• Non ci sono risultati.

CAPITOLO I Elementi e genealogie della Teoria queer

1.8 Sedgwick

Sedgwick ha sviluppato la sua analisi sulla dicotomia eterosessualità/omosessualità, partendo da una critica all’eterosessualità obbligatoria, differenziando analiticamente le politiche sessuali da quelle di genere (Sedgwick, 2011: 60-68). Sedgwick, in Epistemology

of the Closet (1990) entra subito nel vivo del discorso, e afferma che la maggior parte delle

principali articolazioni del pensiero e della conoscenza della cultura occidentale siano strutturate da una crisi cronica, ormai endemica della definizione omo/eterosessuale, indicativamente maschile, emersa sul finire del XIX secolo (Sedgwick, 2011: 33).I termini in opposizione binaria, compresi quelli delle identità sessuali, sono costruiti vicendevolmente in modo instabile: ciascuno nega l’altro, ma ne dipende per la propria stabilizzazione; la netta separabilità di ciascuno è contraddetta dalla contiguità dei loro confini. Sedgwick fonda la sua analisi dell’omofobia, ovvero del panico verso il desiderio omosessuale, spiegandola con la paradossale concatenazione di due strutture ideologiche: la prima, da lei denominata omosocialità maschile, rappresenta la forma egemonica in cui si manifesta la solidarietà vincolante il genere maschile detentore di potere; la seconda è il meccanismo ansiogeno che, sempre più a partire dal Settecento, pone dei limiti

30 A tal propósito, si può citare l’opera di David Halperin, San Foucault. Verso un’agiografia gay (2013,

versione originale in inglese del 1995), in cui si mette in luce l’approccio queer di Michel Foucault, e nella quale, l’autore evidenzia l’importanza delle strategie omofobiche in grado di rafforzare l’autorità eterosessista degli Stati Uniti contemporanei. Inoltre, è utile menzionare l’introduzione di Diana Fuss all’opera Inside/out:

Lesbian Theories, Gay Theories (1991), nella quale l’eterosessualità normativa viene intesa in rapporto al

all’erotizzazione del vincolo omosociale, al fine di preservare la maschilità pura del soggetto maschile. L’opposizione omo/eterosessualità è vista come il risultato storico che servì a stabilizzare una assai più incerta opposizione omosocialità/omosessualità (Sedgwick 1985; 2011).

Allo stesso modo, il dispositivo di potere si caratterizza per una forte carica di ambiguità nella quale risiede la forza del vincolo. Perché talvolta si stabilisce nella figura dell'omosessuale lo spazio dell'abiezione inabitabile, al quale ogni individuo deve rinunciare, stabilisce la possibilità che chiunque possa allontanarsi da lui, stabilisce una frontiera poco precisa che espone tutti gli uomini sotto una forte ansia di affermazione e negazione identitaria che deve ripetersi costantemente: i rapporti prescritti di omosocialità possono e devono essere costantemente esposti a interrogazione e scrutinio, vista la possibilità del loro spostamento verso il vincolo omosessuale prescritto.

Questo meccanismo di potere ha costituito l'omosessuale in uno specifico individuo con un'essenza interiore, proprio come analizza Foucault (visione minoritaria, nella terminologia proposta da Sedgwick). Si è anche, però, costituita l'omosessualità come un rischio o un pericolo che riguarda tutti gli individui, dato che tutti sono sottoposti alla possibilità di essere definiti in questa categoria (visione universale) (Sedgwick, 2011: 72).

La norma eterosessuale è marcata dal suo altro omosessuale, in due forme distinte: a volte come il fuori che deve stabilirsi per costituirsi come norma, quello che deve proibire per delimitare lo spazio del possibile, di ciò che è permesso. Però, nel definire e delimitare questo fuori, l'eterosessualità le conferisce la patente di esistenza, lo costituisce come possibilità, e pertanto come un rischio e una minaccia, dovendo pertanto stabilire meccanismi di difesa per evitarlo.

