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Le regolamentazioni nazionali in materia di libertà religiosa e del diritto alle manifestazioni del proprio credo, prive di un’uniforme linea guida, sono caratterizzate da decisioni che rispondono alle specificità dello Stato, sulla base di diversi modelli democratici, di laicità, di tolleranza, e che spesso contrastano con le norme fissate in altri Stati. La società multiculturale che sempre più va a delinearsi in Europa, vede approdare nuovi usi e tradizioni, ai quali gli ordinamenti, ma in primo luogo le società, devono sapersi accostare. Quanto minore è la conoscenza di una cultura e quanto maggiore è la diversità della religione praticata e l’estraneità delle pratiche religiose manifestate,

347 Approfondimenti in R. Guolo, La sharia in Italia. Il diritto parallelo nelle comunità islamiche, in Diritto immigrazione e cittadinanza, 2009, numero 1, pp. 15-28

86 maggiore sarà la difficoltà a tutelare la specifica libertà religiosa. L’islam, per certi versi, si trova in questa condizione: esso è presente in Europa da relativo poco tempo, è una religione monoteista ma che presenta alcune peculiarità in contrasto con principi dichiarati dalle democrazie europee, impone precetti e pratiche religiose che spesso sollevano perplessità349. Lo spazio concesso dalle giurisprudenze nazionali a questa religione si differenzia quindi enormemente in base alla permanenza di comunità musulmane nei territori nazionali, in base all’integrazione della stessa nella società, in base ai diversi approcci e sistemi giuridici nazionali350. Urge ricordare che vi sono comunque delle norme internazionali e dei limiti invalicabili che gli Stati sono tenuti a rispettare e si può distinguere tra valori detti indisponibili e altri disponibili; i primi sono sommi principi, fondamenti inderogabili quali la non discriminazione, l’uguaglianza e la supremazia della legge, mentre i secondi lasciano maggiore spazio alle decisioni nazionali. Un semplice esempio di un valore non disponibile attinente al dibattito sul porto del velo è l’obbligo di garantire durante la guida di un veicolo un chiaro ed adeguato campo visivo; non è possibile alcun tipo di deroga a questa legge posta per tutelare la sicurezza degli individui351. Esistono però altri valori che non sono ugualmente condivisi, non comuni e suscettibili ad interpretazioni che generano distinte reazioni e che quindi sono diversamente gestiti dagli ordinamenti degli Stati352.

Il caso dell’esposizione dei simboli religiosi ha suscitato diverse soluzioni, figlie di specifici retaggi storico-culturali. Prendiamo ad esempio il caso della Francia, uno Stato che dichiara con enfasi la propria laicità separando in maniera netta la sfera religiosa e spirituale da tutto ciò che è di interesse pubblico. Tale concetto “rigoroso” di laicità pone le sue radici nella Rivoluzione del 1789 che rifiuta il modello appartenuto all’Ancien régime di una società formata dal clero, l’aristocrazia ed il Terzo stato. Con il tempo questo rifiuto si traduce nell’impostazione di un ordine sociale che non intende ricevere alcuna influenza dalla religione: sono della fine del XIX secolo le decisioni di rifiutare ogni tipo di insegnamento religioso nelle scuole pubbliche secolarizzando l’insegnamento stesso353. Non sorprendono allora le circolari del ministero dell’Educazione del 1994354 che

349 S. Ferrari (a cura di), Musulmani in Italia. La condizione giuridica delle comunità islamiche, p. 223 350 L. Musselli, Diritto e religione in Italia ed in Europa. Dai concordati alla problematica islamica, p. 208

351 Zilio Grandi (a cura di), Il dialogo delle leggi. Ordinamento giuridico italiano e tradizione giuridica islamica, pp. 80-81

352 Questa constatazione richiama evidentemente alle considerazioni fatte sull’universalità dei diritti umani che sollevano il dibattito sulla definizione di universalità, sulla determinazione di quali effettivamente siano da ritenere diritti umani e quindi quale sia il limite tra universale e non. Le stesse perplessità possono allora nascere nei confronti dei valori disponibili ed indisponibili: quando un valore perde la sua “disponibilità” e diventa inderogabile? Vi è un importante dibattito, per esempio, su ciò che la Chiesa cattolica considera indisponibile circa la vita biologica dell’uomo 353 Per un excursus storico delle radici laiche francesi si rimanda a M. Calamo Specchia, I “simboli” della (in)tolleranza: la laïcité neutrale e la République, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2005, numero 1, pp. 153- 159

