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CAPITOLO I Elementi e genealogie della Teoria queer

1.4 Contro il sistema sesso/genere

1.4.1 Femminismo della differenza

Il dualismo nella concezione della cultura di Lévi-Strauss (1969) ebbe una grande influenza tra le femministe in Francia e nel mondo, soprattutto grazie a Simone de Beauvoir, che partiva dalla importanza della dualità tra “lo stesso e l’altro”, come base della coscienza in tutte le società che non definiscono le donne per sé medesime, ma come l’Altro dell’uomo, l’alterità contro l’essenziale e l’assoluto. Mentre l’uomo ha il privilegio di accesso all’ambito pubblico e può affermarsi attraverso i progetti che sviluppa dentro di sé, la donna è reclusa nell’ambito coniugale, il luogo dove il suo essere si realizza, dove la sua vita prende senso e dal quale è definita.

La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, e non lui in relazione a lei; lei è l’inessenziale difronte all’essenziale. Lui è il Soggetto, lui è l’Assoluto, lei è l’Altro (Beauvoir, 1969: 12).

Simone de Beauvoir, con Il secondo sesso (1949), stabilisce la differenza tra sesso e genere, affermando che donne e uomini sono il risultato di una costruzione culturale, non biologica, mettendo in luce che la storia delle donne è stata fatta dagli uomini:

La storia ci dimostra che gli uomini hanno sempre avuto tutti i poteri concreti; sin dall’inizio del patriarcato hanno ritenuto utile mantenere la donna in uno stato di dipendenza; i loro codici sono stati stabiliti contro di lei, e in quel modo è stata convertita nell’Altro. Tale condizione serviva per gli interessi economici dei maschi, però era anche utile per i loro pretesti ontologici e morali (Beauvoir, 1969: 168).

Beauvoir disfa il concetto secondo il quale il maschile e il femminile, il maschio e la femmina, sono due pari opposti situati nello stesso livello logico, rifiutando la retorica della complementarità, che nasconde un’intrinseca relazione di potere e che reputa qualsiasi rivendicazione ugualitaria come antinaturale.

Utilizzando la dialettica del padrone e dello schiavo di Hegel come modello per spiegare le relazioni patriarcali tra uomini e donne, Beauvoir sostiene che l’Altro femminile ha avuto nel corso della storia false emancipazioni, vuote libertà, “in un mondo in cui gli uomini continuano a essere concretamente gli unici padroni” (Beauvoir, 1969: 23). Il mondo femminile si è strutturato sui margini del maschile, plasmato su un insieme di regole, proibizioni, e principi di normalità, che si materializza in una “condizione femminile”, che non può scapare dall’universo simbolico maschile:

Le donne si sono sempre sforzate, adesso come prima, di unirsi per affermare un controuniverso, che però ancora viene progettato dall’interno dell’universo maschile (Beauvoir, 1969: 67).

Simone de Beauvoir sostiene che le donne sono il secondo sesso, non per la loro condizione di donne sessuate, ma precisamente per la sopravvivenza dell’eterno femminile, del genere femminile:

[…] tutto l’essere umano femmina […] non è necessariamente una donna; ha bisogno di partecipare a quella realtà misteriosa e minacciata che è la femminilità (Beauvoir, 1969: 87).

Dello stesso parere Virginia Woolf scrive: “questo desiderio profondamente radicato nell’uomo non tanto che lei sia inferiore, ma piuttosto di essere il superiore” (Woolf, 2010: 41). Beauvoir rompe con le teorie deterministe che vedono le donne come un essere inferiore, e intraprende una critica che si focalizza negli elementi socioculturali spaziali e temporali. La lotta per l’uguaglianza si basa, per la filosofa, nell’emancipazione economica della donna in un contesto concreto: quello della lotta collettiva, in tutti gli ambiti, per conquistare lo spazio riservato agli uomini.

Non è l’inferiorità delle donne ad aver determinato la sua irrilevanza storica, ma è la sua irrilevanza storica ciò che la ha condannata all’inferiorità […] Non si nasce donna: si diventa (Beauvoir, 1969: 53).

La filosofa francese mette in rilievo il suttotesto di genere presente nei miti, la storia come dominio patriarcale, le trappole psicologiche dell’educazione sentimentale repressiva delle donne, la femminilità come modello normativo castrante nella sessualità e nell’ideale domestico, così come la percezione sessista dell’età adulta e della vecchiaia femminile.