Un’approssimazione come questa dell’eterosessualità, riprende la tesi foucaultiana dell’inseparabilità tra potere e resistenza: precisamente lo stabilire un’alterità che permette

e assicura la costituzione del legittimo, grazie alla creazione di un punto d’appoggio per le sue pratiche, il potere produce il punto dal quale la sua azione potrebbe avere un esito negativo. L’esercizio di potere, la costituzione di una norma produce un eccesso, uno scarto che impedisce la sua totalità, la sua determinazione completa dell’oggetto che produce e sopra il quale si esercita. Nello stabilire e proibire un fuori, nel delimitarlo e darle esistenza, l’eterosessualità sovverte, in questo stesso meccanismo, la sua pretesa di essere naturale e necessaria, dato che ciò che è proibito non è impossibile, e proprio per questo è necessario proibirlo (Fuss, 1991: 115). Dunque l’omosessualità non sta fuori l’eterosessualità, o meglio, l’omosessualità è un fuori interno all’eterosessualità, in grado di segnalare il limite della chiusura dell’eterosessualità come regime e come identità (Córdoba García, 2005). L’omosessualità è l’indicatore di una mancanza, di un vuoto nella struttura dell’eterosessualità, pertanto il considerarla al di fuori permette all’eterosessualità di recuperare l’integrità della sua struttura e di nascondere la sua contingenza stabilendo l’illusione della sua necessità.

Il meccanismo sopracitato, attraverso il quale l'omosessualità si converte nell’altro abbietto, nell'essenza inscritta nei corpi degli individui, è un rischio o un pericolo al quale sono sottomessi tutti i soggetti e, inoltre, si costituisce anche come un tipo specifico di potere, nel quale il gioco tra silenzio e svelamento, tra le istanze legittime per svelarsi e l'imposizione del segreto, sono gli elementi fondamentali. Bisogna aggiungere che, a differenza di altri segni costruiti come fondamento della struttura di differenza e disuguaglianza come il sesso/genere e la razza, l'orientamento sessuale non è visibile esternamente a prima vista nell'individuo. Sedgwick ha denominato “Epistemologia dell'armadio” il gioco di potere che si è strutturato attorno alle questioni della visibilità e invisibilità, del silenzio e della presa di parola, del segreto e del coming out (o uscita dall'armadio), in definitiva di lotta per la legittimazione dell'istanza che designa e mostra la

differenza.

I concetti di “armadio” o “stare nell'armadio”, utilizzati dalla comunità gay e lesbica, fanno riferimento a un silenzio imposto dalla norma eterosessuale, a una realtà che deve in assoluto preservarsi, e nel migliore dei casi, nell'ambito del privato. Mentre l'eterosessualità si esprime pubblicamente in differenti luoghi, rituali, istituzioni, le relazioni omosessuali sono prive di questi spazi e di queste pratiche. Questo meccanismo di occultamento e di silenzio, però è molto più complesso di ciò che può sembrare a prima vista, per due motivi: in primo luogo perché la strategia di mettere a tacere queste realtà è consistita, come si è già detto, nella produzione della figura stigmatizzata dell'omosessuale, dandogli per questo un tipo di visibilità che, anche se imposta e gestita dall'istanza normativa (la quale implica la sua costruzione in termini negativi), ha supposto la possibilità di riappropriazione e riarticolazione dei suoi significati da parte dei soggetti marchiati da questa immagine. In secondo luogo, perché il silenzio imposto diventa un imperativo di confessione in molteplici occasioni, nelle quali l'omosessualità si è fatta pubblica dal potere, inquadrata in un contesto di scandalo, o per meglio dire, si colpevolizza il soggetto che ha mantenuto il segreto al cospetto delle istanze normative. In definitiva, la questione della struttura del segreto e dello svelamento è una politica di enunciazione: chi e in quale situazione ha la legittimità di prendere la parola per definire e segnalare una realtà (in questo caso l'omosessualità). Siamo davanti a un modello di potere nel quale questi spazi di nominazione, enunciazione e definizione di realtà sono aperti a una lotta egemonica tra istanze che rivendicano la legittimità delle loro posizioni. Davanti a una catena di citazioni e ripetizioni, imposizioni e riappropriazioni, nelle quali si negozia, si discute, si concede o si sottrae l'autorità di definire un nome, di dare un significato a un’identità (Sedgwick, 2011: 99).