87 sollecitano gli istituti scolastici a regolamentare la manifestazione di simboli religiosi in particolare distinguendo tra «signes discrets355 », ammessi poiché manifestano personali sensibilità e convinzioni, e «signes ostentatoires356», vietati poiché portatori di proselitismo, discriminazione e pressione nei confronti delle libertà e dei diritti altrui nonché dei principi democratici dell’insegnamento. D’altra parte già nel 1989 il Consiglio di Stato aveva diffuso un parere357 secondo il quale l’esposizione di simboli religiosi è consentita nei termini in cui non sia ostentata. Si rileva come l’applicazione delle suddette disposizioni sia di difficile attuazione dato che non sono stati definiti dei criteri per valutare l’ostentazione reale, al contrario questi spettano alla discrezionalità dell’amministrazione scolastica, che ha dimostrato imporre una condotta piuttosto rigida 358 . Nel 2003 il Presidente della Repubblica francese Jacques Chirac nomina una Commissione, conosciuta con il nome Commision Stasi 359 , con il compito di riflettere sull’applicazione del principio di laicità la quale presenta un rapporto il 11 dicembre 2003360. Il Rapport evidenzia il ruolo rivestito dal principio della laicità nella Repubblica francese che si dichiara neutrale nei confronti di ogni religione pur garantendo l’uguaglianza di tutti i cittadini. La Commission valuta l’impatto che alcune pratiche religiose hanno in alcune circostanze361 e le minacce esistenti in Francia alle libertà dell’individuo, per poi proporre delle soluzioni. In relazione al porto del velo la Commissione suggerisce di vietarlo negli istituti scolastici362, a causa della portata dello stesso che potrebbe avere effetti psicologici sugli studenti, proposta che diventa legge il 15 marzo 2004363. La legge sulla laïcité intende in particolar modo assicurare il principio repubblicano nelle scuole, luogo di formazione e quindi obbligatoriamente privato di pressioni ed interferenze sulla sfera religiosa. D’altra parte però una normativa che vieti l’espressione religiosa

354 Circulaire DIR/CAB no 1649 du 20/09/1994 relative au port de signes ostentatoires dans les établissements scolaire in Bullettin Officiel de l’Éducation National numero 35

355 Cit. S. Carmignani Caridi, Libertà di abbigliamento e velo islamico, in S. Ferrari (a cura di), Musulmani in Italia. La condizione giuridica delle comunità islamiche, p. 225

356 Ibid

357 Decisioni del 27 novembre 1989 e del 10 marzo 1995 del Consiglio di Stato, consultabili al sito http://www.conseil- etat.fr/fr/rapports-et-etudes/-un-siecle-de-laicite.html#9, visitato il 07/04/2013

358 Approfondimenti in S. Ferrari (a cura di), Musulmani in Italia. La condizione giuridica delle comunità islamiche, p. 215

359 Dal nome del presidente della Commissione, mediatore della Repubblica, Bernard Stasi 360 Il testo del Rapporto è consultabile in Le Monde, Document, del 12 dicembre 2003 361 Ibid, p. 21

362 Ibid, cit. punto 4.2.2.1 - L’école: «La commission, après avoir entendu les positions des uns et des autres, estime qu’aujourd’hui la question n’est plus la liberté de conscience, mais l’ordre public. […] C’est pourquoi la commission propose d’insérer dans un texte de loi portant sur la laïcité la disposition suivante : «Dans le respect de la liberté de conscience et du caractère propre des établissements privés sous contrat, sont interdits dans les écoles, collèges et lycées les tenues et signes manifestant une appartenance religieuse ou politique. Toute sanction est proportionnée et prise après que l’élève a été invité à se conformer à ses obligations.»»

363 Testo della L. 17 marzo 2004, n. 228, LOI n° 2004-228 du 15 mars 2004 encadrant, en application du principe de laïcité, le port de signes ou de tenues manifestant une appartenance religieuse dans les écoles, collèges et lycées publics, consultabile al sito http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000417977& dateTexte=&categorieLien=id, visitato il 07/04/2013

88 attraverso il porto di simboli, discrimina, in un certo senso, quella componente della popolazione, di cui la maggioranza è costituita da donne, che è costretta a compiere delle scelte contrarie alle proprie convinzioni364. Nel 2010 la Francia ha poi adottato una legge sulla base di un nuovo rapporto365 che vieta il velo integrale negli spazi pubblici, ma secondo un sondaggio i francesi (l’86%) vorrebbero che il divieto fosse esteso anche ai luoghi privati366.

