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5. L’islam tangibile: simboli religiosi, laicità dello Stato, libertà religiosa

5.1 Il dibattito sulle moschee

5.1.1 La questione degli imam

Accanto alle notizie relative alla moschea intesa come edificio, ci sono le notizie relative alle persone che ruotano attorno alla gestione del luogo di culto, in particolar modo gli imam. La gestione della moschea e il personale che la amministra rappresentano un argomento molto dibattuto dai quotidiani: la possibilità di esercitare un controllo sui sermoni degli imam è infatti un punto cruciale delle discussioni relative all’Islam e alla sicurezza del territorio. Attualmente, non esiste una regolamentazione in merito, ma soltanto tentativi di mediazione tra governo e comunità musulmane.

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I grafici, costruiti secondo i criteri di ricerca “islam* + mosche*” , sono utilizzati per fornire una semplice idea della trattazione dell’argomento. Tali parole chiave sono considerate essere il più vicino possibile ai dati risultanti dall’analisi dei quotidiani, in quanto la semplice radice “mosche*” non forniva risposte adeguate. In questo caso, i dati sono fortemente influenzati dalle cronache locali dei quotidiani, in particolar modo per quel che riguarda Repubblica. Sono comunque utili per fornire una panoramica generale della trattazione dell’argomento.

Una proposta importante, ripresa nel 2010 dall’On. Sbai249, è stata espressa dal Co.Re.Is. (Comunità religiosa islamica italiana) nel 2007: essa prevedeva che per diventare imam occorresse attenersi a determinate regole prestabilite, studiare le istituzioni italiane e considerare l’Islam adattandolo al contesto in cui si sarebbe vissuto. Assieme a questo, era stata proposta l’istituzione di un “albo degli imam”, a cui avrebbero potuto accedere le guide spirituali che avessero posseduto le caratteristiche idonee al ruolo da ricoprire; l’intento era quindi quello di garantire un maggior controllo degli imam e scongiurare il pericolo radicalismo-terrorismo250. Tali modifiche non sono però state prese in considerazione, e ad oggi non vi è alcuna regolamentazione in merito.

Nel corso del periodo 2000-2009, i quotidiani hanno pubblicato diverse notizie relative ad arresti di imam (o di persone che gestiscono a vario titolo le moschee) islamisti-radicali- terroristi (tali o presunti). A titolo di esempio, esaminiamone alcuni. Due dei più noti casi riguardanti imam radicali e favorevoli allo scontro violento con l’“Occidente” sono quelli relativi a Bouriq Bouchta (da cui la stessa comunità islamica ha poi preso le distanze251), autoproclamatosi imam di Torino, il quale ha dichiarato durante una preghiera collettiva che Osama Bin Laden “è un musulmano che rispetta il Corano” e Abdelqadir Fall Mamour, meglio noto come “imam di Carmagnola”: con un provvedimento del ministro Pisanu, la guida religiosa è espulsa dall’Italia nel novembre 2003, a seguito di indagini che portano alla luce l’attività di proselitismo estremista-radicale messa in atto da Fall Mamour, che inneggia alla “guerra santa”, a Osama Bin Laden, e ad Al Qaeda252. Un altro caso piuttosto controverso è quello relativo ad Abu Omar, altro imam radicale della moschea di via Quaranta a Milano, che nel febbraio 2003 viene rapito da servizi segreti americani, portato in una base americana in Italia, interrogato e successivamente rinchiuso in un carcere egiziano dove sarebbe stato torturato. La vicenda fa scalpore, sia perché accerta la presenza di un altro imam estremista radicale in Italia, sia per l’arresto in sé, che porta ad indagini in cui si prova l’illegalità dell’arresto e la colpevolezza di alcuni funzionari del Sismi e della Cia253. Un altro episodio coinvolge invece la guida spirituale di Varese nel 2008, che viene arrestato in Marocco in

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Proposta di legge per l’Istituzione del Registro pubblico delle moschee e dell’Albo nazionale degli imam

(On. Souad

Sbai)http://nuovo.camera.it/view/doc_viewer_full?url=http%3A//www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/ 16PDL0038360.pdf&back_to=http%3A//nuovo.camera.it/126%3FPDL%3D3249%26leg%3D16%26tab%3D2% 26stralcio%3D%26navette%3D .

