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6. L’Islam e i principi democratici: differenti aspetti e definizion

6.2 Esportare la democrazia

La guerra in Afghanistan, in aggiunta alla battaglia contro il c.d. “terrorismo islamico”, porta alla ribalta il concetto di “esportazione” della democrazia, cioè di transizione – guidata dall’alto e dall’estero – da un governo autoritario a un governo del popolo; in base a questo approccio, si presuppone che la democrazia e i valori insiti in essa possano essere esportati, diventando così un’arma per sconfiggere il radicalismo islamico. Sebbene l’intento abbia fini lodevoli, ponendo la questione in questi termini, la democrazia appare come un valore proprio soltanto dell’“Occidente”: nel descriverla, i media non si soffermano molto sulla natura di tale forma di governo, né delineano i processi storici che hanno portato la democrazia ad affermarsi – dopo secoli – in una qualsiasi area. Piuttosto, essa è considerata una “merce” esportabile, costituita di elementi riproducibili indipendentemente dalle differenti realtà territoriali. Questo tipo di ragionamento sottintende però un ulteriore aspetto, e cioè che la democrazia descritta come tale si rivela essere una “proprietà” peculiare dell’Occidente. Sebbene sia ovvio che l’evoluzione di una forma di governo non può essere una caratteristica intrinseca di un territorio anziché di un altro, in questo caso la democrazia sembra diventare una concessione che l’“Occidente” offre al “mondo musulmano”378.

Di questo tema tratta anche il premio nobel per l’economia Amartya Sen: riflessioni relative alle origini della democrazia appaiono nel libro La democrazia degli altri. Perché la libertà

non è un’invenzione dell’occidente; egli ribadisce che questa forma di governo non può essere

considerata privilegio dell’Occidente in quanto in tutto il mondo, in epoche diverse, vi sono state pratiche democratiche e aperture al dibattito pubblico, considerato l’essenza della sovranità popolare.

Nonostante questi presupposti, la democrazia viene descritta spesso e volentieri sui quotidiani come un valore prettamente occidentale (basti pensare all’articolo di Oriana Fallaci del 2001). Il concetto riguardante invece l’esportazione di tale sistema politico e valoriale viene discusso soprattutto in relazione all’Iraq. Mentre il conflitto in Afghanistan si presenta – come accennato nel capitolo sul “velo islamico” – in qualità di guerra per l’affermazione dei diritti

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R. Guolo, “Perché non è tabù parlare con Ramadan”, La Repubblica, 11 settembre 2007, p. 1.

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(della donna), l’intervento armato in Iraq viene considerato come il conflitto necessario per l’instaurazione della democrazia.

In base ai dati raccolti, la pubblicazione degli articoli su tale argomento da parte de Il

Corriere della Sera e La Repubblica mostra un andamento interessante: i due grafici

raffiguranti le notizie pubblicate rivelano un andamento molto simile, ad eccezione dell’anno 2004, in cui si può notare una differenza rilevante379.

0 0 3 24 86 63 54 16 11 19 1 1 3 19 32 64 54 27 12 23 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

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In questi dodici mesi infatti le notizie relative all’esportazione della democrazia acquisiscono una grande importanza su Repubblica poiché trattano della disastrosa situazione irachena a un anno di distanza dall’ingresso in guerra degli Stati Uniti e del fallimento di tale strategia. A ciò si aggiungono le notizie riferite ai rapimenti degli italiani in Iraq e al ritiro del contingente spagnolo dal teatro di conflitto deciso dal nuovo premier Zapatero, disposizione che auspica buona parte della sinistra italiana, ma che il governo rifiuta in maniera decisa. Essendo

Repubblica un giornale mainstream ma orientato a sinistra, è ovvio che dia maggiore risalto

agli argomenti trattati dalla sinistra italiana, la cui contrarietà alla guerra è spesso un tema che diventa fonte di aspri dibattiti interni. Inoltre, il giornale dà voce a tutte quelle tesi che

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dissentono dalle posizioni governative e statunitensi, rappresentando quindi le idee dell’opposizione.

Il Corriere della Sera presenta invece per il medesimo periodo, un profilo molto più basso rispetto agli argomenti presentati da La Repubblica, e mostra un atteggiamento più “interventista”, volto ad appoggiare la linea del mantenimento delle truppe in Iraq e dell’utilità della guerra.

Per quel che riguarda il lasso di tempo 2000-2009, l’esportazione della democrazia sembra quindi essere considerata positiva soltanto da Il Corriere. Inoltre, dall’analisi degli articoli di quest’ultimo quotidiano, l’Islam appare in generale più “radicale” e lontano dai “valori occidentali” rispetto a come viene descritto dai giornalisti de La Repubblica; sia per quel che riguarda l’Afghanistan, sia per l’Iraq, l’intervento occidentale viene considerato positivo per l’instaurazione della democrazia, mentre diverse critiche a tale metodo vengono sollevate da

La Repubblica.