La decostruzione di miti della femminilità, influenzerà autrici come Betty Friedan, che riprende questo tema in The femenine Mystique (1963), dove denuncia come la società

impone alle donne un codice di condotta che passa necessariamente per il matrimonio, la maternità e il lavoro domestico.

D’accordo con la mistica della femminilità, la donna non ha nessun’altra forma di creare e di sognare un futuro differente. Non può considerare sé stessa sotto nessun altro aspetto che non sia quello di madre dei suoi figli o sposa dei suoi mariti. (Friedan, 1974: 58).

Friedan adotta un pensiero psicologico-sociale dell’identità femminile, l’essere donne di casa, che il sistema impone come unico ed esclusivo. L’effetto di questa eterodesignazione15 si traduce in molteplici patologie psicologiche autodistruttive, ansietà,

alcolismo, suicidio, mancanza di autostima, rappresentazione negativa o annullamento dell’io: “Sono colei che serve il cibo; colei che veste i bambini e prepara i letti; colei alla quale ci si può riferire quando si desidera qualcosa. Però chi sono io realmente?” (Friedan, 1974: 43).

Lo sguardo critico di de Beauvoir, che denuncia la falsa neutralità del soggetto e della ragione, continuò in due tendenze femministe:

a) La critica alla ragione patriarcale: femminismo radicale di Kate Millet, Germaine Greer, Sulamith Firestone, Celia Amoros e Amelia Valcarcél.

b) La critica al logocentrismo: femminismo della differenza di Hélène Cixous, Luce Irigaray, Luisa Muraro, Adriana Cavarero e Rosi Braidotti.

Le posizioni di queste due tendenze femministe sono contrarie rispetto al sistema sesso/genere. Mentre il femminismo radicale punta per la dissoluzione del sistema

15 Con il termine etero-designazione si definisce il concetto secondo il quale gli uomini impongono alle donne

sesso/genere, il femminismo della differenza lo afferma, indagando sulla specificità femminile.

Il pensiero della differenza si basa sulla constatazione che ogni essere umano nasce in un corpo sessuato, maschile e femminile, e pertanto anche il soggetto della conoscenza è sessuato. Al contrario, il sapere istituzionale ha fatto presumere che il soggetto fosse neutro, mentre in realtà essendo il prodotto di un sistema maschile, è sempre stato androcentrico. Le teoriche della differenza denunciano il fatto che le donne non si possono riconoscere in tale sistema, e applicando il metodo decostruzionista di Derrida16 e la psicoanalisi di Lacan17

analizzano la cultura occidentale e le strutture che la sostengono. In tal modo emerge che tutti i sistemi di significazione hanno come punto di riferimento l’uomo, invece la donna

16 In Della Grammatologia (2012), pubblicato nel 1967, Jacques Derrida fa derivare il significato da ciò

che chiama différance, un processo simultaneo di differimento e posposizione del senso; il significato, quindi, è prodotto non soltanto utilizzando la differenza come mezzo di autoaffermazione, ma anche attraverso un processo di differimento del senso, processo che rende il linguaggio “scivoloso” e indeterminato e passibile, quindi, di critica laddove esso è usato strumentalmente per descrivere e affermare concetti ritenuti immutabili e fissi, tra cui quelli di identità, di soggettività, di genere e così via. Derrida, sfidando la rappresentazione dualistica dell’identità, ha mostrato come a ognuno dei due termini sia sempre stata data, nel corso della storia, una diversa importanza, che spesso si è tradotta in uno sbilanciamento di potere a favore di uno di essi. Ogni tentativo di definire un’identità, in altre parole, è sempre dipeso dall’esclusione di alcuni elementi ritenuti “all’opposto” di ciò che si cercava di definire, rendendo “alterità” ciò che era una semplice “differenza”. Derrida sottolinea che la decostruzione non è un metodo, ma una pratica filosofica che la differenza mette in luce. Infatti analizzando le differenze si mostrano le opposizioni concettuali che costituiscono il linguaggio filosofico e le mancanze su cui erigono, i giudizi di valore inavvertitamente o implicitamente incorporati nei discorsi filosofici. La pratica della decostruzione smonta un sapere che si presenta immediato e legittimo. Ne è un chiaro esempio la percezione tradizionale degli uomini e delle donne come “sessi opposti”, la quale ha sempre implicato l’esistenza di due categorie che si escludono sempre a vicenda. Il femminismo mostra, attraverso una analisi decostruttiva della storia della filosofia e della psicologia, come questa differenza di genere sia stata ignorata e neutralizzata, interpretando la femminilità e la specificità che essa rappresenta come un'immagine riflessa, specchiata, nell'unica figura di identità concepita, che è basata appunto sul modello maschile. Mentre il femminismo della differenza mette in risalto una differenza ontologica per recuperare l’accesso al mondo simbolico, affinché l’essere sessuato femminile non venga neutralizzato nel mondo simbolico maschile, gli studi di genere, attraverso la decostruzione del sapere, mostrano come tale differenza sia costruita e sia a favore dell’essere sessuato maschile.

