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CAPITOLO I Elementi e genealogie della Teoria queer

1.3 Critica al concetto di sessualità naturale

1.3.1 Essenzialismo e costruzionismo

È ampiamente riconosciuto che le relazioni sessuali e affettive tra persone dello stesso sesso sono state riscontrate in molte società, e in diversi periodi storici (Baird, 2003; Herdt, 2004). Si è tentati di interpretare ciò come una conferma dell’universalità dell’omosessualità, si rischia però in questo modo di utilizzare le categorie della nostra cultura attuale per leggere il passato e le altre culture.

In realtà la figura dell’omosessuale come la si conosce oggi nei paesi occidentali è solo una delle possibili forme, e uno dei possibili significati, che hanno assunto i rapporti omoerotici. Studi antropologici e storici hanno mostrato la grande varietà con cui nelle diverse società questi rapporti sono stati, e sono, rappresentati, regolati e vissuti. (Baird, 2003; Herdt, 2004).

A questo punto, è necessario focalizzare il discorso sui dibattiti che, a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento fino ad arrivare agli anni Ottanta del secolo scorso, si sono articolati sulla questione dell’omosessualità ed eterosessualità come categorie proprie della sessualità umana, o come categorie specifiche delle società moderne occidentali. Le due concezioni sono rispettivamente chiamate essenzialista e costruzionista. L’essenzialismo consiste nell’idea che l’identità sessuale degli individui è relazionata all’esistenza di una essenza interiore che opera autonomamente al di fuori della storicità; invece per il costruzionismo o costruzionismo sociale le categorie sessuali sono un’invenzione del XIX secolo, un prodotto dell’istituzione del regime della sessualità nella modernità occidentale.

Nell’ottica essenzialistica, l’omosessualità è un tratto biologico che appare in tutte le società e in tutte le epoche. Si nasce omosessuali e lo si resta, ma nessuno sceglie l’omosessualità. L’idea che si nasce omosessuali è stata adottata da molti professionisti della salute per tutto un il XX secolo, e predomina sempre nella cultura popolare (Castañeda, 2014: 41). Storicamente, essa è apparsa nel contesto del modello medico, semplicemente perché è stata sviluppata da alcuni medici e da alcuni ricercatori scientifici. L’omosessuale viene considerato come un malato, come una vittima della biologia che non può cambiare la sua natura perché è nato così.

La posizione essenzialista è stata adottata in epoche diverse anche da vari movimenti omofili. Infatti, se l’omosessualità è biologica significa che è naturale, come ha scritto Magnus Hirschfeld (1914), un medico tedesco che ha lottato per la depenalizzazione dell’omosessualità: “L’omosessualità non è né una malattia, né una degenerazione […] essa rappresenta piuttosto una parte dell’ordine naturale, una variazione sessuale, così come ci sono molte modificazioni analoghe nei regni animale e vegetale (Hirschfeld cit. in Steakley, 1997: 142). Tale ottica biologica è stata ripresa a partire dagli anni Settanta del secolo scorso dal movimento gay e lesbico, in particolare negli Stati Uniti, ma con una visione più etnica della “naturalità” dell’omosessualità.

Con tali argomentazioni si è delineato come la teoria essenzialista possa essere utilizzata tanto in favore che contro gli omosessuali. Inoltre, è utile sottolineare che tale approccio teorico non spiegherebbe perché alcune persone cambiano orientamento sessuale nel corso della propria vita, pertanto non bisogna considerare solo l’aspetto biologico, ma anche i fattori sociali, familiari e psicologici che possono influenzare l’orientamento sessuale.

Infatti, secondo la teoria costruzionista l’omosessualità è un fenomeno storico, sia sul piano personale che su quello sociale. Non costituisce soltanto un fatto, ma un’idea che ha

il suo fondamento ideologico come qualsiasi altra idea: essa non appare che in certi contesti. Per autori come Michel Foucault, (1976) anche se ci sono sempre stati degli atti omosessuali, il concetto di omosessualità appare soltanto nell’era moderna e nel mondo occidentale. È solo a partire dal XIX secolo che gli individui si riconoscono, e vengono identificati dalla società, come esseri essenzialmente diversi a causa delle loro condotte sessuali.

Nasce così un’omosessualità che non è più legata alla biologia, ma che si costruisce e si esprime attraverso un discorso, uno stile di vita, una sensibilità e una comunità che è sempre più cosciente di sé stessa. È così che si è sviluppata un’identità omosessuale che si traduce non soltanto attraverso un orientamento sessuale ma anche attraverso una serie di gusti, di mode, di modi di pensare e di vivere – in poche parole, attraverso una cultura – che sono oggi perfettamente riconoscibili nel mondo occidentale.