A questo proposito, analizzando gli articoli del periodo più “caldo” (cioè 2003-3004) su Il

Corriere troviamo un articolo di Angelo Panebianco, di commento alle prime elezioni

afghane, nell’ottobre 2004, in cui auspica che le istituzioni rappresentative – che in principio costituiranno una “parodia della democrazia” – possano durare abbastanza a lungo “da instillare nella mente degli afghani l’idea che convenga a tutti il fatto che la legittimazione del potere politico passi attraverso le urne elettorali”380. Ancora una volta si sottolinea la dicotomia tra “noi” e “loro”, e si pone l’accento sul fatto che occorra “instillare” nelle menti degli afghani il concetto di democrazia; una democrazia, quindi, che proviene dall’alto, che l’“Occidente” non aiuta a far emergere dall’interno a seguito di un processo di rafforzamento della consapevolezza nel popolo, ma che occorre “instillare”.

E’ proprio questo processo che non proviene dalla comunità, ma da un’imposizione, a suscitare, nel 2003, le perplessità del politologo Benjamin Barber in un commento su La

Repubblica; sebbene in questo caso si parli di Iraq, il concetto rimane il medesimo: la

democrazia non può essere impiantata con la forza, poiché, se anche la Costituzione o le elezioni possono essere imposte, la crescita della società civile avviene in seguito a “un processo di formazione e costruendo istituzioni civiche”381. L’articolo sostiene l’idea in base alla quale il presidente statunitense Bush non agirebbe per la democratizzazione del Paese bensì per la “mercatizzazione” – cioè per la salvaguardia degli interessi statunitensi.

L’idea per cui occorra attuare una democratizzazione dall’interno è appoggiata anche da Renzo Guolo nel saggio “L’Islam è compatibile con la democrazia”, secondo il quale,

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A. Panebianco, “Islam, la chance della democrazia”, Il Corriere della Sera, 8 ottobre 2004, p. 1.

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perché la democrazia si impianti, il mondo musulmano ha bisogno di un decollo economico, che permetta la modernizzazione della società favorendo la formazione di un contesto sociale differenziato in cui classi e ceti, traendone vantaggio non solo dal mercato, ma anche dalla libertà, mettano fine al rapporto di dipendenza che caratterizza il rapporto neopatrimonialistico con i governanti382.

Attraverso lo sviluppo economico, si assisterebbe quindi a uno sviluppo delle libertà personali, e all’assottigliamento delle differenze di genere. Fino ad adesso, l’“Occidente” ha sostenuto la democrazia nei Paesi arabi seguendo la strada della tabula rasa, ovvero dell’intervento militare; un altro metodo, più complesso ma più efficace, potrebbe essere rappresentato dal favorire la “crescita interna”, cioè lo sviluppo delle élites politiche e la loro modernizzazione383. In Iraq e Afghanistan, invece, la modernizzazione e la democratizzazione sono passate attraverso l’istituzione di elezioni e l’emanazione di costituzioni. Entrambe le caratteristiche ritenute basilari per la costituzione di un sistema democratico non si sono rivelate elementi in grado di offrire risultati concreti di “occidentalizzazione” e “modernizzazione”. A ciò occorre però aggiungere che, nel mondo islamico, la democrazia è ancora considerata come una necessità dominata da pressioni esterne384, mentre gli islamisti – secondo Guolo, oggi in declino385 - considerano le caratteristiche della civiltà “occidentale” (concezione della modernità, cultura, potere economico, politico, militare) come le cause principali della decadenza della comunità musulmana386.

Anche nella trattazione dell’esportazione della democrazia le linee editoriali dei due quotidiani rimangono quindi coerenti alle concezioni che entrambi hanno dell’Islam: Il Corriere si mostra più intransigente e tende a considerare tale fede un rischio, mentre l’immagine del credo musulmano che si delinea dalla lettura del quotidiano diretto da Ezio Mauro è una descrizione di una fede complessa e sfaccettata. In base a queste premesse, va da sé quindi che Repubblica si mostri contraria all’intervento armato per esportare la democrazia, ma più aperta al dialogo con l’Islam, mentre Il Corriere sposi una posizione più decisa e interventista.

382

R. Guolo, L’Islam è compatibile con la democrazia?, Bari, Laterza, 2007, p. 135.

383

Ibidem.

384

Ivi, p. 133.

385

Cfr. R. Guolo, Fondamentalismo islamico, Laterza, Bari 2002, pp. 210-215.

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