17 La teoria lacaniana focalizza la propria attenzione sui processi simbolici sottesi nei modelli di relazioni emotive della famiglia governati dalla “legge del padre”, la quale costituisce la cultura e la possibilità della comunicazione. Qui la maschilità non si configura come un fatto empirico come nella psicanalisi classica, né un archetipo eterno, bensì ciò che occupa un posto nelle relazioni sociali e simboliche. La repressione edipica crea un sistema di ordine simbolico in cui il possessore del fallo, un simbolo che deve essere distinto dall’organo di riproduzione maschile, ricopre una posizione di autorità e superiorità nei confronti di chi ne è sprovvisto. Diversamente da Freud, per Lacan il fallo non è né un fantasma, né un oggetto, buono o cattivo, né un organo, pene o clitoride, il fallo da elemento immaginario o biologico diventa il significante della differenza.

rappresenta l’Altro, il suo polo negativo dentro la coppia oppositiva uomo/donna (Gajeri, 1999: 299).

Luce Irigaray, discepola dello psicanalista Lacan e filosofa, pubblica nel 1974 il suo libro Speculum – dell'altro in quanto donna, che rappresenta una risposta concreta, dal punto di vista politico e psicanalitico, al discorso patriarcale. Il titolo dell'opera è un chiaro riferimento allo strumento utilizzato dai ginecologi, allo spazio vuoto a cui si riferisce: l'opera di Irigaray infatti dimostra come lo sguardo maschile, il predominante, abbia sempre guardato alla donna come ad una mancanza, un'assenza. Una delle grandi critiche che le femministe hanno sempre mosso alla psicanalisi d'altronde è proprio contro il concetto di invidia del pene, invidia che, secondo Freud, le bambine sviluppano ad un certo punto della crescita, quando diventano consapevoli della mancanza, dell'assenza dell’organo maschile. Il linguaggio, la filosofia, la storia, la sociologia da sempre sono state costruite attraverso un discorso fallogocentrico, dominato e retto dal soggetto maschile. Secondo Irigaray, bisogna procedere alla decostruzione di questi linguaggi, per edificare uno nuovo, il frutto di uno sguardo non neutrale, ma differente (Irigaray, 1974).

Irigaray riassume le tesi filosofiche della differenza – Derrida (2012), Deleuze (1977), Lyotard (1979) – per sostenere che il differente, in quanto non identico, nella nostra cultura è rappresentato dal femminile. La differenza sessuale è la differenza per antonomasia: Irigaray parla dell’altro, il femminile come il decentrato del discorso predominante, dalla ragione dominante, che scappa dal discorso logocentrico, che in realtà rappresenta un ordine logofallocentrico.

Possiamo riassumere il pensiero di Irigaray circoscrivendolo attorno a tre questioni: 1) la critica della cultura, che è esclusiva dell’unico soggetto, il maschile.

3) definire una cultura dei soggetti non sottomessi attraverso nuovi parametri filosofici, linguistici e politici.