In tale prospettiva, l’omosessualità non è essenzialista e monolitica, ma costruita, non ha una forma unica, ma cambia a seconda della società e dell’individuo.

A questo punto è necessario porsi una domanda: Perché proprio a fine Ottocento si è affermato il modo di distinguere le persone in omosessuali ed eterosessuali?

Per rispondere, bisogna considerare che a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, l’incertezza prodotta dall’accelerazione dei processi di modernizzazione, ma soprattutto l’accesso delle donne ad aree della società (come il lavoro remunerato), prima riservate agli uomini e le loro pretese di indipendenza misero in crisi la divisione dei ruoli di genere e dunque le basi del potere e delle identità maschili (Bellassai, 2004).

La reazione maschile a questa minaccia è stata quella di accentuare e rendere più rigida la divisione tra i sessi, esaltando un modello di virilità da cui è escluso ogni possibile segno di cedimento alla “femminilizzazione” della società. L’omosessuale, portatore di confusione nei ruoli sessuali, diventa il simbolo dei rischi di degenerazione dell’uomo (Mosse, 1996).

L’inasprirsi della repressione contro l’omosessualità maschile (si pensi all’eclatante processo a Oscar Wilde, nel 1895) assunse, dunque, non soltanto il significato di neutralizzare soggetti ritenuti immorali e pericolosi, ma di riaffermare le condizioni per essere considerati “veri uomini”. L’eterosessualità è la condizione primaria per essere considerato tale. Il “padre di famiglia” è la figura che rappresenta l’uomo di successo, il bravo lavoratore è ancorato ai doveri familiari. L’avversione all’omosessualità diventa anche una forma di controllo della società maschile, delle possibilità aperte dallo sviluppo del capitalismo, con masse di uomini che si spostano in città, possessori di un salario, che si resero indipendenti dal controllo della parentela e della comunità, e crearono spazi pubblici di incontro in cui si potevano sviluppare amicizie, relazioni e controculture (Adam, 2008).

Michel Fouault sottolinea che a fine Ottocento vi fu un processo di ridefinizione dei significati della sessualità e dei confini tra sessualità normale e deviante. Pertanto, il filosofo identifica nell’ultima parte del XIX secolo il preciso periodo in cui ha preso forma la concettualizzazione dell’omosessualità come caratteristica distintiva di un particolare tipo di persona: “l’invertito” o “l’omosessuale”. In questo periodo la sessualità da oggetto di regolazione religiosa, diventa campo di indagine scientifica, in particolare della medicina e della psicologia. Ciò che si considera perverso, inammissibile non viene più definito in base a criteri morali e religiosi, ma come problema medico, riconducibile a una patologia fisica o mentale. Si moltiplicano gli studi aditi a identificare e classificare le diverse pratiche e inclinazioni sessuali (Bertone, 2009: cap. I). Si cerca di analizzare il desiderio che spinge ad attuare tali comportamenti, in quanto si ritiene che attraverso gli atti sessuali si esprima la natura del soggetto che li compie. La sessualità permette di comprendere l’essenza di un soggetto, e l’atto perverso definisce una tipologia di soggetto perverso (Bertone, 2009: cap. I).

Il più influente esempio dell’accanimento classificatorio dei tipi perversi è l’opera di Krafft-Ebing, Psychopathia sexualis, pubblicata nel 1886, nella quale sono catalogati l’omosessuale, l’onanista, il masochista, il sadico, il necrofilo, lo zoofilo, ecc. (Krafft-Ebing, 2011). Con tale criterio classificatorio si va a delineare un netto confine tra una sessualità normale e una deviante, il cui criterio prevalente per distinguerle era, in passato, l’atto procreativo per la sessualità normale, mentre per quella fuori dalla norma erano considerati tutti gli altri atti non finalizzati alla riproduzione. A metà del XIX secolo invece, diventa prevalente un’altra distinzione: la sessualità normale è caratterizzata da un desiderio erotico verso persone del sesso opposto, quella deviante da un desiderio erotico verso le persone dello stesso sesso (Bertone, 2009: cap. I). Si afferma così quella che ancora oggi è la visione prevalente della diversità sessuale, secondo cui le persone si dividono in eterosessuali e omosessuali, in base al sesso delle persone da cui sono attratte, ossia al loro orientamento sessuale.