250

http://www.coreis.it/Testi/STATUTO%20DEGLI%20IMAM.PDF e S. Romano, “Formazione degli imam

italiani: una proposta”, Il Corriere della Sera, 7 aprile 2007, p. 37.

251

P. Griseri, “Bouchta, sempre più isolato dal resto della comunità”, La Repubblica, 19 ottobre 2001, p. 3, sez. Torino.

252

C. Muscau, “«Via l’Imam di Carmagnola, è una minaccia»”, Corriere della Sera, 18 novembre 2003, p. 11.

253

seguito alle accuse di terrorismo mosse dalla procura del re presso la Corte d’appello di Rabat, quando la Corte d’appello italiana, un anno prima, lo aveva assolto sostenendo che non vi era «alcuna prova di concreti obiettivi criminosi presi di mira dagli imputati, né delle concrete attività a costoro poste in essere per dar corso ai loro propositi, nemmeno a livello di atti preparatori o, comunque, funzionali alla loro esecuzione»254. Ulteriori vicende vengono documentate nel 2007, quando alcuni giornalisti del programma televisivo Annozero si recano all’interno di alcune moschee italiane e registrano parole d’odio contro l’“Occidente” nella moschea di Torino255. L’Islam, e l’imam della moschea, vengono ancora una volta definiti “integralisti”, quando in realtà poco hanno a che fare con l’integralismo: l’incitamento alla “guerra santa” non è infatti proprio degli “integralisti”, ma piuttosto dei terroristi-islamisti radicali. Sarebbe pertanto più corretto ricondurli all’ambito del terrorismo internazionale pseudo-religioso di matrice islamista.

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista “Current trends in Islamist ideology” dell’Hudson Institute, riguardante la situazione dei “network jihadisti” in Italia, Napoli, Genova, Roma e alcune aree del Veneto sarebbero e/o sarebbero state zone in cui effettuano/hanno effettuato proselitismo alcuni gruppi radicali, o da cui sono transitati terroristi che hanno compiuto attentati in altri Paesi256.

Sebbene quindi sia riconosciuto che l’islamismo radicale sia presente nel nostro Paese, è altrettanto palese che non tutti coloro che frequentano la moschea si trasformano automaticamente in terroristi. In base ad una ricerca effettuata da S. Allievi, la maggior parte dei musulmani che frequenta la moschea vi si reca per pregare (28,8%) e non per ascoltare le parole dell’imam (11,9%). Anche la scelta della moschea dimostra questo approccio: il 40,6% sceglie la moschea «più vicina a casa», il 26% dichiara di andare «dove capita», solo il 12% va «dove conosco e stimo l’imam» e il 9,9% si reca in «quella in cui trovo i miei connazionali». L’atto collettivo sembra quindi vissuto in modo estremamente individuale, e molto simile a quello che succede per i credenti cattolici che frequentano le chiese257.

Se si confrontano gli articoli relativi all’Italia258 in cui compare la parola “imam”, notiamo che vi è una lieve differenza tra i due quotidiani: sebbene l’andamento delle curve sia molto simile e in linea con la trattazione dell’Islam effettuata da entrambi i giornali, per il Corriere

254

D. Carlucci, S. Radman, “Terrorismo, arrestato l’imam di Varese”, La Repubblica, 19 agosto 2008, p. 13.

255

V. Piccolillo, “L’imam contro i cattolici: «Allah li uccida»”, Corriere della Sera, 3 aprile 2007, p. 22; V. Piccolillo, “E l’imam di Torino incita a sottomettere le donne”, Corriere della Sera, 30 marzo 2007, p. 7.

256

L. Vidino, “Islam, Islamism and Jihadism in Italy”, in Current trends in Islamist ideology, vol. 7, 4 agosto 2008, http://www.currenttrends.org/research/detail/islam-islamism-and-jihadism-in-italy.

257

S. Allievi, Islam Italiano. Viaggio nella seconda religione del paese, Einaudi, Torino, 2003, pp.244-246.

258

La chiave di ricerca è “imam + Italia” per il periodo 2000-2009: in questo modo è possibile restringere il campo degli articoli contenenti la parola “imam” a quelli relativi all’Italia.

della Sera il punto di massima si raggiunge nel 2005, mentre per Repubblica si ha nel 2004.