Il dibattito acceso che caratterizza la realtà francese non è isolato: in Svizzera il multiculturalismo e l’applicazione della libertà religiosa sta sollevando, così come negli altri paesi d’Europa, diversi problemi. La libertà di credo e di coscienza è dichiarata nella Costituzione svizzera367 all’articolo 15 e garantisce la libera professione ed espressione delle proprie convinzioni con le sole limitazioni che possono restringere la manifestazione esterna368, in corrispondenza con le dichiarazioni internazionali in materia369. Nella decisione su un caso370 che è considerato un punto di riferimento in materia di esposizione di simboli religiosi, lo Stato si è pronunciato affermando sia difficile garantire una neutralità statale assoluta, tuttavia sottolinea che è necessario assicurare la non interferenza e quindi la neutralità, in virtù del rispetto del pluralismo371: a questi fini, lo Stato vieta l’esposizione del crocifisso ed il porto del velo372 nelle scuole pubbliche. La posizione elvetica nei confronti dei simboli religiosi risulta allora garante dei diritti alla libertà religiosa ed alla sua manifestazione, fintanto che non metta a repentaglio «un interesse pubblico prevalente373» conformemente alla neutralità dello Stato: ogni ente o istituzione che rappresenti lo Stato deve evitare qualsiasi trasmissione di principi religiosi.

364 Abbandonare il velo, con le conseguenti pressioni dalla comunità di appartenenza, oppure scegliere un istituto privato, rinunciando ad un’istruzione pubblica; entrambe sono formule che non vanno nella direzione di un’integrazione sociale. Approfondimenti in M. Calamo Specchia, I “simboli” della (in)tolleranza: la laïcité neutrale e la République, pp. 170-172

365 Rapport comunemente conosciuto con il nome di Gerin-Raoult, dal nome del presidente della Commissione ed il suo relatore. Testo del Rapport d’Information, 26 gennaio 2010, n. 2262, consultabile al sito http://www.assemblee- nationale.fr/13/rap-info/i2262.asp, visitato il 07/04/2013

366 Sondaggio realizzato da BVA, Institut d’études de marché e d’opinion, 25 marzo 2013, consultabile al sito http://www.bva.fr/fr/sondages/questions_d_actu_bva-cqfd/la_laicite.html, visitato il 08/04/2013

367 Testo della Costituzione federale della Confederazione Svizzera, 18 aprile 1999, in vigore dal 1 gennaio 2000, consultabile al sito http://www.admin.ch/ch/i/rs/c101.html, visitato il 08/04/2013

368 I limiti posti sono quelli stabiliti dall’articolo 36 «1. Le restrizioni dei diritti fondamentali devono avere una base legale. Se gravi, devono essere previste dalla legge medesima. Sono eccettuate le restrizioni ordinate in caso di pericolo grave, immediato e non altrimenti evitabile. 2. Le restrizioni dei diritti fondamentali devono essere giustificate da un interesse pubblico o dalla protezione di diritti fondamentali altrui. 3. Esse devono essere proporzionate allo scopo. 4. I diritti fondamentali sono intangibili nella loro essenza.»

369 M.P. Viviani Schlein, Il problema delle manifestazioni di credo religioso nella vita pubblica in Svizzera, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2005, numero 1, p. 237

370 Trib. Fed., Sentenza 26 settembre 1990, Comune di Cadro c. Bernasconi, n. 252

371 M.P. Viviani Schlein, Il problema delle manifestazioni di credo religioso nella vita pubblica in Svizzera, p. 239 372 La già citata sentenza Dahlab c. Svizzera