A partire dalla seconda metà del XIX secolo, è l’omosessualità a diventare oggetto di studio da parte di medici, psichiatri, ma soprattutto di giuristi, infatti la maggior parte di ciò che si sa sull’omosessualità ottocentesca proviene da fonti inglesi, ma l’Inghilterra era anche il paese meno disposto a ospitare – tanto nei tribunali quanto sugli scaffali delle biblioteche – le teorie scientifiche sull’omosessualità (Zanotti, 2005: 69). Nei tribunali inglesi, i medici non godevano infatti di particolare autorità: o dovevano sottostare al controinterrogatorio come tutti gli altri, oppure erano convocati in veste di esperti in relazione a compiti poco qualificati come l’accertamento o meno di un atto sodomitico. Quindi, la nascita di un modello medico e psicologico di omosessualità fu strettamente connessa alla giurisprudenza. Non è un caso che gli scrittori più citati tra quelli che si sono occupati di

omosessualità in Europa nella metà del XIX secolo, siano Johann Ludwig Casper9 e Auguste

Ambroise Tardieu10, i due massimi esperti medico-legali rispettivamente in Germania e in

Francia (Weeks, 2008: 37). Come scrisse Arno Karlen, la medicina legale era utilizzata “soprattutto a sapere se la disgustosa razza dei pervertiti potesse essere riconosciuta in tribunale dalla presenza di tratti fisici, e se essi dovessero essere ritenuti legalmente responsabili del loro comportamento” (Karlen, 1971: 185). Lo stesso si può dire della Gran Bretagna, in cui la maggior parte dei circa mille volumi sull’omosessualità, apparsi tra il 1898 e il 1908, era destinata alla professione legale (Cfr. Hirschfeld, 1938).

Bisogna sottolineare che persino il nome “omosessualità” è nato grazie alla giurisprudenza, all’interno del dibattito contro l’introduzione nel codice tedesco del paragrafo 143 del codice prussiano (relativo agli atti sessuali tra uomini e uomini e animali). Infatti, a fine Ottocento la Prussia di Bismark stava per riunificare il paese, con la conseguente estensione a tutti gli Stati tedeschi del paragrafo 143 prussiano. Con il Secondo Reich (1871) venne introdotto nel codice come articolo 175 (che restò in vigore fino al 1965). I tentativi di opporsi al paragrafo prussiano diedero vita alle prime avvisaglie di un movimento omosessuale che intraprese a utilizzare le teorie scientifiche per definire l’omosessualità e per migliorare le condizioni sociali di chi era identificato in questa categoria. Pertanto nel 1869, con il tentativo di precedere il famigerato paragrafo e in diretta concorrenza con la teoria dell’effeminatezza del neurologo e psichiatra tedesco Karl Westphal, colui che coniò il concetto di conträre Sexualempfindung (sensibilità sessuale contraria), lo scrittore, viaggiatore e poliglotta ungherese Károly Mária Kertenby (Karl

9 Grande studioso berlinese di “devianze” sessuali, definì l’attrazione tra individui dello stesso sesso un

fatto innato e naturale, biologicamente determinato e quindi non frutto del vizio o di una qualche malattia psichica alimentata dal vizio.

10 Nella sua opera più importante dal titolo in italiano I delitti di libidine (1857) è un classico esempio di

Maria Benkert prima del 1847) indirizzò al ministro della Giustizia prussiano una lettera in cui per la prima volta veniva impiegata la parola “omosessuale” (Zanotti, 2005: 78).

Tale parola ebbe una grande diffusione in tutta Europa, ed entrò nell’uso comune della lingua inglese nell’arco degli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento grazie al lavoro di Havelock Ellis11. L’introduzione della parola portò a una riformulazione della categoria

delle persone che praticavano rapporti sessuali con persone dello stesso sesso, e coincise con il rinnovato inasprimento di provvedimenti legali e politici, in particolare contro l’omosessualità maschile. Infatti si venne a creare una differenza sostanziale fra i tradizionali concetti di sodomia e la omosessualità. La sodomia era vista come un vizio potenzialmente insito in tutte le personalità corrotte, e in quanto tale andava severamente condannata e punita per legge; l’omosessualità, invece, è vista come un tratto peculiare di alcune persone, le cui caratteristiche (come l’incapacità di fischiare, la predilezione per il colore verde, l’adorazione per la madre o per il padre, l’età dello sviluppo sessuale, la promiscuità, ecc.) furono descritte dettagliatamente in un gran numero di volumi scritti durante gli ultimissimi anni del XIX e tutto il XX secolo (Weeks, 2008: 36). Insomma, per dirla con le parole di Foucault, il sodomita era un recidivo, mentre l’omosessuale appartiene a una specie. In ogni caso, entrambi mettevano in pericolo l’ordine sociale e pertanto dovevano essere puniti.