La filosofia della differenza sessuale mette in luce e fa emergere la sovradeterminazione dello sguardo e della visione fallocentrica nella conoscenza dell'umanità. I valori di eroismo, politica, conquista e lotta sono valori prettamente maschili, ed hanno un peso diverso nella nostra mente dai valori domestici, di cura della persona e della quotidianità. Il corpo delle donne è in effetti differente da quello dell'uomo, ed è differente il valore del femminile. Il tentativo delle filosofe della differenza è quello di guardare alla realtà senza sentirsi l'Altro, in contrapposizione al maschile. Il pensiero patriarcale definisce le caratteristiche maschili come il positivo a cui fare riferimento e, di conseguenza, descrive le peculiarità femminili come negative. Il compito della differenza è proprio quello di riscoprire come positive le caratteristiche femminili, facendo risaltare la sua essenza (Odorisio, 2005). Lo specchio nel quale il bambino di Jacques Lacan si guarda e si riconosce diverso e staccato dalla madre, quindi dal resto del mondo, può essere uno speculum, il cui spazio di azione è un antro, come la caverna di Platone (altro tema affrontato da Luce Irigaray, 1975: 241), dove accadono moltissime cose, al di là della capacità maschile di coglierle.

Infine, dato che la discriminazione nasce dal linguaggio (come si è visto Luce Irigaray ha parlato di fallogocentrismo), una tradizione al femminile può scaturire, come afferma Hélène Cixous, dalla écriture fémenine (Gajeri, 1999: 300).

Dall’alterità, segnala Hélène Cixous (1975) sorgono altre scritture, altre forme di leggere e di nominare, quindi la donna, nello scrivere, ritorna al regno dell’immaginario, il poetico e indifferenziato. L’Altro si converte, così, in un luogo per un’estetica alla ricerca di un tempo anteriore all’atto del nominare, alla sintassi, all’ordine simbolico, al superamento del tessuto grammaticale.

Per Cixous, il pensiero occidentale si basa su una serie di opposizioni binarie relazionate con il sistema di valori patriarcali, dove il “lato maschile” è colui che riceve sempre gli attributi attivi, e il lato femminile si considera sempre il più debole e il più negativo: logos/pathos, attivo/passivo, sole/luna, testa/cuore, cultura/natura, giorno/notte, padre/madre, intelligente/sensibile. Con questa formula, il patriarcato alle donne solamente due ruoli: l’essere passiva o non esistere18.

Essere escluse dal discorso equivale all’annullamento culturale delle donne. Questo sottolinea la difficile relazione delle donne con i segni culturali e il linguaggio elaborato dagli uomini e che codificano a loro volta il femminile secondo le loro proprie necessità. La maggior parte dell’opera di Cixous si incentra precisamente nell’impossibilità per le donne di scappare dal fallogocentrismo e di creare nuovi linguaggi.

Sia Hélène Cixous sia Luce Irigaray difendono il concetto di una écriture fémenine o un parler femme, un linguaggio che si relaziona all’energia della libido femminile ed evoca la fase materna quando la madre e sua figlia comunicano tra di loro attraverso un linguaggio corporale.

Entrambe le autrici revisionano l’uso e l’abuso del linguaggio in relazione con le donne, concludendo con la necessità di elaborare un discorso femminile nel quale le donne possano identificarsi e il quale venga a colmare la lacuna della loro assenza in tutti gli ambiti della scienza e della cultura.

Irigaray propone come strategia per rompere la logica machista, un discorso femminile che parodizzi il discorso maschile. Hélène Cixous insiste nel ruolo privilegiato che le “opposizioni duali gerarchiche” hanno nell’insieme dei sistemi simbolici, e afferma, come Derrida, che il logocentrismo sottomette a tutto il pensiero – tutti i concetti, codici, valori –

a un “sistema di due termini”. Inoltre si chiede se tutte queste opposizioni si relazionano “con la copia uomo-donna” (Cixous, 1975).

Seguendo le idee di Derrida, per Cixous, il logocentrismo sottomette il pensiero – concetti, codici, valori – a un sistema di due termini opposti e gerarchizzati. Rifiuta la categorizzazione binaria maschilista nei loro presupposti fino al punto di accogliere una non differenziazione tra sesso/genere, a favore della bisessualità.

L’opera di Cixous è un’appassionata affermazione del diritto e la necessità delle donne di scrivere, di scriversi e di iscriversi in un modo distinto dal parlato, di relazionarsi in un modo nuovo con i segni culturali che, sono stati elaborati dagli uomini, e che convertono le donne in un oggetto inerte e condannato.

Cixous e Irigaray propongono un altro universo simbolico, dove la scrittura si realizza con la “tinta bianca”, ciò vuol dire, con il latte materno, e il sesso femminile si converte in “testualità”.