89 Si accenna ora alla peculiarità dell’ordinamento britannico nei confronti della libertà religiosa. La storia coloniale britannica ed in particolare la decolonizzazione dei territori appartenuti all’impero del Regno Unito, che ha dato origine a forti correnti migratorie, determina il pluralismo e la multietnicità di questo Stato, con la conseguente tendenza volta alla tolleranza nei confronti dell’espressione delle proprie convinzioni374. Non sfuggirà il fatto che il Bill of Rights375 del 1689 è considerato uno dei documenti che hanno favorito lo spirito europeo di laicità e di tolleranza376. Recentemente il Regno Unito ha reso esecutivi i diritti e le libertà garantite nella C.E.D.U. attraverso lo Human Rights Act377 del 1998, ciononostante, già precedentemente all’entrata in vigore di tale legge, il governo britannico si è distinto da altri Stati europei nella regolamentazione della libertà religiosa. Si richiama qui al Motor Cycle Crash Helmets Act378 del 1976 che prevede un’eccezione all’obbligo di indossare il casco protettivo previsto dal Road Traffic Act379, per coloro che, professando la religione sikh, indossano il turbante. Nel 1978 la Commissione EDU si pronuncia sul caso X c. Regno Unito, di cui si è già detto380, rifiutando l’appello di esenzione da questa norma sul porto del casco da parte di un cittadino indiano professante la religione sikh. Certo, i fatti successivi all’undici settembre 2001381, con la diretta partecipazione del Regno Unito nella lotta al terrorismo, hanno spinto a riflettere sulla libertà religiosa ed il diritto a manifestare liberamente il proprio credo, la garanzia del pluralismo ha dovuto prendere atto del problema della sicurezza nazionale. Tuttavia la presa di coscienza di determinate difficoltà che la pluralità può suscitare e la necessaria cautela che la questione richiede, la libertà religiosa e la sua manifestazione sono tuttora tutelate nel Regno Unito più che in altri Stati. Un esempio è dato dal giudizio della Corte d’Appello382 del 2005 che dichiara una violazione della libertà religiosa il divieto di indossare

374 A. Torre, Dall’antica tolleranza al moderno pluralismo: credo religioso e vita pubblica nell’evoluzione della Costituzione britannica, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2005, numero 1, pp. 246

375 Il Bill of Rights è un progetto di legge che risulta essere fondamentale nel Regno Unito per lo sviluppo dei principi costituzionali. Il testo della dichiarazione dei diritti civili e politici del 1689 enuncia i diritti e le libertà dell’individuo che successivamente saranno elaborati e diventeranno patrimonio storico, assieme alla Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, delle dichiarazioni sui diritti umani. Testo del Bill of Rights, 16 dicembre 1689, consultabile al sito http://www.legislation.gov.uk/aep/WillandMarSess2/1/2/introduction, visitato il 08/04/2013

376 Il testo contiene per esempio indicazioni circa la libertà di parola: «That the Freedome of Speech and Debates or Proceedings in Parlyament ought not to be impeached or questioned in any Court or Place out of Parlyament.»

377 Testo del Human Rights Act, 9 novembre 1998, consultabile al sito http://www.legislation.gov.uk/ukpga/1998/42/contents, visitato il 08/04/2013

378 Motor Cycle Crash Helmets (Religious Exempion) Act, 15 novembre 1976

379 Testo del Road Traffic Act, 30 marzo 1972, consultabile al sito http://www.legislation.gov.uk/ukpga/1972/20/section/32/enacted, visitato il 08/04/2013

380 In questo capitolo, paragrafo Il velo islamico all’esame della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, p. 80 381 Gli attentati dell’undici settembre 2001 hanno visto la proliferazione di misure e politiche antiterroristiche

382 Il giudice di prima istanza respinge il ricorso, mentre il giudice in appello accoglie le argomentazioni della richiedente; testo della sentenza della House of Lords, 22 marzo 2006, Sabina Begum, R. […] c. Headteacher and Governors of Denbigh High School, EWCA Civ 199, consultabile al sito http://www.publications.parliament.uk/pa/ld200506/ldjudgmt/jd060322/begum.pdf, visitato il 08/04/2013

90 il ğilbāb383 motivato dall’obbligo di indossare l’uniforme scolastica. In base all’articolo 9 della C.E.D.U. la Corte determina che le scuole, anche prevedendo nel loro ordinamento il porto di una divisa scolastica, devono garantire a chi lo desidera di indossare degli abiti diversi in conformità con le prescrizioni della religione professata384. Negli stessi termini si era già pronunciata la House of Lords sul caso Mandle c. Dowell Lee385 che aveva considerato il divieto imposto di portare i capelli lunghi ed il turbante una discriminazione razziale386.