È necessario sottolineare che coloro i quali conducevano uno stile di vita prevalentemente omosessuale avevano la consapevolezza di essere in qualche modo diversi da prima della fine del XIX secolo, cioè prima della nascita della categoria dell’omosessualità. Basti pensare che a Londra e ad Amsterdam nel XVIII secolo comparirono le prime subculture omosessuali (maschili) fondate non più sulla

11 Scrisse insieme al letterato e studioso di psicologia John Addington Symonds il primo volume inglese

di medicina sull’omosessualità Sexual Inversion (1897), nel quale si descrisse l’omosessualità sia maschile sia femminile e si dimostrò che l’omosessualità non fosse altro che una manifestazione dell’istinto sessuale e a

specializzazione dei ruoli in base all’età12, ma sull’inversione di genere. I londinesi vennero

a sapere dell’esistenza di luoghi dove certi uomini si riunivano, si vestivano da donne, si chiamavano con nomignoli femminili (utilizzano gli allocutivi “Miss”, “Madam”, “Your Ladyship”) inscenavano finti matrimoni e facevano l’amore tra loro. Coloro che si dedicavano alla prostituzione indossavano per gran parte del giorno abiti femminili, gli altri si travestivano da donne almeno una volta l’anno, durante il gran ballo in maschera che aveva luogo nella molly house, così venivano chiamati i loro punti di ritrovo e i loro frequentatori mollies13 (Barbagli & Colombo, 2001: 249-250). Oltre a rimandare al latino

“mollis” (“molle”, “debole” in italiano), Molly è anche un nome femminile usato per indicare le prostitute e inaugura una lunga serie di nomi femminili applicati agli omosessuali (anche l’italiano “checca” non è altro che il vezzeggiativo di Francesca (Zanotti, 2005: 28). È da questo momento in poi che in Europa il collegamento tra omosessualità ed effeminatezza diventa prevalente, si pensi anche al contrario della parola “virile”, che dall’antichità in poi è sempre stato “adolescenziale”, mentre a partire dal Settecento inizia a insinuarsi il sospetto che il suo contrario sia “effeminato”. L’opposizione virile/adolescenziale rimanda a quella attivo/passivo di matrice classica della pederastia, che

12 In Europa, l’antichità classica è stata caratterizzata da relazioni tra uomini strutturate per età.

Nell’Atene antica, vi era un’ampia diffusione e accettazione delle relazioni tra adulti e giovani; si riteneva infatti che il desiderio dei maschi adulti potesse essere suscitato anto dai ragazzi quanto dalle donne. Inoltre, ai rapporti “pederastici” tra maestri e allievi erano riconosciute funzioni educative e culturali. Vi erano anche forme più istituzionalizzate, come a Sparta, dove il legame amoroso con un adulto era parte dell’addestramento dei giovani come guerrieri.

Nell’antica Roma, i rapporti tra maschi erano diffusi secondo la regola gerarchica, per cui al partner più anziano, o di status sociale più alto, spettava il ruolo di attivo. Nelle città dell’Italia basso medievale e rinascimentale, l’amore di uomini adulti per uomini più giovani era un fenomeno comune, seppur perseguito dalle autorità (a Firenze vennero istituiti i cosiddetti “Ufficiali di Notte”).

Molto più frammentarie sono le informazioni sull’esistenza di società con diffusi rapporti omoerotici strutturati per età tra le donne. Alcuni esempi sono riportati tra le popolazioni delle isole dell’oceano Pacifico, nell’Africa dell’Est e del Sud. Le relazioni tra le donne della comunità femminile dell’isola di Lesbo, cantate dalla poetessa Saffo. Rapporti pederastici tra donne erano diffusi anche a Sparta (Danna, 2003).

13 Per quanto riguarda le donne, si hanno documenti nei quali si attesta che nella seconda metà del

Settecento, nei Paesi Bassi e in Inghilterra, vi furono donne che a loro volta assunsero il ruolo maschile, alcune acquisivano un aspetto totalmente maschilizzato, altre combinavano elementi di entrambi i generi; in Inghilterra venivano chiamate sapphists nel linguaggio colto, tommies in quello comune. Tuttavia, a differenza degli uomini, esse non crearono una subcultura che le proteggesse, non fecero parte di gruppi che si incontravano regolarmente, ma vissero rapporti di coppia furtivi (Barbagli & Colombo, 2001: 250); però, nella Parigi del XVIII e XVIX secolo esisteva una subcultura lesbica fra le danzatrici e le prostitute (Clark, 1996).

nell’Europa medievale era il modello dei rapporti omoerotici, mentre a partire dal XVIII secolo il rapporto omoerotico si basa sull’inversione di genere e quindi sulla dicotomia virile/effeminato.