La discrepanza è dovuta al fatto che gli articoli de il Corriere della Sera si concentrano particolarmente sul caso del rapimento della guida religiosa Abu Omar, laddove la parola “imam” in Repubblica si ritrova in articoli che concernono diversi aspetti dell’Islam259 (i quali hanno cioè a che fare con notizie su problemi di integrazione, moschee, velo, terrorismo, ecc…), senza trattare un caso in particolare. Al di là di queste lievi differenze, la tendenza generale evidenzia che gli articoli relativi agli imam difficilmente parlano di essi in termini positivi: l’imam “notiziabile” è infatti il “fondamentalista”, l’“integralista”, o il “terrorista”.

12 58 26 107 162 205 187 150 73 68 29 97 45 128 256 185 154 133 64 70 0 50 100 150 200 250 300 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

imam italia (Corriere) imam italia (Repubblica)

Un articolo sugli imam religiosi-radicali apparso su La Repubblica nel 2004 (anno in cui si parla molto di Islam) appare particolarmente significativo: intitolato – in modo piuttosto sommario e generico, quasi a voler rendere il pezzo rappresentativo di tutto l’Islam presente sul territorio italiano – “Islam d’Italia”, esso si riferisce all’indagine svolta nei confronti di alcuni individui considerati “potenziali terroristi”. Sebbene non risulti particolarmente chiaro quanto siano realmente coinvolti in associazioni terroristiche gli islamici di cui si parla nell’articolo (Ben Mohammad, direttore del centro islamico romano Al Huda e l’imam della moschea del medesimo centro), essi stessi e l’ambiente in cui operano viene definito con aggettivi decisamente negativi: la moschea si trova in “un sotterraneo buio”, dove “sembrano

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ristagnare i fiati dei 500 immigrati che ogni venerdì vi pregano”, in cui l’imam è “laureato per corrispondenza”. Poco importa se i medesimi dichiarino di preferire la democrazia liberale alle dittature teocratiche, e che l’imam stesso sia invitato in qualche scuola o parrocchia per spiegare l’Islam. L’affermazione in cui si legge che “Ben Mohammed conferma che tra l’Italia e l’Islam lui non potrebbe che scegliere l’Islam” inserita in tale contesto, sembra voler sottolineare una maggiore attenzione nei confronti della religione musulmana e una minor condivisione dei valori “italiani”260. A fronte quindi di arresti di persone effettivamente legate ad ambienti del terrorismo, si hanno fermi di persone che poco hanno a che fare con esso. Un altro caso simile è accaduto al tunisino Chabanee Trabelsi, accusato di appartenere al “Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento” collegato all’imam di Gallarate, e poi assolto perché “il fatto non sussiste” e per “non aver commesso il fatto”261, e stessa sorte ha un “presunto” terrorista poi dichiarato innocente262. Solitamente, le assoluzioni risaltano molto meno sulle pagine dei quotidiani rispetto alle imputazioni: secondo quanto riferisce anche l’avvocato romano Carlo Corbucci, autore di un’inchiesta sul terrorismo islamico in Italia, molti sono i casi in cui vi è inconsistenza di prove a carico dell’arrestato263. Le notizie riguardo ai gruppi estremisti radicali in Italia, come dimostra un’inchiesta apparsa in prima pagina sul quotidiano Repubblica nel 2004, sono decisamente frammentarie, confusionarie e allarmistiche, con casi di partite di pallone scambiate per piani di attentati264. Questo atteggiamento, oltre ad essere infruttuoso e a comportare il rischio di una sottovalutazione dell’emergenza (se mai si verificherà una situazione tale), spesso favorisce soltanto la costruzione di un clima di islamofobia, diffidenza e sospetto riguardo alle moschee.

In un altro articolo di Repubblica, la figura dell’imam è analizzata dal punto di vista della legittimazione religiosa. Nel pezzo, in cui compare un’intervista a quattro imam, si sottolinea la “stranezza” delle guide spirituali , che

sarebbero degli alieni per l’Islam stesso. La cui essenza poggia sul rapporto diretto tra il fedele e Dio. Senza intermediari. La fede in Allah esclude i sacerdoti, il clero e un Papa che incarna il

260

G. Rampoldi, “Islam d’Italia”, La Repubblica, 10 aprile 2004, p. 11.

261

C. B., “Milano, dopo sette mesi di carcere in libertà con una doppia assoluzione”, La Repubblica, 18 gennaio 2004, p.18. Questa notizia è comparsa soltanto su La Repubblica (a pag. 18), e non sul Corriere della Sera.