Un ultimo caso di ordinamento europeo cui pare utile fare un breve cenno in relazione al porto del velo è quello della Germania che, se alle studentesse ha lasciato ampia libertà di indossare il proprio simbolo religioso identitario, ha invece lasciato un ampio margine di azione alle singole divisioni amministrative, i cosiddetti Länder. L’esperienza della seconda guerra mondiale ha fortemente influenzato le decisioni tedesche in materia di diritti umani e l’articolo 4 della Costituzione387 che difende la libertà di fede e di coscienza, ha ricevuto un’attenzione particolare. La libertà di manifestare le proprie convinzioni è assicurata agli individui, tant’è che da tempo, per esempio, è permesso agli studenti che ne facciano richiesta l’esonero dalle lezioni di educazione fisica laddove l’abbigliamento a carattere religioso o alcune particolari prescrizioni religiose ne dispongano l’astensione388. Ciononostante il dibattito relativo alla tolleranza nei confronti del porto di simboli religiosi è presente anche in Germania; in particolare, si mette in dubbio il «diritto-dovere alla differenza389 » che precluderebbe la possibilità di raggiungere un soddisfacente livello di integrazione. Ma la questione solleva spinose riflessioni quando si tratta del porto di simboli religiosi da parte di insegnanti. Nel 1997 si assiste alla prima decisione tedesca in materia di velo islamico: l’autorità amministrativa scolastica del Land del Baden-Württemberg vieta il porto del velo previo accesso al tirocinio ed, in seguito, all’insegnamento, ad una donna, cittadina tedesca, di religione musulmana390. Le motivazioni sono similari a quelle date dalla Corte EDU nel caso Dahlab c. Svizzera: ogni insegnante deve evitare di trasmettere ogni possibile messaggio religioso,

383 Vocabolario Arabo – Italiano, Roma, Istituto per L’Oriente, Ğilbāb, باﺑلج , dalla radice بﺑْلجت - indossare: abito femminile

384 L. Zagato, Il volto conteso: velo islamico e diritto internazionale dei diritti umani, p. 79

385 House of Lords R.U., 24 marzo 1983, Mandla and another v Dowell Lee and another, consultabile al sito http://www.hrcr.org/safrica/equality/Mandla_DowellLee.htm visitato il 08/04/2013

386 E. Brandolino, La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’annosa questione del velo islamico, p. 108

387 V. supra, alla nota numero 157 nel par. La libertà religiosa nel diritto internazionale, cap. “La libertà religiosa”, p. 46

388 È qui il caso di giovani musulmane che devono evitare circostanze di promiscuità tra i sessi. Approfondimenti in G. Mangione, La “controversia sul velo” in Germania, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2005, numero 1, pp. 182-183, nota 1

389 Ibid cit.

390 Testo della sentenza Verwaltungsgericht Stuttgart, 24 marzo 2000, n. 15 K 532/99, consultabile al sito http://dejure.org/dienste/vernetzung/rechtsprechung?Gericht=VG%20Stuttgart&Datum=24.03.2000&Aktenzeichen=15 %20K%20532/99, visitato il 08/04/2013

91 garantendo la neutralità dell’istituzione scolastica. Nel 2003 vi è stata la decisione della Corte Costituzionale391 sulla questione, la quale, accogliendo il ricorso della richiedente, ha considerato essere stato violato il diritto alla libertà religiosa della stessa. Tuttavia è necessario fare una precisazione sulla motivazione che ne dà la Corte: è illegittimo qualsiasi divieto che non sia disposto dalla legge, con la conseguenza che ogni Land può fissare un proprio ordinamento per regolare la questione della manifestazione di pratiche religiose, evitando così ogni possibile disputa. Mancando di una netta presa di posizione nei confronti dell’esposizione di simboli religiosi e di una chiara linea di condotta, il giudizio della Corte ha dato origine a diverse decisioni e distinte soluzioni da parte dei Länder che tendenzialmente vanno a corrispondere agli orientamenti politici dei distretti. Così, nel Baden-Württemberg, il partito di maggioranza, la Christlich Demokratische Union Deutschlands – CDU, ha promulgato una legge che vieta il porto del velo islamico alle insegnanti, ed altrettanto hanno deciso altri Länder, ma in direzione opposta sono andate altre amministrazioni392. La frammentazione del regolamento e della gestione della questione dei simboli religiosi suscita in Germania complessi dibattiti393, considerando anche l’importante numero di stranieri presenti nel territorio tedesco394.

Vi sarebbero altri casi di Stati in Europa che potrebbero essere presi in analisi per il diverso approccio che essi adottano nei confronti della comunità musulmana e del suo diritto alla libertà religiosa e di manifestazione del credo, comportamenti distinti che nascono, come si è visto, da esperienze storico-culturali diverse. Tuttavia, quelli trattati, sono i casi maggiormente significativi al fine di evidenziare la variegata realtà europea. Di seguito, ci si sofferma sul caso dell’Italia, che dimostra altre specifiche evidenze sulla questione e che rappresenta un altro peculiare caso di studio.