diversi autori, poiché il sistema economico italiano vide le istituzioni aumentare il proprio peso sia in modo diretto, con il controllo di aziende e capitali, sia in modo indiretto attraverso forme di regolamentazione, policy o incentivi. Questa seconda fase degli anni d’oro fu caratterizzata da un crescente livello di dirigismo politico nell’economia. Vi sono

192 F. Fauri, L’integrazione economica europea. 1947-2006, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 79-80.

85 diverse spiegazioni dietro una spinta pubblica così marcata da parte della politica italiana.

In primo luogo, si diffuse la convinzione che la straordinaria crescita degli anni precedenti potesse essere replicata e prolungata nel tempo attraverso una programmazione economica centralizzata. In questa direzione, a dire il vero, si mossero anche gli altri stati europei e l’Italia e il suo establishment ne furono profondamente influenzati194. Fu predisposto un programma macroeconomico

(programmazione) per affrontare i principali problemi strutturali dell’economia: il divario Nord-Sud, le richieste crescenti di tutela sociale e maggiore welfare, la regolazione della concorrenza interna e la riforma del diritto societario195.

In secondo luogo, la programmazione rappresentò il tentativo di ridurre la conflittualità nelle relazioni industriali, coinvolgendo i sindacati nella concertazione riguardante le dinamiche salariali e gli obiettivi di sviluppo e produzione centralizzata. In questo modo si portò avanti il concetto di un’economia coordinata di mercato196.

Anche la questione della concorrenza venne affrontata dalla politica. Per conferire una dimensione più strutturata e analitica a questo tentativo venne istituita una commissione parlamentare d’inchiesta denominata “Commissione parlamentare d’inchiesta sui limiti posti alla concorrenza in campo economico”. Essa fu istituita nel 1962 su impulso del deputato socialdemocratico Roberto Tremelloni197. I risultati dell’inchiesta, i cui documenti verranno esaminati

diffusamente nei paragrafi successivi, furono macchiati da una carenza generale di informazioni certe sull’ampio panorama delle intese restrittive stipulate a vario titolo fra le imprese. La consapevolezza dell’esistenza di accordi taciti volti a

194 Ibidem.

195 V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia 1861-1990, cit., pp.

237-242.

196 A. Graziani, A., Lo sviluppo dell’economia italiana. Dalla ricostruzione alla moneta europea, cit., pp.

104-111.

197 F. Amatori, D. Felisini, La cooperazione contrattuale, 1900-1965, in G. Gigliobianco, G. Toniolo, G.

86 rendere inoperante la concorrenza caso per caso, orientarono l’attenzione della Commissione verso i fenomeni della concentrazione industriale piuttosto che all’identificazione dei cartelli operanti sul mercato198. Il quadro che emerse fu

piuttosto chiaro: il sistema industriale delle imprese di alcuni settori rilevanti del mercato italiano (cemento, zucchero, chimico-farmaceutico e cartiero) era piuttosto concentrato ed era riuscito a contrastare ogni forma di concorrenza con intese formali e informali che restringevano la concorrenza199. In tale contesto l’azione

dirigista dello Stato non sembrava in grado di abbattere i monopoli esistenti né attraverso una regolamentazione dei mercati che promuovesse la competizione, né attraverso la nazionalizzazione di interi settori che finì solamente per creare maggiore concentrazione nelle mani dello Stato200.

Sia Crafts sia Graziani concludono nella loro valutazione sugli anni del dirigismo economico che il ricorso alla programmazione in una economia controllata di mercato si dimostrò inefficace per diverse ragioni201.

Innanzitutto era mutato il contesto macroeconomico, anche internazionale, divenuto meno favorevole, con una crescita in fisiologico rallentamento. Le imprese sulle quali gravava uno sviluppo di tipo duale, sia da un punto di vista geografico (Nord-Sud) sia da un punto di vista dimensionale (piccole-medie e grandi) non riuscirono a mantenere il precedente modello di catching up improntato su di un alto tasso di crescita degli investimenti e su un’offerta di lavoro in continua espansione. Non solo, gli effetti del cambiamento strutturale furono condizionati da diversi fattori, tra i quali un sistema nazionale

198 Ibidem.

199 Relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sui limiti posti alla concorrenza in

campo economico, a cura degli On. Orlandi e Raffaelli, Archivio della Camera dei Deputati, 1965, pp. 1-12.

200 D. Felisini, F. Amatori, La cooperazione contrattuale, 1900-1965, cit., pp. 465-466.

201 A. Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana. Dalla ricostruzione alla moneta europea, cit., pp. 104-

87 d’innovazione non pienamente sviluppato e articolato nel quale le istituzioni non seppero rappresentare un elemento di forza quanto di debolezza sistemica202.

La politica dei redditi sostenuti si scontrò con la rigidità delle posizioni dei sindacati avallate a livello istituzionale dal crescente peso del partito comunista e gli obiettivi della programmazione cozzarono contro una Pubblica amministrazione inefficiente e incapace di stare al passo con l’evoluzione economica italiana203. L’impulso della Commissione d’inchiesta parlamentare sui

limiti della concorrenza che ambiva a formulare una regolamentazione organica contro i cartelli industriali insieme a una riforma del diritto societario fu neutralizzato dagli interessi convergenti della politica e dei grandi gruppi industriali che volevano mantenere il proprio regime oligopolistico inalterato204.

Accadde così che dopo gli aumenti salariali dei primi anni ‘60, gli investimenti, diventando sempre più labour-saving, cercarono di salvare i profitti delle aziende e il ciclo virtuoso dell’occupazione cominciò a declinare. Il tentativo di imbrigliare il mercato sotto il giogo più stringente dello Stato risultò in un sostanziale fallimento che depresse l’iniziativa innovatrice sia delle istituzioni stesse, per mano di alcuni individui capaci, sia delle imprese che si ritrovarono protette dalla politica, ma incapaci di aumentare quella capacità necessaria alla trasformazione tecnologica che avrebbe consolidato il sentiero virtuoso intrapreso durante la Golden Age.