Questo nuovo Ordine Simbolico Femminile si basa sulla relazione madre-figlia attraverso una scrittura erotica e orgasmica. Luce Irigaray propone il corpo femminile come una “contro strategia” al corpo maschile, uno spazio dal quale la donna possa parlare come soggetto

Nel 1991, Luisa Muraro pubblica L’ordine simbolico della madre, che parte dalla premessa che “il patriarcato ha imitato e saccheggiato le donne”, e offre due idee fondamentali:

1) La necessità di accettare che l’ordine materno è l’ordine simbolico delle donne per eccellenza.

2) Il riconoscimento de L’autorità della madre, prima mediatrice delle donne con il mondo e relazione femminile originaria e, attraverso di essa, relazione prioritaria con

qualsiasi altra per una donna – “che per lei” –, attraverso la quale è possibile indipendizzarsi dall’ordine maschile per adottare altri parametri simbolici.

Il sapersi distinta dagli uomini non è sufficiente alla donna per riconoscersi. La mediazione maschile, come indirettamente riconosce Freud, si risolve in un rinnegare del femminile da parte degli uomini e delle donne. Affinché il femminile possa circolare nel discorso della scienza e della politica è, pertanto, necessario che la donna disponga di una mediazione femminile per relazionarsi con sé stessa e con l’altro in relazione a sé. Però nel sistema delle relazioni sociali mancava una struttura simbolica adeguata, o meglio era espressamente esclusa. Freud non poteva essere più esplicito quando nella sua lezione su La femminilità teorizza che per giungere a essere normale la donna deve dispiegarsi dalla madre e convertire in ostilità il suo amore verso di lei (Muraro, 1991: 87).

La relazione privilegiata madre/figlia stabilisce la nozione di genealogia femminile e una relazione con il proprio sesso che può creare un ambito di pensiero, significazione e libertà per le donne. La lingua materna, che non significa la lingua appresa nell’infanzia, ma la lingua appresa attraverso il sentimento dell’amore, è cruciale per le capacità di auto repressione del soggetto femminile.

La lingua materna è un continuum di intercambi mentali e di gesti, che è una specie di scrittura con il corpo, come lo è il canto, la danza e la mimica che, piano piano abbracciano comunità linguistiche oggi separate, fino a superare le differenze di famiglia linguistica e tutto ciò partendo dal proprio paese o meglio dalla casa natale, dall’infanzia, dalla relazione con la madre (Muraro, 1991: 60).

La madre, essendo la persona che ci insegna a parlare, instaura anche un sistema di interscambio basato sulla parola e che sta alla base della civilizzazione, mentre nella società

patriarcale la lingua materna è sostituita dal sistema di scambio basato sul mercato e sul denaro.

Da lei apprendiamo a parlare e lei fu quindi garante della lingua e della sua capacità di dire ciò che è. Dunque l’autorità della lingua è inseparabile da quella della madre. Però lei non ha autorità nella nostra vita adulta e questa, io penso, è la causa della incompetenza simbolica (Muraro, 1991: 35).

Concettualmente, la madre simbolica, la nozione di affidamento, di autorità femminile sono i pilastri sopra i quali si costituisce l’attuale femminismo della differenza in Italia. Si tratta di una relazione materna che permette che due donne diverse, situate in posizione gerarchica differente si aiutino a crescere mutuamente. La figura della mediatrice è anche qui colei che aiuta un’altra donna a esprimere le sue vere idee, quelle idee che sono l’espressione e il pensiero della materialità della condizione femminile. Questa mediazione esige, e allo stesso tempo permette e accoglie le relazioni di affidamento e il riconoscimento dell’autorità.

Quando parliamo di affidamento, parliamo di “un concetto di difficile traduzione nel quale il riconoscimento dell’autorità femminile gioca un ruolo importante”. Parlare di affidamento è parlare di qualcosa così come di dare sicurezza: le donne devono riconoscersi tra di loro, e, attraverso delle loro maestre, comunicare una con l’altra le capacità di determinare per loro stesse la loro vita e di dare più rilevanza ai contesti femminili (Muraro, 1991: 80).

Questi concetti rispondono alla necessità di mediazione simbolica che hanno tutte le donne per e con il mondo nel quale vivono. “Entro me e me, entro me e il mondo una donna”.