La dicotomia virile/effeminato diventa centrale nella cultura borghese, in quanto con l’affermazione del matrimonio romantico e concepito non come un dovere sociale e un affare economico, porta con sé il venire meno della gerarchia sociale tra uomini e donne (anche se solo in apparenza), e contemporaneamente viene aumentata la differenza biologica tra i sessi. La donna perde l’orgasmo, deve essere aggraziata, sensibile e incline al pianto, il suo vestiario deve essere attillato e deve essere ornata di gioielli; l’uomo al contrario ha il diritto di provare il massimo piacere dal coito coniugale, deve accentuare il suo lato rude e non gli è permesso piangere, non deve indossare più orecchini e gioielli e non deve indossare abiti attillati. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, con la teoria della sensibilità sessuale contraria si stabiliscono in maniera evidente e riconoscibile i confini della mascolinità.

Dunque la Medicina dell’epoca riprende i casi dell’inversione di genere dei mollies, nomina tali soggetti “invertiti”, e attribuisce loro delle basi biologiche, con l’obiettivo di istituire un sapere indiziario che permettesse di riconoscerli in maniera inequivocabile. Tardieu, il medico francese citato in precedenza, rappresenta una pietra miliare nella storia di questo sapere indiziario. Capogruppo di una scuola fisiologica, Tardieu arrivò ad allineare tra i segni inequivocabili di inversione sessuale: l’ano a imbuto, le natiche enormi, l’incapacità di urinare in linea retta, la conseguente abitudine di urinare accovacciati, il non saper fischiare (Zanotti, 2005: 77).

Il sapere scientifico viene utilizzato da alcuni studiosi anche in difesa degli “invertiti”: nel 1865, Karl Heinrich Ulrich, giurista passato al giornalismo, inviò al Congresso dei Giuristi Tedeschi una sua mozione in cui chiedeva pari diritti per il “terzo sesso” (gli

invertiti). Nonostante non fosse prettamente uno studioso di scienza, fu colpito dalla scoperta che il feto dei mammiferi in una prima fase presenta caratteristiche indifferenziate. La conclusione che ne trasse fu che gli invertiti costituirebbero dunque un terzo tipo sessuale, una condizione intermedia e innata in quanto già covata nel liquido amniotico. Ulrichs, però, fa un lieve salto logico, poiché l’invertito sarebbe un individuo composto da un’anima femminile racchiusa in un corpo maschile: “anima muliebris in virili corpore

inclusa”. Ulrichs descrisse il mondo sessuale in maniera più varia rispetto a quella

tradizionale: l’uomo eterosessuale (Dioning), l’invertito (Urninge), l’eterosessuale che in particolari circostanze ha acquisito i gusti degli Urninge (Uraniaster), l’Urninge che predilige gli effeminati (Mannling), quello che preferisce i mascolini (Weibling), quello che predilige gli adolescenti (Zwischen-Urning), e infine il bisessuale (Uranodioning) (Ulrichs, cit. in Zanotti, 2005: 81).

Dopo la nascita, nel 1869, della parola “omosessuale”, (e qualche anno dopo quella di “eterosessuale”, così venendosi a creare la dicotomia di sessualità normale/anormale) ed è plausibile che in questo periodo, alcuni di coloro che avevano tendenze omosessuali cominciassero a identificarsi come “invertiti”, “omosessuali e “uranisti” (traduzione italiana della parola tedesca Urning). In ogni modo, qualsiasi nome utilizzassero per identificarsi o qualsiasi nome venisse loro attribuito, il punto cruciale è che queste identità venivano considerate come malattie che incitavano a compiere atti “contro natura”, anzi si passò da una connotazione di peccato a quella di disordine mentale, e a fine Ottocento i confini tra malattia e crimine erano molto labili. La stigmatizzazione, la criminalizzazione e la repressione dell’omosessualità si basavano sull’idea di una omosessualità innata, vista come una degenerazione ereditaria dell’uomo o come atavismo, ossia una condizione che rappresenta uno stadio arretrato dell’evoluzione umana.

Anche coloro che, però, lottavano per migliorare le condizioni sociali degli omosessuali, ritenevano che l’omosessualità fosse innata, una realtà trans-storica, presente in qualsiasi contesto culturale presente o passato, un desiderio naturale da rispettare e non da condannare e criminalizzare. Insomma per utilizzare le parole di Foucault, questa situazione “ha permesso anche la costituzione di un contro discorso: l’omosessualità si è messa a parlare di sé, a rivendicare la sua legittimità o la sua naturalità, e spesso con gli