262

Laura Montanari, “Io, sette mesi in carcere scambiato per un terrorista”, La Repubblica, 30 maggio 2004, p. 11 – sez. Firenze.

263

F. Gustincich, “Islamofobia e radicalismo, una coppia perfetta”, in Limes, rivista italiana di geopolitica, n. 3/2004, pp. 195-200.

264

C. Bonini, G. D’Avanzo, “Quando la caccia ad Al Qaeda mette a rischio lo Stato di diritto”, La Repubblica, 27 gennaio 2004, p. 1.

dogma rivelato. L’imam è, semplicemente, “colui che sta davanti”, che guida la preghiera collettiva. Ma loro, gli imam, si percepiscono in modo diverso265.

Sebbene tre dei quattro imam si dicano favorevoli al dialogo, l’articolo ha un tono piuttosto allarmistico, e si conclude con un assunto ben preciso: “La vera sfida è trasformarli [i musulmani, ndr] da forza invasiva a partner nella costruzione della nuova Italia multi confessionale”266. Ci si riferisce pertanto agli imam descrivendoli come entità dubbie anche per la loro stessa religione, alla guida di musulmani percepiti come “forza invasiva”. La figura dell’imam assume quindi un connotato particolare: poiché non è ascrivibile ai canoni clericali e non ha quindi un riconoscimento “ufficiale” se non dalla comunità islamica stessa, appare come poco controllabile e ambigua.

Dall’analisi effettuata sui due quotidiani, possiamo quindi notare che gli articoli sugli imam non sono affatto infrequenti, ma anche che tali guide spirituali vengono rappresentati in maniera vaga e imprecisa: se da un lato sono pubblicate notizie in cui essi vengono raffigurati come elementi importanti per il ruolo di intermediari con la società italiana, allo stesso tempo la loro presenza è bersaglio di critiche e considerata pericolosa per la nascita di radicalismi. Un ulteriore elemento che rafforza la diffidenza verso tale figura consiste nella predicazione in lingua araba. L’arabo è la lingua “sacra”, poiché rappresenta l’idioma in cui è stato scritto il Corano; le preghiere in moschea pertanto sono recitate in arabo, e spesso anche i sermoni. Dal 2004 in poi, in seguito alla proposta dal ministro Pisanu – accolta con favore da diverse comunità islamiche267 –, appaiono sui quotidiani italiani articoli sull’importanza di sostenere la predicazione in italiano, al fine di scongiurare i sospetti relativi al terrorismo. La richiesta viene reiterata nel 2006268 e successivamente nel 2008, quando Gianfranco Fini, membro del Popolo delle Libertà, dichiara che “lo Stato ha il diritto di pretendere che nelle moschee le preghiere si facciano in italiano perché così saremmo sicuri che si tratti di predicazione religiosa e non d’istigazione all’odio nei confronti delle altre religioni”269. A queste affermazioni però spesso non fa seguito alcuna azione: l’ultimo articolo sull’argomento si ha infatti nel gennaio 2011, quando viene riportata la notizia che la Consulta islamica, chiamata a decidere sull’argomento, non è riuscita a trovare una posizione omogenea270. Nel documento definitivo riguardante la condotta degli imam e la gestione e costruzione delle moschee

265

M. Allam, “L’Islam”, La Repubblica, 26 giugno 2003, p. 11.

266

ibidem.

267

Piero Colaprico, “Il via libera delle comunità I sermoni? Li traduciamo”, La Repubblica, 12 settembre 2004, p. 4.

268

http://www.repubblica.it/2006/c/sezioni/esteri/vignette3/consultisla/consultisla.html

269

Redazione, “Fini vuole una stretta sulle moschee: preghiere in italiano”, La Repubblica, 07 aprile 2008, p. 6.

270

redatto dalla Consulta stessa - e presentato a fine gennaio all’attuale Ministro dell’Interno Maroni - non si fa infatti menzione dell’argomento271.